IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  ai  sensi dell'art. 23,
comma 2,  legge  n. 87/1953,  sul  ricorso  n. 1540/2006 proposto da:
Nicosia  Alfio,  Calderone  Antonino,  Raffa  Angela,  Mauceri  Laura
Grazia,  Famoso Giacomo, Bandieramonte Piero Ignazio, Libra Domenico,
Spinello  Riccardo,  Iadot  Brigitte,  CHIPS  S.n.c., Mangano Angelo,
Leone  Santa,  Rossi  Santo,  Rossi  Marinella, De Filippo Salvatore,
Scuderi  Salvatore,  Daidone Simona, Scuderi Alessandro, Razza Mario,
Grancagnolo  Edoardo, Indelicato Augusto, Intelisano Davide, Genovese
Giacomo  Alessandro,  Pistorio  Francesco,  Accetti Antonio, Lombardo
Maria,  Pettinato  Filippo,  Meli  Filippo, Zappala' Iolanda, Catania
Giuseppa,  Tiraboschi  Antonino,  Alamo Gabriella Alessandra, Musmeci
Antonino,  Meli  Manuela,  Distefano  Angelo,  Marino Orazio, Giulivo
Vanda  Maria,  Marino  Fabio,  Pulvirenti Girolamo, Paratore Roberta,
Marano  Pietro,  Scalia Grazia, Iulianello Floriana, il condominio di
Catania,  via G . Leopardi n. 83, il condominio di Catania, piazza L.
Ariosto  n. 13,  il  condominio  di Catania, via Metastasio n. 12, il
condominio  di  Catania,  piazza  L.  Ariosto  n. 3, il condominio di
Catania,  piazza  L.  Ariosto  n. 3,  il  condominio  di Catania, via
Metastasio  n. 25,  il  condominio  di  Catania  via Metastasio n. 9,
Verona  Nunzio,  Bonvegna Concetto, Gerardi Mariella, Rizzo Giuseppe,
Pedano  Davide,  Bonvegna  Rosario  (1985),  Bonvegna Rosario (1974),
Verona  Giuseppe,  Bellia  Alessandro,  Boccafoschi  Giuseppa, Monaco
Melania,  Strazzeri  Antonino, tutti rappresentati e difesi dall'avv.
Salvatore Mauceri, che li rappresenta congiuntamente e disgiuntamente
con  l'avv.  Filippo  Lo Iudice, con domicilio eletto in Catania, via
Conte Ruggero n. 9;
    Contro  il comune di Catania, in persona del sindaco pro tempore,
non costituito, l'A.T.I. costituita dalla S.p.A. «Siciliana Carbolio»
mandataria  capogruppo  e  «STI»  S.p.A.,  mandante,  rappresentata e
difese  dall'avv. Maria Puglisi con domicilio eletto presso lo studio
di  quest'ultima in Catania, corso Italia n. 137, per l' annullamento
previa  sospensione,  del  provvedimento  del  direttore dell'ufficio
speciale  per  l'emergenza  traffico  e  per  la  sicurezza  sismica,
responsabile  unico  del  procedimento,  del  2  maggio  2005,  prot.
149/DIR, con cui e' stata aggiudicata all'A.T.I. controinteressata la
progettazione  definitiva  ed esecutiva, costruzione e gestione di un
parcheggio  sostitutivo della sosta per strada in proprieta' comunale
denominato  «Asiago»,  nonche'  degli  atti propedeutici, precedenti,
connessi e consequenziali, anche se sconosciuti;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di  costituzione  nel  giudizio  della  societa'
Siciliana Carbolio S.p.A.;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  nella  camera di consiglio dell'8 giugno 2006 il relatore,
referendario dott. Salvatore Gatto Costantino;
    Uditi  altresi'  gli  avvocati  delle  parti,  come  da  relativo
verbale;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue.
                           I n  f a t t o
    Espongono  i  ricorrenti  che,  nominato  il  sindaco  di Catania
commissario  delegato  di protezione civile per l'emergenza traffico,
quest'ultimo  ha  approvato nove progetti-localizzazioni di parcheggi
sotterranei  nella citta', da realizzarsi mediante project financing.
