LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza;
    La  Corte, premesso che e' in corso presso la II sezione di Corte
  di  Assise  di  S.  Maria  Capua Vetere, composta dal dott. Alberto
  Pacelli  quale  presidente  e  dalla  dott.ssa Elena Giordano quale
  giudice a latere, un procedimento penale contro Abbate Antonio piu'
  130, imputati, oltre che di numerosi reati fine, anche "del delitto
  p.  e  p.  dall'art. 416-bis,  commi  1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 c.p. per
  avere  partecipato,  ciascuno  nella consapevolezza della rilevanza
  causale  del  proprio  apporto, ad una associazione di tipo mafioso
  denominata "clan dei casalesi , promossa, diretta ed organizzata da
  Francesco  Schiavone  "di  Nicola  "piu' altri .... In provincia di
  Caserta  ed  altre  parti del territorio nazionale, reato accertato
  fino a tutto il 1996";
    Rilevato  che sono state presentate dichiarazioni di ricusazione,
  a   causa   di  ritenuta  incompatibilita'  dei  giudici  ai  sensi
  dell'art. 34 c.p.p., da:

        1) Zagaria  Vincenzo  e  Zara Alfredo nei confronti del dott.
  Pacelli,  fondate  sulla  sua  partecipazione, quale presidente, ai
  collegi   del  tribunale  di  S.  Maria  Capua  Vetere  che,  nelle
  rispettive  date  del 28 novembre 1996, del 14 luglio 1997 e del 25
  luglio  1997,  avevano  applicato  allo  stesso  Zara ed a Biondino
  Francesco  e  Diana Giuseppe, coimputati nel procedimento in corso,
  misure     di     prevenzione,    avendoli    ritenuti    partecipi
  dell'associazione  per delinquere di stampo camorristico denominata
  "clan  dei  casalesi"; nonche' dal solo Zagaria nei confronti della
  dott.ssa  Giordano  per  "incompatibilita'  costituite  da  giudizi
  espressi  sullo stesso argomento", ma non meglio specificate, e per
  la  sua  partecipazione,  quale  giudice  a latere, al collegio del
  tribunale di S. Maria Capua Vetere che emise la sentenza in data 29
  aprile 1986 a carico di Alessandro Aldo piu' 200;
        2) Caterino  Mario  nei  confronti  del  dott.  Pacelli,  con
  riferimento alla sua partecipazione, quale presidente, al tribunale
  di  S.  Maria  Capua  Vetere  che  in  data  19 novembre 1996 aveva
  disposto  misure  di  prevenzione  a  carico dello stesso Caterino,
  avendolo ritenuto partecipe dell'associazione sopra indicata;
        3) Coppola  Antonio  nei confronti del dott. Pacelli, fondata
  sulla  sua  partecipazione,  quale  presidente,  al tribunale di S.
  Maria  Capua  Vetere  che  in  data 1o ottobre 1996 aveva applicato
  misure  di  prevenzione  allo  stesso  Coppola,  ritenuto partecipe
  dell'associazione suddetta;
        4) Iovine  Mario  nei  confronti  del dott. Pacelli per avere
  partecipato,  quale  presidente  del  collegio  del tribunale di S.
  Maria  Capua  Vetere, all'emissione di numerosi decreti applicativi
  di  misure  di prevenzione ad imputati in questo stesso processo in
  corso,  previa  ritenuta  partecipazione  degli stessi al "clan dei
  casalesi";
        5) Carannante Francesco nei confronti della dott.ssa Giordano
  per  la  sua  partecipazione,  quale  presidente,  al  collegio del
  tribunale  di  S.  Maria  Capua Vetere che in data 11 novembre 1997
  aveva  applicato  misure  di  prevenzione  allo  stesso Carannante,
  anch'egli ritenuto inserito nell'associazione camorristica de quo;
        6) Caterino  Giuseppe  nei  confronti  del  dott. Pacelli per
  avere fatto parte, quale presidente del tribunale di S. Maria Capua
  Vetere che in data 5 novembre 1996 aveva applicato nei confronti di
  Basco  Antonio,  coimputato  nel  procedimento  in corso, misure di
  prevenzione  ritenendolo  associato  al  "clan dei casalesi"; e nei
  confronti  della  dott.ssa  Giordano,  senza alcuna indicazione dei
  motivi;
        7) D'Alessandro   Cipriano,   Reccia   Stefano   e  Mauriello
  Francesco  nei  confronti del dott. Pacelli, per avere fatto parte:
  A)   quale  presidente,  del tribunale di S. Maria Capua Vetere che
  aveva  applicato  misure di prevenzione a carico del Reccia, previa
  affermazione  della  sua appartenenza all'associazione camorristica
  in oggetto; B) quale giudice estensore, dello stesso tribunale, che
  aveva  pronunziato  la  sentenza in data 23 aprile 1996, con cui il
  Mauriello era stato condannato ed il D'Alessandro assolto dal reato
  di  tentato  omicidio;  nonche'  dal  solo  D'Alessandro  anche nei
  confronti  della  dott.ssa  Giordano,  senza alcuna indicazione dei
  motivi posti a base della ricusazione;
        8) D'Alessandro  Cipriano, Diana Raffaele, Martinelli Enrico,
  Panaro  Sebastiano,  Schiavone  Francesco di Nicola nato a Casal di
  Principe  il  3  marzo  1954,  Schiavone  Mario  e Zara Alfredo nei
  confronti  del  dott.  Pacelli  per la sua partecipazione: A) quale
  estensore, alla sentenza del tribunale di S. Maria Capua Vetere del
  23  aprile  1996  a  carico di Mauriello Francesco piu' 3; B) quale
  presidente,  ai collegi del tribunale di S. Maria Capua Vetere che,
  nelle  rispettive  date  del 1o aprile 1996 e del 28 novembre 1996,
  avevano applicato misure di sicurezza agli stessi Schiavone e Zara,
  avendoli  ritenuti  partecipi  dell'associazione camorristica "clan
  del  casalesi";  nonche' nei confronti della dott.ssa Giordano, sia
  per  la  sua  partecipazione,  quale presidente, al tribunale di S.
  Maria  Capua  Vetere  che  in data 20 febbraio 1998 aveva applicato
  misure   di  prevenzione  nei  confronti  del  suddetto  Schiavone,
  anch'egli  ritenuto  appartenente alla stessa associazione, sia per
  la  sua  partecipazione  al  collegio  che pronunzio' la piu' volte
  citata sentenza del 29 aprile 1986;
        9) Alfiero  Nicola,  Alfiero  Vincenzo,  Ferraro  Sebastiano,
  Cacciapuoti   Alfonso,   Venosa  Salvatore  e  Venosa  Umberto  nei
  confronti   del   dott.   Alberto   Pacelli,   fondate   sulla  sua
  partecipazione  ad  un precedente procedimento a carico di Caterino
  Sebastiano  piu'  altri,  al  gia'  citato procedimento a carico di
  Mauriello Francesco piu' 3 e a non meglio identificati procedimenti
  per  l'applicazione  di  misure di prevenzione a carico di soggetti
  imputati nel procedimento in corso;

