IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento a carico di Accornero Emilia, nata a Torino il 18 febbraio 1945, e Fiorelli Graziano, nato a Fossombrone il 29 settembre 1937, imputati, la prima, «del delitto di cui all'art. 5, comma 3 d.lgs. 26 maggio 1997, n. 153, per aver esercitato attivita' finanziarie di incasso e trasferimento di fondi (comprese in quelle individuate dai decreti legislativi emanati ai sensi dell'art. 15, comma 1, lett. c) della legge n. 52 del 1996) senza essere iscritta all'elenco degli agenti a cio' abilitati. In particolare quale titolare dell'omonima ditta individuale effettuava operazioni di trasferimento di danaro quale submandataria della Finint S.p.a. Agente Western Union», il secondo, «del delitto di cui agli artt. 110, 40 cpv. c.p., 5 comma 3, d.lgs. 26 maggio 1997, n. 153, per avere, nella sua qualita' di legale rappresentante della Finint S.p.a. Agente Western Union, omettendo di assicurarsi che il proprio subagente Accornero Emilia fosse regolarmente iscritta nell'elenco dei soggetti autorizzati allo svolgimento di attivita' finanziarie di incasso e trasferimento di fondi, concorso nell'attivita' illecita della predetta Accornero meglio descritta al capo precedente; Nel decidere sull'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, d.lgs. 26 maggio 1997 n. 153, sollevata dai difensori di fiducia degli imputati, con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione e all'art. 15, comma 1, lett. c), legge n. 52/1996, nonche' con riferimento all'art. 25, secondo comma della Costituzione; Sentito il pubblico ministero; Rilevato che, secondo un primo profilo di illegittimita' costituzionale posto in rilievo dalla difesa, il legislatore delegato, nell'introdurre la norma punitrice oggi contestata (delitto punito con la pena congiunta della reclusione e della multa: art. 5 comma 3, d.lgs n. 153/1997), ha ecceduto i limiti indicati dalla legge delega n. 52/1996, la quale, all'art. 15 comma 1, lett. c), aveva fatto riferimento, in ordine sia alla previsione della condotta incriminata sia alle sanzioni da comminare, al decreto legge n. 143/1991 (convertito con modificazioni nella legge n. 197/1991), il quale invece disciplina fattispecie di reato differenti rispetto a quelle indicate nella norma in questione e per giunta a titolo contravvenzionale; che, secondo un diverso profilo di illegittimita' costituzionale dedotto dalla difesa, fondato sul fatto che l'attivita' di cui si contesta il presunto esercizio abusivo e' quella di trasferimento di denaro (c.d. money transfer), nonche' sulla considerazione che l'art. 4, d.m. 6 luglio 1994, in ordine al contenuto delle attivita' indicate nell'art. 106, d.lgs. n. 385/1993, prevede che per prestazioni di servizi di pagamento si intende, tra l'altro, l'attivita' di intermediazione finanziaria esercitata mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi, alla luce di tale quadro normativo, l'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997, ove inteso come riferito anche all'attivita' di money transfer, determinerebbe una violazione del principio di legalita' di cui all'art. 25 della Costituzione, giacche' la scelta di considerare reato l'esercizio abusivo dell'attivita' di money transfer non sarebbe compiuta dalla fonte primaria, silente sul punto, ma dalla fonte regolamentare, ossia il d.m. 6 luglio 1994; O s s e r v a 1. - Premesso che il dibattimento non e' stato aperto e che quindi l'unico punto di riferimento, al fine di vagliare le questioni sollevate dalla difesa, e' costituito dalla prospettazione accusatoria contenuta nell'imputazione, occorre ricordare, al fine di valutare la rilevanza e la fondatezza di questa prima eccezione, che la condotta addebitata dal pubblico ministero all'imputata Accornero (quella ascritta al Fiorelli e' omissiva e consiste in sostanza nel mancato controllo della submandataria Accornero) e' quella di aver esercitato attivita' finanziarie di incasso e trasferimento di fondi senza la previa iscrizione nell'elenco degli agenti a cio' abilitati. In sostanza, la normativa di riferimento consta della disciplina comunitaria (direttiva 10 giugno 1991 n. 91/308/CEE, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita' illecite; direttiva successivamente abrogata dall'art. 44 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 60 del 20 ottobre 2005), della legge delega 6 febbraio 1996, n. 52, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee, e dall'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997, che punisce per l'appunto chiunque esercita le attivita' individuate dai decreti legislativi emanati ai sensi dell' art. 15, comma 1, lett. c) della legge n. 152/1996, senza essere iscritto nell'elenco di cui al comma 2 dello stesso art. 