ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 511, 514, 525
del   codice   di   procedura  penale,  promossi  con  ordinanze  del
15 novembre 2001 dal Tribunale di Sala Consilina, del 3 febbraio 2005
dal  Tribunale di Latina, del 23 e del 30 novembre 2005 dal Tribunale
di  Genova, rispettivamente iscritte al n. 232 del registro ordinanze
2005  e ai nn. 209, 299 e 300 del registro ordinanze 2006, pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 18, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005 e numeri 28 e 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  Z.L.  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 10 gennaio 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di  Sala Consilina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, 101
e  111  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
degli  artt. 511, 514 e 525, comma 2, del codice di procedura penale,
nella  parte  in  cui - secondo l'interpretazione delle sezioni unite
della  Corte di cassazione - «non prevedono che nel caso di mutamento
totale  o  parziale  dell'organo giudicante, le dichiarazioni assunte
innanzi  a, totalmente o parzialmente diverso, siano utilizzabili per
la  decisione mediante lettura, dopo l'applicazione degli artt. 190 e
190-bis  cod.  proc.  pen., a prescindere dal consenso o dal dissenso
delle parti»;
        che  il rimettente riferisce che nel giudizio a quo era stata
disposta  la rinnovazione del dibattimento, a fronte del mutamento di
uno  dei  componenti del collegio giudicante, trasferito presso altro
ufficio  giudiziario; e che la difesa degli imputati aveva chiesto il
riesame  dei testi gia' escussi, opponendosi alla lettura dei verbali
delle dichiarazioni rese davanti al collegio in diversa composizione;
        che  -  secondo  quanto  affermato  dalle sezioni unite della
Corte  di  cassazione  con  la sentenza 15 gennaio 1999, n. 1 (recte:
n. 2)  -  alla luce del disposto degli artt. 511, 514 e 525, comma 2,
cod.  proc.  pen.,  nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa
del   mutamento   della  persona  del  giudice  monocratico  o  della
composizione del giudice collegiale, la testimonianza precedentemente
raccolta  non  e'  utilizzabile  ai  fini  della  decisione  mediante
semplice  lettura,  senza  ripetere  l'esame del dichiarante, qualora
questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti;
        che,  ad  avviso del giudice a quo, l'imposizione del riesame
dei testi, anche quando la relativa richiesta non risulti sorretta da
«specifiche   e   valutabili   giustificazioni»,  porrebbe  le  norme
censurate  in  contrasto  con l'art. 3 Cost., facendo irrazionalmente
dipendere   l'acquisizione  di  prove,  assunte  nella  pienezza  del
contraddittorio, dal mero arbitrio di una delle parti;
        che  ne  deriverebbe, altresi', una ingiustificata disparita'
di  trattamento  rispetto  ad  ipotesi  similari,  la  cui disciplina
privilegerebbe,  per contro, il principio di conservazione degli atti
processuali;
        che fra tali ipotesi rientrerebbe, anzitutto, quella prevista
dall'art.  1,  comma  2,  del  decreto-legge  23 ottobre 1996, n. 553
(Disposizioni in tema di incompatibilita' dei magistrati e di proroga
dell'utilizzazione   per   finalita'  di  detenzione  degli  Istituti
penitenziari    di   Pianosa   e   dell'Asinara),   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  23 dicembre  1996, n. 652, in forza del
quale   -  ove  occorra  rinnovare  il  dibattimento  a  causa  della
sopravvenuta  incompatibilita'  di taluno dei componenti del collegio
giudicante  - il nuovo giudice puo' utilizzare gli atti anteriormente
compiuti  «mediante  la  sola lettura», salvo che «ritenga necessario
rinnovarli in tutto o in parte»;
        che,  nella  medesima  ottica, verrebbero altresi' in rilievo
l'art. 26  cod.  proc.  pen., secondo cui le prove assunte davanti al
giudice  incompetente restano efficaci; e l'art. 33-nonies cod. proc.
