ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. da 1 a 4 e da
 6 a 11 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 29
 ottobre 1997 (Rideterminazione delle dotazioni  organiche  del  ruolo
 tecnico dei beni culturali ed ambientali e disposizioni in materia di
 catalogazione  informatizzata dei beni culturali) e degli artt. 1 e 3
 della  legge  approvata  dall'Assemblea  regionale  siciliana  il  23
 dicembre   1997   (Ulteriori  interventi  per  la  catalogazione  del
 patrimonio culturale siciliano e disposizione per la  rendicontazione
 di spese sostenute da enti aventi finalita' culturali ed artistiche),
 promossi  con  ricorsi  del  Commissario  dello  Stato per la Regione
 Siciliana notificati l'8 novembre e il 31 dicembre  1997,  depositati
 in  Cancelleria il 15 novembre 1997 e il 9 gennaio 1998 e iscritti ai
 nn. 71 del registro ricorsi 1997 e 5 del registro ricorsi 1998.
   Visti gli atti di costituzione della Regione Siciliana;
   Udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1999 il giudice relatore
 Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per  il  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  e  gli Avvocati Giovanni Pitruzzella e
 Giovanni Lo Bue per la Regione Siciliana.
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  - Con ricorso notificato l'8 novembre 1997 (r. ric. n. 71 del
 1997), il  Commissario  dello  Stato  per  la  Regione  Siciliana  ha
 sollevato   questione  di  legittimita'  costituzionale  della  legge
 approvata dall'Assemblea  regionale  siciliana  il  29  ottobre  1997
 (Rideterminazione  delle  dotazioni  organiche  del ruolo tecnico dei
 beni  culturali  ed  ambientali  e   disposizioni   in   materia   di
 catalogazione   informatizzata   dei   beni  culturali).  Secondo  il
 ricorrente la legge, nel suo complesso (con la  esclusione  del  solo
 art. 5), si configurerebbe come un tentativo di superare gli obblighi
 derivanti  dall'applicazione  della normativa nazionale in materia di
 razionalizzazione  del  pubblico  impiego,  eludendo  al  contempo  i
 principi   posti   dalla   sentenza   n.  59  del  1997  della  Corte
 costituzionale, in quanto produrrebbe quella inversione di  priorita'
 tra   interesse   del  personale  precario  all'impiego  ed  esigenze
 dell'amministrazione che e' stata censurata in  detta  sentenza,  con
 conseguente   violazione   degli   artt.   3,  51,  97  e  136  della
 Costituzione.
   In particolare, la legge viene impugnata nella parte in cui prevede
 "apoditticamente" la modifica e  l'ampliamento,  per  taluni  profili
 professionali,    delle    piante   organiche   dei   ruoli   tecnici
 dell'assessorato ai beni culturali, sovrapponendosi  al  procedimento
 di  rilevazione  dei  carichi  di lavoro avviato dall'amministrazione
 regionale, e in assenza,  come  rivelano  i  lavori  preparatori,  di
 qualsiasi  valutazione  dei  dati  relativi  alla  utilizzazione  del
 personale  degli  uffici  periferici  dell'amministrazione  dei  beni
 culturali.
   Specifiche  censure  investono  gli  artt.  4,  6  e 7, relativi al
 procedimento concorsuale  per  la  copertura  dei  posti  vacanti  in
 organico,  nonche'  l'art.  8,  sulle assunzioni di personale fino al
 quarto livello. Da tali disposizioni, unitamente alla creazione,  con
 la  tabella  A,  allegata  alla legge, di nuove figure professionali,
 emergerebbe che  il  reale  intento  del  legislatore  e'  quello  di
 assicurare  comunque la prosecuzione dei rapporti di lavoro a termine
 stipulati, ai sensi dell'art. 111 della legge regionale  1  settembre
 1993,  n. 25, con gli oltre cinquecento "catalogatori" del patrimonio
 culturale siciliano, in quanto sarebbero questi ultimi,  nella  quasi
 totalita',  i  beneficiari  del  provvedimento  legislativo. Inoltre,
 l'art. 4 disporrebbe l'integrale devoluzione  di  compiti  di  natura
 prettamente   pubblica,   quali   quelli   relativi  ai  procedimenti
 concorsuali, a imprese private.
   E'  censurato,  infine,  l'art.  9,  che  prevede  la  proroga  dei
 contratti  a  termine  del personale gia' addetto alla catalogazione,
 proroga  che  sarebbe  motivata  unicamente  sulla  base  dei   tempi
 concorsuali  previsti,  e  non  del  riscontro  e  della verifica dei
 risultati conseguiti.
   1.2.  -  Nel  giudizio  si  e'  costituita  la  Regione  Siciliana,
 chiedendo il rigetto di tutte le questioni.
   Obiettivo  principale  della  legge  sarebbe  il  raggiungimento di
 finalita' istituzionali dell'amministrazione dei  beni  culturali,  e
 non il soddisfacimento delle aspettative di una categoria di precari.
 La  rideterminazione  delle dotazioni del ruolo tecnico, infatti, non
 solo  comporterebbe   una   riduzione   dell'organico,   ma   sarebbe
 strumentale   ai   nuovi  compiti  che  il  legislatore  ha  affidato
 all'amministrazione  regionale  dei  beni  culturali.  L'art. 2 della
 legge  ridefinisce  in  particolare  l'attivita'  di   catalogazione,
 qualificandola  come  un'attivita'  permanente,  stabile,  che non si
 esaurisce nel momento della prima inventariazione e catalogazione dei
 beni.
   La   fattispecie   disciplinata   dalla    legge    impugnata    si
 differenzierebbe  da quella presa in considerazione dalla sentenza n.