5. La direttiva comunitaria n. 308 del 1991 prevedeva che gli Stati membri avrebbero provveduto ad estendere, in tutto o in parte, le disposizioni della stessa direttiva ad attivita' professionali e categorie di imprese - diverse dagli enti e dalle persone direttamente e consapevolmente coinvolte nell' attivita' di riciclaggio - le quali svolgono attivita' particolarmente suscettibili di essere utilizzate a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Per cio' che qui in particolare interessa, l'art. 15 della legge 6 febbraio 1996 n. 52 (Riciclaggio dei capitali di provenienza illecita e circolazione transfrontaliera dei capitali: criteri di delega) stabilisce quanto segue: 1. - L'integrazione dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE del Consiglio sara' informata ai seguenti principi e criteri direttivi: a) provvedere al riordino del regime di segnalazione delle operazioni di cui all'art. 3 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, al fine di favorire le segnalazioni stesse garantendo, anche attraverso il ricorso a procedure informatizzate, la massima efficacia e tempestivita' nella organizzazione, trasmissione, ricezione ed analisi delle segnalazioni, rendendo altresi' effettiva la possibilita' di sospensione dell'operazione senza pregiudizio per il corso delle indagini e l'operativita' corrente degli intermediari finanziari; b) prevedere adeguate misure dirette alla protezione in favore dei soggetti che effettuano le segnalazioni, in particolare garantendo la tutela della riservatezza delle stesse in ogni sede, comprese quella aziendale, investigativa e giudiziaria, anche al fine di evitare il pericolo di ritorsioni; c) estendere, ai sensi dell'art. 12 della direttiva 91/308/CEE, in tutto od in parte, l'applicazione delle disposizioni di cui al citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, a quelle attivita' particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio per il fatto di realizzare l'accumulazione o il trasferimento di ingenti disponibilita' economiche o finanziarie o risultare comunque esposte ad infiltrazioni da parte della criminalita' organizzata. La formazione o l'integrazione dell'elenco di tali attivita' e categorie di imprese, con gli eventuali requisiti di onorabilita' e misure di controllo, avverra' con uno o piu' decreti legislativi da emanare, su proposta del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri della giustizia, dell'interno e delle finanze, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto attuativo delta presente delega, con la procedura di cui al comma 4 dell'art. 1 della presente legge; d) riesaminare, al fine di accrescerne l'efficacia a fini antiriciclaggio, il regime relativo all'importazione ed esportazione al seguito di denaro, titoli e valori mobiliari, anche eventualmente modificando l'art. 3 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, assicurando in ogni caso la compatibilita' di tale regime con la libera circolazione delle persone e dei capitali sancita dal diritto comunitario, secondo la giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia delle Comunita' europee; e) tenere conto adeguato, nel dare attuazione ai criteri che precedono, anche degli orientamenti e delle indicazioni che emergono nelle competenti sedi internazionali ed in particolare in seno al comitato di contatto istituito dall'art. 13 della direttiva 91/308/CEE ed al Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI). In ogni caso, il potere di identificazione da parte dell'autorita' consolare italiana dei soggetti operanti dall'estero sara' limitato alle rappresentanze diplomatiche o consolari di prima categoria. 2. - In sede di riordinamento normativo, ai sensi dell'art. 8, delle materie concernenti il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore, nonche' il riciclaggio dei capitali di provenienza ifiecita, potra' procedersi al riordino delle sanzioni amministrative e penali previste nelle leggi richiamate al comma 1, nei limiti massimi ivi contemplati. 3. - Al decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143 convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, sono apportate le eguenti modificazioni: a) (Omissis) (1); b) (Omissis) (2); c) (Omissis) (3); (1) Modifica il comma 1 dell'art. 1, d.l. 3 maggio 1991, n. 143, conv. in legge 5 luglio 1991, n. 197. (2) Aggiunge il comma 2-bis all'art. 1, d.l. 3 maggio 1991, n. 143, conv. in legge 5 luglio 1991, n. 197. (3) Modifica il comma 2 dell'art. 5, d.l. 3 maggio 1991, n. 143, conv. in legge 5 luglio 1991, n. 197. L'art. 5 d.lgs. n. 153/1997 (Integrazione dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita), emanato in attuazione della normativa delegante appena citata, prevede quanto segue: 1. - Ai soggetti che svolgono, ai sensi dell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge 6 febbraio 1996, n. 52, le attivita' individuate nei decreti di cui al medesimo articolo, in quanto particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio per il fatto di realizzare l'accumulazione o il trasferimento di ingenti disponibilita' economiche o finanziarie o di risultare comunque esposte a infiltrazioni da parte della criminalita' organizzata e' estesa, nei limiti di cui ai successivi commi, l'applicazione delle disposizioni del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197. 