Uno  tra questi, denominato «Asiago» localizzato sotto l'omonima via,
e' stato affidato all'A.T.I. odierna controinteressata, prescelta tra
tre  promotrici  candidate,  giusta  convenzione  datata 22 settembre
2005.
    Affermano  i  ricorrenti  di  aver  appreso  e  verificato  che i
relativi lavori starebbero per essere ralizzati non gia' sotto la via
Asiago come originariamente individuata, ma bensi' sotto la piazza L.
Ariosto, incrocio con via Messina, in sito prospiciente le abitazioni
e gli esercizi commerciali dei ricorrenti medesimi.
    Assumendo  che  tale  localizzazione sia gravemente lesiva per le
loro abitazioni, per i detti esercizi ed altresi' per la soppressione
dell'unica  pompa  di  benzina  ubicata  nella  piazza, uno dei pochi
distributori  rimasti  nel  centro,  hanno  quindi proposto l'odierno
gravame,  notificato il 22 maggio 2006 e depositato il 30 successivo,
deducendo articolate censure in diritto.
    Si  e'  costituita  con  memoria  depositata  l'8  giugno 2006 la
societa'  controinteressata  la  quale resiste all'azione avversaria,
chiedendone il rigetto.
    Nella camera di consiglio dell'8 giugno 2006 la domanda cautelare
e' stata trattenuta per la decisione.

                            D i r i t t o

    I  ricorrenti  lamentano  la illegittimita' della convenzione con
cui   e'   stata   affidata   alla   societa'   controinteressata  la
realizzazione  e  la  gestione  del progetto del parcheggio interrato
nella  piazza  in  esame,  in  luogo  della originaria previsione del
bando.
    I)  Il  ricorso  e'  rivolto  avverso  un  provvedimento adottato
all'esito  di  una  procedura  posta in essere dal Sindaco di Catania
nell'esercizio   dei   poteri  a  questo  conferiti  in  qualita'  di
Commissario  delegato  di protezione civile per l'emergenza traffico.
Anche  se  formalmente  adottato  da  un funzionario dell'ufficio del
Commissario  delegato,  il  provvedimento, cosi' come il procedimento
che  lo  ha  prodotto  e  quindi l'intera procedura, sono chiaramente
esercizio  del  potere  delegato  di  Protezione civile. Pertanto, il
Collegio   deve,   necessariamente   e   preliminarmente,  affrontare
d'ufficio   la   questione   relativa  alla  competenza  inderogabile
recentemente  attribuita  al  Tribunale  amministrativo regionale del
Lazio per la cognizione di vicende quale quella in esame.
    Tale  competenza  sorge per effetto della norma di cui alla legge
n. 21/2006,  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio
2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone:
        ...omissis  ...  «2-bis.  In tutte le situazioni di emergenza
dichiarate  ai  sensi  dell'art.  5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992,  n. 225,  la  competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della
legittimita'   delle   ordinanze   adottate   e   dei  consequenziali
provvedimenti  commissariali  spetta  in  via  esclusiva,  anche  per
l'emanazione   di   misure  cautelari,  al  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, con sede in Roma.
        2-ter.  Le  questioni  di  cui  al comma 2-bis, sono rilevate
d'ufficio.  Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito
con  sentenza  succintamente  motivata  ai  sensi dell'art. 26, della
legge  6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando
applicazione  i  commi  2  e  seguenti  dell'art. 23-bis della stessa
legge.
        2-quater.  Le  norme  di  cui ai commi 2-bis e 2-ter anche ai
processi  in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un
tribunale  amministrativo  diverso  da  quello  di cui al comma 2-bis
permane  fino  alla  loro  modifica  o  revoca da parte del Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio, con sede in Roma, cui la parte
interessata puo' riproporre il ricorso».
    Osserva  il  Collegio  che  la  fattispecie  in esame e' attratta
nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3, in quanto il
potere  amministrativo  posto  in  essere  da parte del sindaco della
citta'   di   Catania  e'  esercitato  come  delegato  dell'emergenza
traffico,   rientrante  nel  novero  delle  situazioni  di  emergenza
dichiarate  ai  sensi  dell'art. 5,  comma 1, della legge 24 febbraio
1992,  n. 225  e  proprio l'esercizio di tale potere ed i suoi limiti
costituiscono l'oggetto principale del ricorso.