pen.,  aggiunto  dall'art. 170  del  decreto  legislativo 19 febbraio
1998,  n. 51  (Norme  in  materia di istituzione del giudice unico di
primo   grado),   il   quale   stabilisce  che  l'inosservanza  delle
disposizioni   sulla   composizione   collegiale  o  monocratica  del
tribunale   non   determina   l'inutilizzabilita'  delle  prove  gia'
acquisite;
        che  risulterebbe  compromesso,  per  altro  verso,  il  bene
dell'efficienza del processo - enucleabile dalle norme costituzionali
che  regolano  l'esercizio della funzione giurisdizionale (artt. 25 e
101  Cost.)  -  avuto  riguardo,  in  specie,  al  principio  di «non
dispersione  dei  mezzi  di  prova», che permea il processo penale in
quanto finalizzato all'accertamento della verita';
        che,   nell'interpretazione   dianzi   ricordata,   le  norme
denunciate  contrasterebbero, infine, con il principio di ragionevole
durata  del  processo  (art. 111,  secondo  comma,  Cost.), in quanto
consentirebbero   a   ciascuna  delle  parti  di  provocare,  tramite
richieste  del  tutto  pretestuose, la rinnovazione di attivita' gia'
espletate, con conseguente dilatazione dei tempi processuali;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata manifestamente infondata;
        che,  con  l'ordinanza  indicata in epigrafe, il Tribunale di
Latina  in composizione monocratica ha sollevato, in riferimento agli
artt.   3,  24,  25,  27  e  111  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt. 511, comma 2, e 514, comma 1, cod. proc.
pen.,  nella  parte in cui non consentono al giudice - il quale debba
rinnovare il dibattimento ai sensi dell'art. 525, comma 2, cod. proc.
pen.  -  di dare lettura delle dichiarazioni precedentemente rese nel
medesimo  dibattimento,  nelle  forme  previste dagli artt. 498 e 499
cod.  proc.  pen.  e alla presenza dell'imputato o del suo difensore,
davanti a magistrato o collegio in tutto o in parte diverso;
        che  l'ordinanza  premette,  in punto di fatto, che - essendo
stata disposta la rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento
della  persona  fisica  del giudice - il difensore della parte civile
aveva  chiesto  di  esaminare  due testi gia' sentiti dal giudice poi
sostituito,  la  cui  deposizione  risultava  rilevante ai fini della
decisione;
        che  tale  richiesta impedirebbe di utilizzare direttamente i
verbali delle dichiarazioni rese dai testi in questione, giacche', ai
sensi  dell'art. 511, comma 2, e 514, comma 1, cod. proc. pen. - come
interpretati  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  -  nel caso di
rinnovazione  del  dibattimento a seguito del mutamento della persona
del giudice, non puo' essere data diretta lettura delle dichiarazioni
testimoniali  rese  nel  medesimo  dibattimento  davanti  al  diverso
giudice,  ove  la  parte che ha indicato i testi ne chieda nuovamente
l'esame;
        che  tale divieto di lettura risulterebbe, tuttavia, privo di
razionale giustificazione e lesivo del principio di eguaglianza;
        che  l'art. 514,  comma 1,  cod. proc. pen. prevede, infatti,
che  il giudice del dibattimento possa dare lettura dei verbali delle
dichiarazioni  rese  al  giudice dell'udienza preliminare nelle forme
previste  dagli  artt.  498  e 499 cod. proc. pen. (ossia nelle forme
previste  per il dibattimento), alla presenza dell'imputato o del suo
difensore;
        che  se  e' consentito, dunque, dare direttamente lettura dei
verbali   di  dichiarazioni  assunte  in  contraddittorio,  da  altro
magistrato,  in una diversa fase processuale (l'udienza preliminare);
a  maggior ragione dovrebbe essere permesso farlo quando si tratti di
dichiarazioni  assunte in contraddittorio, da altro magistrato, nella
medesima fase (il dibattimento);
        che tale facolta' di lettura, d'altro canto, sarebbe prevista
tanto  dall'art. 26  cod.  proc.  pen., ove il processo si sia svolto
davanti   a   diverso   giudice,  dichiaratosi  incompetente;  quanto
dall'art. 33-nonies  cod.  proc.  pen.,  allorche'  si  sia proceduto
all'istruzione   dibattimentale   in  violazione  delle  norme  sulla
composizione collegiale o monocratica del tribunale;