    Constatato  che  in  tutte  le  dichiarazioni  di ricusazione, in
  alcuni  casi  in modo esplicito ed in altri solo implicitamente, si
  fa  riferimento all'esigenza degli imputati di vedere salvaguardata
  la  terzieta'  del  giudice e, quindi, il giusto processo, esigenza
  che   nel   caso   concreto  sarebbe  compromessa  dalla  pregressa
  partecipazione dei dottori Pacelli e Giordano a procedimenti penali
  (ordinari o per l'applicazione di misure di prevenzione) differenti
  da  quello  in  corso,  ma  implicanti  comunque  da  parte loro un
  giudizio   o   una  valutazione,  sia  pure  in  alcuni  casi  solo
  incidentale,  su  fatti oggetto del processo in cui e' formulata la
  dichiarazione di ricusazione;
                               Osserva
    Con  le  recenti  sentenze in materia di incompatibilita' (quelle
  nn.  306/1997,  307/1997,  308/1997, 331/1997 e 351/1997), la Corte
  costituzionale,  pur  ritenendo  che gli istituti di cui agli artt.
  34,  36  e  37  c.p.p. siano rivolti all'identica tutela del giusto
  processo  (ottenibile  attraverso  la  garanzia  di  terzieta'  del
  giudice,  intesa  come  assenza  di prevenzione e di anticipazione,
  sotto  varie  forme,  del giudizio che e' chiamato ad emettere), ha
  specificato  che  mentre  la  incompatibilita'  mira  a  prevenire,
  elencandole   in   ipotesi   astratte  e  tassative,  le  eventuali
  situazioni   che  incidano  sull'imparzialita'  e  obiettivita'  di
  giudizio,    mantenendosi   pero'   nell'ambito   della   patologia
  endoprocessuale,  gli  altri  due istituti (dell'astensione e della
  ricusazione)  sono  rivolti invece a garantire non solo il concreto
  rispetto  di  quanto  disposto dall'art. 34 c.p.p. (nel caso in cui
  non  vi  sia  stata idonea prevenzione, tramite le opportune misure
  organizzative),  ma anche il generale principio del giusto processo
  nelle  ipotesi  in  cui  possa  prospettarsi una sua violazione non
  nell'ambito  dello  stesso  giudizio  (da  individuarsi nei termini
  delineati dall'art. 34 e dai successivi interventi della Corte), ma
  di processi diversi;
    Ritiene  conseguentemente  che  quando,  come  nella  specie,  il
  pregiudizio  del  giudice  possa  scaturire da attivita' estranee a
  quelle  implicate direttamente dalla regiudicanda, occorre di volta
  in   volta  analizzare  queste  stesse  singolarmente,  attenendosi
  comunque  al  principio, piu' volte ribadito dalla Consulta, che la
  terzieta'   viene  compromessa  esclusivamente  da  valutazioni  di
  merito,   contenutistiche,   mediante   le  quali  si  pervenga  ad
  un'anticipazione  di  giudizio,  sia  pure  solo incidentale, sulla
  responsabilita'.
    Cio'  posto, la Corte reputa opportuno fissare taluni preliminari
  criteri  cui  ispirarsi  nella  individuazione concreta dei casi di
  prevenzione del giudice, alcuni precipuamente riguardanti i decreti
  di  prevenzione,  altri  investenti  in via piu' generale qualsiasi
  tipo di pronunzia.
    Va   in   primo  luogo  osservato  come  nel  procedimento  volto
  all'applicazione   delle  misure  di  sicurezza  il  giudice  debba
  compiere  una  duplice  indagine:  l'una,  preliminare,  diretta ad
  accertare  l'esistenza  di  una  associazione  di  tipo  mafioso  o
  camorristico,   l'altra,  che  attiene  ad  un  momento  successivo
  all'esito  positivo  dell'accertamento,  mirante  a stabilire se vi
  siano    indizi    di   appartenenza   del   soggetto   interessato
  all'associazione  suddetta; e le due indagini comportano differenti
  tipi di valutazione circa gli elementi su cui fondare la decisione.
    Ed  infatti, per una verifica positiva in ordine all'appartenenza
  del  soggetto  all'associazione  possono  considerarsi sufficienti,
  alla  stregua  di  una  oramai consolidata giurisprudenza, elementi
  indiziari    (e   mai,   comunque,   solo   meri   sospetti),   non
  necessariamente   dotati   del   carattere  della  gravita',  della
  precisione  e  della concordanza, purche' siano saldamente ancorati
  ad  elementi  di  fatto,  aventi  un  sicuro valore sintomatico del
  comportamento   del   soggetto:   cio'   perche'  nel  giudizio  di
  prevenzione  non viene affrontato in modo particolarmente pregnante
  sotto  il profilo probatorio l'esame delle risultanze degli atti di
  indagine,  ne'  e'  richiesta una penetrante delibazione nel merito
  della regiudicanda.
    Ma  se  e'  consentito  un  tipo di valutazione meno rigorosa sul
  piano probatorio in ordine all'appartenenza (proprio per la dizione
  usata  dalla  norma  dell'art.  1, legge n. 575/1965: "indiziati di
  appartenere"),  non  altrettanto  puo' dirsi relativamente a quello
  che  va considerato come l'essenziale presupposto del provvedimento
  applicativo   delle  misure  di  prevenzione,  l'esistenza,  cioe',
  dell'associazione  mafiosa: estendere lo stesso criterio valutativo
  sul  piano  probatorio  anche a questo momento anteriore, urterebbe
  contro  indubitabili  esigenze  garantistiche  circa l'utilizzo dei
  criteri  di  prova, perche' farebbe discendere l'applicazione delle
  misure  di prevenzione da un doppio giudizio probabilistico (quello
  sull'inserimento   nell'organizzazione   e,  prima  ancora,  quello
  sull'esistenza  della  stessa),  che non e' desumibile dalla norma,
  non  e'  stato mai affermato dalla giurisprudenza (che si e' sempre
  pronunziata  sul  solo  momento  riguardante  l'appartenenza) ed e'
  vivamente contrastato dalla dottrina.
    Da  tale  ricostruzione discende, a giudizio di questa Corte, una
  sostanziale  conseguenza in relazione alla possibilita' di proporre
  dichiarazione  di  ricusazione per presunto pregiudizio del giudice
  che  abbia  gia'  in  precedenza adottato misure di prevenzione nei
  confronti  di un imputato che dovra' poi giudicare in un successivo
  giudizio  di  merito:  la  pronunzia,  sia  pure incidentale, circa
  l'esistenza  dell'associazione  camorristica autorizza fondatamente
  una  dichiarazione  di  ricusazione  nei  confronti del giudice che
  l'abbia   emessa,  essendosi  egli  necessariamente  espresso,  per
  giungere a tale conclusione, nel merito della questione, attraverso
  la  valutazione  di  indizi  gravi,  precisi  e  concordanti  (e va
  ricordato  che  in  molti  dei  decreti applicativi delle misure ed
  esibiti  in  questo  processo,  il  tribunale qualifica come vere e
  proprie  prove  le  acquisizioni  probatorie  che di volta in volta
  richiama).
    D'altra  parte,  e  sotto  un  diverso ma concorrente profilo, va
  messo  opportunamente  in  evidenza che il tipo di indagine proprio
  del  procedimento  di  prevenzione,  pur con tutti i limiti che gli
  sono  propri,  ripercorre  comunque le medesime tappe cognitive del
  processo  per  associazione  per delinquere di tipo camorristico ex
  art. 416-bis  c.p.  intentato ai ricusanti; e tanto inevitabilmente
  comporta  il  formarsi  di  un convincimento circa la colpevolezza,
  convincimento  consolidatosi  nel  luogo giudiziario specificato: e
  cio'  e'  tanto piu' rilevante ove si consideri che la stessa Corte
  costituzionale  (sentenza  n. 306/1997) ha sottolineato che ai fini
  degli  istituti dell'astensione e della ricusazione "cio' che conta
  e'  l'esistenza di comportamenti del giudice che, siano essi tenuti
  entro  o  fuori  il processo stesso, per il loro concreto contenuto
  sono tali da poter fare ritenere la sussistenza del pregiudizio".
    Ed  e'  proprio l'esame del "concreto contenuto" dei vari decreti
  applicativi  di  misure  di  prevenzione  richiamati  dai  soggetti
  interessati che consente di affermare che in quei casi il tribunale
  (e  quindi  i  suoi  singoli  componenti)  ha  espresso valutazioni
  contenutistiche di particolare rilievo, tali addirittura da indurlo
  in  alcuni  casi  ad affermare esplicitamente di avere raggiunto la
  piena  prova dell'esistenza dell'associazione ex art. 416-bis c.p.,
  ed in altri a rendere evidente un'affermazione anche solo implicita
  in   tal  senso,  utilizzando  peraltro  fonti  probatorie  (misura
  cautelare  disposta  dal  g.i.p.,  dichiarazione  del  collaborante
  Schiavone Carmine) proprie del processo pendente davanti alla Corte
  di Assise di S. Maria Capua Vetere.
    Un'ulteriore  precisazione s'impone per delimitare l'ambito entro
  cui e' possibile ritenere l'esistenza della prevenzione.
    Deve  infatti  ritenersi  che  in  tanto  possa  configurarsi una
  situazione  di  prevenzione  in  capo  al  giudice,  in quanto egli
  aliunde  abbia  gia'  preso  in esame direttamente la posizione del
  singolo  imputato;  precisazione  che  appare  essenziale  nel caso
  (ricorrente  anche nella specie) di concorso di persone nel reato e
  di  reati  a concorso necessario, essendo stato piu' volte chiarito
  dalla  Corte costituzionale (sentenze nn. 186/1992 e 439/1993 e, da
  ultimo,  ordinanza  di  manifesta infondatezza del 14 novembre 1997
  n. 334,  pronunciata in relazione ad un processo per associazione a
  delinquere)  che  "nelle  ipotesi di concorso di persone nel reato,
  l'autonomia  delle  posizioni  di ciascun concorrente consente, pur
  nella    naturalistica    unitarieta'    della   fattispecie,   una
  segmentazione  di  processi  e  la  scomposizione  del fatto in una
  pluralita'   di   condotte  autonomamente  valutabili  in  processi
  distinti,  senza che la decisione dell'uno debba influenzare quella
  dell'altro".
    Applicando  questo  criterio interpretativo (del resto pienamente
  recepito  anche  dalla  Suprema  Corte:  vedi  Cass.,  sez.  VI, 14
  maggio/11   giugno   1998  che,  perche'  si  possa  ipotizzare  la
  prevenzione  del  giudice,  ritiene  necessaria  da  parte  sua una
  valutazione  della  posizione dell'extraneus al processo in tutti i
  suoi  profili)  alle  dichiarazioni di ricusazione in oggetto, deve
  pervenirsi  alla conclusione che sara' configurabile un pregiudizio
  nel  giudice  solo in rapporto a quei singoli imputati del processo
  in  corso che siano stati anche diretti destinatari, in precedenza,
  di  decreti  applicativi  di  misure  di  prevenzione  di  sentenze
  provenienti dallo stesso giudice.
    E   questo   comporta  il  rigetto  di  quelle  dichiarazioni  di
  ricusazione  che  sono  state motivate, in questo giudizio, non con
  riferimento  a decreti riguardanti direttamente i ricusanti, bensi'
  altri  imputati  nel  processo,  criterio che trovera' applicazione
  nella valutazione delle singole posizioni.
    Esaminando  ora  in  concreto,  ed  alla  luce  dei criteri sopra
  individuati,  i  casi  di  cognizione  sottoposti dai ricusanti, la
  Corte osserva:

