IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 894 del 2000, proposta da Amato Francesco, rappresentato e difeso dagli avv.ti Claudio Dondi e Barbara Botti ed elettivamente domiciliato presso quest'ultima in Brescia, via Vittorio Emanuele II, n. 43; Contro la Prefettura della provincia di Mantova, in persona del prefetto pro-tempore costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso ex lege dall'avvocatura distrettuale dello Stato ed ope legis domiciliato presso la sede della stessa, in Brescia, via S. Caterina, 6; Per l'annullamento, previa sospensione del provvedimento in data 10 maggio 2000, prot. n. 2598/ll/P, con il quale il prefetto della provincia di Mantova ha revocato al ricorrente la patente di guida ctg "C" n. RC2263155S e di ogni altro documento di guida in suo eventuale possesso; Visto il ricorso, con i relativi allegati; Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione dell'interno; Vista la propria ordinanza n. 577/2000 emessa nell'odierna Camera di Consiglio; Visti gli atti tutti della causa; Udito, nella Camera di Consiglio del 22 settembre 2000, il relatore cons. Alessandra Farina; Uditi, altresi', l'avv. n. Rubino in sostituzione dell'avv. C. Dondi, per il ricorrente e l'avv. Lucia Piotti dello Stato per l'amministrazione intimata; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o 1. - Questo tribunale amministrativo e' chiamato a decidere, nella sede cautelare, sul ricorso, proposto dall'interessato, per l'annullamento di un provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, adottato in conseguenza della sottoposizione del titolare alla misura di prevenzione del rimpatrio con foglio di via obbligatorio, misura disposta con provvedimento del questore della provincia di Parma. Con provvedimento in data 18 aprile 2000 del questore di Parma, infatti il ricorrente veniva munito di foglio di via obbligatorio, ai sensi dell'art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327. Con il provvedimento impugnato il prefetto della provincia di Mantova disponeva, pertanto, la revoca della patente di guida del ricorrente, alla luce del citato ordine di rimpatrio, ritenendo che per l'effetto dello stesso, visto l'art. 120 del N.C.D.S. approvato con decreto legislativo del 30 aprile 1992, n. 285 e il d.P.R. 19 aprile 1994 n. 575, l'interessato non fosse piu' in possesso dei requisiti morali per la guida dei veicoli. Veniva, pertanto, notificato in data 24 luglio 2000 e depositato in data 5 agosto 2000 presso questa sezione, il ricorso giurisdizionale de quo avverso il decreto prefettizio di revoca, adducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 120, primo comma N.C.D.S., nonche' il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti. Contestualmente l'istante chiedeva la sospensione del provvedimento impugnato, adducendo il danno grave ed irreparabile, derivante dall'esecuzione dello stesso, tenuto conto della necessita' del ricorrente di utilizzare la patente di guida per lo svolgimento della propria attivita' lavorativa. Si costituiva in giudizio l'amministrazione dell'interno, chiedendo il rigetto del ricorso. 1.2 - Con separata ordinanza, pronunciata nella stessa odierna Camera di consiglio, il collegio ha accolto provvisoriamente, valutata positivamente la gravita' ed irreparabilita' del danno addotto, la suindicata domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, rinviando ogni definitiva pronuncia in sede cautelare all'esito del promovendo giudizio di costituzionalita' dell'art. 120, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992, di cui il collegio deve fare applicazione ai fini dell'accertamento, nella sede cautelare, del requisito del fumus boni iuris del ricorso. D i r i t t o 1. - Il provvedimento impugnato risulta adottato in applicazione del vigente art. 120 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (codice della strada), che, al comma 1, prescrive che la revoca della patente consegua, vincolativamente, a carico dei "delinquenti abituali, professionali o per tendenza", nonche' di "coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla legge 3 agosto 1988, n. 327, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, cosi' come successivamente modificata e integrata, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonche' alle