2. - Ai fini delle attivita' individuate ai sensi del comma 1 e' istituito un elenco di operatori, suddiviso per categorie, tenuto dal Ministro del tesoro, che si avvale dell'Ufficio italiano dei cambi. Ove l'esercizio delle predette attivita' sia subordinato all'iscrizione in ruoli o albi tenuti da pubbliche autorita' da ordini o da consigli professionali, tali ruoli o albi sostituiscono l'elenco di cui sopra tenuto dal Ministro del tesoro. 3. - Chiunque esercita le attivita' individuate dai decreti legislativi emanati ai sensi dell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge 6 febbraio 1996, n. 52, senza essere iscritto nell'elenco di cui al comma 2, e' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da Euro 2.065 a Euro 10.329. Il legislatore delegante, quindi, per dare attuazione all'art. 12 della direttiva 91/308/CEE, ha previsto che quello delegato estendesse, in tutto od in parte, l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, a quelle attivita' particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio per il fatto di realizzare l'accumulazione o il trasferimento di ingenti disponibilita' economiche o finanziarie o risultare comunque esposte ad infiltrazioni da parte della criminalita' organizzata. Ed ha inoltre stabilito che la formazione o l'integrazione dell'elenco di tali attivita' e categorie di imprese sarebbe dovuta avvenire con uno o piu' decreti legislativi da emanare, su proposta del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri della giustizia, dell'interno e delle finanze, con la procedura di cui al comma 4 dell'art. 1 della presente legge. Al fine di verificare la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nel caso di specie (e' stata contestata, come detto, l'attivita' finanziaria di incasso e trasferimento di fondi senza la preventiva iscrizione nell'elenco degli agenti a cio abilitati), occorre sottolineare come l'art. 1 del d.lgs. 25 settembre 1999, n. 374 (Estensione delle disposizioni in materia di riciciaggio dei capitali di provenienza illecita ed attivita' finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, a norma dell'art. 15 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) avesse, anch'esso in attuazione della legge delega n. 52/1996, disposto l'applicazione del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, tra le altre, alle attivita' (il cui esercizio resta subordinato al possesso delle licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio di attivita) di «agenzia in attivita' finanziaria prevista dall'art. 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385» (testo unico bancario), tra le quali (art. 1 lett. a) decreto ministeriale 6 luglio 1994 sulla determinazione, ai sensi dell'art. 106, comma 4, del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, del contenuto delle attivita' indicate nello stesso art. 106, comma 1, nonche' in quali circostanze ricorre l'esercizio delle suddette attivita' nei confronti del pubblico) le attivita' di intermediazione finanziaria esercitata mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi, ossia l'attivita' indicata nell'imputazione. Stabilita, sotto questo versante, la rilevanza della questione proposta dalla difesa, deve verificarsi se la norma sanzionatoria prevista dal decreto legislativo n. 153/1997 risponda ai criteri direttivi ed ai principi indicati dalla legge delega. In relazione alla rispondenza della condotta incriminata alle indicazioni contenute nella legge delega, la fattispecie delittuosa prevista dall'art. 5 d.lgs n. 153/1997 (esercizio delle attivita' individuate dai decreti legislativi emanati ai sensi dell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge 6 febbraio 1996, n. 52, senza la preventiva iscrizione nell'elenco di cui al comma 2) non presenta ad avviso di questo giudice alcun eccesso. Posto che l'individuazione delle attivita' particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, per il fatto di realizzare l'accumulazione o il trasferimento di ingenti disponibilita' economiche o finanziarie o risultare comunque esposte ad infiltrazioni da parte della criminalita' organizzata (tra le quali, lo si e' visto, quella