ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge
3 ottobre  2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto
societario),  e  degli  articoli  da  2  a 17 del decreto legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 2 della legge
3 ottobre 2001, n. 366), promossi con ordinanze del 27 ottobre, del 6
dicembre,  del  24  novembre,  del  25  ottobre, del 18 maggio, del 6
ottobre,  del  10 novembre  e  del  14 dicembre  2005,  del  1° (n. 2
ordinanze) e del 3 febbraio 2006 e del 14 dicembre 2005 dal Tribunale
di Napoli, rispettivamente iscritte ai numeri da 172 a 174, 215, 301,
da  367  a  372  e 411 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica numeri 24, 28, 37, 40 e 42, 1ª
serie speciale, dell'anno 2006.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 7 febbraio 2007 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Napoli,  nel  corso  di  dodici
controversie  in  materia  societaria,  con  altrettante ordinanze di
contenuto sostanzialmente identico, emesse tra il 18 maggio 2005 e il
3 febbraio  2006,  ha  sollevato  -  in riferimento all'art. 76 della
Costituzione  - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12
della  legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma
del  diritto  societario), nella parte in cui non indica i principi e
criteri   direttivi  che  avrebbero  dovuto  guidare  le  scelte  del
legislatore  delegato  in  relazione  al  giudizio ordinario di primo
grado nell'indicata materia, e, «per derivazione», degli artt. da 2 a
17  del  decreto  legislativo  17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'art. 2 della legge 3 ottobre 2001, n. 366);
        che,  ad  avviso  del  Tribunale  rimettente, l'insufficiente
determinazione  da  parte  del  legislatore  delegante dei principi e
criteri   normativi   che  avrebbero  dovuto  guidare  l'operato  del
legislatore  delegato  -  rispetto  all'unico obiettivo dichiarato di
assicurare una piu' rapida ed efficace definizione dei procedimenti -
lo   ha   di  fatto  lasciato  libero  di  creare  un  nuovo  modello
processuale,   del   tutto  estraneo  allo  schema  del  procedimento
ordinario disciplinato dal codice di procedura civile;
        che  il  rimettente ritiene la questione rilevante, in quanto
l'applicabilita'  della  nuova  disciplina  processuale alla concreta
fattispecie dipende dalla pronunzia della Corte costituzionale;
        che,  inoltre, il Tribunale di Napoli - «in via subordinata e
per  l'ipotesi  in  cui  la Corte dovesse ritenere costituzionalmente
legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001» - ha sollevato questione
di  legittimita'  costituzionale  degli articoli da 2 a 17 del citato
decreto legislativo n. 5 del 2003, sempre per contrasto con l'art. 76
della  Costituzione,  in  quanto  emanati  eccedendo  dai  principi e
criteri direttivi dettati dalla legge n. 366 del 2001;
        che  - secondo quanto afferma al riguardo il rimettente - per
evitare  il  sospetto  di  incostituzionalita' della legge delega per
indeterminatezza   e   genericita'  la  si  dovrebbe  necessariamente
interpretare  nel  senso  che  il legislatore delegante, indicando il
principio   di   «concentrazione   del   procedimento»,  abbia  fatto
riferimento  alle  scansioni  previste  per  il  processo  ordinario,
articolato  in  una successione di udienze fisse ed obbligatorie, per
cui  il  legislatore  delegato avrebbe potuto «riempire» il principio
ispiratore  della  delega  solo  riducendo  i  termini  previsti  nel
giudizio  di cognizione ordinario per la fissazione di tali udienze e
per il deposito di memorie e comparse difensive;
        che,   viceversa,   il   decreto   legislativo  -  lungi  dal
«concentrare»  l'attuale  rito  ordinario  - ha in realta' introdotto
nell'ordinamento  il diverso rito prefigurato dal testo redatto dalla
commissione ministeriale per la riforma del processo civile;
        che,  in tutti i giudizi (fatta eccezione per quelli promossi
con  le  ordinanze  iscritte  ai  numeri  215  e  371  del  2006), e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura   generale   dello  Stato,  concludendo  per
l'inammissibilita' o per l'infondatezza delle sollevate questioni.
    Considerato  che  le  ordinanze di rimessione sollevano questioni
identiche, riguardanti tutte la delega legislativa per la riforma dei
procedimenti  in  materia  di  diritto  societario,  onde  i relativi
giudizi devono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
        che   questa   Corte   -   gia'   investita   del  vaglio  di
costituzionalita'  delle  stesse  questioni,  sollevate  dal medesimo
Tribunale di Napoli - ne ha dichiarato la manifesta inammissibilita',
ritenendo  che  (considerate  le modalita' e le argomentazioni con le
quali sono state prospettate) tra di esse non corra il (pur asserito)
nesso  di subordinazione logico-giuridica della seconda alla prima; e
che,  invece, l'interpretazione «subordinata», esposta dal rimettente
a  sostegno  della  legittimita'  della  legge  di  delega  (da  esso
compiutamente   argomentata   e   quasi   «suggerita»   alla  Corte),
contraddica  radicalmente  la  diversa  lettura  della medesima norma
premessa  alla  questione «principale» (ordinanze n. 360 e n. 209 del
2006);
        che  anche  le presenti questioni (sollevate in modo identico
alle  precedenti)  presentano lo stesso difetto di prospettazione, in
quanto  il  rimettente  - non solo non adempie l'obbligo di ricercare
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  di  ciascuna delle
norme  impugnate  ma  - propone, nel medesimo contesto motivazionale,
due   opzioni   ermeneutiche   sostanzialmente   alternative,   cosi'
inammissibilmente demandando alla Corte la scelta fra di esse.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.