 59 del 1997:  la legge regionale annullata prevedeva in quel caso  la
 trasformazione  automatica  a  tempo  indeterminato  di  contratti di
 lavoro a termine, mentre oggi  si  e'  in  presenza  di  un  pubblico
 concorso,  aperto anche a soggetti diversi dai catalogatori. Il fatto
 che  la  legge  regionale  vada  anche  incontro   alle   aspettative
 occupazionali delle persone che hanno gia' prestato la loro attivita'
 per l'amministrazione, maturando notevole esperienza nel settore, non
 potrebbe,  di  per  se', costituire un vizio della legge, trattandosi
 comunque di  un  risultato  aggiuntivo  e  non  sostitutivo  rispetto
 all'interesse dell'amministrazione.
   1.3.  -  In  prossimita'  dell'udienza  l'Avvocatura generale dello
 Stato ha depositato una memoria, ribadendo che la dotazione  organica
 del   ruolo   tecnico  dei  beni  culturali  e  ambientali  e'  stata
 rideterminata "apoditticamente" dal  legislatore  siciliano,  che  ha
 prescisso   dal   necessario,   preventivo  riscontro  dell'effettivo
 utilizzo del  personale  gia'  in  servizio.  Dalla  rilevazione  dei
 carichi  di  lavoro dell'intera amministrazione regionale, conclusasi
 recentemente, emergerebbe, tra l'altro, un esubero di personale,  che
 investirebbe principalmente proprio i ruoli tecnici.
   2.1. - Con ricorso notificato il 31 dicembre 1997 (r. ric. n. 5 del
 1998)  il  Commissario  dello  Stato  per  la  Regione  Siciliana  ha
 impugnato gli artt.  1  e  3  della  legge  approvata  dall'Assemblea
 regionale  siciliana il 23 dicembre 1997 (Ulteriori interventi per la
 catalogazione del patrimonio culturale siciliano e  disposizione  per
 la  rendicontazione  di  spese  sostenute  da  enti  aventi finalita'
 culturali ed  artistiche),  per  violazione,  rispettivamente,  degli
 artt. 3, 51, 97 e 136, e 3 e 97 della Costituzione.
   Secondo  il  ricorrente  l'art.  1  di detta legge, che proroga per
 diciotto mesi i contratti di lavoro stipulati con il  personale  gia'
 utilizzato  nelle  campagne di catalogazione del patrimonio culturale
 siciliano, violerebbe l'art. 97 della Costituzione, sotto il  profilo
 del buon andamento, cosi' come specificato dalla Corte costituzionale
 nelle  sentenze  nn. 59 e 153 del 1997. Infatti, la norma, prorogando
 tout court tutti i contratti di lavoro in questione  e  demandando  a
 una ulteriore fase amministrativa la nuova definizione dell'attivita'
 di  catalogazione,  opererebbe  quel  ribaltamento  di  priorita' tra
 interesse pubblico e privato sottolineato nelle citate sentenze della
 Corte.  Gli stessi lavori preparatori della  legge  testimonierebbero
 che  la norma e' nata in assenza di una ricognizione delle necessita'
 esistenti e della valutazione dei risultati conseguiti, nonche' prima
 del  completamento  della  ricognizione  del  personale  in  servizio
 avviata  dalla  Giunta regionale. La legge costituirebbe un tentativo
 di superare gli obblighi derivanti dall'applicazione della  normativa
 nazionale  in  materia  di razionalizzazione del pubblico impiego, in
 elusione della sentenza n. 59 del 1997,  con  conseguente  violazione
 dell'art. 136 della Costituzione.
   L'art.  3  della  legge,  a  detta  del Commissario, riprodurrebbe,
 sostanzialmente, l'art. 2  della  legge  regionale  approvata  il  29
 ottobre  1997  e impugnata con il ricorso di cui al r. ric. n. 69 del
 1997: tale art. 3,  nella  formulazione  utilizzata  per  superare  i
 rilievi  allora avanzati dal Commissario, risulterebbe manifestamente
 illogico, in quanto consentirebbe ex post l'utilizzo per fini diversi
 di contributi gia' rendicontati (e quindi gia' impiegati) in esercizi
 ormai remoti (1990 e 1991).  Con accorgimenti lessicali,  si  sarebbe
 anche  in  questo caso cercato di realizzare, in assenza di interessi
 pubblici legislativamente rilevanti, una sanatoria di  situazioni  di
 illegittimita'.
   2.2.  -  Nel  giudizio  si  e'  costituita  la  Regione  Siciliana,
 chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
   Quanto all'art. 1, la difesa della Regione sottolinea che esso  non
 e'  volto  a  soddisfare  esigenze  occupazionali  di una particolare
 categoria di lavoratori, ma allo svolgimento di un  compito  primario
 dell'amministrazione regionale, in un settore di grande rilievo quale
 quello  dei  beni  culturali.  Ricordato  che la Regione Siciliana e'
 titolare di competenza esclusiva in materia, la difesa della  regione
 rileva  che  il  termine  di  un triennio previsto dalla preesistente
 legislazione  regionale  per   lo   svolgimento   dell'attivita'   di
 catalogazione   si  e'  rivelato  insufficiente:  da  cio'  un  primo
 tentativo di trasformare il contratto triennale del personale addetto
 alla catalogazione in rapporto a tempo indeterminato,  tentativo  che
 ha  dato  luogo  alla  sentenza  n. 59 del 1997. Una riconsiderazione
 della materia e' stata compiuta con la legge regionale  approvata  il
 29 ottobre 1997, impugnata con il ricorso di cui al r. ric. n. 71 del
 1997:  tale  legge  prevedeva una procedura concorsuale per colmare i
 vuoti  in  organico  esistenti  nel  settore,  oltre  a  dettare  una
 normativa transitoria, di proroga dei contratti dei catalogatori oggi
 scaduti,  proroga  abrogata  dalla legge ora impugnata, che pone, per
 l'appunto, una nuova disciplina transitoria.
