LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza; La Corte, premesso che e' in corso presso la II sezione di Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere, composta dal dott. Alberto Pacelli quale presidente e dalla dott.ssa Elena Giordano quale giudice a latere, un procedimento penale contro Abbate Antonio piu' 130, imputati, oltre che di numerosi reati fine, anche "del delitto p. e p. dall'art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 c.p. per avere partecipato, ciascuno nella consapevolezza della rilevanza causale del proprio apporto, ad una associazione di tipo mafioso denominata "clan dei casalesi , promossa, diretta ed organizzata da Francesco Schiavone "di Nicola "piu' altri .... In provincia di Caserta ed altre parti del territorio nazionale, reato accertato fino a tutto il 1996"; Rilevato che sono state presentate dichiarazioni di ricusazione, a causa di ritenuta incompatibilita' dei giudici ai sensi dell'art. 34 c.p.p., da: 1) Zagaria Vincenzo e Zara Alfredo nei confronti del dott. Pacelli, fondate sulla sua partecipazione, quale presidente, ai collegi del tribunale di S. Maria Capua Vetere che, nelle rispettive date del 28 novembre 1996, del 14 luglio 1997 e del 25 luglio 1997, avevano applicato allo stesso Zara ed a Biondino Francesco e Diana Giuseppe, coimputati nel procedimento in corso, misure di prevenzione, avendoli ritenuti partecipi dell'associazione per delinquere di stampo camorristico denominata "clan dei casalesi"; nonche' dal solo Zagaria nei confronti della dott.ssa Giordano per "incompatibilita' costituite da giudizi espressi sullo stesso argomento", ma non meglio specificate, e per la sua partecipazione, quale giudice a latere, al collegio del tribunale di S. Maria Capua Vetere che emise la sentenza in data 29 aprile 1986 a carico di Alessandro Aldo piu' 200; 2) Caterino Mario nei confronti del dott. Pacelli, con riferimento alla sua partecipazione, quale presidente, al tribunale di S. Maria Capua Vetere che in data 19 novembre 1996 aveva disposto misure di prevenzione a carico dello stesso Caterino, avendolo ritenuto partecipe dell'associazione sopra indicata; 3) Coppola Antonio nei confronti del dott. Pacelli, fondata sulla sua partecipazione, quale presidente, al tribunale di S. Maria Capua Vetere che in data 1o ottobre 1996 aveva applicato misure di prevenzione allo stesso Coppola, ritenuto partecipe dell'associazione suddetta; 4) Iovine Mario nei confronti del dott. Pacelli per avere partecipato, quale presidente del collegio del tribunale di S. Maria Capua Vetere, all'emissione di numerosi decreti applicativi di misure di prevenzione ad imputati in questo stesso processo in corso, previa ritenuta partecipazione degli stessi al "clan dei casalesi"; 5) Carannante Francesco nei confronti della dott.ssa Giordano per la sua partecipazione, quale presidente, al collegio del tribunale di S. Maria Capua Vetere che in data 11 novembre 1997 aveva applicato misure di prevenzione allo stesso Carannante, anch'egli ritenuto inserito nell'associazione camorristica de quo; 6) Caterino Giuseppe nei confronti del dott. Pacelli per avere fatto parte, quale presidente del tribunale di S. Maria Capua Vetere che in data 5 novembre 1996 aveva applicato nei confronti di Basco Antonio, coimputato nel procedimento in corso, misure di prevenzione ritenendolo associato al "clan dei casalesi"; e nei confronti della dott.ssa Giordano, senza alcuna indicazione dei motivi; 7) D'Alessandro Cipriano, Reccia Stefano e Mauriello Francesco nei confronti del dott. Pacelli, per avere fatto parte: A) quale presidente, del tribunale di S. Maria Capua Vetere che aveva applicato misure di prevenzione a carico del Reccia, previa affermazione della sua appartenenza all'associazione camorristica in oggetto; B) quale giudice estensore, dello stesso tribunale, che aveva pronunziato la sentenza in data 23 aprile 1996, con cui il Mauriello era stato condannato ed il D'Alessandro assolto dal reato di tentato omicidio; nonche' dal solo D'Alessandro anche nei confronti della dott.ssa Giordano, senza alcuna indicazione dei motivi posti a base della ricusazione; 8) D'Alessandro Cipriano, Diana Raffaele, Martinelli Enrico, Panaro Sebastiano, Schiavone Francesco di Nicola nato a Casal di Principe il 3 marzo 1954, Schiavone Mario e Zara Alfredo nei confronti del dott. Pacelli per la sua partecipazione: A) quale estensore, alla sentenza del tribunale di S. Maria Capua Vetere del 23 aprile 1996 a carico di Mauriello Francesco piu' 3; B) quale presidente, ai collegi del tribunale di S. Maria Capua Vetere che, nelle rispettive date del 1o aprile 1996 e del 28 novembre 1996, avevano applicato misure di sicurezza agli stessi Schiavone e Zara, avendoli ritenuti partecipi dell'associazione camorristica "clan del casalesi"; nonche' nei confronti della dott.ssa Giordano, sia per la sua partecipazione, quale presidente, al tribunale di S. Maria Capua Vetere che in data 20 febbraio 1998 aveva applicato misure di prevenzione nei confronti del suddetto Schiavone, anch'egli ritenuto appartenente alla stessa associazione, sia per la sua partecipazione al collegio che pronunzio' la piu' volte citata sentenza del 29 aprile 1986; 9) Alfiero Nicola, Alfiero Vincenzo, Ferraro Sebastiano, Cacciapuoti Alfonso, Venosa Salvatore e Venosa Umberto nei confronti del dott. Alberto Pacelli, fondate sulla sua partecipazione ad un precedente procedimento a carico di Caterino Sebastiano piu' altri, al gia' citato procedimento a carico di Mauriello Francesco piu' 3 e a non meglio identificati procedimenti per l'applicazione di misure di prevenzione a carico di soggetti imputati nel procedimento in corso; Constatato che in tutte le dichiarazioni di ricusazione, in alcuni casi in modo esplicito ed in altri solo implicitamente, si fa riferimento all'esigenza degli imputati di vedere salvaguardata la terzieta' del giudice e, quindi, il giusto processo, esigenza che nel caso concreto sarebbe compromessa dalla pregressa partecipazione dei dottori Pacelli e Giordano a procedimenti penali (ordinari o per l'applicazione di misure di prevenzione) differenti da quello in corso, ma implicanti comunque da parte loro un giudizio o una valutazione, sia pure in alcuni casi solo incidentale, su fatti oggetto del processo in cui e' formulata la dichiarazione di ricusazione; Osserva Con le recenti sentenze in materia di incompatibilita' (quelle nn. 306/1997, 307/1997, 308/1997, 331/1997 e 351/1997), la Corte costituzionale, pur ritenendo che gli istituti di cui agli artt. 34, 36 e 37 c.p.p. siano rivolti all'identica tutela del giusto processo (ottenibile attraverso la garanzia di terzieta' del giudice, intesa come assenza di prevenzione e di anticipazione, sotto varie forme, del giudizio che e' chiamato ad emettere), ha specificato che mentre la incompatibilita' mira a prevenire, elencandole in ipotesi astratte e tassative, le eventuali situazioni che incidano sull'imparzialita' e obiettivita' di giudizio, mantenendosi pero' nell'ambito della patologia endoprocessuale, gli altri due istituti (dell'astensione e della ricusazione) sono rivolti invece a garantire non solo il concreto rispetto di quanto disposto dall'art. 34 c.p.p. (nel caso in cui non vi sia stata idonea prevenzione, tramite le opportune misure organizzative), ma anche il generale principio del giusto processo nelle ipotesi in cui possa prospettarsi una sua violazione non nell'ambito dello stesso giudizio (da individuarsi nei termini delineati dall'art. 34 e dai successivi interventi della Corte), ma di processi diversi; Ritiene conseguentemente che quando, come nella specie, il pregiudizio del giudice possa scaturire da attivita' estranee a quelle implicate direttamente dalla regiudicanda, occorre di volta in volta analizzare queste stesse singolarmente, attenendosi comunque al principio, piu' volte ribadito dalla Consulta, che la terzieta' viene compromessa esclusivamente da valutazioni di merito, contenutistiche, mediante le quali si pervenga ad un'anticipazione di giudizio, sia pure solo incidentale, sulla responsabilita'. Cio' posto, la Corte reputa opportuno fissare taluni preliminari criteri cui ispirarsi nella individuazione concreta dei casi di prevenzione del giudice, alcuni precipuamente riguardanti i decreti di prevenzione, altri investenti in via piu' generale qualsiasi tipo di pronunzia. Va in primo luogo osservato come nel procedimento volto all'applicazione delle misure di sicurezza il giudice debba compiere una duplice indagine: l'una, preliminare, diretta ad accertare l'esistenza di una associazione di tipo mafioso o camorristico, l'altra, che attiene ad un momento successivo all'esito positivo dell'accertamento, mirante a stabilire se vi siano indizi di appartenenza del soggetto interessato all'associazione suddetta; e le due indagini comportano differenti tipi di valutazione circa gli elementi su cui fondare la decisione. Ed infatti, per una verifica positiva in ordine all'appartenenza del soggetto all'associazione possono considerarsi sufficienti, alla stregua di una oramai consolidata giurisprudenza, elementi indiziari (e mai, comunque, solo meri sospetti), non necessariamente dotati del carattere della gravita', della precisione e della concordanza, purche' siano saldamente ancorati ad elementi di fatto, aventi un sicuro valore sintomatico del comportamento del soggetto: cio' perche' nel giudizio di prevenzione non viene affrontato in modo particolarmente pregnante sotto il profilo probatorio l'esame delle risultanze degli atti di indagine, ne' e' richiesta