ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 204-bis,
comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice
della   strada),   introdotto   dall'art. 4,   comma 1-septies,   del
decreto-legge  27  giugno 2003,  n. 151 (Modifiche ed integrazioni al
codice  della  strada),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
1° agosto 2003, n. 214, promosso con ordinanza del 14 maggio 2004 dal
Giudice di pace di Pergola nel procedimento civile vertente tra Olivo
Mauro  e  il  Comune  di San Lorenzo in Campo, iscritta al n. 708 del
registro  ordinanze  2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 aprile 2005 il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Ritenuto  che  il  Giudice  di  pace di Pergola ha sollevato - in
riferimento    all'art. 3   Cost.   -   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 204-bis,  comma 8,  del decreto legislativo
30 aprile  1992,  n. 285  (Nuovo  codice  della  strada),  introdotto
dall'art. 4,   comma 1-septies,  del  decreto-legge  27  giugno 2003,
n. 151   (Modifiche   ed   integrazioni   al  codice  della  strada),
convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214;
        che  il rimettente - nel premettere di essere stato adito, ai
sensi  dell'art. 204-bis  del codice della strada, per l'annullamento
di  un  provvedimento  amministrativo  «con  il quale veniva irrogata
sanzione  amministrativa con decurtazione dei punti della patente del
ricorrente»  -  evidenzia  come,  ai  sensi del comma 8 dell'articolo
suddetto,  «solo  con  l'accoglimento  del  ricorso  si  possa  (...)
annullare  la  sanzione accessoria» a quella pecuniaria e costituita,
appunto, dalla decurtazione dei punti dalla patente di guida;
        che  siffatto limitato potere d'intervento contrasterebbe - a
suo  dire  -  con  l'art. 23  della  legge  24 novembre  1981, n. 689
(Modifiche  al  sistema  penale),  atteso  che,  in  base ad essa, il
giudice  investito dell'opposizione proposta avverso il provvedimento
sanzionatorio   puo'   accogliere  il  ricorso  proposto  anche  solo
parzialmente,  e  dunque  «limitatamente  all'entita'  della sanzione
dovuta»;
        che,  inoltre,  secondo il rimettente, poiche' nell'esercizio
di tale potere modificativo il principio del libero convincimento del
giudice,  sancito  dal  comma 7  del medesimo art. 204-bis del codice
della  strada,  incontra il solo limite consistente «nel rispetto del
minimo  edittale di legge», se ne deduce che siffatto potere dovrebbe
potersi  esplicare  liberamente  -  fermo  il rispetto di quell'unica
condizione  appena  indicata  -  anche  con riferimento alle sanzioni
accessorie,    cosi'    da   consentire   all'autorita'   giudiziaria
«l'applicazione  normativa  piu'  rispondente  e piu' giusta rispetto
all'asettica applicazione della legge»;
        che  essendo,  per contro, «evidente l'irragionevolezza della
norma  in  ordine  all'automatismo della applicazione della sanzione»
accessoria  (risultando,  come  visto, precluso ogni intervento sulla
stessa in caso di reiezione del ricorso), il giudice a quo ha chiesto
la  declaratoria  d'illegittimita' costituzionale - per contrasto con
l'art. 3  Cost. - del summenzionato comma 8 dell'articolo 204-bis del
codice  della  strada, nella parte in cui preclude al giudice di pace
«l'applicazione  delle  sanzioni  accessorie o della decurtazione dei
punti  dalla  patente in caso di rigetto del ricorso, e/o comunque il
parziale  accoglimento  del ricorso anche limitatamente alle sanzioni
accessorie»;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  assumendo  che  la questione sollevata dal Giudice di pace di
Pergola sarebbe «inammissibile, prima ancora che infondata»;
        che  secondo  la  difesa erariale «la sanzione amministrativa
accessoria  non  puo'  prescindere in nessun caso dalle vicende della
sanzione  principale»,  giacche'  ai sensi dell'art. 210 del medesimo
codice  della  strada,  allorche'  «ad  una  sanzione  amministrativa
pecuniaria   consegua   una   sanzione   accessoria  non  pecuniaria,
quest'ultima si applica di diritto»;
        che,   pertanto,  tutte  le  volte  in  cui  il  giudizio  di
opposizione  «si  conclude con l'accertamento della sussistenza della
violazione  stradale  e la conferma della applicazione della sanzione
principale»,  la  sanzione  accessoria «viene in essere "ope legis"»,
come  ulteriore  conseguenza  della violazione commessa, senza che il
giudice possa escluderne totalmente l'applicabilita»;
        che  resta,  peraltro,  «ferma»  -  prosegue  l'Avvocatura  -
«l'operativita'  dell'art. 23  della  legge 24 novembre 1981, n. 689,
che   prevede   l'annullamento   parziale  dell'ordinanza  impugnata,
permanendo,   quindi,  inalterata  la  possibilita'  che  il  giudice
disponga   una  modifica  in  melius  della  sanzione  amministrativa
accessoria disposta dalla autorita' amministrativa»;
        che,   pertanto,   il   complessivo   sistema  delineato  dal
legislatore  -  conclude  la  difesa  erariale - e' tale che non puo'
ravvisarsi alcuna violazione del dettato costituzionale, considerato,
da  un  lato, «che il giudice di pace rimane libero nella valutazione
sulla    sussistenza   degli   elementi   costitutivi   dell'illecito
amministrativo»,   nonche',  dall'altro,  «che  il  meccanismo  della
previsione  di  pene accessorie obbligatorie nell'an e nel quantum e'
da  decenni  presente  nel  sistema  sanzionatorio»,  in special modo
quello  penale, «senza che in cio' sia mai stata ravvisata violazione
delle  prerogative del giudice della cognizione ovvero violazione del
principio del libero convincimento».