contestata agli odierni imputati), e' stata correttamente fatta dal legitare delegato, attraverso l'emanazione del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, deve ritenersi che la condotta punita dall'art. 5 d.lgs. n. 153/1997 risponda parimenti alle direttive della legge delega, laddove, attraverso il riferimento di quest'ultima all'applicazione del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 1991, n. 197, sanziona l'esercizio di tali attivita' in assenza della preventiva iscrizione nell'elenco di cui al comma 2 dello stesso art. 5: difatti, in primo luogo, se e' vero che il legislatore delegante, nel rivolgere i criteri direttivi a quello delegato, ha avuto in subiecta materia certamente come precipuo punto di riferimento le norme, preesistenti nel nostro ordinamento alla legge delega, del decreto legge 3 maggio 1991, n. 143 convertito in legge 5 luglio 1991, n. 197 (provvedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio), lo stesso delegante ha specificato in ogni caso che l'applicazione del d.l. n. 143/1991 sarebbe dovuta avvenire in tutto o in parte, lasciando cosi' al legislatore delegato il compito di individuare attivita' particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio che non fossero contemplate nel d.l. in oggetto; deve ancora sottolinearsi, sempre sul punto della condotta prevista dalla norma sanzionatoria oggi contestata agli imputati, che lo stesso d.l. prevede, tra le altre disposizioni, un sistenia di obblighi di identificazione e di registrazione (art. 2), nonche' di sanzioni, procedure e controlli finalizzati all'osservanza di tali obblighi (art. 5), assimilabile alla fattispecie di reato introdotta dall'art. 5 d.lgs. n. 153/1997. Se sotto questo primo aspetto rilevato dalla difesa non si scorge alcuna violazione del principio costituzionale di delega, diversamente deve ritenersi con riferimento alla scelta del legislatore delegato di sanzionare la condotta illecita in esame a titolo di delitto e comunque con sanzioni superiori ai limiti fissati nelle disposizioni incriminatrici richiamate nella legge delega. Ad avviso di questo giudice, la scelta del legislatore delegante di indirizzare quello delegato, nella previsione degli illeciti di rilevanza penale di futura elaborazione, sulla disciplina contravvenzionale ed entro i limiti stabiliti nel d.l. n. 143/1991 - il quale, all'entrata in vigore della legge delega, contemplava all'art. 5 (commi 4 e 6), tra gli illeciti penali, unicamente fattispecie contravvenzionali, si trae, sotto il profilo della ricerca della volonta' legislativa, non soltanto dal riferimento, di carattere generale, all'applicazione, in tutto o in parte, del d.l. n. 143/1991, panoramica normativa di principale riferimento, lo si e' detto, per il legislatore delegante, ma altresi' dalla disposizione contenuta nella legge delega, all'art. 15 comma 2, laddove e' previsto espressamente che «in sede di riordinamento normativo, ai sensi dell'art. 8, delle materie concernenti il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore, nonche' il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, potra' procedersi al riordino delle sanzioni amministrative e penali previste nelle leggi richiamate al comma 1, nei limiti massimi ivi contemplati». Posto che la legge richiamata nel comma 1 dell'art. 15 citato e' proprio il decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, deve fondatamente ritenersi, sotto l'aspetto interpretativo, che il legislatore delegante avesse inteso indirizzare quello delegato verso la previsione di fattispecie contravvenzionali e la comminatoria di sanzioni penali non superiori a quelle previste nel d.l n. 143/1991, che, tra l'altro, come piu' volte ribadito, costituisce il principale punto di riferimento normativo del delegante: difatti, seppure il comma 2 citato e' direttamente pensato per il riordinamento normativo e l'elaborazione di un testo unico nella materia in questione e non in vista della disciplina dei singoli reati, appare evidente, secondo questo giudice, che la volonta' complessiva del legislatore delegante, anche alla luce di tale disposizione, fosse proprio quella della previsione di fattispecie penali a titolo di contravvenzioni ed entro i limiti edittali indicati nel d.l n. 143/1991. E' appena il caso di rilevare come l'elaborazione originaria dell'art. 6, d.l n. 143/1991 prevedesse al comma 9 una figura di delitto per l'esercizio delle attivita' di cui al comma 1 dello stesso articolo da parte di soggetti non iscritti nell'elenco, ovvero per i quali comunque non sussistessero le condizioni di iscrizione, comminando una pena (reclusione da sei mesi a quattro anni e da lire quattro milioni a lire venti milioni) del tutto eguale a quella stabilita dalla norma