una penetrante delibazione nel merito della regiudicanda. Ma se e' consentito un tipo di valutazione meno rigorosa sul piano probatorio in ordine all'appartenenza (proprio per la dizione usata dalla norma dell'art. 1, legge n. 575/1965: "indiziati di appartenere"), non altrettanto puo' dirsi relativamente a quello che va considerato come l'essenziale presupposto del provvedimento applicativo delle misure di prevenzione, l'esistenza, cioe', dell'associazione mafiosa: estendere lo stesso criterio valutativo sul piano probatorio anche a questo momento anteriore, urterebbe contro indubitabili esigenze garantistiche circa l'utilizzo dei criteri di prova, perche' farebbe discendere l'applicazione delle misure di prevenzione da un doppio giudizio probabilistico (quello sull'inserimento nell'organizzazione e, prima ancora, quello sull'esistenza della stessa), che non e' desumibile dalla norma, non e' stato mai affermato dalla giurisprudenza (che si e' sempre pronunziata sul solo momento riguardante l'appartenenza) ed e' vivamente contrastato dalla dottrina. Da tale ricostruzione discende, a giudizio di questa Corte, una sostanziale conseguenza in relazione alla possibilita' di proporre dichiarazione di ricusazione per presunto pregiudizio del giudice che abbia gia' in precedenza adottato misure di prevenzione nei confronti di un imputato che dovra' poi giudicare in un successivo giudizio di merito: la pronunzia, sia pure incidentale, circa l'esistenza dell'associazione camorristica autorizza fondatamente una dichiarazione di ricusazione nei confronti del giudice che l'abbia emessa, essendosi egli necessariamente espresso, per giungere a tale conclusione, nel merito della questione, attraverso la valutazione di indizi gravi, precisi e concordanti (e va ricordato che in molti dei decreti applicativi delle misure ed esibiti in questo processo, il tribunale qualifica come vere e proprie prove le acquisizioni probatorie che di volta in volta richiama). D'altra parte, e sotto un diverso ma concorrente profilo, va messo opportunamente in evidenza che il tipo di indagine proprio del procedimento di prevenzione, pur con tutti i limiti che gli sono propri, ripercorre comunque le medesime tappe cognitive del processo per associazione per delinquere di tipo camorristico ex art. 416-bis c.p. intentato ai ricusanti; e tanto inevitabilmente comporta il formarsi di un convincimento circa la colpevolezza, convincimento consolidatosi nel luogo giudiziario specificato: e cio' e' tanto piu' rilevante ove si consideri che la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 306/1997) ha sottolineato che ai fini degli istituti dell'astensione e della ricusazione "cio' che conta e' l'esistenza di comportamenti del giudice che, siano essi tenuti entro o fuori il processo stesso, per il loro concreto contenuto sono tali da poter fare ritenere la sussistenza del pregiudizio". Ed e' proprio l'esame del "concreto contenuto" dei vari decreti applicativi di misure di prevenzione richiamati dai soggetti interessati che consente di affermare che in quei casi il tribunale (e quindi i suoi singoli componenti) ha espresso valutazioni contenutistiche di particolare rilievo, tali addirittura da indurlo in alcuni casi ad affermare esplicitamente di avere raggiunto la piena prova dell'esistenza dell'associazione ex art. 416-bis c.p., ed in altri a rendere evidente un'affermazione anche solo implicita in tal senso, utilizzando peraltro fonti probatorie (misura cautelare disposta dal g.i.p., dichiarazione del collaborante Schiavone Carmine) proprie del processo pendente davanti alla Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere. Un'ulteriore precisazione s'impone per delimitare l'ambito entro cui e' possibile ritenere l'esistenza della prevenzione. Deve infatti ritenersi che in tanto possa configurarsi una situazione di prevenzione in capo al giudice, in quanto egli aliunde abbia gia' preso in esame direttamente la posizione del singolo imputato; precisazione che appare essenziale nel caso (ricorrente anche nella specie) di concorso di persone nel reato e di reati a concorso necessario, essendo stato piu' volte chiarito dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 186/1992 e 439/1993 e, da ultimo, ordinanza di manifesta infondatezza del 14 novembre 1997 n. 334, pronunciata in relazione ad un processo per associazione a delinquere) che "nelle ipotesi di concorso di persone nel reato, l'autonomia delle posizioni di ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarieta' della fattispecie, una segmentazione di processi e la scomposizione del fatto in una pluralita' di condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell'uno debba influenzare quella dell'altro". Applicando questo criterio interpretativo (del resto