ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito
della   sentenza   del   Tribunale  amministrativo  regionale  Veneto
21 aprile  2005,  n. 1735, promosso con ricorso della Regione Veneto,
notificato  il  20  giugno 2005  e  il  14 aprile 2007, depositato in
cancelleria  il  27  giugno 2005  ed il 19 aprile 2007 ed iscritto al
n. 22 del registro conflitti tra enti 2005.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri  nonche'  l'atto  di intervento di Panizzon Bruno e F.lli di
Panizzon Bruno & C. s.n.c;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  22 maggio  2007  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri;
    Uditi  gli  avvocati  Primo  Michielan  e Salvatore Di Mattia per
Panizzon  Bruno  e  F.lli  di  Panizzon  Bruno  &  C.  s.n.c.,  Mario
Bertolissi per la Regione Veneto e l'avvocato dello Stato Glauco Nori
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato il 20 giugno 2005 e depositato il
successivo  27  giugno,  la Regione Veneto, in persona del Presidente
pro  tempore,  ha  proposto  conflitto  di attribuzione nei confronti
dello  Stato  in relazione alla sentenza del Tribunale amministrativo
regionale  Veneto  21 aprile  2005,  n. 1735,  per  violazione  degli
artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
    1.1.  -  Con  la  citata  sentenza  il  Tribunale  amministrativo
regionale  Veneto  ha  deliberato  in  merito  a due distinti ricorsi
proposti  dalla Panizzon Bruno e F.lli di Panizzon Bruno & C. s.n.c.,
per  l'annullamento,  con il primo, del provvedimento dirigenziale di
diniego  della  concessione  edilizia  e della delibera consiliare di
adozione della variante generale al P.R.G. del Comune di Schio e, con
il secondo, del provvedimento dirigenziale di diniego del permesso di
costruire.
    La  ricorrente  ricostruisce,  in via preliminare, le vicende che
hanno  originato  il  giudizio  amministrativo,  evidenziando come la
societa'  Panizzon Bruno e F.lli, proprietaria di un lotto di terreno
edificabile  nel  comune  di  Schio,  abbia presentato istanza per il
rilascio  di  concessione  edilizia.  Tale richiesta, pero', e' stata
respinta dal dirigente del Servizio edilizia privata in quanto l'area
della   lottizzazione,   attraversata  da  un  elettrodotto,  risulta
compresa nella fascia di rispetto (come individuata dalla cartografia
di  cui alla variante generale al P.R.G., nel frattempo approvata dal
Comune   di  Schio)  e  risultano  superati  i  limiti  di  induzione
magnetica, stabiliti dalla legge della Regione Veneto 30 giugno 1993,
n. 27  (Prevenzione  dei  danni  derivanti dai campi elettromagnetici
generati da elettrodotti).
    La  societa'  ha  proposto, pertanto, un primo ricorso avverso il
provvedimento  dirigenziale  di  diniego  e la delibera consiliare di
adozione  della  variante generale al P.R.G., sostenendo che la legge
regionale n. 27 del 1993 dovrebbe ritenersi implicitamente abrogata -
in   virtu'   dell'art. 10   della   legge  10 febbraio  1953,  n. 62
(Costituzione  e  funzionamento  degli  organi regionali) - a seguito
dell'entrata  in  vigore  della  legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge
quadro   sulla   protezione  dalle  esposizioni  a  campi  elettrici,
magnetici ed elettromagnetici).
    A parere della societa' proprietaria del fondo, infatti, i valori
limite  piu'  restrittivi  contenuti  nella  normativa  regionale non
possono  trovare  applicazione, poiche' in contrasto sia con la legge
quadro  n. 36  del  2001  sia  con il d.P.C.m. 23 aprile 1992 [Limiti
massimi  di  esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla
frequenza  industriale  nominale  (50  Hz) negli ambienti abitativi e
nell'ambiente esterno], che, ai sensi dell'art. 16 della citata legge
n. 36  del 2001, si applicava fino alla data di entrata in vigore del
decreto   del   Presidente   del   Consiglio   dei  ministri  di  cui
all'articolo 4, comma 2, lettera a), della legge n. 36 del 2001.