    Il  collegio,  pertanto,  ritenendola  rilevante  ai  fini  della
decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti
al  Tar  Lazio  e  non manifestamente infondata, solleva questione di
legittimita'  costituzionale  del predetto art. 3, e segnatamente del
comma  2  nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto
nei  seguenti  paragrafi  e  come  gia'  fatto  in  ordine  ad  altra
fattispecie  per  la  cui  decisione e' venuta in rilievo la medesima
norma (cfr. Tribunale amministrativo regionale Sicilia, I, ord. n. 90
del 7 marzo 2006).
    I)  La  rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione da
assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base
della    normativa   sopravvenuta   -   ove   non   dubitasse   della
incostituzionalita'   di  essa  e  quindi  non  ritenesse  necessario
investire  il  giudice  delle  leggi  della  relativa  questione  - a
trasmettere  gli  atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio, e
cio'   per  espressa  disposizione  della  nuova  disciplina  che  ne
prescrive  l'applicazione ai procedimenti pendenti e quindi anche per
il  procedimento  odierno,  trattenuto in decisione dopo l'entrata in
vigore  della disciplina in esame (la quale e' stata pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  del  23  gennaio 2006 ed e' entrata in vigore il
giorno successivo alla sua pubblicazione).
    Non  vale  a  mutare  la superiore considerazione il fatto che il
giudizio sia stato chiamato ad essere trattato in Camera di consiglio
per  la sua sola domanda cautelare, posto che la chiara dizione delle
disposizioni  in  esame  non  lascia adito a dubbi e, per effetto del
combinato  disposto  di  cui  all'art. 21  e 26 della legge Tribunale
amministrativo regionale ivi richiamato, anche in sede di trattazione
cautelare  il  Collegio  dovrebbe  con  sentenza  breve dichiarare la
competenza  del Tribunale amministrativo regionale Lazio e concludere
il  giudizio,  salva  la  riassunzione di esso di fronte al Tribunale
amministrativo regionale competente, normativamente prevista.
    II)  Circa  la  non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno
sospettare  le  norme  in  esame  di  incostituzionalita', osserva il
collegio  che  la  normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3,
comma   2,  da  bis  a  quater,  della  legge  n. 21/2006,  contrasta
innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il
principio  della articolazione su base regionale degli organi statali
di  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  ivi espressa («Nella
Regione  sono  istituiti  organi di giustizia amministrativa di primo
grado,  secondo  l'ordinamento  stabilito da legge della Repubblica»)
che  implica  il  rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di
competenza dei singoli organi predetti.
    Non  appaiono,  all'evidenza,  manifeste  o  comunque sufficienti
ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera
di  competenze  costituzionalmente  garantita  nella  materia  di cui
trattasi,  quando,  come  nel caso in esame, le singole situazioni di
emergenza   hanno   rilievo   spiccatamente  locale  con  conseguente
efficacia  locale  dei  relativi  provvedimenti adottati dai soggetti
delegati  alla  cura  delle  varie  situazioni emergenziali, anche se
(arg.  ex  art. 2,  comma  1,  lettera  c)  della  legge n. 225/1992,
richiamato dall'art. 5, comma 1, legge citata) essi sono adottati per
fare  fronte  a  situazioni che «per intensita' ed estensione debbono
essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari».
    III)   Anzi,   sotto   questo   aspetto,  la  norma  e'  altresi'
contraddittoria  ed  irrazionale  in  quanto  sottopone  al  medesimo
trattamento  processuale  situazioni  disparate  e  differenti tra di
loro.
    In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione
normativa,  i casi in cui (ex art. 2, comma 1, lettera c) della legge
n. 225/1992)   sia   necessario   fare  fronte  con  mezzi  e  poteri
straordinari  alle  calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi
che  richiedano  tale  intervento  per  intensita'  ed estensione. La
previsione  di  cui  alla  legge  n. 21/2006 radica la competenza del
Tribunale  amministrativo  regionale Lazio in tutti i casi in cui sia
dichiarato  lo  stato  di  emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5
appena  citato  -  e  quindi con esclusione dei casi di intervento di
protezione  civile  per  gli  eventi  che  possano  essere affrontati
mediante  interventi  attuabili  dai  singoli  enti e amministrazioni
competenti  in  via  ordinaria  (art. 2,  lettera  a) e di quelli che
richiedano  intervento  coordinato  di questi ultimi (art. 2, lettera
b)).