pienamente recepito anche dalla Suprema Corte: vedi Cass., sez. VI, 14 maggio/11 giugno 1998 che, perche' si possa ipotizzare la prevenzione del giudice, ritiene necessaria da parte sua una valutazione della posizione dell'extraneus al processo in tutti i suoi profili) alle dichiarazioni di ricusazione in oggetto, deve pervenirsi alla conclusione che sara' configurabile un pregiudizio nel giudice solo in rapporto a quei singoli imputati del processo in corso che siano stati anche diretti destinatari, in precedenza, di decreti applicativi di misure di prevenzione di sentenze provenienti dallo stesso giudice. E questo comporta il rigetto di quelle dichiarazioni di ricusazione che sono state motivate, in questo giudizio, non con riferimento a decreti riguardanti direttamente i ricusanti, bensi' altri imputati nel processo, criterio che trovera' applicazione nella valutazione delle singole posizioni. Esaminando ora in concreto, ed alla luce dei criteri sopra individuati, i casi di cognizione sottoposti dai ricusanti, la Corte osserva: A) sulla ricusazione sub-1): lo Zagaria fonda la sua ricusazione nei confronti della dott.ssa Giordano oltre che su generiche affermazioni riguardanti giudizi espressi sullo stesso argomento, anche sulla circostanza della sua partecipazione al tribunale di S. Maria Capua Vetere che, con sentenza del 29 aprile 1986, nel giudizio a carico di Alessandri Aldo + 200, giudico' tra l'altro della sussistenza dell'associazione camorristica facente capo a Bardellino Antonio e lovine Mario. Al riguardo ritiene la Corte che non possa configurarsi alcuna concreta ipotesi di prevenzione a carico della dott.ssa Giordano, sia perche' l'associazione di stampo camorristico oggetto di quel giudizio e' cosa diversa da quella presa in esame nel giudizio in corso (anche se quest'ultima, il c.d. clan dei casalesi, derivo' storicamente dalla prima, in seguito a scissioni e divisioni interne), sia perche' la sua esistenza e' stata in ogni caso accertata, con la sentenza de qua, solo fino al gennaio-febbraio 1 984 (vedi capo di imputazione), mentre i fatti oggetto di questo processo sono sicuramente successivi a tale data, come si evince dal decreto ex art. 429 c.p.p. del 4 aprile 1998 del g.i.p. di S. Maria Capua Vetere, secondo cui la nascita dell'associazione e' fissata in epoca successiva alla scissione dal clan Bardellino ed all'uccisione dello stesso capo clan (eventi entrambi datati 1988). La sussistenza di una prevenzione del giudice puo' invece ipotizzarsi in ordine alla ricusazione proposta nei confronti del dott. Pacelli da Zara Alfredo. Il pregiudizio, secondo i motivi addotti dal ricusante, consisterebbe nella valutazione degli indizi relativi all'inserimento di Zara Alfredo, Diana Raffaele, Biondino Francesco e Di Gaetano Antonio nell'associazione ex art. 416-bis c.p. per cui e' processo, valutazione gia' operata dal giudice ricusato nell'emettere, quale componente del tribunale di S. Maria Capua Vetere, i decreti di prevenzione nei confronti dei suddetti, basandosi anche sulle risultanze dell'ordinanza di custodia del g.i.p. n. 371/1995 (atto da cui ha preso avvio il processo a carico di Abbate Antonio + 130) e sulla ritenuta attendibilita' dei collaboratori di giustizia coinvolti nello stesso processo. Appare evidente, infatti, che la valutazione che il dott. Pacelli ha dovuto svolgere in relazione al provvedimento investente lo Zara (degli altri decreti non puo' tenersi alcun conto, in base ai criteri sopra precisati) non si e' fermato al momento relativo al suo probabile inserimento nell'organizzazione, ma ha dovuto necessariamente investire anche l'altro momento, logicamente prioritario, dell'esistenza dell'associazione: con tutte le conseguenze gia' delineate, in primo luogo quella di provocare una situazione di prevenzione nei confronti dello Zara. Diverso e' il discorso da farsi nei confronti dello Zagaria, la cui posizione non e' stata mai personalmente presa in esame dal dott. Pacelli, con la conseguente impossibilita' di configurare nei suoi confronti una vera e propria prevenzione. B) sulla ricusazione sub-7): nell'esame di questa dichiarazione, le posizioni dei tre ricusanti vanno distintamente esaminate. Il Reccia (che si richiama ad un decreto in data 17 aprile 1997 del tribunale che, presieduto dal dott. Pacelli, lo ha sottoposto alla misura della sorveglianza speciale ed alla confisca dei beni) motiva la sua presa di posizione riferendosi alla circostanza della valutazione da parte del giudice delle deposizioni accusatorie rese da due collaboranti nel corso delle indagini relative al processo in atto. Il riferimento a siffatta valutazione e' sufficiente a determinare in capo al dott. Pacelli una posizione di prevenzione, perche' le deposizioni dei collaboranti sono