    Nell'ipotesi  in  cui  le  disposizioni della legge della Regione
Veneto  non fossero state ritenute abrogate, la difesa della societa'
ricorrente ha chiesto che venisse sollevata questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 4  della legge regionale n. 27 del 1993 per
violazione  dell'art. 117  Cost.,  conseguente  al  contrasto  con  i
principi fondamentali di cui alla legge n. 36 del 2001.
    A  seguito  dell'entrata  in  vigore  del  d.P.C.m. 8 luglio 2003
[Fissazione  dei  limiti  di  esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualita' per la protezione della popolazione dalle
esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50
Hz)  generati dagli elettrodotti], la societa' proprietaria dell'area
ha presentato una nuova richiesta di permesso di costruire, anch'essa
rigettata.
    Avverso quest'ultimo provvedimento di diniego la Panizzon Bruno e
F.lli  s.n.c. ha proposto un secondo ricorso, con il quale sono state
richiamate  le  osservazioni  svolte  con  il  primo  in  riferimento
all'avvenuta  abrogazione  della legge regionale da parte della legge
n. 36 del 2001 e della normativa regolamentare di attuazione.
    1.2.  -  Con  la  sentenza  21 aprile  2005,  n. 1735  -  oggetto
dell'odierno conflitto - il Tribunale amministrativo regionale Veneto
ha respinto il primo ed accolto il secondo dei ricorsi proposti.
    In merito al primo ricorso, il giudice amministrativo ha ritenuto
che, nel periodo precedente l'entrata in vigore del d.P.C.m. 8 luglio
2003,  la  legge  regionale  n. 27 del 1993 fosse ancora vigente, non
«essendosi  ancora  completata  la  disciplina introdotta dalla legge
quadro statale» e pertanto ha rigettato il ricorso medesimo.
    Quanto  invece  al  secondo  ricorso, il Tribunale amministrativo
regionale,  a  seguito  dell'entrata  in vigore del d.P.C.m. 8 luglio
2003,  recante  norme  di  attuazione  della legge n. 36 del 2001, ha
fatto  applicazione della normativa nazionale, in quanto la pregressa
legislazione  regionale  doveva  ritenersi implicitamente abrogata in
virtu'  del  «principio generale di cui all'art. 10 della legge n. 62
del 1953».
    1.3.  -  La  Regione Veneto ritiene che, affermando l'abrogazione
della  normativa  regionale,  il  Tribunale  amministrativo regionale
abbia  operato  «uno  sconfinamento  assoluto dalla giurisdizione, in
violazione  degli  artt. 5,  101,  114, 117 e 134 Cost.» e, pertanto,
abbia leso l'autonomia regionale.
    Secondo  l'odierna  ricorrente, il giudice amministrativo avrebbe
dovuto sollevare questione di legittimita' costituzionale della legge
regionale  n. 27  del  1993  e  «non decidere i ricorsi semplicemente
dichiarando l'abrogazione, come invece ha fatto». La Regione aggiunge
che  «nel  quadro  dei  principi  del  nostro  sistema costituzionale
risulta  assolutamente  paradossale  che  un Tribunale amministrativo
regionale  possa  dichiarare abrogata una legge regionale in vigore a
seguito dell'emanazione di un d.P.C.m., atto di natura regolamentare,
per quanto attuativo della legge quadro della materia».
    A   suo  dire,  inoltre,  l'obbligo  per  le  Regioni  -  sancito
nell'art. 4,  comma 5,  della  legge  n. 36 del 2001 - di adeguare la
propria   legislazione   ai  limiti  di  esposizione,  ai  valori  di
attenzione  e  agli obiettivi di qualita' previsti dai decreti di cui
al comma 2 dello stesso art. 4, «esclude che l'antinomia creatasi tra
fonti possa risolversi con l'implicita abrogazione della legislazione
regionale».