        che  le disposizioni censurate violerebbero, per altro verso,
gli  artt.  24,  25, 27 e 111 Cost., determinando una dilatazione dei
tempi  processuali  che  potrebbe potenzialmente protrarsi, a seguito
degli  avvicendamenti  dei  magistrati  negli uffici giudiziari, sino
alla  scadenza dei termini di prescrizione del reato: con conseguente
pregiudizio del diritto di difesa delle parti, della possibilita' per
il  giudice di conoscere con immediatezza del processo, dell'efficace
esercizio  dell'azione penale e della ragionevole durata del processo
medesimo;
        che  nel giudizio di costituzionalita' si e' costituito L.Z.,
imputato  nel  processo  principale,  il  quale  ha  chiesto  che  la
questione sia dichiarata non fondata;
        che,  con  le  due ordinanze indicate in epigrafe, di analogo
tenore,  il  Tribunale  di  Genova  ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,   25,   101   e   111   Cost.,   questione  di  legittimita'
costituzionale  del  combinato  disposto  degli artt. 511, 514 e 525,
comma 2,   cod.   proc.   pen.,   nella   parte   in  cui  -  secondo
l'interpretazione   della   giurisprudenza   di  legittimita'  -  non
prevedono  che,  nel  caso di mutamento totale o parziale dell'organo
giudicante,  le  dichiarazioni  assunte  nella  precedente istruzione
dibattimentale  siano utilizzabili per la decisione mediante semplice
lettura,  dopo  l'applicazione  degli  artt. 190 e 190-bis cod. proc.
pen.,  anche  quando  l'esame del dichiarante possa avere luogo e sia
stato richiesto da una delle parti;
        che  le  ordinanze riferiscono che - disposta la rinnovazione
del  dibattimento a seguito del parziale mutamento della composizione
del  collegio - i difensori degli imputati avevano negato il consenso
alla  lettura  delle  dichiarazioni testimoniali assunte dal collegio
diversamente composto;
        che,  al  riguardo,  il  rimettente  osserva come - alla luce
dell'interpretazione  offerta  dalle  sezioni  unite  della  Corte di
cassazione  al  combinato  disposto  degli  artt. 511, 514 e 525 cod.
proc.  pen.  - la richiesta di una delle parti, ancorche' immotivata,
di  nuovo  esame  del  dichiarante renderebbe non utilizzabili per la
decisione,  mediante  semplice  lettura,  le  dichiarazioni  rese  al
diverso collegio;
        che,  in  simile prospettiva, le norme censurate verrebbero a
porsi peraltro in contrasto con plurimi parametri costituzionali;
        che  ne  deriverebbe,  anzitutto,  una evidente disparita' di
trattamento  di  fattispecie identiche: giacche' il riesame del teste
gia' escusso - che pure non sarebbe imposto in situazioni di maggiore
rischio  per  la  genuinita'  e  la terzieta' dell'acquisizione delle
prove,  quali  quelle  contemplate dagli artt. 26, 33-nonies, 190-bis
cod.  proc.  pen.  e  dall'art. 1  del d.l. n. 553 del 1996 (in tema,
rispettivamente,  di incompetenza, di inosservanza delle disposizioni
sulla   composizione  collegiale  o  monocratica  del  tribunale,  di
procedimenti  penali  per  reati  di  criminalita'  organizzata  e di
incompatibilita'  del giudice) - verrebbe reso viceversa obbligatorio
in  situazioni  «fisiologiche», quali quelle connesse all'occasionale
mutamento  del  giudice  per ragioni del tutto estranee alle «vicende
endoprocessuali»;
        che,  nell'anzidetta  interpretazione,  le  norme  denunciate
contrasterebbero,  inoltre,  tanto  con  il  bene dell'efficienza del
processo,  enucleabile  dagli  artt.  25  e  101  Cost; quanto con il
principio  di  ragionevole  durata  del  processo  medesimo,  sancito
dall'art.   111,  secondo  comma,  Cost.,  posto  che  l'obbligatoria
ripetizione  di  prove  assunte  nella pienezza del contraddittorio -
senza altro scopo che quello di assicurare l'oralita', quale mezzo di
conoscenza   del   giudice   -   si  risolverebbe  in  una  «gratuita
inefficienza» e in un irrazionale allungamento dei tempi processuali;
        che  nel giudizio di costituzionalita' relativo all'ordinanza
r.o.  n. 300  del 2006 e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   il   quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
manifestamente infondata.