persone condannate a pena detentiva, non inferiore a tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura". Questa disciplina risulta dall'aggiornamento effettuato con il d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, entrato in vigore a partire dal 1ยบ ottobre 1995 (ex art. 2, comma 2, d.l. 25 novembre 1995, n. 501, convertito, con modificazioni, in legge 5 gennaio 1996, n. 11). A seguito di tale aggiornamento l'art. 120 del codice della strada e' rimasto sostanzialmente immutato relativamente alla parte che rileva ai fini della questione qui sollevata, giacche' esso continua a ritenere privo dei requisiti "morali" per il valido possesso del titolo di abilitazione alla guida (cui fa riferimento la rubrica della norma, rimasta peraltro immutata nelle due versioni ante e post d.P.R. n. 575) chi sia sottoposto a misure di sicurezza personali ed a misure di prevenzione (fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi) e continua dunque a prescrivere la revoca della patente in presenza di dette circostanze; si' che se ne deve dedurre la sindacabilita', in sede di giudizio costituzionale, della norma in argomento, stante il valore normativo da attribuirsi alla disposizione contenuta nel regolamento, nella parte in cui indica le condizioni sostanziali della revoca della patente (materia non soggetta a "delegificazione" a norma dell'art. 2, comma 7, della legge n. 537 del 1993), in relazione alla quale non pare operare la clausola abrogativa dell'originario art. 120 del codice della strada, contenuta nell'art. 2, comma 8, della legge n. 537 cit. In base, dunque, all'art. 120 del codice della strada, la sottoposizione ad una misura di sicurezza, o ad una misura di prevenzione, fa scattare il dovere di revocare la patente di guida, senza che risulti possibile ne' influente alcun giudizio dell'amministrazione circa la connessione tra la pericolosita' sociale del soggetto ed il possesso del titolo di abilitazione alla guida, ne' circa la probabilita' che tale possesso possa agevolare la commissione di un reato (od il compimento di un fatto previsto come reato, ma considerato dalla legge, ai fini che qui interessano, equivalente). "La misura della revoca della patente si puo' spiegare, allora, in una luce o sanzionatoria o preventiva, in ogni caso in una logica, in senso lato, penalistica" (Corte cost., 21 ottobre 1998, n. 354); essa, si puo' aggiungere, in relazione ad in eludibili esigenze di tutela delle ragioni di pubblica sicurezza, configura un'ipotesi di revoca obbligatoria di un titolo gia' rilasciato, in presenza dei presupposti indicati dalla norma, secondo uno schema analogo a quello previsto dall'art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 in tema di revoca delle licenze di polizia amministrativa. Tale revoca, concernente coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza personali od alle misure di prevenzione specificate dalla legge, non puo' nemmeno considerarsi soggetta a quelle particolari condizioni, dettate dalla stessa norma per coloro che siano condannati a pena detentiva non inferiore a tre anni, a quel giudizio, cioe', circa la possibilita' che "l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura". Tali condizioni nell'interpretazione logico-letterale della norma (nonche' nell'interpretazione storica, compiuta attraverso il raffronto delle disposizioni attuali con quelle dell'originario art. 120) e per il contesto in cui risultano inserite, si configurano come limite posto all'autorita' competente (limite posto evidentemente a contemperamento dell'interesse generale alla sicurezza pubblica e di quello individuale dell'interessato) esclusivamente in relazione alla ipotesi di re'voca della patente conseguente all'intervenuta condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni e non anche con riguardo all'altra, distinta fattispecie, che, enucleata dalla stessa norma, viene qui in considerazione. L'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con il quale e' stato approvato il nuovo codice della strada, prevede, infatti, al comma 1, due distinti tipi di elementi ostativi al possesso dei requisiti morali (da intendersi come moralita' pubblica e percio' come fatto di apprezzamento sociale) per il rilascio del documento abilitativo alla guida di autoveicoli a motore: il