ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 14  del
regolamento  di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti,
approvato  con  r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, promosso, con ordinanza
del   4 febbraio   2005,   dalla   Corte  dei  conti,  terza  sezione
giurisdizionale  centrale,  sul  ricorso  proposto  da Ruta Nunzio ed
altri   contro   il   Procuratore   Regionale   presso   la   Sezione
giurisdizionale  per  la  Regione Molise ed altro, iscritta al n. 273
del  registro  ordinanze  2005  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  costituzione di Ruta Nunzio, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  6 febbraio  2007  il  giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Udito l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  la  Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale
centrale,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli artt. 24 e 111 della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 14
del  regolamento  di  procedura  per  i  giudizi innanzi la Corte dei
conti,  approvato  con  regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, «nella
parte  in  cui  consente  al  giudice  di  "ordinare  al  procuratore
generale"  (ora anche regionale) anche di (secondo il diritto in atto
vivente)  "integrare  l'atto  di  citazione con riferimento ad alcuni
profili  della  domanda  riguardanti  anche  l'elemento oggettivo del
danno ed il nesso di causalita'"»;
        che  il  giudizio  a  quo ha per oggetto l'impugnazione della
sentenza  emessa  il  12 marzo  2003  dalla  Corte dei conti, sezione
giurisdizionale  per  la  Regione  Molise,  con  la quale gli attuali
appellanti  sono  stati  condannati,  in  qualita'  di componenti del
Comitato  di  gestione  della  USL n. 5 di Campobasso (ed uno di essi
quale funzionario dipendente della medesima USL), al risarcimento del
danno   per   il   pregiudizio   arrecato  all'erario  «in  relazione
all'affidamento  e  alla  gestione  dei contratti per la manutenzione
ordinaria  e  straordinaria  degli  impianti  e  delle  opere  civili
dell'ospedale Cardarelli di Campobasso»;
        che,  come  espone  il  rimettente, nel corso del giudizio di
primo   grado,   i   convenuti   avevano   eccepito,   tra   l'altro,
«l'inammissibilita'    dell'atto    di   citazione   per   l'assoluta
indeterminatezza  del  petitum  e  della causa petendi» e il giudice,
proprio  in riferimento a siffatta eccezione, pur dando atto che «non
si ravvisavano, nel caso di specie, i presupposti di cui all'art. 164
c.p.c.  in  relazione  all'art. 163,  terzo  comma, n. 3 dello stesso
c.p.c.»,  aveva  ordinato  al  procuratore  regionale  di  provvedere
«all'integrazione  dell'atto  di  citazione con riferimento ad alcuni
profili  della domanda riguardanti gli elementi della responsabilita'
amministrativa  contestata  agli  odierni  convenuti,  e segnatamente
l'elemento  oggettivo  del  danno  e  il  nesso  di causalita' fra le
singole partite di danno e i soggetti al cui comportamento omissivo o
commissivo le stesse sarebbero imputabili»;
        che,  rammenta  ancora il giudice a quo, successivamente alla
riassunzione  del  giudizio  da  parte  del procuratore regionale, le
parti   convenute   avevano   insistito  nell'eccezione  di  nullita'
dell'atto  di  citazione, assumendo che «risultavano ancora del tutto
indeterminati  l'oggetto  della  domanda  attrice  e  i comportamenti
ascritti  agli odierni convenuti con riferimento alle singole voci di
danno  di cui alla pretesa risarcitoria attorea» e, malgrado cio', il
giudice   di   primo   grado,  «ritenuto  di  poter  disattendere  le
argomentazioni  difensive  e'  pervenuto  alla  condanna  (seppur per
importi  inferiori  per  aver disconosciuto alcune partite di danno e
ridotte   altre  per  parziale  prescrizione)  di  tutti  i  soggetti
convenuti»;
        che, evidenzia infine il rimettente, la sentenza emessa dalla
sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Molise era stata, quindi,
appellata  da  tutti  i  condannati,  i  quali,  tra l'altro, avevano