   Infondata sarebbe anche la censura rivolta avverso l'art.  3  della
 medesima  legge,  in quanto il legislatore regionale, laddove afferma
 di  voler  consentire  agli  enti  beneficiari  l'utilizzazione   dei
 contributi  erogati per le attivita' culturali svolte negli anni 1990
 e   1991,   gia'   rendicontati,   purche'   effettivamente    spesi,
 implicitamente  riconoscerebbe  che  e'  stato  raggiunto  il fine di
 pubblica rilevanza per il quale i contributi  erano  stati  concessi,
 consistente,  appunto,  nella promozione e realizzazione di attivita'
 culturali.
                         Considerato in diritto
   1.1. - Con ricorso notificato l'8 novembre 1997 (r. ric. n. 71  del
 1997), il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana investe la
 legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 29 ottobre 1997
 (Rideterminazione  delle  dotazioni  organiche  del ruolo tecnico dei
 beni  culturali  ed  ambientali  e   disposizioni   in   materia   di
 catalogazione  informatizzata  dei  beni  culturali).  Ad  avviso del
 ricorrente, la normativa contenuta nella  legge,  nel  suo  complesso
 (con  esclusione  del  solo  art.  5 concernente i limiti d'eta' alla
 partecipazione ai concorsi regionali), sarebbe lesiva degli artt.  3,
 51, 97 e 136 della Costituzione.
   Tale normativa realizzerebbe un tentativo di eludere gli imperativi
 costituzionali  di  buon  andamento  e  imparzialita'  della pubblica
 amministrazione,  in  quanto  le  sue  disposizioni  configurerebbero
 quell'inversione   di   priorita'  tra  esigenze  generali  obiettive
 dell'amministrazione    e    interessi   particolari   all'assunzione
 all'impiego pubblico, inversione che  questa  Corte,  in  riferimento
 anche  alla  normativa  statale  in  materia di razionalizzazione del
 pubblico impiego, ha numerose volte colpito con  la  declaratoria  di
 incostituzionalita'.   Il   legislatore   siciliano,  ad  avviso  del
 ricorrente,  solo  in  apparenza  sarebbe   mosso   dall'intento   di
 ridefinire  le linee organizzative di un settore dell'amministrazione
 dei beni culturali  e  ambientali.  Esso,  in  realta',  mirerebbe  a
 realizzare   una  via  d'accesso  all'impiego  regionale  speciale  e
 protetta a favore di una  categoria  di  lavoratori,  subordinando  a
 questo   intento   le   esigenze  dell'organizzazione  amministrativa
 regionale.
   La  denunciata   inversione   di   priorita'   risulterebbe   dalle
 disposizioni  che  -  in  violazione  degli  artt.  3,  51 e 97 della
 Costituzione - (a) rideterminano il ruolo organico  dei  tecnici  dei
 beni  culturali e ambientali e prevedono nuovi profili professionali;
 (b)  stabiliscono  riserve   di   posti   e   prevedono   valutazioni
 privilegiarie  dell'attivita'  precedentemente  svolta,  in favore di
 quanti gia' siano  stati  legati  all'amministrazione  regionale  con
 contratti  di  diritto  privato  per l'attivita' di catalogazione dei
 beni culturali e ambientali (contratti oggetto  di  proroga  con  una
 disposizione, peraltro, abrogata (art.  9) e sostituita dalla diversa
 proroga  contenuta  in  una successiva legge, anch'essa impugnata, di
 cui  si  dira'  piu'  avanti);  (c)  istituiscono  infine   modalita'
 concorsuali  anomale,  inidonee  a  garantire l'apertura, e quindi il
 carattere pubblico, della selezione tra tutti i possibili candidati.
   Inoltre, la normativa sottoposta a controllo  di  costituzionalita'
 costituirebbe un tentativo di eludere il dictum della sentenza n.  59
 del  1997 con la quale questa Corte ha censurato una precedente legge
 della Regione Siciliana mirante a trasformare i  rapporti  di  lavoro
 dei  suddetti  "catalogatori",  sorti  come  contratti  a  termine in
 relazione a obiettivi determinati e  temporalmente  circoscritti,  in
 contratti  a  tempo  indeterminato, senza che tale stabilizzazione si
 correlasse a funzioni amministrative durature nel tempo.
   1.2. - Il Commissario dello Stato, con  ricorso  notificato  il  31
 dicembre  1997  (r. ric. n. 5 del 1998), solleva inoltre questione di
 legittimita'   costituzionale    anche    sulla    legge    approvata
 dall'Assemblea  regionale  siciliana  il  23 dicembre 1997 (Ulteriori
 interventi per la catalogazione del patrimonio culturale siciliano  e
 disposizione per la rendicontazione di spese sostenute da enti aventi
 finalita'  culturali  ed  artistiche)  che,  all'art.  1, dispone una
 proroga di diciotto  mesi,  a  decorrere  dal  1  gennaio  1998,  dei
 contratti di diritto privato dei medesimi addetti alla catalogazione.
   Tale disposizione, ad avviso del ricorrente, configura anch'essa il
 tentativo  di  aggirare  gli stessi parametri costituzionali invocati
 nel  ricorso  indicato   al   numero   precedente,   attraverso   una
 stabilizzazione  de  facto  ottenuta  tramite ingiustificate ripetute
 proroghe di rapporti giuridici sorti come essenzialmente temporanei.
   1.3. - Infine, col ricorso in ultimo citato, si  solleva  questione
 di costituzionalita' dell'art. 3 della legge approvata il 23 dicembre
 1997,  avente  a oggetto l'autorizzazione degli enti aventi finalita'
 di carattere culturale e artistico all'utilizzazione  dei  contributi
 in  loro  favore  erogati  per  attivita'  culturali  negli  esercizi
 finanziari  1990  e  1991,  contributi  "gia'  rendicontati,  purche'
 effettivamente spesi per  l'attuazione  del  programma  di  attivita'
 presentato o comunque per i fini istituzionali degli enti medesimi".