primo riguarda l'esser stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ovvero essere stati sottoposti a misure di sicurezza personali od alle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e successive modificazioni, salvo che non intervenga un provvedimento di riabilitazione; il secondo concerne l'intervenuta condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni, quando si ritenga (e si dimostri) che il possesso della patente di guida possa agevolare il soggetto nel compimento di reati della stessa natura. In tal modo, peraltro e per quanto piu' qui ne interessa, la disposizione dettata dal legislatore (prima del 1992 e poi del 1994) va nel senso di un indubbio maggior rigore del nuovo codice rispetto al precedente testo unico del 1959, che precludeva il rilascio - ed imponeva la revoca - della patente solo nei confronti di "coloro che sono sottoposti a misure amministrative di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423" (art. 82, comma 1, del d.P.R. n. 393), escludendo, dunque, dal proprio ambito coloro che si fossero visti applicare la sola misura di cui all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956, ch'e' poi appunto quella che ha portato, nel caso all'esame, alla emanazione del provvedimento di revoca impugnato. Cosi' delineato il quadro normativo di riferimento, la rilevanza, nella fattispecie, della questione di costituzionalita' che si ritiene di sollevare in via d'ufficio, in relazione all'art. 120 del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, relativamente al comma 1 dello stesso art. 120, e' evidente: in mancanza di una pronuncia della Corte costituzionale in ordine alla illegittimita' costituzionale della norma in questa sede censurata, il provvedimento di revoca della patente di guida, nei confronti del ricorrente emanato dal prefetto della provincia di Mantova e motivato con l'apodittica considerazione della perdita dei requisiti morali a seguito del provvedimento di rimpatrio con foglio di via adottato dal questore nei suoi stessi confronti, deve ritenersi atto dovuto, per effetto delle disposizioni legislative vigenti e, conseguentemente, il ricorso (e prima ancora la domanda incidentale di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato) non potranno che essere rigettati. 2. - Relativamente alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma in argomento, il collegio rileva quanto segue. La scelta, compiuta dal legislatore con la norma che ne occupa (sia anteriore che successiva al d.P.R. n. 575 del 1994), e', ad avviso di questo giudice, anzitutto irragionevole e percio' lesiva dell'art. 3 Cost. L'indiscutibile riserva alla discrezionalita' legislativa delle scelte di carattere sanzionatorio deve, infatti, comunque rispettare il limite della ragionevolezza, giacche' il legislatore non puo' considerarsi arbitro assoluto di tali scelte, ma deve collegare ogni previsione ad un effettivo interesse da tutelare, bilanciandolo col sacrificio imposto al destinatario della previsione sanzionatoria. Un siffatto equilibrio non e' ravvisabile nella norma in considerazione, poiche', ove l'esplicazione della normale attivita' e vita di relazione dell'individuo ed, in particolare, la sua attivita' lavorativa richieda l'uso di un automezzo e, quindi, della relativa patente di guida (com'e' nella quotidianita' e normalita' della vita di milioni di cittadini e dunque anche del ricorrente nel presente giudizio), il ritiro del titolo abilitativo nel corso dell'esecuzione della misura di prevenzione (nella fattispecie quella del rimpatrio con foglio di via obbligatorio) sarebbe contraddittorio rispetto alla finalita' preventiva/rieducativa pacificamente assegnata dalla dottrina alla misura medesima. Il legislatore, nel prevedere, in particolare, che la revoca della patente, quale atto prefettizio vincolato, debba conseguire alla applicazione definitiva della misura di prevenzione di cui all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956 (che ha attribuito al Questore il potere di adottare, nei confronti delle persone indicate all'art. 1, che siano pericolose per la sicurezza pubblica e che si trovino fuori dei luoghi di residenza, un provvedimento motivato, con il quale dette persone vengono rimandate nel luogo di loro residenza con foglio di via obbligatorio, con