riproposto  l'eccezione  di  nullita'  e  di  inammissibilita'  della
citazione    introduttiva,    deducendo   altresi'   la   «violazione
dell'art. 111  della  Costituzione in relazione all'art. 132 c.p.c.»,
nonche'  la  «violazione  dei principi di cui all'art. 112, 163 e 164
c.p.c.»;
        che, tanto premesso, il giudice a quo osserva che l'ordine di
integrare   l'atto   di   citazione  dato  al  procuratore  regionale
troverebbe,  come  peraltro  asserito  dallo  stesso giudice di primo
grado,  sostegno  nell'art. 14  del  r.d.  n. 1038 del 1933, il quale
«indica  i  poteri del giudice contabile in quella che puo' chiamarsi
la  fase istruttoria» e che «ha trovato, da tempo ormai immemorabile,
costante  (e  quasi incontrastata) applicazione (anche e soprattutto)
nel giudizio di responsabilita' amministrativa»;
        che,  tuttavia,  il  denunciato  art. 14  «dopo  l'entrata in
vigore  del  nuovo  art. 111  della  Costituzione e comunque ai sensi
dell'art. 24  della  stessa  Costituzione,  potrebbe apparire, almeno
sotto l'aspetto che interessa, costituzionalmente illegittimo»;
        che  difatti,  secondo  il  rimettente,  la  norma censurata,
«demandando  al  giudice  la  possibilita' di ordinare al procuratore
regionale  (che e' pur sempre una parte di un processo paritetico) di
integrare  l'atto di citazione (che e' pur sempre l'atto che non solo
dispone  la  chiamata in giudizio del soggetto ritenuto responsabile,
ma   anche,  per  quel  che  piu'  conta,  delimita  ovvero  dovrebbe
delimitare  fin  dalla  notificazione alla controparte gli essenziali
elementi  del  petitum e della causa petendi)», verrebbe «a collidere
tanto con il dettato costituzionale (art. 111) che ha previsto che il
processo,  definito  "giusto",  si svolge "nel contraddittorio tra le
parti,  in  condizioni  di  parita',  davanti  ad un giudice terzo ed
imparziale",  quanto  con  il principio (art. 24) secondo il quale la
difesa  e'  un  diritto  inviolabile  "in  ogni  stato  e  grado  del
procedimento"»;
        che   il   contrasto   con   gli  evocati  parametri  sarebbe
«sufficientemente  evidente»  -  argomenta  ancora il giudice a quo -
«una  volta  che  il soggetto convenuto in giudizio si vede "mutare",
nel  corso del giudizio, i presupposti con riferimento ai quali aveva
improntato la sua difesa (violazione dell'art. 24 della Costituzione)
e,  soprattutto  si  vede  mutare detti presupposti su iniziativa del
giudice  come  tale,  di  sicuro, non terzo ed imparziale (violazione
dell'art. 111 della Costituzione)»;
        che peraltro, ad avviso del rimettente, non sarebbe possibile
«una  mera  disapplicazione dell'articolo in questione (in quanto non
in  linea  con  la  costante  giurisprudenza  al riguardo) ovvero una
diversa lettura dello stesso che possa consentire, di per se sola, di
far ritenere non necessario l'intervento del Giudice delle leggi»;
        che,  infine,  il  giudice  a  quo  evidenzia,  in  punto  di
rilevanza,   «che   l'eventuale   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 14 del r.d. n. 1033 del 1938 nella parte che
consente al giudice di ordinare al procuratore attoreo (come avvenuto
in  fattispecie)  di  "integrare l'atto di citazione", determinerebbe
una pronuncia di annullamento della sentenza di condanna»;
        che  si e' costituita una delle parti appellanti nel giudizio
a  quo,  la  quale,  aderendo  alle argomentazioni del rimettente, ha
concluso  per  la  declaratoria  di illegittimita' costituzionale del
denunciato art. 14 del r.d. n. 1038 del 1938;
        che,  ad  avviso  della  parte  privata,  la  norma censurata
rappresenterebbe,  alla  stregua di un orientamento giurisprudenziale
consolidato, «una delle massime espressioni del "potere sindacatorio"
del  giudice  contabile»,  il  quale  consente  «un  potere  di extra
petizione  del giudice [...] un potere illimitato di acquisizione dei
fatti,  indipendentemente  dalla  richiesta  della parte del P.M., un
potere  di determinare il danno subito dalla P.A. secondo equita', un
potere  di  iniziativa processuale ed un potere di sindacare gli atti