        A) sulla   ricusazione   sub-1):  lo  Zagaria  fonda  la  sua
  ricusazione  nei  confronti  della  dott.ssa  Giordano oltre che su
  generiche  affermazioni  riguardanti  giudizi espressi sullo stesso
  argomento,  anche  sulla  circostanza  della  sua partecipazione al
  tribunale  di S. Maria Capua Vetere che, con sentenza del 29 aprile
  1986,  nel giudizio a carico di Alessandri Aldo + 200, giudico' tra
  l'altro  della  sussistenza  dell'associazione camorristica facente
  capo a Bardellino Antonio e lovine Mario.
    Al  riguardo  ritiene  la Corte che non possa configurarsi alcuna
  concreta  ipotesi  di prevenzione a carico della dott.ssa Giordano,
  sia  perche'  l'associazione di stampo camorristico oggetto di quel
  giudizio  e'  cosa diversa da quella presa in esame nel giudizio in
  corso  (anche  se  quest'ultima, il c.d. clan dei casalesi, derivo'
  storicamente  dalla  prima,  in  seguito  a  scissioni  e divisioni
  interne),  sia  perche'  la  sua  esistenza  e'  stata in ogni caso
  accertata,  con la sentenza de qua, solo fino al gennaio-febbraio 1
  984  (vedi  capo  di imputazione), mentre i fatti oggetto di questo
  processo  sono  sicuramente  successivi a tale data, come si evince
  dal  decreto  ex art. 429 c.p.p. del 4 aprile 1998 del g.i.p. di S.
  Maria  Capua  Vetere,  secondo  cui la nascita dell'associazione e'
  fissata  in  epoca successiva alla scissione dal clan Bardellino ed
  all'uccisione dello stesso capo clan (eventi entrambi datati 1988).
    La  sussistenza  di  una  prevenzione  del  giudice  puo'  invece
  ipotizzarsi  in  ordine alla ricusazione proposta nei confronti del
  dott. Pacelli da Zara Alfredo.
    Il   pregiudizio,   secondo   i  motivi  addotti  dal  ricusante,
  consisterebbe    nella    valutazione    degli    indizi   relativi
  all'inserimento di Zara Alfredo, Diana Raffaele, Biondino Francesco
  e Di Gaetano Antonio nell'associazione ex art. 416-bis c.p. per cui
  e'   processo,   valutazione  gia'  operata  dal  giudice  ricusato
  nell'emettere,  quale  componente  del  tribunale di S. Maria Capua
  Vetere,  i  decreti  di  prevenzione  nei  confronti  dei suddetti,
  basandosi  anche  sulle  risultanze  dell'ordinanza di custodia del
  g.i.p. n. 371/1995 (atto da cui ha preso avvio il processo a carico
  di  Abbate  Antonio  +  130)  e  sulla  ritenuta attendibilita' dei
  collaboratori di giustizia coinvolti nello stesso processo.
    Appare evidente, infatti, che la valutazione che il dott. Pacelli
  ha dovuto svolgere in relazione al provvedimento investente lo Zara
  (degli  altri  decreti  non  puo'  tenersi  alcun conto, in base ai
  criteri  sopra  precisati) non si e' fermato al momento relativo al
  suo   probabile   inserimento  nell'organizzazione,  ma  ha  dovuto
  necessariamente   investire   anche  l'altro  momento,  logicamente
  prioritario,   dell'esistenza   dell'associazione:   con  tutte  le
  conseguenze  gia' delineate, in primo luogo quella di provocare una
  situazione di prevenzione nei confronti dello Zara.
    Diverso  e'  il discorso da farsi nei confronti dello Zagaria, la
  cui  posizione  non  e'  stata mai personalmente presa in esame dal
  dott. Pacelli, con la conseguente impossibilita' di configurare nei
  suoi confronti una vera e propria prevenzione.