state prese in considerazione sia per stabilire l'esistenza dell'associazione di stampo camorristico, sia per decidere, successivamente, circa il probabile inserimento in essa del Reccia. Differente e' la prospettazione avanzata da D'Alessandro Cipriano e Mauriello Francesco a sostegno della loro dichiarazione. Entrambi pongono a base della ricusazione la sentenza del tribunale di S. Maria Capua Vetere del 23 aprile 1996, estensore il dott. Pacelli, a carico di quattro imputati tra cui gli stessi ricusanti. Nel processo, che si concluse con la condanna del Mauriello e l'assoluzione del D'Alessandro, l'imputazione era di tentato omicidio, "con l'aggravante di aver commesso il fatto ... al fine di agevolare l'associazione camorristica facente capo a Schiavone Francesco nel controllo del territorio e delle illecite attivita'". Ritiene in proposito la Corte che non possa mettersi in dubbio la configurabilita' di un'ipotesi di prevenzione per quel che concerne il Mauriello, dal momento che nella sentenza non solo si riconosce la sua responsabilita' nella commissione del reato ascrittogli, ma si considera, sia pure incidentalmente ed ai soli dell'aggravante contestata, ma comunque alla stregua di un rigoroso ragionamento probatorio (vedi le pagg. 11-13), come esistente l'associazione camorristica "clan dei casalesi", quella stessa che sara' oggetto di valutazione (ai fini della conseguente decisione) nel giudizio in corso dinanzi al tribunale di S. Maria Capua Vetere. Ben diversa, invece, e' la posizione del D'Alessandro: la sua assoluzione dal delitto di tentato omicidio non ha consentito ai giudici di entrare, per quel che lo riguardava direttamente, nel merito delle valutazioni relative all'ipotizzata agevolazione dell'associazione camorristica; per cui non puo' sostenersi che vi sia stata nei suoi confronti un'anticipazione di giudizio, mancando nella sentenza ogni connessione tra la sua personale posizione e l'associazione. C) sulla ricusazione sub-5): la dichiarazione di ricusazione proveniente da Carannante Francesco, e rivolta alla dott.ssa Giordano, ha una peculiarita': e' stata redatta direttamente dall'interessato che, indicato il motivo nell'irrogazione da parte del giudice (quale presidente del tribunale) di una misura di prevenzione a suo carico con decreto dell'11 novembre 1997, non si e' preoccupato di individuare piu' dettagliatamente le ragioni della denunziata prevenzione. Non pare alla Corte che possa in questo caso configurarsi una omissione determinante da parte del ricusante, nel senso che, in presenza della individuazione di un atto che si ritiene pregiudicante ed in assenza di piu' specifiche indicazioni, deve ritenersi spettare al giudice del procedimento incidentale la valutazione delle implicazioni che da quell'atto possono discendere. E non v'e' dubbio che, sulla falsariga di quanto fin qui detto, anche nei confronti del Carannante si configuri un'ipotesi di prevenzione. D) sulla ricusazione sub-2): anche in questo caso la ricusazione e' fondata sulla partecipazione del dott. Pacelli al tribunale che, con decreto del 19 novembre 1996, ha disposto misure di prevenzione nei confronti del ricusante Caterino Mario. Quindi, per quanto sopra detto, deve darsi atto della configurabilita' di una situazione di prevenzione da parte del giudice ricusato. E) sulla ricusazione sub-3): per Coppola Antonio si prospetta una situazione del tutto analoga a quella precedente, trovando la ricusazione fondamento nella partecipazione del dott. Pacelli al tribunale di S. Maria Capua Vetere che, in data 1o ottobre 1996, gli ha applicato misure di prevenzione. E' solo opportuno segnalare che proprio in questo decreto e' vigorosamente sostenuta (pagg. 3-5) la tesi secondo cui in ordine all'esistenza dell'associazione, che costituisce essenziale presupposto per passare poi alla valutazione degli indizi che depongono per la partecipazione ad essa del soggetto, e' necessario raggiungere (ed e' stata in concreto raggiunta) la prova piena e certa. Anche in questo caso, quindi, si prospetta un'ipotesi di pregiudizio in capo al giudice. F) sulla ricusazione sub-4): nel ricusare il dott. Pacelli, Iovine Mario fa riferimento a "numerosi decreti applicativi della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno ad imputati nel proc. pen. 3615/1993 not. reato"; in particolare la prevenzione del giudice consisterebbe nell'avere egli gia' "affermata l'esistenza del clan dei casalesi" e nell'avere "ritenuta l'appartenenza di molti al citato clan". E' per l'appunto questo uno dei casi in cui, per quanto in precedenza detto, va esclusa l'esistenza di un pregiudizio nel giudice, dal momento che la valutazione da lui fatta non ha investito direttamente la posizione del ricusante. G) sulla ricusazione sub-6): analoga