    1.4.  -  La  Regione  ricorrente,  in  ogni  caso,  contesta  che
l'art. 10  della  legge  n. 62  del  1953  sia  ancora  in vigore. La
disposizione  in  parola,  richiamata  dal  Tribunale  amministrativo
regionale Veneto per giustificare l'abrogazione della legge regionale
n. 27  del  1993,  stabilisce  che  «Le  leggi  della  Repubblica che
modificano   i   principi   fondamentali   di   cui  al  primo  comma
dell'articolo  precedente  abrogano  le  norme regionali che siano in
contrasto con esse».
    La  Regione  Veneto, dopo aver sottolineato che il citato art. 10
della   legge  n. 62  fa  discendere  l'abrogazione  della  normativa
regionale  unicamente dall'entrata in vigore di disposizioni di rango
legislativo  e non gia' regolamentare, osserva che tale norma «appare
certo in diretto contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo V
della  nostra  Costituzione  a seguito delle modifiche operate con la
legge  costituzionale  n. 3  del 2001 e con la normativa ordinaria di
adeguamento».
    In  particolare la ricorrente, richiamando le sentenze n. 282 del
2002  e nn. 201 e 353 del 2003 della Corte costituzionale, sottolinea
come  la  riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione
abbia  accentuato  la  distinzione  fra  la  competenza  regionale  a
legiferare  nelle  materie  di  potesta'  concorrente e la competenza
statale a determinare i principi fondamentali della disciplina.
    La  Regione ricorda, inoltre, che la legge n. 131 del 2003 non ha
riprodotto  il  testo dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953, ne' vi
ha  fatto  rinvio  in  alcuna delle sue disposizioni. Anzi, quando la
stessa legge n. 131 ha voluto stabilire limiti all'applicazione della
normativa regionale a seguito dell'entrata in vigore della competente
legislazione  statale, lo ha fatto esplicitamente, come nella seconda
parte  del  comma 2  dell'art. 1,  relativo alle materie appartenenti
alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato.
    Per  queste  ragioni,  la  ricorrente ritiene che l'art. 10 della
legge   n. 62   del   1953   debba   ritenersi  abrogato  «a  seguito
dell'introduzione  del nuovo testo del Titolo V della Costituzione o,
a  tutto  concedere,  a  partire dall'entrata in vigore della legge 5
giugno 2003,  n. 131,  che  ha  ridisciplinato la materia». Da quanto
detto  discenderebbe che il Tribunale amministrativo regionale Veneto
«non  aveva  il potere di ritenere abrogata la normativa regionale» e
che,  pertanto, «avrebbe al limite solo potuto sollevare la questione
di legittimita' costituzionale».
    La  Regione  conclude  chiedendo a questa Corte di dichiarare che
non   spettava   allo  Stato,  e  nel  caso  specifico  al  Tribunale
amministrativo  regionale Veneto, ritenere implicitamente abrogata la
legge  regionale  n. 27  del  1993,  e,  di conseguenza, annullare la
sentenza  21 aprile 2005, n. 1735, per violazione degli artt. 5, 101,
114, 117 e 134 Cost.
    In  subordine, qualora non si dovesse ritenere abrogato l'art. 10
della  legge  n. 62 del 1953, la difesa regionale chiede che la Corte
sollevi  avanti  a se stessa questione di legittimita' costituzionale
del medesimo art. 10 della legge n. 62 del 1953 per contrasto con gli
artt. 5, 114 e 117 Cost.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato  inammissibile o
infondato.
    2.1.   -   La   difesa   erariale,   preliminarmente,   eccepisce
l'inammissibilita'  del  ricorso  perche' reputa inconferenti tutti i
parametri  costituzionali  evocati  dalla  Regione.  Al  riguardo, il
resistente  osserva  che  la  sentenza  del  Tribunale amministrativo
regionale  Veneto,  per  ledere  una  attribuzione regionale, avrebbe
dovuto  «andare  al di la' quanto meno del potere giurisdizionale del
giudice  amministrativo,  sennonche' nel ricorso non viene richiamata
nessuna norma o nessun principio che attenga alla giurisdizione».