        B) sulla    ricusazione    sub-7):   nell'esame   di   questa
  dichiarazione,  le  posizioni dei tre ricusanti vanno distintamente
  esaminate.
    Il  Reccia  (che si richiama ad un decreto in data 17 aprile 1997
  del  tribunale  che, presieduto dal dott. Pacelli, lo ha sottoposto
  alla  misura della sorveglianza speciale ed alla confisca dei beni)
  motiva la sua presa di posizione riferendosi alla circostanza della
  valutazione da parte del giudice delle deposizioni accusatorie rese
  da  due  collaboranti nel corso delle indagini relative al processo
  in atto.
    Il   riferimento   a   siffatta   valutazione  e'  sufficiente  a
  determinare  in capo al dott. Pacelli una posizione di prevenzione,
  perche'  le  deposizioni  dei  collaboranti  sono  state  prese  in
  considerazione  sia  per stabilire l'esistenza dell'associazione di
  stampo  camorristico,  sia  per decidere, successivamente, circa il
  probabile inserimento in essa del Reccia.
    Differente e' la prospettazione avanzata da D'Alessandro Cipriano
  e Mauriello Francesco a sostegno della loro dichiarazione.
      Entrambi  pongono  a  base  della  ricusazione  la sentenza del
  tribunale di S. Maria Capua Vetere del 23 aprile 1996, estensore il
  dott.  Pacelli,  a  carico  di  quattro imputati tra cui gli stessi
  ricusanti.  Nel  processo,  che  si  concluse  con  la condanna del
  Mauriello  e  l'assoluzione  del D'Alessandro, l'imputazione era di
  tentato  omicidio,  "con l'aggravante di aver commesso il fatto ...
  al  fine  di  agevolare  l'associazione camorristica facente capo a
  Schiavone  Francesco  nel controllo del territorio e delle illecite
  attivita'".
    Ritiene in proposito la Corte che non possa mettersi in dubbio la
  configurabilita' di un'ipotesi di prevenzione per quel che concerne
  il  Mauriello, dal momento che nella sentenza non solo si riconosce
  la  sua responsabilita' nella commissione del reato ascrittogli, ma
  si  considera,  sia pure incidentalmente ed ai soli dell'aggravante
  contestata,  ma  comunque  alla stregua di un rigoroso ragionamento
  probatorio  (vedi  le  pagg.  11-13), come esistente l'associazione
  camorristica  "clan  dei casalesi", quella stessa che sara' oggetto
  di  valutazione  (ai fini della conseguente decisione) nel giudizio
  in corso dinanzi al tribunale di S. Maria Capua Vetere.
    Ben  diversa,  invece,  e'  la posizione del D'Alessandro: la sua
  assoluzione  dal  delitto  di tentato omicidio non ha consentito ai
  giudici  di  entrare,  per quel che lo riguardava direttamente, nel
  merito   delle  valutazioni  relative  all'ipotizzata  agevolazione
  dell'associazione  camorristica; per cui non puo' sostenersi che vi
  sia stata nei suoi confronti un'anticipazione di giudizio, mancando
  nella  sentenza  ogni  connessione tra la sua personale posizione e
  l'associazione.

