ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1997 dalla Corte d'assise di Torino, iscritta al n. 396 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1997. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio dell'11 marzo 1998 il giudice relatore Giuliano Vassalli. Ritenuto che, nel corso di un dibattimento davanti alla Corte d'assise di Torino a carico di numerosi imputati in stato di custodia cautelare per reati rientranti nella previsione dell'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, il Pubblico ministero, all'udienza del 17 gennaio 1997, nel richiedere una nuova sospensione dei termini di custodia cautelare, formulava apposita riserva nei confronti di un imputato, per "l'insussistenza - secondo la propria valutazione - delle esigenze cautelari", avendo tale imputato offerto una collaborazione in grado di escludere le esigenze di cui all'art. 274, lettera c), del codice di procedura penale; che all'udienza del 22 gennaio 1997 la difesa chiedeva la revoca della misura cautelare, provvedimento che veniva denegato sul presupposto della permanente esistenza della pericolosita' sociale dell'imputato escluso dalla richiesta di sospensione; che, con ordinanza del 27 febbraio 1997, la Corte d'assise di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 101 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 3, del codice di procedura penale, "nella parte in cui esclude poteri di ufficio del giudice in tema di sospensione dei termini massimi di custodia cautelare, nella fase dibattimentale"; che il giudice a quo, premesso che la richiesta del Pubblico ministero e' "eccentrica rispetto ai presupposti di legge dell'istituto della sospensione" - sia perche' uno dei presupposti e' costituito dall'attualita' dello stato custodiale in conseguenza del provvedimento di un giudice sia perche', in caso di difformi valutazioni del pubblico ministero e del giudice in ordine alla pericolosita', da' per scontato che e' il giudizio di una parte quello che deve prevalere, sia perche' la sospensione ha per unico obiettivo la permanenza in vinculis di imputati di gravi reati, giudicati pericolosi, in pendenza di dibattimenti particolarmente - complessi ne trae la conseguenza che davvero incomprensibile si rivela la necessita' che il procedimento diretto alla sospensione debba essere attivato dal pubblico ministero, non potendo il giudice, di ufficio, accertare i presupposti richiesti dall'art. 304 del codice di procedura penale, presupposti tutti, peraltro, di agevole verifica; che tale potere, attribuito ad una parte, da' luogo a trattamenti processuali differenziati, nonostante l'identita' delle situazioni poste a confronto, inserendosi erroneamente fra i presupposti condizionanti la sospensione "il comportamento processuale collaborativo" dell'imputato che puo' incidere soltanto sulle condizioni per la revoca della misura, condizioni che solo il giudice e' tenuto a valutare; che, inoltre, l'inoperativita' della sospensione per uno degli imputati, in forza della richiesta del Pubblico ministero, comportando l'imminente decorrenza dei termini di custodia, verrebbe ad incidere, compromettendone l'osservanza, anche sul precetto di cui all'art. 101, secondo comma, della Costituzione; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile per irrilevanza, data l'erroneita' del presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo: quello cioe' che il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare possa dar luogo a posizioni individuali differenziate; un assunto smentito dalla costante interpretazione giurisprudenziale. Considerato che questa Corte, con sentenza n. 238 del 15 luglio 1997 - successiva, dunque, all'ordinanza di rimessione - ha gia' dichiarato non fondata un'identica questione, perche' basata sull'erroneo presupposto interpretativo che il pubblico ministero possa limitare la richiesta "a singole posizioni cautelari", con la conseguenza che la richiesta di sospensione che contenga limitazioni all'operativita' della sospensione stessa, deviando dal quadro normativo predisposto dall'art. 304, commi 2 e 3, del codice di procedure penale, e' da ritenere del tutto estranea alla disciplina legislativa; che tale illegittimita', "mentre non e' in grado di viziare (in base al principio utile per inutile non vitiatur) la domanda nel suo complesso, consente al giudice di provvedere secondo il modello legislativo, in tal modo pervenendo nei sensi previsti dall'art. 304, comma 2, del codice di procedura penale, alla sospensione dei termini di custodia cautelare senza l'apposizione di condizioni "di limitazioni di sorta" (cosi', ancora, la sentenza n. 238 del 1997); che la questione deve, pertanto, essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.