    Considerato  che  le  ordinanze di rimessione sollevano questioni
identiche  o  analoghe,  onde  i  relativi  giudizi vanno riuniti per
essere definiti con unica decisione;
        che  tutti  i  giudici rimettenti si dolgono, nella sostanza,
del fatto che - alla luce dell'interpretazione delle norme denunciate
accolta   dalla   giurisprudenza   di  legittimita'  -  nel  caso  di
rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del
giudice  monocratico  o della composizione del giudice collegiale, la
richiesta  di  riesame  del  dichiarante  -  ancorche'  immotivata  -
formulata  da  una delle parti, impedisca di utilizzare ai fini della
decisione  la prova dichiarativa assunta dal diverso giudice, a mezzo
di semplice lettura del relativo verbale;
        che,  in  proposito, va osservato come le sezioni unite della
Corte  di  cassazione  - nella sentenza n. 2 del 1999, richiamata dai
giudici  a  quibus  ed  alla  quale  si  e'  conformata la successiva
giurisprudenza di legittimita' - abbiano preliminarmente ribadito che
il  principio  di  immutabilita'  del giudice, sancito dall'art. 525,
comma 2,   del   codice  di  procedura  penale  («alla  deliberazione
concorrono, a pena di nullita' assoluta, gli stessi giudici che hanno
partecipato  al  dibattimento»),  impone  di procedere alla integrale
rinnovazione  del  dibattimento  medesimo ogni qualvolta intervengano
cambiamenti   della   persona   del   giudice   monocratico  o  della
composizione del collegio;
        che  la  citata  pronuncia ha ribadito, altresi', che in tale
ipotesi  -  conformemente  a quanto in precedenza affermato da questa
Corte (sentenza n. 17 del 1994; ordinanza n. 99 del 1996) - i verbali
delle  prove,  assunte  nella fase dibattimentale svoltasi davanti al
giudice  poi  sostituito, confluiscono (trattandosi di documentazione
di attivita' comunque «legittimamente compiuta») nel fascicolo per il
dibattimento  a  disposizione  del  nuovo  organo  giudicante: con la
conseguenza  che  le prove in parola ben possono essere utilizzate ai
fini    della   decisione   -   successivamente   alla   rinnovazione
dell'istruzione   dibattimentale  -  attraverso  lo  strumento  della
lettura;
        che   le  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  hanno
soggiunto, tuttavia, che le enunciazioni ora ricordate debbono essere
coordinate  con  la  previsione  del comma 2 dell'art. 511 cod. proc.
pen.,  in  forza della quale «la lettura dei verbali di dichiarazioni
e'  disposta  solo  dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno
che  l'esame  non abbia luogo»: da cio' traendo la conclusione che il
nuovo  giudice  puo' utilizzare le prove dichiarative precedentemente
assunte,  a mezzo di semplice lettura, solo qualora il predetto esame
non   si   compia,   o   per   volonta'  delle  parti  -  manifestata
espressamente, o implicita nella mancata richiesta di nuova audizione
del    dichiarante   -   ovvero   per   sopravvenuta   impossibilita'
dell'audizione stessa;
        che   -   cio'   puntualizzato   -  costituisce  affermazione
consolidata, nella giurisprudenza di questa Corte, quella secondo cui
il  legislatore,  nel  definire  la  disciplina  del  processo  e  la
conformazione  dei relativi istituti, gode di ampia discrezionalita',
il  cui  esercizio  e'  censurabile,  sul  piano  della  legittimita'
costituzionale, solo ove le scelte operate trasmodino nella manifesta
irragionevolezza  e  nell'arbitrio  (ex plurimis, sentenze n. 379 del
2005  e  n. 180  del 2004; ordinanze n. 389 e n. 215 del 2005, n. 265
del 2004);
        che,  con specifico riferimento all'odierno thema decidendum,
questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  rilevare,  d'altro  canto -
vagliando  analoghi  quesiti  - come la disciplina ricavabile, giusta