inibizione a ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono state allontanate), mostra di privilegiare, sempre non ragionevolmente, l'interesse generale al controllo della persona, in vista della prevenzione di possibili attivita' illecite, rispetto alla posizione del singolo; cio' nella presunzione assoluta, trasfusa nella previsione di legge, che il possesso del titolo permissivo della guida favorisca ed incentivi il soggetto a quelle attivita' e condotte, socialmente pericolose la cui neutralizzazione giustifica l'adozione della misura di prevenzione. Ma se quelle attivita', quali fattispecie indiziarie di sospetto, hanno semplicemente indotto l'autorita' amministrativa alla adozione della misura socialpreventiva del rimpatrio (ritenuta di per se' necessaria e sufficiente allo scopo di argine della pericolosita' sociale dell'individuo di cui si tratti), la revoca della patente, che ne consegue quale atto vincolato in forza della disposizione sottoposta allo scrutinio di costituzionalita', viene a configurarsi come una sanzione accessoria del tutto incongrua e sproporzionata rispetto alla misura di prevenzione cui viene ad accedere automaticamente. Non ha senso, infatti, in relazione a tale misura, la revoca della patente, l'interesse pubblico sotteso alla misura stessa essendo chiaramente limitato ed inerente al divieto di far ritorno nel comune dal quale il prevenuto sia allontanato; rispetto a tale interesse la revoca della patente appare ad un tempo sproporzionata (inibendo ben altre attivita' e possibilita' di spostamento, che il mero ritorno in quel comune) ed inadeguata, potendo l'interessato ricorrere, anche se privo della patente, ad espedienti diversi per aggirare il divieto. In definitiva, il sacrificio imposto, con la revoca della patente, a chi sia stato sottoposto a misura di prevenzione (ed in specie a quella del rimpatrio con foglio di via) appare eccessivo e sbilanciato rispetto all'interesse pubblico alla sicurezza, che puo' considerarsi sufficientemente tutelato e presidiato dalla misura in se' stessa considerata; il quale interesse, poi, a ben vedere, finisce anch'esso per risultare poco tutelato proprio a cagione della sanzione accessoria in questione, se si considera che in genere le occasioni di lavoro lecito, che sono offerte dal mercato alle categorie di persone in discorso (individuate in base al riferimento ad attivita' potenzialmente costituenti illecito penale), richiedono, di fatto, il possesso della patente. Si profila, quindi, anche la violazione dell'art. 4 Cost., per irragionevole limitazione nell'accesso al lavoro, quale aspetto del diritto garantito dalla citata norma costituzionale, sovente qualificato dal giudice delle leggi come fondamentale diritto di liberta' della persona. Anche sotto questo aspetto, v'e' da considerare che le limitazioni, che la legge puo' porre a tutela di altri interessi aventi protezione costituzionale - in questo caso la sicurezza della collettivita' - non possono giungere al punto di determinare la pratica soppressione, o comunque la gravissima compromissione, del diritto individuale. Anche, poi, a voler ritenere che la limitazione dei diritti dell'interessato derivante dall'applicazione dell'art. 120 Cod. str. in relazione alle misure di prevenzione, possa essere talvolta giustificata rispetto alle finalita' che la norma vuole raggiungere, la norma risulta comunque non conforme al principio di ragionevolezza laddove non prevede, come fa invece per la fattispecie relativa alla revoca della patente di chi sia stato condannato ad almeno tre anni di pena detentiva, un esame relazionale fra la misura irrogata e la possibilita' che il possesso del documento di abilitazione alla guida possa agevolare il compimento di ulteriori reati della stessa (o di altra, piu' grave) natura o, meglio, trattandosi di misure che hanno come caratteristica peculiare quella di essere applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato, la necessita' di una valutazione dell'autorita' amministrativa, da effettuarsi caso per caso, circa la possibilita' che la pericolosita' sociale attribuita ai soggetti irrogatarii di misure di prevenzione possa risultare accresciuta, o quanto meno agevolata, da tale possesso o, per converso, circa la possibilita' che la revoca della patente valga