   Con questa formula, ad avviso del Commissario singolarmente oscura,
 si  ripropone,  con  qualche modifica di formulazione, l'art. 2 della
 legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 29 ottobre 1997
 (Interventi in favore dell'editoria libraria siciliana. Modifiche  ed
 integrazioni   alla  legge  regionale  15  settembre  1997,  n.  35),
 sottoposto anch'esso al giudizio di questa Corte ma  lasciato  cadere
 con  la  promulgazione  parziale  della legge di cui faceva parte (v.
 sentenza n. 139 del 1999).
   La   disposizione   impugnata,   consentendo   ex    post    factum
 l'utilizzazione  a fini diversi da quelli originariamente previsti di
 contributi a suo tempo erogati e gia' rendicontati -  e  quindi  gia'
 impiegati  in esercizi finanziari precedenti - violerebbe gli artt. 3
 e  97  della  Costituzione,  in  quanto  manifestamente  illogica  e,
 comunque,  volta a sanare situazioni di illegittimita', in assenza di
 qualsiasi interesse pubblico giustificativo.
   2. - I giudizi promossi con i ricorsi anzidetti, vertendo su  leggi
 che   disciplinano   una  medesima  materia  o  concernendo  comunque
 disposizioni in esse contenute, possono  essere  riuniti  per  essere
 decisi con un'unica sentenza.
   3.  -  Le  questioni  sollevate nei confronti della legge approvata
 dall'Assemblea   regionale   siciliana    il    29    ottobre    1997
 (Rideterminazione  delle  dotazioni  organiche  del ruolo tecnico dei
 beni  culturali  ed  ambientali  e   disposizioni   in   materia   di
 catalogazione informatizzata dei beni culturali) non sono fondate, se
 non limitatamente a parti dell'art. 4, che disciplina il procedimento
 di  concorso per l'assunzione nel ruolo organico dei tecnici dei beni
 culturali e ambientali.
   3.1. - L'esame delle censure formulate nei  confronti  della  legge
 sottoposta  a  controllo  di  costituzionalita'  deve tener conto del
 vasto ambito di  discrezionalita'  che  spetta  al  legislatore,  sia
 statale  che  regionale,  nelle  scelte  relative  alla  creazione  e
 all'organizzazione dei pubblici uffici. Tali scelte - come  e'  stato
 precisato  in  numerose circostanze - non si sottraggono al sindacato
 sotto il profilo del buon andamento e  dell'imparzialita'  proclamati
 dall'art.   97,  primo  comma,  della  Costituzione.  Le  valutazioni
 consentite alla Corte costituzionale, tuttavia,  per  non  esorbitare
 dagli  apprezzamenti  propri del controllo di costituzionalita' sulle
 leggi e non travalicare in quelli riservati agli organi  legislativi,
 non possono eccedere i limiti del controllo di irragionevolezza.
   L'applicazione  dell'anzidetto criterio di giudizio non permette di
 condividere  il  rilievo  generale  da  cui  espressamente  muove  il
 ricorrente:  che  la  legge  denunciata, non costituendo altro che un
 mero  provvedimento  di  favore  nei  confronti  di  una  determinata
 categoria  di  lavoratori,  al  fine  del  loro inserimento nei ruoli
 regionali in condizioni di privilegio, sarebbe  una  sorta  di  legge
 personale,   appena   dissimulata  sotto  l'apparenza  di  disciplina
 dell'attivita'    e     dell'organizzazione     di     un     settore
 dell'amministrazione dei beni culturali e ambientali.
   Il  legislatore  siciliano,  infatti,  nella sua discrezionalita' e
 responsabilita' politiche, ha provveduto a ridefinire un'attivita'  e
 un'organizzazione,  caratterizzandole in maniera diversa e piu' ampia
 che nel passato, tanto in riferimento ai beni oggetto  dell'attivita'
 amministrativa,  quanto  alle  finalita'  di quest'ultima (art. 5 del
 d.P.R. 1 dicembre 1961, n. 1825 e legge regionale 1 agosto  1977,  n.
 80).   In  particolare,  secondo  l'art.  2  della  legge  censurata,
 l'attivita' di  catalogazione  viene  assunta  come  compito  stabile
 dell'amministrazione  regionale, al fine di valorizzare il patrimonio
 storico-culturale dell'Isola, di incrementare il  suo  godimento,  di
 aggiornare  e  gestire  i  dati  raccolti  e  di  diffondere  la loro
 conoscenza.
   Sulla  base  dell'anzidetta  definizione,  l'art.  1  della   legge
 impugnata,  che  ridetermina le dotazioni organiche del ruolo tecnico
 dei beni culturali e ambientali, trova una giustificazione di  natura
 obiettiva,  alla  luce delle funzioni assegnate all'amministrazione e
 delle conseguenti necessita' organizzative, a seguito  di  scelte  il
 merito  delle  quali  sta  fuori  del  perimetro  degli apprezzamenti
 consentiti nel giudizio di costituzionalita' delle leggi.
   Questa disciplina si differenzia dunque  da  quella  oggetto  della
 dichiarazione d'incostituzionalita' da parte della sentenza n. 59 del
 1997,  relativa  a  una  legge anch'essa in materia di catalogatori e
 catalogazione   dei   beni   culturali,   ma   caratterizzata   dalla
 contraddizione  tra trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti
 di lavoro e attivita' temporalmente circoscritta;  questa  differenza
 e'  tale  da  escludere  di per se' la violazione dell'art. 136 della
 Costituzione, dedotta in relazione al dictum contenuto nella sentenza
 di questa Corte, sopra citata. La legge oggetto dell'attuale giudizio
 si presenta invece come una ridefinizione e un potenziamento  di  una
 funzione  amministrativa,  cui  consegue e strumentalmente accede una
 revisione dell'assetto organizzativo.