alla precedente si prospetta la dichiarazione formulata da Caterino Giuseppe nei confronti del dott. Pacelli: anch'essa, infatti, lega la ricusazione alla partecipazione del giudice ad un precedente procedimento di prevenzione non relativo allo stesso ricusante, ma a Basco Antonio, anch'egli imputato nel processo Abbate Antonio + 130. Analoghe, quindi, anche le conclusioni, per cui va esclusa in questo caso l'esistenza di un pregiudizio nel giudice ricusato. La ricusazione rivolta, poi, alla dott.ssa Giordano va dichiarata inammissibile, essendo stata omessa ogni indicazione dei motivi su cui essa si fondava, il che impedisce in assoluto di valutarne la portata ed i contenuti. H) sulla ricusazione sub-8): piu' articolata si presenta questa dichiarazione, sia per il numero dei soggetti attivi interessati, sia perche' rivolta ad ambedue i giudici della II sezione della Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere. Tutti i ricusanti hanno appuntato le loro critiche sulla dott.ssa Giordano per un duplice ordine di motivi: ella ha fatto parte sia del collegio che ha emesso la sentenza del 29 aprile 1986 a carico di Alessandri Aldo + 200, avente ad oggetto, tra le altre imputazioni, anche l'associazione camorristica facente capo a Bardellino ed Iovine, sia del tribunale che applico' a Schiavone Francesco, con decreto del 20 febbraio 1998, una misura di prevenzione. Infondato e' il primo motivo di ricusazione, per le stesse ragioni gia' esposte in rapporto alla dichiarazione dall'analogo contenuto proposta da Zagaria Vincenzo (vedi la motivazione sub punto A). Quanto al secondo motivo che provocherebbe la prevenzione nel giudice, esso e' cosi' sintetizzato nell'atto dichiarativo: "... motivando sempre sui capi di imputazione oggetto del presente procedimento e sulla fonte di accusa, costituita dalle dichiarazioni di Schiavone Carmine". Con questa espressione si fa riferimento sia alle valutazioni riguardanti la sussistenza dell'associazione camorristica (che costituisce per l'appunto uno dei capi di imputazione dell'attuale processo), sia alle valutazioni circa la (probabile) appartenenza ad essa dello Schiavone: il che comporta una evidente prevenzione, nel senso di anticipazione di giudizio. Conclusione, peraltro, che e' valida solo nei confronti di Schiavone Francesco, non potendo, per le ragioni gia' esposte, estendersi il motivo che a quegli imputati che non erano stati destinatari delle misure di prevenzione. E pertanto puo' ritenersi configurabile il pregiudizio della dott.ssa Giordano solo nei riguardi di Schiavone Francesco di Nicola nato a Casal di Principe il 3 marzo 1954, dovendosi invece rigettare le dichiarazioni proposte da tutti gli altri imputati. I) anche nei confronti del dott. Pacelli la ricusazione e' stata proposta da tutti i dichiaranti, che si sono richiamati a tre motivi: l'avere fatto parte il giudice ricusato del collegio che applico', con decreto del 28 novembre 1996, misure di prevenzione a carico di Zara Alfredo; l'essere stato estensore della gia' citata sentenza del tribunale di S. Maria Capua Vetere a carico di Mauriello Francesco + 3; l'avere partecipato alla decisione del tribunale che, con decreto del 1o aprile 1996, ritenne Schiavone Francesco di Nicola meritevole della sottoposizione alla misura di prevenzione del sequestro di beni. Nessuno dei tre motivi addotti puo' giovare ai dichiaranti, eccezion fatta per lo Schiavone e per lo Zara (per quest'ultimo, pero', si tratta di duplicazione di dichiarazione, essendo gia' stata valutata, ed in senso positivo, la sua posizione sotto il capo A). Non il primo motivo, che puo' riguardare il solo Zara, perche' esclusivamente nei suoi confronti e' stata svolta l'indagine nel citato procedimento di prevenzione. Non il secondo, perche' nessuno degli imputati nel processo Mauriello + 3 compare tra i ricusanti, che non possono percio' contestare al dott. Pacelli alcuna prevenzione, in base all'interpretazione gia' in precedenza illustrata. L'unico che puo' dolersi di una vera e propria anticipazione di giudizio e', alla stregua dell'interpretazione suddetta, Schiavone Francesco che, pur non figurando tra gli imputati, nella motivazione della sentenza viene indicato come "capo" del "clan dei casalesi": e tale definizione comporta senza dubbio una chiara anticipazione di giudizio fondata su concreti elementi che depongono per l'esistenza della prevenzione, peraltro gia' ritenuta sotto altro profilo. E neppure il terzo motivo, perche' nel decreto applicativo di misure di prevenzione del 1o aprile 1996 il tribunale si limito' ad estendere, aggravandolo, il sequestro di beni gia' in precedenza disposto, senza entrare nel merito della esistenza dell'associazione camorristica, che evidentemente dette per presupposta in forza di