estranei alla propria giurisdizione»;
        che  siffatto  potere  -  argomenta conclusivamente la difesa
della  parte  privata  -  alla  luce dei principi posti dall'art. 111
Cost.    (parita'   delle   parti;   contraddittorio;   terzieta'   e
imparzialita'  del  giudice;  ragionevole durata del processo), «deve
ritenersi  oggi  non  piu' esercitabile», come del resto sostenuto da
recenti pronunce dello stesso giudice contabile;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
manifestamente infondata;
        che,  quanto  all'inammissibilita',  essa  deriverebbe  da un
difetto  di  rilevanza  della  questione,  giacche',  incentrandosi i
motivi  di appello «sulla persistente nullita' dell'atto di citazione
di   primo   grado   anche  dopo  l'avvenuta  integrazione  [...]  in
applicazione  del disposto della norma impugnata», si avrebbe che «la
conversione  dei  motivi  di  nullita'  in motivi di appello rende il
giudice  del  gravame  pienamente  legittimato a formulare ex novo il
giudizio  sulla  nullita',  senza  che  venga  in rilievo il corretto
esercizio   dell'attivita'  connessa  alla  sanatoria  del  vizio  di
nullita'  operata dal giudice di primo grado, evidentemente assorbita
dalle censure di nullita' della sentenza impugnata»;
        che, nel merito, l'infondatezza della questione discenderebbe
dal  fatto  che «i poteri di integrazione di singoli atti processuali
ad opera del giudice sono previsti dall'ordinamento processuale anche
in  altri  riti»  (civile: artt. 164, secondo comma, e 182 cod. proc.
civ;  penale:  art. 507  cod. proc. pen.), senza che cio' costituisca
pregiudizio  per  la  terzieta' dello stesso giudice e che, peraltro,
oltre   al   valore  della  terzieta',  dovrebbe  considerarsi  anche
«l'interesse generale» a che il processo giunga infine, «nelle dovute
forme»,  all'affermazione  o  negazione  del diritto azionato, con la
conseguenza   che   «i  poteri  officiosi  di  sanatoria»  andrebbero
inscritti in detta finalita', anch'essa garantita dall'art. 24 Cost..
    Considerato  che  questa Corte e' chiamata a scrutinare l'art. 14
del  regolamento  di  procedura  per  i  giudizi innanzi la Corte dei
conti,  approvato  con  regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, «nella
parte  in  cui  consente  al  giudice  di  "ordinare  al  procuratore
generale"  (ora anche regionale) anche di (secondo il diritto in atto
vivente)  "integrare  l'atto  di  citazione con riferimento ad alcuni
profili  della  domanda  riguardanti  anche  l'elemento oggettivo del
danno ed il nesso di causalita'"»;
        che,  ad  avviso  della  rimettente  Corte dei conti, sarebbe
violato  l'art. 24  Cost. - «secondo il quale la difesa e' un diritto
inviolabile  "in ogni stato e grado del procedimento"» - giacche' «il
soggetto  convenuto  in  giudizio  si  vede  "mutare",  nel corso del
giudizio,  i presupposti con riferimento ai quali aveva improntato la
sua difesa»;
        che,  inoltre, sussisterebbe la lesione dell'art. 111 Cost. -
«che  ha  previsto che il processo, definito "giusto", si svolge "nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti ad un
giudice terzo ed imparziale"» - in quanto la medesima parte convenuta
«soprattutto  si  vede  mutare  detti  presupposti  su iniziativa del
giudice come tale, di sicuro, non terzo ed imparziale»;
        che,    preliminarmente,    va   esaminata   l'eccezione   di
inammissibilita'  della questione per difetto di rilevanza, sollevata
dalla  difesa erariale sul presupposto che il rimettente non dovrebbe
fare  applicazione  della norma denunciata, «non essendo rilevante lo
scrutinio  del  corretto  uso  del  potere  di integrazione dell'atto
introduttivo», ma «la valutazione dell'effettiva persistente nullita'
dell'atto introduttivo anche dopo l'integrazione»;
        che,  invero,  non risulta implausibile la motivazione che si
ricava dall'ordinanza di rimessione circa l'applicazione dell'art. 14
del  r.d.  n. 1038  del  1933,  cui  lo  stesso giudice a quo sarebbe
tenuto:  cioe'  di delibare se la disposta integrazione della domanda