   Viene cosi' meno la possibilita' di seguire il ricorrente lungo  la
 prospettiva  generale  nella  quale  egli  dichiaratamente colloca le
 censure mosse contro la legge: la prospettiva, vietata dall'art.   97
 della  Costituzione, della subordinazione delle esigenze funzionali e
 organizzative  della  pubblica  amministrazione   all'interesse   del
 personale a un posto di lavoro.
   Non esiste alcun dubbio che la legge in esame sia stata occasionata
 da  un "problema occupazionale" che il legislatore regionale da tempi
 risalenti ha operato per risolvere, con misure  che,  peraltro,  sono
 incappate nella dichiarazione d'incostituzionalita'. Ma, a differenza
 di   allora,  il  "problema  occupazionale"  ha,  ora,  rappresentato
 un'occasione o, se si vuole, una ragione  per  l'approvazione  di  un
 provvedimento  legislativo  che  tuttavia,  come  si e' appena detto,
 presenta un contenuto che trascende e l'una  e  l'altra.  Rispetto  a
 cio', dal punto di vista dell'apprezzamento della legge in termini di
 legittimita'  costituzionale, le norme sul personale rappresentano un
 aspetto conseguente e non censurabile, in quanto  nulla  impedisce  -
 come  questa  Corte  ha  avuto modo di precisare (sentenze nn. 59 del
 1997 e 63 del 1995) - che l'interesse  al  sostegno  dell'occupazione
 possa  aggiungersi, nelle valutazioni del legislatore, agli interessi
 della pubblica amministrazione, sempre che,  nella  legge,  il  posto
 assegnato a questi ultimi sia prioritario.
   Percio',  stando ai dati legislativi sopra esposti, e' da escludere
 quell'inversione di priorita'  tra  esigenze  pubbliche  e  interessi
 privati  che,  di  per  se'  sola, sarebbe sufficiente a inficiare la
 legge nel suo complesso.
   3.2.  -  Superato l'esame di costituzionalita' nei termini generali
 che si sono detti, la legge impugnata deve ora sottoporsi al giudizio
 nelle sue singole parti, alla stregua delle  specifiche  censure  che
 sono  loro mosse: censure che la Corte e' chiamata a esaminare in se'
 e per se', in un quadro non pregiudicato dall'idea che, per un verso,
 i vizi  denunciati  costituiscano  sintomi  di  uno  sviamento  della
 funzione  legislativa  e,  per  l'altro,  che di quest'ultimo i primi
 siano le conseguenze.
   3.3. - Viene anzitutto in considerazione la pretesa violazione  del
 principio   costituzionale   del   "buon  andamento"  della  pubblica
 amministrazione  stabilito   dall'art.   97,   primo   comma,   della
 Costituzione,  nonche'  del  principio  della  legislazione  statale,
 desunto dall'art.  2, comma 1, lettera r),  della  legge  23  ottobre
 1992,  n.  421,  secondo  il  quale  le nuove assunzioni nel pubblico
 impiego debbono seguire alla rideterminazione delle piante  organiche
 e  alla  valutazione delle possibilita' offerte dal migliore utilizzo
 del personale gia' impiegato.  Con l'art. 1 della legge  impugnata  -
 nel  quale, con rinvio alla tabella a essa allegata, si ridefiniscono
 le dotazioni organiche di ciascuna delle qualifiche del ruolo tecnico
 dei beni culturali e ambientali -, il legislatore  regionale  avrebbe
 invece  operato  "apoditticamente",  cioe'  indipendentemente da tali
 previ adempimenti e contro le esigenze dell'amministrazione.
   In effetti, con la deliberazione n.  332  del  7  agosto  1997,  la
 Giunta    regionale   ha   avviato   procedure   amministrative   per
 l'accertamento dei carichi di lavoro, ai fini  di  "una  ripartizione
 organica  del  personale"  e  di  un  "riequilibrio  razionale  degli
 operatori nel territorio" tramite "una rilevazione, sulla base  delle
 competenze  complessive  attribuite  a  ciascuna amministrazione, dei
 carichi funzionali di lavoro in relazione alle competenze stesse". E,
 come risulta dalla comunicazione del 14 gennaio 1999 della Presidenza
 della  Regione  al  Commissario  dello  Stato,  a  quella  data  tali
 procedure erano ancora in corso. Cosicche' l'approvazione della legge
 oggetto  del  presente  giudizio,  avvenuta  il  29  ottobre 1997, ha
 prescisso, ne' avrebbe potuto non prescindere,  dalla  considerazione
 delle risultanze di tale indagine, all'epoca non ancora conclusa.
   Senonche',  da  questa  constatazione non discende come conseguenza
 l'incostituzionalita' della  norma  legislativa  impugnata,  adottata
 nell'esercizio della competenza legislativa regionale esclusiva nella
 materia  indicata dall'art. 14, lettera p), dello statuto speciale di
 autonomia.
   Tale competenza, per  quanto  "esclusiva",  incontra  bensi',  come
 limiti,  tra  gli  altri,  la Costituzione e le norme fondamentali di
 riforma  economico-sociale  della  Repubblica.  Dall'art.  97   della
 Costituzione,  secondo  quanto  gia'  affermato  in diverse occasioni
 (sentenze nn.  153 e 59 del 1997; 205 del 1996), deriva il  principio
 di  "non-inversione"  tra  interesse dell'amministrazione e interesse
 all'impiego pubblico e di tale principio e' specificazione l'art.  2,
 comma  1,  lettera  r), della legge n. 421 del 1992, contenente - per
 espressa dichiarazione dell'art. 2,  comma  2,  della  stessa  legge,
 sanzionata  anche  dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn.