    Quindi,  il sistema della Protezione civile e' articolato in vari
livelli  di  intervento,  contraddistinti dal corrispondente grado di
ampiezza  della  situazione  emergenziale. Sicche' per ogni tipologia
territoriale   e  «qualitativa»  della  situazione  di  emergenza  e'
chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino
alla  concreta  dimensione  delle  comunita'  colpite  e della natura
dell'emergenza,  secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza
escludere - funzionalmente e residualmente - che determinate funzioni
siano   «trasversali»   ossia   comprendano  le  competenze  di  piu'
amministrazioni o livelli di governo.
    A  fronte  di  questa  multiformita'  possibile di manifestazioni
concrete   dell'esercizio   del   potere,   la   regola  generale  di
ripartizione  delle  competenze  delineata  dagli  artt. 2 e seguenti
della  legge  Tribunale  amministrativo regionale appresta una tutela
coerente  con  l'art. 125  della  Costituzione:  derogando  ad  essa,
l'art. 3    della    legge    n. 21/2006,   contraddittoriamente   ed
immotivatamente  assegna  ex  lege  rilevanza  nazionale  a qualsiasi
controversia  insorga nell'esercizio del potere di protezione civile,
facendo  leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento
extra  ordinem  e  quindi  a  dispetto  dell'articolazione del potere
previsto  dalla  legge  n. 225/1992,  posto che assegna la competenza
funzionale   a   conoscere  delle  relative  questioni  al  Tribunale
amministrativo  regionale Lazio (e quindi spinge l'interprete a dover
ritenere  che  il legislatore abbia cristallizzato una valutazione di
rilevanza  nazionale  di  qualsiasi questione, inerente la Protezione
civile,  richieda  interventi  extra ordinem). Vengono cosi' attratte
alla  competenza funzionale dell'unico giudice nazionale, anche tutte
le  questioni  di entita' ed effetti manifestamente circoscritti alla
sola parte di territorio regionale interessata dall'emergenza locale,
specialmente  quando si verte in ordine a provvedimenti commissariali
applicativi  o  esecutivi  dell'ordinanza che dichiara l'emergenza ai
sensi  del  piu'  volte citato art. 5, senza alcuna logica o esigenza
reale che imponga una valutazione «accentrata» di esse.
    Il  problema  acquista  uno  spessore  considerevole  se  solo si
riflette  sul  fatto  che, «ordinariamente», tali provvedimenti extra
ordinem delegano quali commissari per l'emergenza il Presidente della
Regione  o  altri  organi  locali  gia'  titolari di poteri propri in
quella  materia; in tal senso, spesso non fanno altro che «istituire»
poteri  e  programmi  di  emergenza  affidandoli quindi (per nomina o
delega),  a  quegli  stessi organismi regionali o comunque locali che
con  i  poteri  ordinari  loro  conferiti  dall'Ordinamento non hanno
saputo fare fronte alle cause che hanno determinato l'emergenza (come
il   caso   dell'emergenza   rifiuti   o   dell'emergenza  idrica,  o
dell'emergenza traffico).
    Pertanto,  l'effetto  di  tale prassi e' essenzialmente quello di
rendere  i provvedimenti degli organi regionali «rafforzati» sotto il
profilo  della capacita' di derogare a norme dell'Ordinamento; a tale
gia'  rilevante  «alterazione» dell'Ordinamento medesimo, si aggiunge
quindi   una   ulteriore   «tutela»  giurisdizionale,  sottraendo  la
cognizione della lite ai Tribunale amministrativo regionale regionali
su  provvedimenti  che  sono  e  restano  a  tutti gli effetti locali
provenienza  soggettiva  oltre  che  per effetti, per affidarla ad un
unico   giudice   nazionale   con  il  quale  essi  non  hanno  alcun
collegamento «naturale».