precedente decreto, peraltro non esaminato dalla Corte, perche' non indicato, ne' prodotto. Ne consegue, riassuntivamente, che va esclusa la fondatezza delle ricusazioni proposte dal D'Alessandro, dal Diana, dal Martinelli, dal Panaro e da Schiavone Mario, mentre deve affermarsi la situazione di prevenzione del dott. Pacelli nei confronti dello Zara e di Schiavone Francesco di Nicola. L) sulla ricusazione sub-9): in tutte le dichiarazioni raccolte sotto questo capo la denunziata prevenzione del dott. Pacelli viene individuata alla stregua di tre motivi: 1) l'avere egli giudicato altri coimputati dello stesso processo in corso, applicando nei loro confronti misure di prevenzione; 2) l'avere partecipato alla decisione nel piu' volte citato procedimento penale contro Mauriello Francesco + 3; 3) l'avere fatto parte del tribunale che emise la sentenza in data 16 gennaio 1997 a carico di Caterino Sebastiano + altri. Dei primi due motivi si e' gia' abbondantemente detto in relazione alle ricusazione di cui ai punti 4), 6) e 7) della premessa, per cui deve solo ribadirsi la loro irrilevanza nei confronti di tutti i ricusanti, estranei sia ai singoli procedimenti di prevenzione (peraltro neppure individuati) che al processo Mauriello + 3. Quanto al terzo motivo, appare irrilevante ai fini della configurabilita' di un'eventuale pregiudizio la partecipazione al collegio che ha emesso la sentenza contro Caterino Sebastiano + 20, perche' in essa l'esistenza ed operativita' del clan dei casalesi vi e' data per scontata, quasi come fatto notorio e senza alcuna indagine su circostanze concrete, facendo essa solo da sfondo storico agli eventi esaminati, che d'altronde riguardano tutt'altra organizzazione criminale. Ed allora devono conclusivamente rigettarsi le dichiarazioni di ricusazione del dott. Pacelli provenienti da Alfiero Nicola, Alfiero Vincenzo, Ferraro Sebastiano, Cacciapuoti Alfonso, Venosa Salvatore e Venosa Umberto. Ritenuto, percio', che la dichiarazione di ricusazione proposta da Caterino Giuseppe nei confronti della dott.ssa Giordano debba essere dichiarata inammissibile (con la condanna del Caterino al pagamento di lire un milione alla Cassa delle ammende), e che le dichiarazioni di ricusazione proposte da Zagaria Vincenzo, D'Alessandro Cipriano, Iovine Mario, Caterino Giuseppe, Diana Raffaele, Martinelli Enrico, Panaro Sebastiano, Schiavone Mario, Alfiero Nicola, Alfiero Vincenzo, Ferraro Sebastiano, Cacciapuoti Alfonso, Venosa Salvatore e Venosa Umberto nei confronti del dott. Alberto Pacelli e quelle proposte dallo Zagaria, dal D'Alessandro, dal Diana, dal Martinelli, dal Panaro e da Schiavone Mario nei confronti della dott.ssa Elena Giordano debbano essere rigettate, senza condanna al pagamento di alcuna somma, in considerazione della complessita' delle questioni trattate; In merito alle restanti dichiarazioni, osserva che nel caso in esame del tutto inconferenti si manifestano i richiami, operati in alcune delle dichiarazioni di ricusazione, all'art. 34 (tramite il rinvio che ne fa l'art. 36, comma 1, lettera G c.p.p.), dal momento che e' fuori discussione che l'eventuale violazione del principio generale che esso tende a tutelare non si verificherebbe nell'ambito dello stesso processo, bensi' in relazione alla partecipazione dei giudici a differenti procedimenti, implicanti comunque un'anticipazione di giudizio; che, pertanto, mentre sicuramente non si attaglia alla fattispecie l'istituto dell'incompatibilita', neppure puo' farsi ricorso alla ricusazione in relazione alle due ipotesi previste dall'art. 37 comma 1 c.p.p.; e questo perche', nel primo caso, per il rinvio fatto dall'art. 37, comma c.p.p. al comma 1, dell'art. 36 c.p.p., e per il successivo richiamo che quest'ultimo (alla lettera G del comma 1) opera dell'art. 34, la ricusazione deve intendersi allo stato praticale solo in caso di situazioni di prevenzione endoprocessuale; ed inoltre, sotto il secondo profilo, perche' nella previsione di cui alla lettera B, comma 1 la ricusazione e' riferibile solo all'ipotesi di manifestazione indebita da parte del giudice del proprio convincimento in relazione ad un procedimento in corso, alla decisione del quale sia chiamato a partecipare (circostanza, questa, non rinvenibile nel caso in esame); che, d'altra parte, neppure e' possibile fare riferimento, per consentire un utile risultato, alla sentenza n. 371 del 1996 della Corte costituzionale, pure invocata da taluni dei risultanti, perche' la stessa Corte, con le cinque sentenze emesse in materia nell'anno 1997, e gia' citate, ha individuato lo stretto ambito di applicazione della suddetta sentenza, limitandolo ai casi, certamente non ricorrenti nella specie, di endoprocessualita' c.d. sostanziale (o allargata) dell'incompatibilita'; Sottolinea, inoltre, come