l'interpretazione  de  qua, dalle disposizioni sottoposte a scrutinio
venga   a   correlarsi  al  principio  di  immediatezza,  che  ispira
l'impianto  del  codice  di  rito  e  di  cui  la tradizionale regola
dell'immutabilita'      del     giudice     rappresenta     strumento
attuativo; principio   il   quale   postula   -   salve   le  deroghe
espressamente  previste  dalla legge - l'identita' tra il giudice che
acquisisce  le  prove  e quello che decide (ordinanze n. 431 e n. 399
del 2001);
        che, in tale prospettiva, la regola censurata non puo' dunque
qualificarsi,   di   per  se',  come  manifestamente  irrazionale  ed
arbitraria:  la  parte  che  chiede  la  rinnovazione  dell'esame del
dichiarante   esercita   difatti  -  nella  cornice  della  soluzione
ermeneutica in discorso - il proprio diritto, garantito dal principio
di  immediatezza,  «all'assunzione  della  prova  davanti  al giudice
chiamato  a decidere» (ordinanza n. 418 del 2004); rimanendo affidata
alle  scelte discrezionali del legislatore l'eventuale individuazione
di presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e
dilatorio di siffatto diritto, che i rimettenti lamentano;
        che  questa  Corte ha reiteratamente escluso, inoltre, che la
disciplina  in  parola  possa  determinare  - contrariamente a quanto
ventilato dal Tribunale di Sala Consilina - una lesione del principio
di  «non  dispersione  dei  mezzi  di  prova», quale aspetto del bene
dell'«efficienza  del  processo»,  riconducibile  all'area  di tutela
degli  artt. 25  e  101  Cost.  (ordinanze n. 431 e n. 399 del 2001);
giacche' in nessun caso la prova dichiarativa precedentemente assunta
va  «dispersa»,  essendo  sempre possibile acquisirla tramite lettura
del  relativo verbale: con l'unica differenza che, nel caso in cui il
riesame  del  dichiarante  sia  possibile  e  la parte ne abbia fatto
richiesta,  la  lettura  dovra' seguire tale riesame; mentre, in caso
contrario, la prova verra' recuperata a mezzo della sola lettura;
        che  questa  Corte ha rimarcato, ancora, come il principio di
ragionevole  durata  del  processo (art. 111, secondo comma, Cost.) -
che  ad avviso dei rimettenti sarebbe compromesso dalla necessita' di
rinnovare  prove  gia'  assunte  nella pienezza del contraddittorio -
debba essere contemperato, al lume dello stesso richiamo al connotato
di  «ragionevolezza»  che  compare  nella  formula  normativa, con il
complesso delle altre garanzie costituzionali, rilevanti nel processo
penale:  garanzie  la  cui  attuazione  positiva - che il legislatore
avrebbe  inteso  operare,  nella  specie, tramite la previsione di un
regime  allineato  al  principio di immediatezza - non e' sindacabile
sul  terreno  costituzionale,  ove  frutto di scelte non prive di una
valida  ratio  giustificativa (ordinanze n. 418 del 2004 e n. 399 del
2001);
        che,  di  conseguenza, deve escludersi anche la lesione degli
ulteriori  valori  costituzionali  -  in particolare, quelli espressi
dagli  artt. 24  e  27 Cost. (parametro, il secondo, peraltro evocato
senza  specifica  motivazione)  -  che  il  Tribunale  di  Genova  fa
discendere dall'ingiustificato prolungamento dei tempi di definizione
del processo, in assunto indotto dalle norme denunciate;
        che  neppure, da ultimo, e' ravvisabile l'allegata violazione
del  principio  di eguaglianza, avuto riguardo al diverso trattamento
che  -  a parere dei rimettenti - la legge processuale riserverebbe a
fattispecie identiche o similari;
        che    per   quanto   attiene,   infatti,   alla   previsione
dell'art. 190-bis cod. proc. pen. - evocata dal Tribunale di Genova -
questa  Corte  ha  gia' rilevato come le limitazioni alla ripetizione
delle   prove   assunte   da  diverso  giudice,  stabilite  da  detta