    Appare  utile  rilevare,  in  questa sede, come la giurisprudenza
della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che:
        con  l'art.  5  della legge n. 225 del 1992, e' attribuito al
Consiglio  dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza
in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di
emergenza,  e  per  fare  fronte  ad  essa,  lo stesso Presidente del
Consiglio  dei  ministri  o,  su sua delega, il Ministro dell'interno
possano  adottare  ordinanze  in deroga ad ogni disposizione vigente,
nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;
        l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo
31  marzo  1998,  n. 112  (Conferimento  di funzioni e amministrativi
dello  Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo
I  della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali
funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di
poteri  straordinari  e  derogatori  della legislazione vigente possa
avvenire da parte di una legge regionale.
        queste  ultime  due  previsioni,  inoltre,  sono  gia'  stata
ritenute  dalla  Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come
espressive   di   un   principio  fondamentale  della  materia  della
protezione  civile,  sicche'  deve  ritenersi  che esse delimitino il
potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze
legislative  delineato  dalla  legge  costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
    Alla  luce  di  quanto  sopra  ricordato,  la Corte ha dichiarato
illegittimo  l'art.  4,  comma  4, della legge della Regione Campania
n. 8  del  2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di
Napoli  i  poteri  commissariali  dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del
Ministro  dell'interno,  dopo  la  scadenza  della emergenza alla cui
soluzione  tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005).
    Tale   ragionamento   comporta   che,  in  relazione  alla  legge
n. 225/1992  ed  all'art. 107,  comma  1,  lettere  b)  e  c), d.lgs.
n. 112/1998,  possiedono  rilievo  nazionale «solamente» il potere di
dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure
ad    esso   finalisticamente   connesso,   di   derogare   a   norme
dell'ordinamento.
    Ne  consegue  dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame
irragionevole  per  contraddittorieta'  e  disparita'  di trattamento
processuale,  poiche'  utilizza  lo stesso trattamento per situazioni
del  tutto  differenti  quanto  ad  ambito  territoriale  e livello e
qualita'  degli  interessi  pubblici coinvolti, nonche' per contrasto
con  l'art. 117  della  Costituzione, poiche' implicitamente, finisce
per  attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla
competenza regionale.
    IV)  Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto
ove,  come  nella  specie, esso non sia giustificato da una effettiva
natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei
provvedimenti  sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale
amministrativo   regionale   Lazio,   comporta   indubbia  violazione
dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi enunciata al primo comma;
detta   tutela   ne   risulta  minorata,  per  la  evidente  maggiore
difficolta'  di  esercitare  le  relative  azioni presso il Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio piuttosto che presso gli organi
giurisdizionali  localmente  istituiti.  Cio'  vale  sia  per la fase
transitoria  in  cui  i  giudizi  pendenti  trasmigrano  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio,  sia  per  le  future  nuove
controversie  che  secondo  la  nuova normativa dovrebbero, essere ab
initio instaurate presso detto Tribunale amministrativo regionale
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  un caso in cui il legislatore aveva
disposto  l'estinzione  ope legis di giudizi pendenti (art. 10, comma
primo,  legge  n. 425/1984),  che  siffatta  disposizione,  in quanto
«preclude   al   giudice  la  decisione  di  merito  imponendogli  di
dichiarare  d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in qualsiasi
stato  e  grado si trovino alla data di entrata in vigore della legge
sopravvenuta»,  percio'  stesso  «viola  il valore costituzionale del
diritto  di  agire,  in quanto implicante il diritto del cittadino ad
ottenere  una  decisione di merito senza onerose reiterazioni» (Corte
costituzionale, sentenza n. 123 del 1987).
    Sebbene  la  fattispecie  in  esame sia diversa da quella oggetto
della   citata  pronuncia,  il  principio  tuttavia,  ad  avviso  del
collegio,  e' nello stesso modo applicabile. Accade infatti, nel caso
presente,  che  chi  abbia  gia'  un  giudizio  pendente  davanti  al
Tribunale  amministrativo  regionale  locale,  ed  addirittura  abbia
ottenuto  una  decisione  cautelare,  debba  proseguire altrove nella
propria  iniziativa  giudiziaria,  addirittura  (se  ne parlera' piu'
diffusamente  infra)  rimanendo  esposto  ad  una  seconda  pronuncia
cautelare  sollecitata  dalla  parte  soccombente  davanti al giudice
adito prima dell'entrata in vigore della legge in questione.