a tamponare la pericolosita' stessa e le attitudini delinquenziali del soggetto. Tale nesso di relazionalita', peraltro, esiste, nella norma in esame, per chi sia stato condannato ad almeno tre anni di pena detentiva (e quindi per chi abbia gia' commesso un reato) e non sussiste affatto (ma nel senso che non e' prevista ne' possibile la revoca della patente) per chi sia stato condannato a pena detentiva inferiore ai tre anni. Il che impinge clamorosamente ancora con l'art. 3 della Costituzione, per disparita' di trattamento tra soggetti condannati (trattati in varia misura a seconda che si tratti di pena superiore od inferiore ai tre anni, ma comunque meglio) e soggetti comunque non condannati (e sottoposti ad un mero "surrogato" della normale e piu' garantistica repressione penale) e con l'art. 35 della stessa Carta fondamentale, laddove, senza obiettive ragioni derivanti da una seria istruttoria, la revoca rende quanto meno difficoltoso, lo svolgimento dell'attivita' lavorativa (v. tribunale amministrativo regionale Lazio, I ter, ord. 29 settembre 1998, n. 2766). Se, infine, la norma delegante (art. 2, lettera t), della legge n. 190 del 1991), dalla quale trae origine l'art. 120 in argomento, considera, con un riferimento generale, i "soggetti sottoposti" a determinate misure (la disposizione prevede, infatti, letteralmente il "riesame della disciplina... della revoca della patente di guida, anche con riferimento ai soggetti sottoposti a misure di sicurezza personale e a misure di prevenzione") e se questa indicazione - contrariamente a quanto il legislatore delegante ha inteso nell'incipit dell'art. 2, ove le lettere da a) a gg) sono qualificate come "criteri e principi direttivi" - ha a che vedere piuttosto con la definizione e la specificazione della materia oggetto di delegazione, nell'ambito della generica e generale materia della "disciplina della circolazione stradale" (v. Corte cost., 21 ottobre 1998, n. 354), questo giudice rimettente ritiene che l'art. 120 del codice della strada, nella parte in cui comporta la revoca della patente nei confronti delle persone che siano sottoposte ad una qualsiasi delle misure di prevenzione di cui alla legge n. 1423 del 1956, violi l'art. 2, lettera t), della legge n. 190 del 1991 e quindi l'art. 76 Cost. La previsione del nuovo codice della strada non trova, infatti, riscontro nella legislazione previgente, nella quale (art. 82, comma 1 e art. 91, comma 13, n. 2, d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393) la revoca della patente era prevista nei confronti di coloro che fossero "sottoposti... alle misure di prevenzione previste dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423" e dunque solo nei confronti dei soggetti ai quali fosse applicata la misura della "sorveglianza speciale della pubblica sicurezza". Trattandosi dunque di una innovazione, la si dovrebbe poter giustificare alla stregua dei principii e criteri direttivi posti in generale dalla legge di delegazione citata. Ma cosi' non e'. Nessun principio o criterio direttivo, che giustifichi la previsione della misura amministrativa sanzionatoria de qua anche nei confronti dei soggetti sottoposti alla misura di prevenzione del rimpatrio con foglio di via obbligatorio, risulta, invero, dalla legge delega, ne' direttamente, ne' indirettamente per il tramite del riferimento agli impegni comunitari od internazionali assunti dallo Stato italiano. Cosicche' deve concludersi che il legislatore delegato non fosse abilitato a modificare in senso innovativo e restrittivo la disciplina dettata in proposito dalla precedente legislazione, con la conseguenza che la norma va denunciata d'illegittimita' costituzionale per violazione della legge di delegazione e, per essa, dell'art. 76 Cost. 3. - Per quanto sopra esposto, il collegio considera rilevante - ai fini della definitiva pronuncia sulla domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato - e non manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalita' della disposizione di legge suindicata (art. 120, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992) e, conseguentemente, ritiene che la indicata questione, nei termini e nei limiti sopra delineati, debba essere rimessa all'esame della stessa Corte, in relazione agli artt. 3, 4, 35 e 76 della Costituzione.