 444 del 1997; 352  e  205  del  1996;  383  del  1994)  -  una  norma
 fondamentale  di  riforma  economico-sociale che, per assicurare tale
 "non-inversione", richiede che le nuove  assunzioni  siano  precedute
 dalla    rideterminazione   delle   dotazioni   organiche   e   dalla
 considerazione della nuova e piu' funzionale utilizzazione  possibile
 del personale esistente.
   Questo  e'  quanto  puo' invocarsi, nella specie, come limite della
 competenza regionale siciliana. L'ulteriore legislazione, a  iniziare
 dall'art.  6 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (adottato
 in virtu' della delega concessa  con  la  legge  n.  421  del  1992),
 passando   per   l'abbondante   e   sovente   occasionale  normazione
 successiva,  in  tema,  particolarmente,  di  rideterminazione  delle
 piante organiche e di verifica dei "carichi di lavoro", per approdare
 alla riformulazione dell'art. 6 del decreto legislativo n. 29 citato,
 contenuta  nell'art.  5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80,
 non vale, in linea di massima, a incidere sulla potesta'  legislativa
 esclusiva  esercitata,  in questo caso, dalla Regione (v. sentenza n.
 383 del 1994).
   Cosi' ricostruiti i limiti, attinenti al presente  giudizio,  della
 legislazione   siciliana   nella   materia  dell'accesso  all'impiego
 regionale, la legge di cui e'  fatta  questione  esce,  sotto  questo
 aspetto, indenne dal controllo di costituzionalita'.
   L'art.   2   della  legge  ridefinisce  la  portata  dell'attivita'
 regionale di catalogazione e l'art. 1 predispone una nuova  dotazione
 organica   in  relazione  a  tale  ridefinizione.  Questa  dotazione,
 rispetto a quella anteriore, risulta  ridotta  quanto  al  numero  di
 addetti  e  rinnovata  quanto  alle  figure  professionali.  A questo
 risultato si e' giunti - come mostrano  i  lavori  preparatori  della
 legge in esame, presso la V Commissione consiliare e nella seduta del
 29   ottobre  del  1997  dell'Assemblea  regionale  -  in  base  alla
 considerazione    delle     attuali     e     potenziali     esigenze
 dell'amministrazione,  cioe'  del  rapporto tra funzioni e personale,
 anche a seguito delle numerose indicazioni provenienti  dagli  uffici
 regionali operanti nel settore dei beni culturali e ambientali.
   Non e' questa la sede per apprezzare il grado di approfondimento di
 tali  valutazioni  del  legislatore, una volta che queste siano state
 operate in un modo che appare non irragionevole, specie alla  stregua
 delle  novita'  che  si  prospettano, in base all'art. 2 della legge,
 nell'azione regionale, conformemente, del resto, alle tendenze  della
 politica  pubblica  nazionale  nel  settore.  Novita'  quantitative e
 soprattutto qualitative - occorre  aggiungere  -  che  obiettivamente
 collocano   la   legge   in   esame   su   un   piano  diverso  dalla
 razionalizzazione dell'amministrazione in atto, alla  quale  mira  la
 procedura gia' ricordata, promossa dalla delibera n. 332 del 7 agosto
 1997 della Giunta regionale.
   La  previsione  legislativa  poi  di  figure  professionali  nuove,
 corrispondenti alle caratteristiche di addetti alla catalogazione  in
 passato  legati all'amministrazione da contratti di diritto privato -
 cio' su cui fa leva il ricorrente - e' un elemento  di  giudizio  che
 potrebbe  assumere  rilievo,  ai fini del rispetto del criterio della
 "non-inversione", solo se si dimostrasse che esse  non  hanno  a  che
 vedere  con  l'interesse  pubblico  e  che  tale previsione e' quindi
 inutile  ai  fini  dell'amministrazione.    Ma  cio'  non  e'   stato
 dimostrato,  ed  anzi  l'individuazione di profili professionali gia'
 sperimentati, sia pure sotto altra veste giuridica, e la  prospettiva
 del  loro stabile inserimento organico nell'amministrazione regionale
 appaiono, di per se', tutt'altro che privi di  ragionevolezza,  sotto
 il profilo dell'art. 97 della Costituzione.
   3.4.  -  Infondata  e'  anche la censura mossa agli artt. 6, 7 e 8,
 che, per la prima applicazione della legge, prevedono una riserva  di
 posti  per  il  personale  gia'  impiegato,  con contratti di diritto
 privato, in attivita' di catalogazione a favore  dell'amministrazione
 regionale  e  attribuiscono rilevanza a tale attivita', ai fini della
 valutazione concorsuale dei titoli.
   La  legge,  nell'ambito  della  riconsiderazione   della   funzione
 amministrativa  in  materia  di  catalogazione  dei  beni culturali e
 ambientali  e  della  relativa  rideterminazione  dell'organico   del
 personale, mira indiscutibilmente ad agevolare l'assorbimento di tali
 lavoratori tra il personale di ruolo regionale.
   Ma non costituisce motivo di ingiustificata preferenza la rilevanza
 data,  ai  fini  dell'assunzione, alla pregressa attivita' svolta nel
 settore dell'amministrazione cui  si  riferiscono  i  posti  messi  a
 concorso  e  cio'  indipendentemente  dalla  natura  del  rapporto di
 lavoro, pubblicistico o privatistico, che abbia in passato  legato  i
 lavoratori  all'amministrazione  stessa.  Puo'  ritenersi  senz'altro
 conforme all'interesse pubblico che precedenti esperienze non  vadano
 perdute  e  anzi  che  la  legge,  come assai frequentemente avviene,
 preveda per esse  una  particolare  considerazione.  Cio'  che  vale,
 naturalmente,   fino  al  limite  oltre  il  quale  possa  dirsi  che
 l'assunzione nella  amministrazione  pubblica,  attraverso  norme  di
 privilegio,  escluda  o  irragionevolmente  riduca le possibilita' di
 accesso, per tutti gli altri aspiranti, con violazione del  carattere
 "pubblico"  del concorso, secondo quanto prescritto in via normale, a
 tutela anche dell'interesse pubblico, dall'art.    97,  terzo  comma,
 della Costituzione.