    Considerato  che  il Giudice di pace di Pergola ha sollevato - in
riferimento  all'art. 3  della Costituzione questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 204-bis,  comma 8,  del decreto legislativo
30 aprile  1992,  n. 285  (Nuovo  codice  della  strada),  introdotto
dall'art. 4,   comma 1-septies,  del  decreto-legge  27  giugno 2003,
n. 151   (Modifiche   ed   integrazioni   al  codice  della  strada),
convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214;
        che,  in  sostanza,  il  rimettente si duole del fatto che la
disposizione   impugnata,  nel  disciplinare  il  ricorso  esperibile
avverso  il  verbale  di  contestazione  di  una infrazione stradale,
«impone   che   solo   con   l'accoglimento   del  ricorso  si  possa
conseguentemente annullare la sanzione accessoria»;
        che la questione sollevata e' manifestamente infondata;
        che,  anche  prescindendo dal rilievo - presente nelle difese
proposte  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  secondo  cui le
sanzioni  accessorie,  per  loro  stessa  natura, «accedono» a quelle
principali  (di  talche'  le  une  e  le altre, per cosi' dire, simul
stabunt,   simul   cadent),   deve  osservarsi  come  il  divieto  di
intervenire   sulle  stesse,  nell'ipotesi  di  rigetto  del  ricorso
giurisdizionale, non risulti affatto viziato da irragionevolezza;
        che,  difatti,  se  la  complessiva  disciplina sanzionatoria
prevista  dal  codice della strada (ivi comprese, quindi, le sanzioni
accessorie  di  cui  agli  articoli da 210 a 219 del medesimo codice)
tende  a  soddisfare  -  come  ancora recentemente ribadito da questa
Corte  -  «l'esigenza,  connessa  alla  strutturale pericolosita' dei
veicoli  a motore, di assicurare l'incolumita' personale dei soggetti
coinvolti  nella loro circolazione (conducenti, trasportati, pedoni)»
(sentenza   n. 428   del   2004),  appare  allora  evidente  come  la
salvaguardia di tale esigenza non possa certo giustificare interventi
volti  ad  escludere  l'operativita'  delle  sanzioni  amministrative
accessorie  in  un  caso  -  quale  quello  contemplato  dalla  norma
impugnata - connotato dalla reiezione del ricorso proposto avverso il
verbale  di  contestazione  dell'infrazione, e quindi, in definitiva,
dalla conferma della sua legittimita';
        che, invero, anche ragioni di coerenza sistematica confermano
la  validita'  di  tale assunto e, quindi, impongono il rigetto della
presente questione di legittimita' costituzionale;
        che  non va trascurato, difatti, come questa Corte abbia gia'
piu'  volte  riconosciuto  «l'ininfluenza sulla durata delle sanzioni
accessorie  dell'estinzione  della  sanzione  pecuniaria principale a
seguito   di   intervenuto   pagamento,   prevista  in  via  generale
dall'art. 202   del   codice   della   strada»,  precisando  come  la
persistente  applicabilita'  delle sanzioni de quibus, pur in caso di
avvenuta   oblazione   dell'illecito  amministrativo,  risponda  alla
necessita'   di   garantire   «la   finalita',   comune   al  sistema
sanzionatorio   del   codice   della   strada»,  e  cioe'  quella  di
«contrastare   in   modo   effettivo   ed   immediato   le   condotte
potenzialmente pericolose» (ordinanze numeri 282 e 278 del 2001);
        che,   pertanto,   se   neppure   l'estinzione  dell'illecito
amministrativo, in ragione dell'avvenuto pagamento in misura ridotta,
consente  al  giudice  alcun  intervento  modificativo sulla sanzione
accessoria (o finanche solo sulla sua entita), non si vede come possa
tacciarsi  di irragionevolezza la mancata previsione di un intervento
siffatto  allorche' il giudice, addirittura, rigetti il ricorso volto
a   contestare   la   legittimita'   del   verbale  di  contestazione
dell'infrazione stradale.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.