    L'Avvocatura  dello  Stato  rileva,  inoltre,  che, in virtu' del
principio dispositivo, la decisione del giudice amministrativo doveva
intervenire  solo  sui  motivi di ricorso; pertanto, poiche' nel caso
specifico  quest'ultimo  era  fondato sull'avvenuta abrogazione della
norma  regionale  e  la  parte  interessata  non ha chiesto che fosse
sollevata  questione  di  legittimita' costituzionale, il giudice non
era tenuto a proporla d'ufficio.
    Il  resistente  aggiunge che, comunque, la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale Veneto «non comporta la perdita di efficacia
definitiva   e   generale   della  legge  regionale,  che  come  atto
legislativo mantiene integra la sua struttura»; pertanto, in un altro
giudizio,  il giudice investito «potra' dichiarare la norma regionale
tuttora  in vigore o, sul presupposto del suo vigore, sottoporla alla
verifica di costituzionalita' da parte di codesta Corte».
    In  merito  all'art. 10  della  legge  n. 62  del 1953, la difesa
erariale  osserva  che si tratta di «una legge ordinaria che non puo'
produrre  effetti  in  un  rapporto  integralmente disciplinato dalla
Costituzione.  In  ogni  caso,  la  norma  e'  destinata  ad  operare
attraverso la valutazione dei singoli giudici, vale a dire attraverso
lo  strumento  del  giudicato». Il giudice di secondo grado, infatti,
potrebbe  non  ritenere  abrogata  la  norma  regionale o decidere di
sollevare  la  questione  di  costituzionalita'.  Per  queste ragioni
l'Avvocatura dello Stato ritiene inammissibile il conflitto.
    2.2. - In subordine, la difesa statale contesta la fondatezza del
conflitto.
    A  tal  fine  osserva  che,  se  fosse  accolto  il  ricorso,  si
produrrebbero   delle  conclusioni  inaccettabili.  Il  conflitto  di
attribuzioni  potrebbe,  infatti,  essere  sollevato  anche quando la
questione   di   costituzionalita'  fosse  dichiarata  manifestamente
infondata   dal  giudice  di  merito,  trasformando  cosi'  la  Corte
costituzionale in «una sorta di giudice di seconda istanza» che opera
«su richiesta di un terzo estraneo al giudizio».
    Secondo l'Avvocatura, quanto detto rende ancor piu' evidente come
«non  possa radicarsi un conflitto di attribuzioni su di una sentenza
intervenuta  in un giudizio in cui i poteri decisori del giudice sono
limitati   dalla  domanda  o  dai  motivi  del  ricorso».  Ragionando
diversamente,   il   conflitto  si  trasformerebbe  in  un  improprio
strumento  di  sindacato  e  di  censura  del modo di esercizio della
funzione giurisdizionale.
    3.  -  In data 18 agosto 2005 ha depositato atto di intervento la
societa'  Panizzon  Bruno  e  F.lli,  chiedendo  che  sia  dichiarata
«l'irricevibilita', l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso».
    Quest'ultimo,   a   parere  dell'interveniente,  «si  risolve  in
un'inammissibile  -  in  questa  sede  -  censura  di  pretesi errori
commessi  da un organo giurisdizionale nell'esercizio di una funzione
sicuramente compresa nella sua competenza».
    Pertanto, contestando lo sconfinamento assoluto di giurisdizione,
la   Regione  Veneto  avrebbe  «sostanzialmente  censurato  i  poteri
dell'organo   giurisdizionale   attribuiti   dalla   legge».   Questa
prospettazione,  a detta della societa' interveniente, si tradurrebbe
«in   una   censura  alle  norme  regolatrici  della  giurisdizione»,
rilevabile  nel  giudizio  amministrativo  concluso  con  l'impugnata
sentenza del Tribunale amministrativo regionale Veneto.