        C) sulla  ricusazione sub-5): la dichiarazione di ricusazione
  proveniente  da  Carannante  Francesco,  e  rivolta  alla  dott.ssa
  Giordano,  ha  una  peculiarita':  e'  stata  redatta  direttamente
  dall'interessato  che, indicato il motivo nell'irrogazione da parte
  del  giudice  (quale  presidente  del  tribunale)  di una misura di
  prevenzione  a suo carico con decreto dell'11 novembre 1997, non si
  e'  preoccupato  di  individuare  piu'  dettagliatamente le ragioni
  della denunziata prevenzione.
    Non  pare  alla  Corte  che possa in questo caso configurarsi una
  omissione  determinante  da  parte del ricusante, nel senso che, in
  presenza   della   individuazione   di   un  atto  che  si  ritiene
  pregiudicante  ed  in  assenza di piu' specifiche indicazioni, deve
  ritenersi  spettare  al  giudice  del  procedimento  incidentale la
  valutazione   delle   implicazioni   che   da   quell'atto  possono
  discendere.  E  non  v'e' dubbio che, sulla falsariga di quanto fin
  qui   detto,  anche  nei  confronti  del  Carannante  si  configuri
  un'ipotesi di prevenzione.

        D) sulla   ricusazione   sub-2):  anche  in  questo  caso  la
  ricusazione  e'  fondata  sulla partecipazione del dott. Pacelli al
  tribunale che, con decreto del 19 novembre 1996, ha disposto misure
  di  prevenzione nei confronti del ricusante Caterino Mario. Quindi,
  per  quanto  sopra detto, deve darsi atto della configurabilita' di
  una situazione di prevenzione da parte del giudice ricusato.

        E) sulla ricusazione sub-3): per Coppola Antonio si prospetta
  una  situazione  del tutto analoga a quella precedente, trovando la
  ricusazione  fondamento  nella  partecipazione del dott. Pacelli al
  tribunale  di  S.  Maria Capua Vetere che, in data 1o ottobre 1996,
  gli ha applicato misure di prevenzione.
    E'  solo  opportuno  segnalare  che  proprio in questo decreto e'
  vigorosamente  sostenuta  (pagg. 3-5) la tesi secondo cui in ordine
  all'esistenza   dell'associazione,   che   costituisce   essenziale
  presupposto  per  passare  poi  alla  valutazione  degli indizi che
  depongono per la partecipazione ad essa del soggetto, e' necessario
  raggiungere  (ed  e'  stata in concreto raggiunta) la prova piena e
  certa.
    Anche   in  questo  caso,  quindi,  si  prospetta  un'ipotesi  di
  pregiudizio in capo al giudice.

      F) sulla  ricusazione  sub-4):  nel  ricusare il dott. Pacelli,
  Iovine  Mario  fa riferimento a "numerosi decreti applicativi della
  misura  di  prevenzione  della sorveglianza speciale con obbligo di
  soggiorno  ad  imputati  nel  proc.  pen. 3615/1993 not. reato"; in
  particolare  la  prevenzione  del  giudice consisterebbe nell'avere
  egli   gia'   "affermata  l'esistenza  del  clan  dei  casalesi"  e
  nell'avere  "ritenuta  l'appartenenza  di molti al citato clan". E'
  per  l'appunto questo uno dei casi in cui, per quanto in precedenza
  detto,  va  esclusa  l'esistenza di un pregiudizio nel giudice, dal
  momento   che   la  valutazione  da  lui  fatta  non  ha  investito
  direttamente la posizione del ricusante.