   Ma cio' non accade nella specie. La riserva e' fissata nella misura
 del  cinquanta  per cento dei posti disponibili (artt. 6 e 8), con la
 riduzione, nella prima applicazione  della  legge,  dal  quindici  al
 cinque  per  cento  della  ordinaria  riserva  di  posti a favore del
 personale interno (art. 7, comma 2), cio' che non pare ingiustificato
 alla stregua della peculiarita' delle figure  professionali  previste
 dalla  nuova dotazione organica. Il servizio precedentemente prestato
 nell'ambito di rapporti di lavoro di  diritto  privato,  inoltre,  e'
 equiparato,  ai  fini  della valutazione dei titoli di anzianita', ai
 servizi comunque prestati presso pubbliche amministrazioni.  E  cio',
 data  l'omogeneita'  dell'attivita'  esercitata, non puo' negarsi che
 non contraddica la natura delle cose.
   3.5. - Quanto alla censura  relativa  all'art.  9  della  legge  in
 esame,  che  conteneva una proroga dei contratti di lavoro di diritto
 privato del personale operante nel settore  della  catalogazione,  va
 dichiarata  la cessazione della materia del contendere, essendo stata
 tale  disposizione  abrogata  dall'art.  2  della   legge   approvata
 dall'Assemblea  regionale siciliana il 23 dicembre 1997, che contiene
 una  nuova  disciplina  della  proroga  medesima:  articolo  peraltro
 oggetto  anch'esso  di  impugnativa  da  parte  del Commissario dello
 Stato, con il ricorso di cui al r.  ric. n. 5 del 1998.
   3.6. - Fondata e' invece la censura mossa all'art.  4  della  legge
 che,  con  norme  singolari in vista della celerita' del procedimento
 concorsuale (la conclusione, secondo il comma  1,  e'  fissata  entro
 dodici  mesi),  prevede:  a) l'affidamento a trattativa privata a una
 "societa' di servizi di ogni  adempimento  relativo  all'espletamento
 dei  concorsi" nel caso in cui le domande siano piu' di 20.000 (comma
 2); b) la predisposizione da  parte  dell'assessorato  regionale  dei
 beni  culturali  ed  ambientali  di  uno schema di autocertificazione
 sulla cui  base  i  candidati  procedono  alla  autoattribuzione  dei
 punteggi  relativi  al  possesso dei titoli previsti dalla disciplina
 vigente in materia (comma 3); c) il controllo da parte  del  medesimo
 assessorato  delle  graduatorie fornite dalla societa' di servizi per
 un numero di candidati pari al doppio dei posti messi a  concorso,  e
 la  successiva  richiesta  dei titoli medesimi ai candidati collocati
 utilmente in graduatoria (comma 4).
   Questa disciplina - derogatoria rispetto alla legislazione  vigente
 nella  Regione  Siciliana  in  materia di pubblici concorsi - solleva
 problemi,  rilevanti  anche  nella  prospettiva  della  sua  ordinata
 applicazione, che inducono a considerarla non conforme ai principi di
 imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione.
   La  formula che affida alla "societa' di servizi" "ogni adempimento
 relativo all'espletamento dei concorsi" e'  talmente  comprensiva  da
 poter  mortificare,  in  generale,  la  necessaria presenza dell'ente
 pubblico,  nella  cui  responsabilita'  deve  ricadere  comunque   la
 regolare conduzione, secondo legge, delle procedure concorsuali.
   Innanzitutto,  non  e'  stabilito, ne' si prevede come debba essere
 stabilito, se i concorsi in questione siano solo per titoli  o  anche
 per  esami, cio' che dovrebbe risultare non essendo piu' in vigore la
 proroga al 31  dicembre  1998  (disposta  dall'art.  14  della  legge
 regionale 21 dicembre 1995, n. 85) della regola dei concorsi per soli
 titoli,  stabilita  in  via  transitoria dall'art. 19, comma 4, della
 legge regionale 1 settembre 1993, n. 25.
   Inoltre, l'autovalutazione dei titoli da  parte  dei  candidati  e,
 sembra,  la  valutazione di essi da parte della "societa' di servizi"
 ai  fini  delle  graduatorie,   trascura   l'esistenza   di   margini
 necessariamente   e   ineliminabilmente   valutativi,  anche  ove  si
 trattasse di concorsi per  soli  titoli  (si  veda,  ad  esempio,  il
 decreto  assessorile  3  febbraio  1992,  emanato in attuazione della
 legge regionale 30 aprile 1991, n. 12). Tali  valutazioni,  come  non
 possono  essere  lasciate esclusivamente all'interessato, non possono
 nemmeno essere  sottratte  alle  garanzie  di  imparzialita'  che  le
 procedure presso soggetti pubblici possono assicurare.
   Infine,  il  controllo  ex  post  factum dell'amministrazione sulle
 graduatorie predisposte dalla "societa' di servizi",  limitato  a  un
 numero  di  candidati  doppio  rispetto  a  quello  dei posti messi a
 concorso, per di piu' in relazione a  titoli  la  cui  disponibilita'
 l'amministrazione puo' acquisire solo successivamente e relativamente
 ai  soli  soggetti  inclusi nella graduatoria medesima, conferisce al
 soggetto privato  un  potere  sostanziale  di  condizionamento  della
 pubblica  amministrazione,  un  potere  che  non  puo'  giustificarsi
 nell'ambito di concorsi che devono essere  "pubblici"  anche  per  le
 forme di svolgimento.
   Pertanto,   la   questione   di   costituzionalita'   dell'art.  4,
 limitatamente ai commi 2, 3 e 4, sollevata in relazione agli artt. 3,
 51 e 97 della Costituzione, deve essere accolta.