introduttiva  del  giudizio,  innestandosi  su una citazione ritenuta
validamente  proposta  dal  giudice di primo grado, fosse consentita,
nei  termini  in  cui  si  e'  realizzata, proprio dalla disposizione
denunciata, nella portata che il medesimo rimettente le ascrive e che
assume contraria a Costituzione;
        che la predetta eccezione deve, quindi, essere respinta;
        che   la  questione  va,  invece,  dichiarata  manifestamente
inammissibile  sotto  altro  profilo,  giacche'  il giudice a quo non
sottopone  alla  Corte  un  dubbio  di  costituzionalita', bensi' una
questione di mera interpretazione, cosi' da utilizzare impropriamente
il  giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  che  non  e' volto a
fornire  avalli  alle  interpretazioni  dei  giudici comuni, ai quali
invece  spetta  scegliere, tra piu' interpretazioni possibili, quella
conforme a Costituzione (ex plurimis, ordinanze n. 299, n. 114, n. 64
e n. 28 del 2006; n. 420 e n. 306 del 2005);
        che,  a  tal  riguardo,  occorre  anzitutto  osservare che il
denunciato  art. 14, sotto la rubrica «Della istruzione», stabilisce:
«La  Corte  puo' richiedere all'amministrazione e ordinare alle parti
di produrre gli atti e i documenti che crede necessari alla decisione
della  controversia  e  puo'  ordinare  al  procuratore  generale  di
disporre  accertamenti  diretti anche in contraddittorio delle parti.
In  tale  ultimo  caso  queste  sono  a cura del procuratore generale
avvisate, almeno cinque giorni prima, del luogo, giorno ed ora in cui
si eseguiranno gli accertamenti stessi»;
        che,  pertanto,  risulta  evidente,  dalla  lettura  di  tale
articolo,  che la norma sottoposta allo scrutinio di questa Corte non
discende immediatamente, nella portata ritenuta dal rimettente, dalla
formulazione letterale della disposizione in esso contenuta;
        che,  inoltre,  la  stessa  parte  privata  -  appellante nel
giudizio   a   quo   -   pur  invocando  l'incostituzionalita'  della
disposizione,  rammenta  come nella piu' recente giurisprudenza della
Corte  dei  conti  sul  giudizio di responsabilita' amministrativa si
registrino,   quanto   all'interpretazione  del  denunciato  art. 14,
posizioni  differenziate  e,  addirittura,  di segno opposto a quella
indicata dal giudice a quo come «diritto vivente»;
        che,  in  effetti,  emergono  nella giurisprudenza contabile,
proprio a seguito della novella dell'art. 111 Cost., orientamenti non
univoci  in  relazione  alla  portata della norma denunciata, i quali
oscillano  da  posizioni piu' radicali, che addirittura negano che il
cosiddetto  potere  sindacatorio  del  giudice contabile possa ancora
essere  esercitato,  a  convincimenti  che ne restringono il campo di
applicazione  soltanto  alla  fase  dell'acquisizione  probatoria  e,
ancora,  ad  interpretazioni che valorizzano il legame del denunciato
art. 14 con l'art. 26 dello stesso regolamento di procedura, cosi' da
ampliare  l'applicazione  delle  norme  del  codice  di  rito civile,
tenendo  presente  la  specificita'  del  giudizio di responsabilita'
amministrativa,  che  deriva  anche dal principio secondo cui, ove il
danno  all'erario  sia  causato da piu' persone, la valutazione delle
responsabilita'  e' operata singolarmente e ciascuno risponde «per la
parte   che   vi  ha  preso»  (art. 1,  comma 1-quater,  della  legge
14 gennaio   1994,   n. 20,   recante  «Disposizioni  in  materia  di
giurisdizione  e  controllo  della  Corte dei conti», come introdotto
dall'art. 3   del  decreto-legge  23 ottobre  1996,  n. 543,  recante
«Disposizioni  urgenti  in  materia  di  ordinamento  della Corte dei
conti»,  convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996,
n. 639);
        che, dunque, il giudice a quo, «nell'adeguarsi ad un supposto
e  da  lui  non  condiviso  "diritto  vivente", [...] non ha preso in
considerazione  altri  orientamenti della giurisprudenza [...], cosi'
omettendo   di   esplorare  la  possibilita'  di  pervenire,  in  via
interpretativa,   alla   soluzione   che   egli  ritiene  conforme  a
Costituzione» (cosi' la citata ordinanza n. 64 del 2006).