        G) sulla  ricusazione  sub-6):  analoga  alla  precedente  si
  prospetta  la  dichiarazione  formulata  da  Caterino  Giuseppe nei
  confronti   del   dott.   Pacelli:   anch'essa,  infatti,  lega  la
  ricusazione  alla  partecipazione  del  giudice  ad  un  precedente
  procedimento  di prevenzione non relativo allo stesso ricusante, ma
  a  Basco  Antonio, anch'egli imputato nel processo Abbate Antonio +
  130.
    Analoghe,  quindi,  anche  le  conclusioni, per cui va esclusa in
  questo caso l'esistenza di un pregiudizio nel giudice ricusato.
    La ricusazione rivolta, poi, alla dott.ssa Giordano va dichiarata
  inammissibile,  essendo stata omessa ogni indicazione dei motivi su
  cui  essa  si fondava, il che impedisce in assoluto di valutarne la
  portata ed i contenuti.

        H) sulla  ricusazione  sub-8):  piu'  articolata  si presenta
  questa  dichiarazione,  sia  per  il  numero  dei  soggetti  attivi
  interessati,  sia  perche'  rivolta  ad  ambedue i giudici della II
  sezione della Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere.
    Tutti i ricusanti hanno appuntato le loro critiche sulla dott.ssa
  Giordano  per  un duplice ordine di motivi: ella ha fatto parte sia
  del  collegio che ha emesso la sentenza del 29 aprile 1986 a carico
  di  Alessandri  Aldo  +  200,  avente  ad  oggetto,  tra  le  altre
  imputazioni,  anche  l'associazione  camorristica  facente  capo  a
  Bardellino  ed  Iovine,  sia del tribunale che applico' a Schiavone
  Francesco,  con  decreto  del  20  febbraio  1998,  una  misura  di
  prevenzione.
    Infondato  e'  il  primo  motivo  di  ricusazione,  per le stesse
  ragioni  gia'  esposte  in rapporto alla dichiarazione dall'analogo
  contenuto  proposta  da  Zagaria  Vincenzo (vedi la motivazione sub
  punto A).
    Quanto  al  secondo  motivo  che provocherebbe la prevenzione nel
  giudice,  esso  e'  cosi' sintetizzato nell'atto dichiarativo: "...
  motivando  sempre  sui  capi  di  imputazione  oggetto del presente
  procedimento   e   sulla   fonte   di   accusa,   costituita  dalle
  dichiarazioni di Schiavone Carmine".
    Con  questa  espressione  si  fa riferimento sia alle valutazioni
  riguardanti  la  sussistenza  dell'associazione  camorristica  (che
  costituisce  per l'appunto uno dei capi di imputazione dell'attuale
  processo),  sia  alle valutazioni circa la (probabile) appartenenza
  ad  essa dello Schiavone: il che comporta una evidente prevenzione,
  nel senso di anticipazione di giudizio.
    Conclusione,  peraltro,  che  e'  valida  solo  nei  confronti di
  Schiavone  Francesco,  non  potendo,  per  le ragioni gia' esposte,
  estendersi  il  motivo  che  a  quegli imputati che non erano stati
  destinatari delle misure di prevenzione.
    E  pertanto  puo'  ritenersi  configurabile  il pregiudizio della
  dott.ssa  Giordano  solo  nei  riguardi  di  Schiavone Francesco di
  Nicola  nato  a Casal di Principe il 3 marzo 1954, dovendosi invece
  rigettare le dichiarazioni proposte da tutti gli altri imputati.

      I) anche  nei  confronti  del  dott.  Pacelli la ricusazione e'
  stata proposta da tutti i dichiaranti, che si sono richiamati a tre
  motivi:  l'avere  fatto  parte il giudice ricusato del collegio che
  applico', con decreto del 28 novembre 1996, misure di prevenzione a
  carico  di Zara Alfredo; l'essere stato estensore della gia' citata
  sentenza  del  tribunale  di  S.  Maria  Capua  Vetere  a carico di
  Mauriello  Francesco  +  3;  l'avere partecipato alla decisione del
  tribunale  che,  con  decreto del 1o aprile 1996, ritenne Schiavone
  Francesco  di Nicola meritevole della sottoposizione alla misura di
  prevenzione del sequestro di beni.
    Nessuno  dei  tre  motivi  addotti  puo'  giovare ai dichiaranti,
  eccezion  fatta  per  lo Schiavone e per lo Zara (per quest'ultimo,
  pero',  si  tratta  di  duplicazione di dichiarazione, essendo gia'
  stata  valutata,  ed  in  senso positivo, la sua posizione sotto il
  capo A).
    Non  il  primo  motivo, che puo' riguardare il solo Zara, perche'
  esclusivamente  nei  suoi  confronti e' stata svolta l'indagine nel
  citato procedimento di prevenzione.
    Non  il  secondo,  perche'  nessuno  degli  imputati nel processo
  Mauriello  +  3  compare  tra  i ricusanti, che non possono percio'
  contestare   al   dott.   Pacelli   alcuna   prevenzione,  in  base
  all'interpretazione gia' in precedenza illustrata. L'unico che puo'
  dolersi  di  una  vera e propria anticipazione di giudizio e', alla
  stregua dell'interpretazione suddetta, Schiavone Francesco che, pur
  non  figurando  tra  gli imputati, nella motivazione della sentenza
  viene  indicato  come  "capo"  del  "clan  dei  casalesi":  e  tale
  definizione  comporta  senza  dubbio  una  chiara  anticipazione di
  giudizio fondata su concreti elementi che depongono per l'esistenza
  della prevenzione, peraltro gia' ritenuta sotto altro profilo.
    E  neppure  il  terzo  motivo, perche' nel decreto applicativo di
  misure di prevenzione del 1o aprile 1996 il tribunale si limito' ad
  estendere,  aggravandolo,  il  sequestro di beni gia' in precedenza
  disposto,    senza    entrare    nel    merito    della   esistenza
  dell'associazione   camorristica,   che   evidentemente  dette  per
  presupposta  in forza di precedente decreto, peraltro non esaminato
  dalla Corte, perche' non indicato, ne' prodotto.
    Ne consegue, riassuntivamente, che va esclusa la fondatezza delle
  ricusazioni  proposte  dal D'Alessandro, dal Diana, dal Martinelli,
  dal  Panaro  e  da  Schiavone  Mario,  mentre  deve  affermarsi  la
  situazione  di  prevenzione  del  dott. Pacelli nei confronti dello
  Zara e di Schiavone Francesco di Nicola.