   4.1. - La questione  di  costituzionalita'  sollevata  sull'art.  1
 della legge regionale siciliana approvata nella seduta dell'Assemblea
 del  23  dicembre 1997 (Ulteriori interventi per la catalogazione del
 patrimonio culturale siciliano e disposizione per la  rendicontazione
 di  spese sostenute da enti aventi finalita' culturali ed artistiche)
 che dispone una proroga di diciotto mesi, a decorrere dal  1  gennaio
 1998,  dei  contratti  di  diritto  privato dei medesimi addetti alla
 catalogazione, e' invece infondata.
   Tale disposizione si accompagna all'abrogazione, disposta  all'art.
 2,   dell'art.  9  della  legge  approvata  dall'Assemblea  regionale
 siciliana il 29 ottobre 1997,  norma  sopra  esaminata  (punto  3.5).
 Quest'ultima  norma,  "in  funzione  delle  esigenze improrogabili di
 salvaguardia e tutela del patrimonio culturale siciliano"  e  "attesa
 la  necessita'  di  non interrompere la campagna di catalogazione dei
 beni culturali attualmente in corso", prorogava non oltre  la  durata
 necessaria  alla  conclusione  delle procedure concorsuali e comunque
 non oltre il 31 dicembre  1998  i  contratti  di  lavoro  di  diritto
 privato   del   personale  operante  in  tale  settore.  La  presente
 disposizione contiene invece una proroga a data fissa,  successiva  a
 quella   prevista   dalla   disposizione  abrogata  ma  evidentemente
 connessa,  com'era  quest'ultima,  all'esigenza   di   garantire   la
 continuita'   dell'esercizio   delle  funzioni  regionali  e  la  non
 dispersione delle capacita' professionali, in vista dell'applicazione
 della  nuova  disciplina  di  ordinamento  risultante   dalla   legge
 approvata dall'Assemblea regionale il 29 ottobre 1997.
   Questa Corte, in altre circostanze e in riferimento alla necessaria
 congruenza tra le forme d'impiego presso le pubbliche amministrazioni
 e  i  caratteri  dello  strumento  giuridico utilizzato, ha censurato
 proroghe immotivate -  cioe'  non  legate  alla  natura  dei  compiti
 previsti  -  della  durata  di  contratti  di  diritto privato (v. in
 proposito la sentenza n. 153 del 1997), ritenendole essere  tentativi
 surrettizi  di  stabilizzare  rapporti  al di fuori della via maestra
 dell'assunzione in ruolo.
   Il  Commissario  dello  Stato  ritiene  che  questo  sia  il  caso.
 Tuttavia,   l'evidente   collegamento   tra  la  norma  denunciata  e
 l'operazione intrapresa dal legislatore  regionale  di  ridefinizione
 dei  compiti  e della posizione giuridica dei catalogatori colloca la
 presente fattispecie - salva ovviamente una diversa valutazione,  ove
 tale  collegamento,  in  relazione  a  ulteriori  proroghe, venisse a
 mancare - fuori della portata della censura proposta.
   4.2. - Fondata e', infine, la censura mossa all'art. 3 della stessa
 legge approvata il 23 dicembre 1997.
   Esso, prevedendo l'autorizzazione degli enti  aventi  finalita'  di
 carattere  culturale  e artistico all'utilizzazione dei contributi in
 loro favore erogati per attivita' culturali negli esercizi finanziari
 1990 e 1991, contributi "gia'  rendicontati,  purche'  effettivamente
 spesi  per  l'attuazione  del  programma  di  attivita'  presentato o
 comunque per i fini istituzionali degli enti medesimi", dispone nella
 sostanza, con una formula contorta, gia' di  per  se'  sospetta,  una
 sanatoria  per  l'illegittima  utilizzazione  di  fondi  a  fini  non
 rientranti tra quelli individuati dalla legge  (art.  1  della  legge
 regionale 16 agosto 1975, n. 66).
   Anche  a  non  voler considerare il dubbio avanzato dal Commissario
 dello Stato rispetto alla corrispondente norma contenuta nell'art.  2
 della  legge  deliberata  il  29  ottobre  1997   (non   oggetto   di
 promulgazione:   v. sentenza n. 139 del 1999) che qui si sia trattato
 del tentativo di  fornire  una  copertura  legale  ad  atti  illeciti
 rilevanti  perfino  agli  effetti  penali, ai fini della declaratoria
 dell'illegittimita' costituzionale basta notare l'assenza di pubblici
 interessi che,  soli,  possono  giustificare  sanatorie  di  atti  ab
 origine  illegittimi (sentenze nn. 94 del 1995; 402 del 1993; 100 del
 1987).
   La volonta' di sanatoria, per poter legittimamente superare -  alla
 stregua  dell'art.  3 in riferimento, nella specie, all'art. 97 della
 Costituzione - una  precedente  valutazione  dell'interesse  pubblico
 gia'  operata  dalla  legge, deve essere sostenuta dall'assunzione di
 altro interesse pubblico, non irragionevolmente idoneo a giustificare
 il contrasto che viene a crearsi tra due  diverse  manifestazioni  di
 volonta' legislativa concorrenti sulla medesima fattispecie. Ma nulla
 invece  risulta  ne'  dal  testo  oscuro  della  legge ne' dai lavori
 preparatori.  Questi ultimi testimoniano anzi che l'articolo in esame
 e' stato approvato senza  contrasto  alcuno,  senza  illustrazione  o
 qualsivoglia  discussione  (anzi:  senza  nemmeno  che se ne sia data
 pubblica lettura in Assemblea) come emendamento  a  un  articolo  del
 disegno   di  legge  (art.  3)  riguardante  tutt'altra  materia  (la
 copertura finanziaria della proroga dei contratti dei catalogatori).
   La questione risulta pertanto palesemente fondata.