disposizione  in  deroga alle regole ordinarie allorche' si tratti di
procedimenti  concernenti  reati  di  criminalita'  organizzata,  non
possano  essere utilmente evocate quale tertium comparationis, stante
il  loro  carattere  di  eccezionalita'  (ordinanze n. 418 del 2004 e
n. 73 del 2003);
        che analoga considerazione vale, peraltro, anche in relazione
al  disposto dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 23 ottobre 1996,
n. 553,  convertito, con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1996,
n. 652  -  richiamato  tanto  dal Tribunale di Sala Consilina che dal
Tribunale  di  Genova  - in forza del quale, nel caso di accoglimento
della dichiarazione di astensione o di ricusazione del giudice per la
sussistenza    delle   situazioni   di   incompatibilita'   stabilite
dall'art. 34,  comma 2,  cod.  proc.  pen.,  il  nuovo  giudice  puo'
utilizzare  ai  fini  della decisione gli atti anteriormente compiuti
mediante  sola lettura (o indicazione a norma dell'art. 511, comma 5,
cod.  proc. pen.), a meno che «ritenga necessario rinnovarli in tutto
o in parte»;
        che  la  disciplina  in  parola  era  destinata difatti a far
fronte,  in  via contingente e transitoria - come chiaramente attesta
il  limite  temporale  di  applicabilita'  enunciato  dal comma 1 del
citato  art. 1 del d.l. n. 553 del 1996 - alla particolare situazione
venutasi  a  creare  per  effetto delle sentenze di questa Corte, che
avevano  sensibilmente  esteso  le  ipotesi  di  incompatibilita' del
giudice;
        che,  sotto  diverso  profilo,  non  e'  neppure  probante il
riferimento  -  operato da tutti i giudici a quibus - agli artt. 26 e
33-nonies cod. proc. pen.: i quali stabiliscono, rispettivamente, che
«l'inosservanza    delle   norme   sulla   competenza   non   produce
l'inefficacia  delle  prove  gia' acquisite» (salvo, tuttavia, quanto
previsto dal comma 2 dell'art. 26 in rapporto alle dichiarazioni rese
al  giudice  incompetente  per  materia); e che «l'inosservanza delle
disposizioni   sulla   composizione   collegiale  o  monocratica  del
tribunale  non  determina  [...] l'inutilizzabilita' delle prove gia'
acquisite»;
        che,   a   prescindere,  infatti,  da  ogni  altra  possibile
considerazione,  i  rimettenti  non  spiegano  per  quale  ragione  -
assistendosi,  nelle  ipotesi  considerate,  ad  un cambiamento delle
persone fisiche dei giudicanti - l'utilizzazione, se pur ammissibile,
delle  prove  assunte  dal  giudice  incompetente o dal tribunale non
correttamente  composto  si  sottrarrebbe  - in assenza di specifiche
indicazioni  normative  in  tal  senso - alle regole valevoli, in via
generale,  per  i  casi di mutamento del giudice: tra cui, in primis,
quella    dell'impossibilita'    di   utilizzare   le   dichiarazioni
precedentemente  raccolte  mediante  sola lettura, allorche' le parti
chiedano un nuovo esame del dichiarante e questo risulti possibile;
        che   inconferente   risulta,   infine,  il  riferimento  del
Tribunale  di  Latina  alla disposizione dell'art. 514, comma 1, cod.
proc.   pen.,   in   base   alla   quale  e'  consentita  la  lettura
dibattimentale  delle  dichiarazioni  assunte  nel corso dell'udienza
preliminare,  qualora  si  tratti  di  dichiarazioni rese nelle forme
previste  dagli  artt. 498  e  499  cod.  proc.  pen.  alla  presenza
dell'imputato  o  del  suo difensore: e cio' per l'assorbente ragione
che il rimettente non tiene conto del diritto delle parti di chiedere
comunque  un nuovo esame, in dibattimento, delle persone gia' sentite
nell'anzidetta  udienza,  con conseguente applicabilita' della regola
di cui all'art. 511, comma 2, cod. proc. pen;
        che   le   questioni  debbono  essere  dichiarate,  pertanto,
manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.