        L) sulla   ricusazione  sub-9):  in  tutte  le  dichiarazioni
  raccolte  sotto  questo  capo  la  denunziata prevenzione del dott.
  Pacelli  viene  individuata  alla stregua di tre motivi: 1) l'avere
  egli  giudicato  altri  coimputati  dello stesso processo in corso,
  applicando  nei  loro  confronti  misure di prevenzione; 2) l'avere
  partecipato  alla  decisione  nel  piu'  volte  citato procedimento
  penale  contro  Mauriello Francesco + 3; 3) l'avere fatto parte del
  tribunale che emise la sentenza in data 16 gennaio 1997 a carico di
  Caterino Sebastiano + altri.

    Dei  primi  due  motivi  si  e'  gia'  abbondantemente  detto  in
  relazione  alle  ricusazione  di  cui  ai  punti  4), 6) e 7) della
  premessa,  per  cui  deve  solo  ribadirsi  la loro irrilevanza nei
  confronti   di   tutti   i   ricusanti,  estranei  sia  ai  singoli
  procedimenti  di  prevenzione (peraltro neppure individuati) che al
  processo Mauriello + 3.
    Quanto   al  terzo  motivo,  appare  irrilevante  ai  fini  della
  configurabilita'  di  un'eventuale pregiudizio la partecipazione al
  collegio che ha emesso la sentenza contro Caterino Sebastiano + 20,
  perche'  in  essa l'esistenza ed operativita' del clan dei casalesi
  vi  e'  data  per scontata, quasi come fatto notorio e senza alcuna
  indagine  su  circostanze  concrete,  facendo  essa  solo da sfondo
  storico agli eventi esaminati, che d'altronde riguardano tutt'altra
  organizzazione criminale.
    Ed  allora  devono conclusivamente rigettarsi le dichiarazioni di
  ricusazione  del  dott.  Pacelli  provenienti  da  Alfiero  Nicola,
  Alfiero  Vincenzo,  Ferraro Sebastiano, Cacciapuoti Alfonso, Venosa
  Salvatore e Venosa Umberto.
    Ritenuto,  percio',  che la dichiarazione di ricusazione proposta
  da  Caterino  Giuseppe  nei confronti della dott.ssa Giordano debba
  essere  dichiarata  inammissibile  (con la condanna del Caterino al
  pagamento  di  lire  un milione alla Cassa delle ammende), e che le
  dichiarazioni   di   ricusazione   proposte  da  Zagaria  Vincenzo,
  D'Alessandro  Cipriano,  Iovine  Mario,  Caterino  Giuseppe,  Diana
  Raffaele,  Martinelli  Enrico,  Panaro Sebastiano, Schiavone Mario,
  Alfiero  Nicola,  Alfiero Vincenzo, Ferraro Sebastiano, Cacciapuoti
  Alfonso,  Venosa Salvatore e Venosa Umberto nei confronti del dott.
  Alberto  Pacelli e quelle proposte dallo Zagaria, dal D'Alessandro,
  dal  Diana,  dal  Martinelli,  dal  Panaro e da Schiavone Mario nei
  confronti  della  dott.ssa Elena Giordano debbano essere rigettate,
  senza  condanna  al  pagamento  di  alcuna somma, in considerazione
  della complessita' delle questioni trattate;
    In  merito  alle  restanti dichiarazioni, osserva che nel caso in
  esame  del tutto inconferenti si manifestano i richiami, operati in
  alcune  delle dichiarazioni di ricusazione, all'art. 34 (tramite il
  rinvio che ne fa l'art. 36, comma 1, lettera G c.p.p.), dal momento
  che  e'  fuori discussione che l'eventuale violazione del principio
  generale   che   esso   tende  a  tutelare  non  si  verificherebbe
  nell'ambito   dello  stesso  processo,  bensi'  in  relazione  alla
  partecipazione  dei  giudici  a differenti procedimenti, implicanti
  comunque un'anticipazione di giudizio;

        che,  pertanto,  mentre  sicuramente  non  si  attaglia  alla
  fattispecie  l'istituto  dell'incompatibilita',  neppure puo' farsi
  ricorso  alla  ricusazione  in  relazione alle due ipotesi previste
  dall'art.  37 comma 1 c.p.p.; e questo perche', nel primo caso, per
  il rinvio fatto dall'art. 37, comma c.p.p. al comma 1, dell'art. 36
  c.p.p., e per il successivo richiamo che quest'ultimo (alla lettera
  G  del  comma 1) opera dell'art. 34, la ricusazione deve intendersi
  allo  stato  praticale  solo  in  caso di situazioni di prevenzione
  endoprocessuale;  ed  inoltre,  sotto  il  secondo profilo, perche'
  nella  previsione  di cui alla lettera B, comma 1 la ricusazione e'
  riferibile solo all'ipotesi di manifestazione indebita da parte del
  giudice  del  proprio convincimento in relazione ad un procedimento
  in  corso,  alla  decisione  del  quale  sia chiamato a partecipare
  (circostanza, questa, non rinvenibile nel caso in esame);
        che,  d'altra  parte,  neppure e' possibile fare riferimento,
  per  consentire  un  utile risultato, alla sentenza n. 371 del 1996
  della Corte costituzionale, pure invocata da taluni dei risultanti,
  perche'  la  stessa Corte, con le cinque sentenze emesse in materia
  nell'anno  1997, e gia' citate, ha individuato lo stretto ambito di
  applicazione   della   suddetta   sentenza,  limitandolo  ai  casi,
  certamente  non ricorrenti nella specie, di endoprocessualita' c.d.
  sostanziale (o allargata) dell'incompatibilita';