    4.  -  La Regione Veneto, nelle date del 19 e del 30 aprile 2007,
ha   depositato   copie   dell'atto  introduttivo  e  della  sentenza
impugnata,  notificate  al  Presidente  del  Tribunale amministrativo
regionale   Veneto   ai  sensi  dell'art. 27,  comma 2,  delle  norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
    5.   -  In  prossimita'  della  data  fissata  per  l'udienza  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato una memoria
integrativa, con la quale insiste per l'inammissibilita' del ricorso.
    In  particolare,  dopo aver ribadito l'inconferenza dei parametri
di  cui agli artt. 5, 101, 114 e 134 Cost., osserva che «rilevante in
linea  di  principio  e'  solo  l'art. 117  Cost.  che,  peraltro, in
concreto  non  risulta applicabile». A questo riguardo, si sottolinea
come  l'art. 117 Cost. possa essere evocato come parametro solo se la
competenza legislativa della Regione e' violata da una legge statale.
Al  contrario,  nel caso di specie si discute di un atto di esercizio
della  funzione  giurisdizionale;  pertanto,  la  sentenza «in quanto
destinata  a  produrre  effetti  solo tra le parti e nei limiti della
materia del contendere, come definita dalle domande e dalle eccezioni
da  esse  proposte,  non  puo' incidere in nessun modo sulla potesta'
normativa  dei  soggetti  che hanno emanato le norme applicate, tanto
meno quando quelle norme hanno forma legislativa».
    In  definitiva,  la difesa erariale ritiene che l'obiettivo della
Regione,  con  il  ricorso  in esame, sia quello di «porre rimedio ad
errori  di  giudizio di diritto sostanziale o processuale, eludendo i
mezzi   previsti   dagli   ordinamenti   processuali   delle  diverse
giurisdizioni».
    6.  -  Ha  depositato  una  memoria integrativa anche la societa'
Panizzon  Bruno  e  F.lli,  la  quale da' notizia che il Consiglio di
Stato,  sez.  IV,  con  l'ordinanza n. 4509 del 27 settembre 2005, ha
respinto la richiesta di sospensione dell'esecutivita' della sentenza
21 aprile 2005, n. 1735, avanzata dalla Regione Veneto.
    6.1.  - Con riferimento all'ammissibilita' del proprio intervento
nel  giudizio per conflitto di attribuzione, la societa' in questione
rileva che «dall'accoglimento o meno del proposto conflitto deriva la
conservazione  o  meno della citata sentenza e quindi del presupposto
diritto  o  meno  ad  agire  in sede giurisdizionale amministrativa a
tutela   dell'interesse  legittimo  ad  edificare,  leso  da  diniego
comunale».
    L'interveniente     e'     consapevole    della    giurisprudenza
costituzionale  che  ritiene  precluso l'intervento, nel giudizio per
conflitto  di attribuzione, di soggetti diversi da quelli legittimati
a  proporre  il  ricorso,  nella  misura  in cui detta giurisprudenza
appare  intesa  a  salvaguardare il tono costituzionale dei conflitti
affidati  al giudizio della Corte ed a far si' che questi non mettano
capo a   controversie  di  diritto  comune.  Nondimeno,  la  societa'
Panizzon   Bruno  e  F.lli  ritiene  che  l'esigenza  di  tutela  del
contraddittorio debba essere riaffermata anche nel presente giudizio,
in  quanto l'accoglimento del ricorso potrebbe compromettere l'azione
giurisdizionale  intrapresa  a  tutela  di un interesse legittimo. In
questo  senso,  l'interveniente  richiama  quanto affermato da questa
Corte nelle sentenze n. 76 del 2001 e nn. 312 e 89 del 2006.