in tutte le citate sentenze la Corte abbia esplicitamente affermato che, qualora le norme che regolano l'astensione e la ricusazione non siano in grado, per la loro attuale formulazione, di garantire la tutela complessiva cui sono preposte, sarebbe stato opportuno, ed anzi necessario, sollecitare da parte del giudice il suo intervento, al fine di garantire in ogni caso la tutela del giusto processo; Rileva che, a questo punto, vanno opportunamente confrontate da un canto le reiterate affermazione della Corte nelle piu' volte ricordate sentenze ed in pregresse pronunzie, secondo cui quello dell'imparzialita' del giudice costituisce un principio superiore di rango costituzionale al quale deve essere informato il processo, unita all'ulteriore affermazione che il rispetto di tale principio deve essere affidato, in tutti i suoi aspetti ed in tutte le sue eventuali articolazioni, al sistema complessivo, e sostanzialmente finalizzato all'identico scopo, formato dagli istituti dell'incompatibilita', dell'astensione e della ricusazione, e dall'altro l'impossibilita' di fornire, alla stregua di questi istituti cosi' come attualmente regolamentati dal codice di rito, adeguata ed esaustiva garanzia dell'applicazione integrale del principio enunciato; con la conseguenza che la norma di cui all'art. 37, comma 1 c.p.p. appare in conflitto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede, tra le ipotesi di ricusazione, anche quella di situazioni pregiudicanti riferite a rapporti processuali che non investono lo stesso procedimento; che nell'ambito del comma 1 dell'art. 37, mentre non appare censurabile di contrasto con la legge fondamentale la lettera A, laddove esclude tra i motivi di ricusazione le "altre gravi ragioni di convenienza" previste invece per il solo istituto dell'astensione, trovando ragione tale esclusione nell'intenzione di evitare che l'estrema genericita' dell'espressione potesse indurre a richieste strumentali e pretestuose (vedi in questo senso la relazione al progetto preliminare del vigente codice di rito), un possibile contrasto con gli articoli della Costituzione sopra richiamati si delinea invece in riferimento alla lettera B della citata norma; che, piu' in particolare, il contrasto con l'art. 3, comma 1 si pone per la diversa tutela che riceve l'imputato allorche', in presenza di una identica situazione (prevenzione del giudice chiamato a giudicarlo, per avere lo stesso anticipato legittimamente il suo convincimento, in varie e non prevedibili forme di partecipazione ad altri processi), vede tutelato il suo diritto all'imparzialita' del giudice solo se questi, richiamandosi all'art. 36, comma 1, lettera H, ritenga di astenersi, mentre, in assenza di una siffatta dichiarazione di astensione, e pur ricorrendo gli stessi motivi, non gli e' consentito di fare ricorso alla ricusazione, al fine di ottenere per altra via lo stesso risultato, in quanto l'ipotesi di cui alla lettera B del comma 1 non contempla la legittima (nel senso di "dovuta" in ragione dell'esercizio delle proprie funzioni) espressione del proprio convincimento da parte del giudice, avvenuta in precedenza ed in altro procedimento, e sempre su fatti oggetto dell'imputazione propria del processo nel quale sia proposta la dichiarazione di ricusazione; che peraltro, sotto un diverso aspetto, si puo' configurare anche un contrasto con la norma di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione perche' risulterebbe menomato il primario diritto alla difesa, di cui l'esercizio del diritto alla ricusazione costituisce senza dubbio una delle multiformi manifestazioni. Su queste premesse la Corte, ritenendo non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale come sopra puntualizzata in relazione all'art. 37, comma 1, lettera B c.p.p., e considerando altresi' che essa appare, per il complesso di motivi in fatto ed in diritto fin qui esposti, rilevante ai fini della decisione del giudizio che si svolge dinanzi a se', solleva di ufficio la suddetta questione, disponendo conseguentemente la sospensione del procedimento incidentale di ricusazione per la residua parte che riguarda gli imputati Reccia Stefano, Mauriello Francesco, Caterino Mario, Coppola Antonio, Carannante Francesco, Schiavone Francesco di Nicola e Zara Alfredo, nonche' la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dovendosi presumere che la decisione della Corte costituzionale non potra' intervenire in tempi brevi, appare opportuno alla Corte fare uso del potere, previsto dal comma 2, dell'art. 41 c.p.p., di sospensione dei due giudici ricusati da ogni attivita' processuale, fatti salvi gli atti urgenti, nei confronti dei soli imputati ricusanti la cui posizione resta sospesa in attesa della pronunzia della Corte costituzionale.