    V)  Altro  profilo  di incostituzionalita' va ravvisato, inoltre,
nella violazione del principio del giudice naturale precostituito per
legge,  di  cui  all'art. 25  della  Costituzione.  Nelle  precedenti
ordinanze  della Sezione, sollevate in ricorsi introdotti prima della
legge  in  esame,  si  e'  rilevato  che  la norma costituzionale ora
citata,  stabilendo  che  «nessuno  puo'  essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»,  esclude,  come la stessa Corte
costituzionale  afferma,  «che vi possa essere una designazione tanto
da  parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole
generali,  quanto  da  altri  soggetti,  dopo che la controversia sia
insorta (sentenze n. 419 del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967»;
il principio e' in tali termini, e con tali citazioni dei precedenti,
richiamato nella sentenza della Corte n. 393 del 2002). Come la Corte
ha  insegnato,  perche'  tale principio possa considerarsi rispettato
occorre  che  «...  la  regola  di competenza sia prefissata rispetto
all'insorgere della controversia» (sentenza n. 193 del 2003); e basta
scorrere  le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia
di  principio  del  giudice  naturale  per rilevare che e' proprio la
preesistenza  della  regola  che  individua la competenza rispetto al
giudizio  il  criterio  fondamentale  in  base  al  quale  sono state
valutate le questioni sollevate.
    Tale  profilo di incostituzionalita' si apprezza particolarmente,
ad avviso del Collegio, anche nel caso in cui il giudizio sia insorto
-  come nel caso di specie - dopo la entrata in vigore della norma in
esame.
    Infatti,  come detto sopra, la ripartizione regionale del giudice
amministrativo   e'  espressamente  contemplata  dalla  Costituzione,
all'art. 125.  Tale  previsione  consente  di  ritenere valorizzato a
livello  costituzionale  il  principio  del  giudice naturale su base
«regionale»   per   le   controversie   inerenti   la   giurisdizione
amministrativa  di  primo  grado  e  dunque  una  legge ordinaria che
sottragga  a tale previsione la cognizione di una o piu' materie, per
concentrarle presso un unico giudice «nazionale» di primo grado senza
che  sussista  una  effettiva e ragionevole necessita', in tal senso,
costituisce  sicura violazione del principio del giudice naturale per
come  cosi' precostituito. Ricorrono palesemente, dunque, le medesime
considerazioni   che,   precisamente,   la   sentenza   della   Corte
costituzionale   n. 41   del  2006  afferma,  anzi,  ribadisce  (come
testualmente   essa   si  esprime,  citando  sentenze  precedenti  in
termini),  che  «alla  nozione del giudice naturale precostituito per
legge  non  e'  affatto  estranea  "la  ripartizione della competenza
territoriale  tra  giudici,  dettata da normativa nel tempo anteriore
alla istituzione del giudizio" (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del
2005)» con l'ovvia precisazione che per normativa nel tempo anteriore
alla istituzione del giudizio si deve intendere non solo quella della
legge   ordinaria,   ma   anche   (ed   a   maggior  ragione)  quella
costituzionale.
    VI)  Da  ultimo,  si  rileva un aspetto diverso che si riconnette
ancora  al tema del giudice naturale, e che deriva in via immediata e
diretta  dall'analisi  appena  esposta.  La  norma in esame, infatti,
viola   l'art. 23   dello   Statuto   della  Regione  Sicilia  (legge
costituzionale  n. 2  del  26  febbraio 1948) a norma del quale: «Gli
organi  giurisdizionali  centrali  avranno  in  Sicilia le rispettive
sezioni  per  gli  affari  concernenti  la  Regione.  Le  Sezioni del
Consiglio  di  Stato  e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le
funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e
contabile.  I  magistrati  della  Corte  dei  conti sono nominati, di
accordo,   dai  Governi  dello  Stato  e  della  Regione.  I  ricorsi
amministrativi,   avanzati   in   linea   straordinaria  contro  atti
amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione
sentite  le  Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e'
stata  «interpretata»  dall'art. 5  del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654,
contenente   norme   per  l'esercizio  delle  funzioni  spettanti  al
Consiglio  di  Stato  nella  Regione Sicilia, il quale prevede che il
Consiglio  di giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge
al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e
provvedimenti  definitivi  «dell'amministrazione  regionale  e  delle
altre  autorita'  amministrative  aventi  sede  nel  territorio della
Regione».