    6.2.    -    La    menzionata    societa'   ribadisce,   inoltre,
l'inammissibilita' del ricorso che, a suo dire, si tradurrebbe in uno
strumento  atipico  di  impugnazione  della  sentenza 21 aprile 2005,
n. 1735, del Tribunale amministrativo regionale Veneto.
    Nel  merito,  l'interveniente  ritiene  che non sia configurabile
alcuno  sconfinamento  di  giurisdizione nella sentenza in parola, in
quanto    rientra    nell'ambito   della   competenza   del   giudice
amministrativo l'accertamento dell'effetto abrogativo.
    6.3. - Infine, l'inammissibilita' del ricorso e' dedotta anche in
virtu'  delle  norme  sull'interpretazione  e sull'applicazione della
legge.   In   particolare,  la  societa'  rileva  come  il  Tribunale
amministrativo  regionale  Veneto, con la sentenza piu' volte citata,
non   abbia  operato  «alcuna  invasione  generale»  della  sfera  di
competenza  regionale,  essendosi  limitato  ad applicare la norma al
caso concreto.
    7.  -  Nella  memoria  depositata  in prossimita' dell'udienza la
Regione  Veneto eccepisce, anzitutto, l'inammissibilita' dell'atto di
intervento della societa' Panizzon Bruno e F.lli.
    Dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale in materia,
la  ricorrente  osserva come la pronuncia che la Corte costituzionale
adottera' a conclusione del presente giudizio non sia comunque idonea
«ad  incidere sulla possibilita' che il giudizio amministrativo [...]
abbia luogo».
    La  Regione  deduce,  inoltre,  l'infondatezza  dell'eccezione di
inammissibilita' avanzata dalla difesa erariale, in quanto il ricorso
non  sarebbe  diretto  a  censurare  la  commissione  di  errores  in
iudicando  -  come  sostenuto  dal  resistente - ma «lo sconfinamento
assoluto  dalla  giurisdizione  operato  dal Tribunale amministrativo
regionale».  La ricorrente non contesta «la possibilita' in astratto»
da  parte  di  un  giudice  di  ritenere abrogata una disposizione di
legge,  ma  ne  contesta  «la  possibilita' in concreto, in relazione
cioe' al particolare rapporto tra fonti statali e regionali e al loro
succedersi nel tempo nella fattispecie in oggetto».
    A  parere  della  difesa regionale, altrettanto infondata sarebbe
l'affermazione   dell'Avvocatura  generale  secondo  cui  la  Regione
denuncerebbe  impropriamente  la  lesione  dell'art. 117  Cost.,  non
venendo  in contestazione la potesta' legislativa regionale. A questo
proposito,  la ricorrente rileva che il conflitto di attribuzione tra
lo  Stato  e le Regioni avente ad oggetto gli atti giurisdizionali e'
solo  formalmente  un conflitto tra enti, trattandosi sostanzialmente
di  un  conflitto  tra poteri, in particolare tra il legislativo e il
giudiziario.
    La  difesa  regionale  conclude  ribadendo  quanto gia' affermato
nell'atto  introduttivo  del  conflitto  in  merito  sia all'avvenuta
abrogazione   dell'art. 10   della   legge   n. 62   del   1953,  sia
all'impossibilita'   di   risolvere  in  termini  di  abrogazione  il
contrasto  tra  una  legge  regionale e la sopravvenuta legge statale
contenente nuovi principi fondamentali.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con  ricorso  notificato il 20 giugno 2005 e depositato il
successivo  27  giugno,  la Regione Veneto, in persona del Presidente
pro  tempore,  ha  proposto  conflitto  di attribuzione nei confronti
dello  Stato  in relazione alla sentenza del Tribunale amministrativo
regionale  del  Veneto  21 aprile 2005, n. 1735, per violazione degli
artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
    2.  -  Con  ordinanza  letta nella pubblica udienza del 22 maggio
2007   e   allegata  alla  presente  sentenza,  e'  stato  dichiarato
inammissibile l'intervento spiegato nel giudizio dalla Panizzon Bruno
e  F.lli  di  Panizzon  Bruno  &  C.  s.n.c.,  in  quanto, sebbene la
menzionata societa' fosse parte nel procedimento giudiziario definito
con  la  sentenza  posta  ad  oggetto  del conflitto, la pronuncia di
questa  Corte  non  e'  suscettibile  di  incidere  sulla  definitiva
affermazione   o   negazione   dello   stesso   diritto  della  parte
interveniente di agire nel giudizio comune.