    Sottolinea,  inoltre,  come  in tutte le citate sentenze la Corte
  abbia  esplicitamente  affermato che, qualora le norme che regolano
  l'astensione  e  la  ricusazione  non  siano  in grado, per la loro
  attuale  formulazione,  di garantire la tutela complessiva cui sono
  preposte,  sarebbe stato opportuno, ed anzi necessario, sollecitare
  da  parte  del  giudice  il suo intervento, al fine di garantire in
  ogni caso la tutela del giusto processo;
    Rileva  che,  a questo punto, vanno opportunamente confrontate da
  un  canto  le  reiterate  affermazione della Corte nelle piu' volte
  ricordate  sentenze  ed  in pregresse pronunzie, secondo cui quello
  dell'imparzialita'  del  giudice costituisce un principio superiore
  di rango costituzionale al quale deve essere informato il processo,
  unita  all'ulteriore affermazione che il rispetto di tale principio
  deve  essere  affidato,  in tutti i suoi aspetti ed in tutte le sue
  eventuali  articolazioni, al sistema complessivo, e sostanzialmente
  finalizzato    all'identico    scopo,    formato   dagli   istituti
  dell'incompatibilita',   dell'astensione  e  della  ricusazione,  e
  dall'altro  l'impossibilita'  di  fornire,  alla  stregua di questi
  istituti  cosi'  come attualmente regolamentati dal codice di rito,
  adeguata  ed  esaustiva  garanzia  dell'applicazione  integrale del
  principio  enunciato;  con  la  conseguenza  che  la  norma  di cui
  all'art. 37,  comma  1 c.p.p. appare in conflitto con gli artt. 3 e
  24  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui non prevede, tra le
  ipotesi  di  ricusazione,  anche quella di situazioni pregiudicanti
  riferite  a  rapporti  processuali  che  non  investono  lo  stesso
  procedimento;

        che  nell'ambito  del comma 1 dell'art. 37, mentre non appare
  censurabile  di  contrasto  con la legge fondamentale la lettera A,
  laddove esclude tra i motivi di ricusazione le "altre gravi ragioni
  di    convenienza"   previste   invece   per   il   solo   istituto
  dell'astensione,  trovando  ragione tale esclusione nell'intenzione
  di  evitare  che  l'estrema  genericita'  dell'espressione  potesse
  indurre a richieste strumentali e pretestuose (vedi in questo senso
  la  relazione  al progetto preliminare del vigente codice di rito),
  un  possibile  contrasto  con gli articoli della Costituzione sopra
  richiamati  si  delinea  invece in riferimento alla lettera B della
  citata norma;
        che,  piu' in particolare, il contrasto con l'art. 3, comma 1
  si  pone  per la diversa tutela che riceve l'imputato allorche', in
  presenza  di  una  identica  situazione  (prevenzione  del  giudice
  chiamato   a   giudicarlo,   per   avere   lo   stesso   anticipato
  legittimamente  il  suo  convincimento,  in varie e non prevedibili
  forme  di  partecipazione  ad altri processi), vede tutelato il suo
  diritto all'imparzialita' del giudice solo se questi, richiamandosi
  all'art. 36,  comma  1, lettera H, ritenga di astenersi, mentre, in
  assenza   di  una  siffatta  dichiarazione  di  astensione,  e  pur
  ricorrendo gli stessi motivi, non gli e' consentito di fare ricorso
  alla  ricusazione,  al  fine  di  ottenere  per altra via lo stesso
  risultato,  in  quanto  l'ipotesi di cui alla lettera B del comma 1
  non  contempla  la  legittima  (nel  senso  di  "dovuta" in ragione
  dell'esercizio  delle  proprie  funzioni)  espressione  del proprio
  convincimento  da  parte  del giudice, avvenuta in precedenza ed in
  altro  procedimento,  e  sempre  su  fatti oggetto dell'imputazione
  propria  del  processo  nel  quale sia proposta la dichiarazione di
  ricusazione;
        che  peraltro,  sotto un diverso aspetto, si puo' configurare
  anche  un contrasto con la norma di cui all'art. 24, secondo comma,
  della   Costituzione  perche'  risulterebbe  menomato  il  primario
  diritto   alla   difesa,   di  cui  l'esercizio  del  diritto  alla
  ricusazione   costituisce   senza   dubbio   una  delle  multiformi
  manifestazioni.

    Su   queste  premesse  la  Corte,  ritenendo  non  manifestamente
  infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale come sopra
  puntualizzata  in relazione all'art. 37, comma 1, lettera B c.p.p.,
  e considerando altresi' che essa appare, per il complesso di motivi
  in  fatto  ed  in  diritto fin qui esposti, rilevante ai fini della
  decisione  del  giudizio  che  si  svolge dinanzi a se', solleva di
  ufficio  la  suddetta  questione,  disponendo  conseguentemente  la
  sospensione  del  procedimento  incidentale  di  ricusazione per la
  residua  parte  che riguarda gli imputati Reccia Stefano, Mauriello
  Francesco,  Caterino  Mario, Coppola Antonio, Carannante Francesco,
  Schiavone   Francesco   di   Nicola  e  Zara  Alfredo,  nonche'  la
  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Dovendosi  presumere  che la decisione della Corte costituzionale
  non  potra' intervenire in tempi brevi, appare opportuno alla Corte
  fare  uso del potere, previsto dal comma 2, dell'art. 41 c.p.p., di
  sospensione dei due giudici ricusati da ogni attivita' processuale,
  fatti  salvi  gli  atti  urgenti,  nei  confronti dei soli imputati
  ricusanti  la cui posizione resta sospesa in attesa della pronunzia
  della Corte costituzionale.