    Osserva  il  Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost.
in   data   12   marzo   1975,  n. 61,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40, legge 6 dicembre
1971, n. 1034, alla competenza del Tribunale amministrativo regionale
Sicilia,  e'  stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite
tutte   le   controversie   d'interesse  regionale  considerate  tali
dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946, n. 455, comprendendosi in
tale   categoria  le  controversie  sorte  da  impugnazione  di  atti
amministrativi  di  autorita'  centrali  aventi  effetti  limitati al
territorio   regionale  ovvero  concernenti  pubblici  dipendenti  in
servizio  nella  regione siciliana» (Consiglio Stato,. sezione VI, 26
luglio 1979, n. 595).
    Quindi  la  legge  n. 21/2006,  in  esame,  e' costituzionalmente
illegittima  anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23
dello  Statuto  regionale,  sia nella sua formulazione letterale, che
nella   interpretazione   pacifica   che   di  esso  ha  maturato  la
giurisprudenza,   anche   costituzionale,  riserva  al  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   ed   in   primo   grado   al   Tribunale
amministrativo  regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le
controversie   sorte   da  impugnazione  di  atti  amministrativi  di
autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale.
    Se  le  controversie quali quella in esame fossero sottratte alla
competenza  del  Tribunale amministrativo regionale Sicilia, in primo
grado  e,  affidate  alla  cognizione  dal  Tribunale  amministrativo
regionale Lazio, fossero decise da quest'ultimo, si radicherebbe, per
tale  motivo,  la  cognizione  sulla lite in appello del Consiglio di
Stato  e  non della sua Sezione costituita dal Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la Regione Sicilia, avente competenza funzionale
sulle  liti  rientranti  nella previsione statutaria siciliana appena
citata.  Per  mero  scrupolo  espositivo,  si  deve  rilevare  che in
proposito  non  potrebbe  obiettarsi  che  la  norma «sposta» solo la
cognizione  della  lite  nel  primo  grado di giudizio, facendo salva
quella  d'appello:  se  cosi' fosse, per la Regione Sicilia, la norma
dovrebbe   essere   ulteriormente   tacciata  di  irragionevolezza  e
contraddittorieta'  perche'  la  medesima  questione, decisa in primo
grado   al   Tribunale   amministrativo   regionale   Lazio,   quindi
«concentrata»  in capo all'«unico giudice» per la sua (cristallizzata
dal legislatore) rilevanza nazionale, tornerebbe ad essere poi decisa
in  appello  da  una  articolazione  regionale del giudice di secondo
grado,  senza  quindi  che  abbia  piu'  valenza  alcuna  la ritenuta
«centralita»   della   vicenda,   con   evidenti  ed  incomprensibili
«trasmigrazioni»  giudiziarie «vettoriali» della lite dalla Sicilia a
Roma (per il primo grado) e da Roma a Palermo (per il secondo grado).
Intuitivamente,  dunque,  questa  ipotetica  obiezione presterebbe il
fianco ad ulteriori argomenti di censura anche sotto il profilo della
effettivita' della tutela del diritto alla difesa gia' trattato prima
(nel  senso  di  obbligo  di  non  aggravamento) e, quindi, anche del
giusto  processo ex art. 111 Cost. in termini di tempi decisionali ed
adempimenti del processo.
    VII)  Per  tute  le  esposte  considerazioni,  deve sollevarsi la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis,
comma  2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli
artt. 3,  125,  24  e  25  della  Costituzione  e  per  contrasto con
l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia.
    Deve  pertanto  essere  disposta  la trasmissione degli atti alla
Corte  costituzionale  per  la  decisione della predetta questione di
legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con
il  ricorso  in  epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte
della medesima Corte.