    3. - Il ricorso e' inammissibile.
    3.1.   -   La   Regione   ricorrente  lamenta  che  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Veneto abbia dichiarato l'abrogazione
della  legge  regionale  30  giugno 1993 n. 27 (Prevenzione dei danni
derivanti  dai  campi  elettromagnetici generati da elettrodotti) per
effetto  dell'entrata  in  vigore  del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  8 luglio  2003  [Fissazione  dei  limiti di
esposizione,  dei  valori di attenzione e degli obiettivi di qualita'
per  la  protezione  della  popolazione  dalle  esposizioni  ai campi
elettrici  e  magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli
elettrodotti],  recante  norme  di attuazione della legge 22 febbraio
2001  n. 36  (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
    L'effetto   abrogativo   rilevato   dal   giudice  amministrativo
deriverebbe   -  secondo  la  sentenza  impugnata  per  conflitto  di
attribuzione  -  dall'art. 10  della  legge  10 febbraio  1953  n. 62
(Costituzione  e  funzionamento degli organi regionali), nel quale e'
stabilito  che  le  leggi  della Repubblica che modificano i principi
fondamentali  nelle  materie  di  competenza  concorrente abrogano le
leggi regionali che siano in contrasto con esse.
    Nel  dichiarare  il  suddetto  effetto  abrogativo,  il Tribunale
amministrativo regionale del Veneto non ha fatto altro che esercitare
un  potere  strettamente  inerente alla funzione giurisdizionale, che
consiste  nell'applicazione  delle norme vigenti ai casi concreti. E'
del  tutto  evidente  che il giudice deve previamente accertare se le
norme  che  viene  chiamato  ad  applicare  nel  procedimento  di sua
competenza  siano  ancora  in  vigore  o  eventualmente  siano  state
abrogate  in  modo esplicito o implicito da leggi successive, secondo
quanto  stabilisce l'art. 15 delle disposizioni preliminari al codice
civile.  Tale dovere di verifica e' conseguenza naturale e necessaria
del  criterio  cronologico,  che,  insieme  a  quello gerarchico ed a
quello di competenza, disciplina il sistema delle fonti del diritto.
    Il  controllo  sull'attuale vigenza di una norma giuridica spetta
istituzionalmente   al   giudice  comune  e  precede  ogni  possibile
valutazione  sulla  legittimita' costituzionale della medesima norma.
Pertanto,  il  giudice  amministrativo  ha operato in via preliminare
tale controllo, giungendo alla conclusione che la legge della Regione
Veneto  n. 27  del  1993 era stata abrogata. Aver rilevato l'avvenuta
produzione  dell'effetto abrogativo ha inibito al giudice stesso ogni
valutazione  sulla legittimita' costituzionale della norma - invocata
invece  dalla  ricorrente  -  che  sarebbe  stata irrilevante in quel
giudizio.
    Le  doglianze che le parti possono esprimere nei confronti di una
pronuncia  giurisdizionale  dichiarativa dell'avvenuta abrogazione di
una  norma  devono  seguire  le ordinarie vie predisposte dal sistema
delle  impugnazioni.  Non e' ammissibile pertanto che il conflitto di
attribuzione  davanti  a questa Corte diventi uno strumento improprio
di censura degli asseriti errori in iudicando, sostitutivo dei rimedi
previsti  dagli ordinamenti delle diverse giurisdizioni (ex plurimis,
sentenze n. 150 e n. 2 del 2007).