oggi contestata; e come, in ogni caso, tale ipotesi di delitto fosse stata abrogata, in forza dell'art. 161 d.lgs. n. 385/1993, onde, nell'epoca successiva di entrata in vigore della legge 6 febbraio 1996, n. 52, il legislatore delegante non poteva di certo riferirsi a tale disposizione incriminatrice. La regolazione della fattispecie delittuosa in oggetto, con la previsione di un regime sanzionatorio di pene congiunte (reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da Euro 2.065 a Euro 10.329), e' quindi a giudizio del tribunale esorbitante rispetto ai criteri direttivi indicati dal legislatore delegante, perche' introduce una figura di delitto, come tale ontologicamente piu' grave (per giurisprudenza costante, nonche' per previsione normativa: art. 16 comma 3 c.p.p.) della contravvenzione, assistita oltretutto da un sistema di pene superiore ai limiti edittali previsti nelle diverse contravvenzioni di cui al d.l n. 143/1991 (arresto da sei mesi ad un anno e ammenda da lire dieci milioni a lire cinquanta milioni; arresto da sei mesi ad un anno o ammenda da lire dieci milioni a lire cento milioni). Quand'anche si volesse ritenere che il legislatore delegante, nel richiamare all'art. 15 comma 2 i limiti massimi sanzionatori contemplati dalle leggi indicate al comma 1, avesse inteso fare riferimento, oltre che al d.l n. 143/1991, anche al d.l n. 167/1990, convertito nella legge n. 227/1990 (legge anch'essa indicata dall'art. 15, comma 1 della legge delega), che all'art. 5 punisce le false indicazioni agli intermediari di cui all'art. 1 con la reclusione da sei mesi ad un anno e la multa da un milione a dieci milioni di lire, e' evidente che quello delegato, nel prevedere nella norma in oggetto sanzioni superiori (reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da Euro 2.065 a Euro 10.329), abbia comunque ecceduto i limiti prefissati; lo stesso ragionamento vale per l'art. 13 comma 8 del d.l n. 625/1979, convertito nella legge n. 15/1980, che, seppur contenuto. in una legge non richiamata dall'art. 15 comma 1 della legge delega del 1996, e' stato sostituito proprio dal d.l n. 143/1991, peraltro con la previsione di una fattispecie delittuosa punita con la pena congiunta della reclusione da sei mesi ad un anno e della multa da un milione a dieci milioni di lire, e quindi con limiti edittali inferiori a quelli stabiliti dalla disposizione oggi contestata agli imputati. In conclusione, con riferimento al profilo normativo teste' segnalato, la questione di legittimita' costituzionale appare rilevante in rapporto alla fattispecie concreta all'attenzione del tribunale e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione. Per cio' che concerne il secondo profilo di illegittimita' costituzionale indicato dalla difesa, quello relativo alla dedotta violazione del principio di riserva di legge di cui all'art. 25 della Costituzione, la questione, certamente rilevante in relazione alla contestazione oggi formulata per le stesse ragioni gia' esaminate, con riferimento all'altra eccezione, si presenta secondo questo giudice manifestamente infondata. Si e' visto che il legislatore delegato, in attuazione dell'art. 15, legge delega 6 febbraio 1996, n. 52 avesse, con il d.lgs. n. 153/1997, introdotto la norma sanzionatoria (esercizio abusivo delle attivita' individuate dai decreti legi-slativi emanati ai sensi dell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge delega, senza la preventiva iscrizione nell'elenco di cui al comma 2) addebitata agli odierni imputati, e, con l'art. 1 del d.lgs. 25 settembre 1999, n. 374 (estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita ed attivita' finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, a norma dell'art. 15 della legge), disposto l'applicazione del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, tra le altre, alle attivita' (il cui esercizio resta subordinato al possesso delle licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio di attivita) di «agenzia in attivita' finanziaria prevista dall'art. 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385» (testo unico bancario), tra le quali (in forza dell' art. 1 lett. a) decreto ministeriale 6 luglio 1994) quelle di intermediazione finanziaria esercitata mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi. Il dato temporale, ovvero la preesistenza della disposizione regolamentare alla disciplina introdotta dai decreti legislativi n. 153/1997 e n. 374/1999, ad avviso di questo giudice presenta una valenza decisiva: posto che, al momento dell'emanazione dei due decreti legislativi, il decreto ministeriale 6 luglio 1994, richiamato secondo la tecnica legislativa sopra indicata, era gia' esistente, e' stato quindi il legislatore ordinario a prevedere, nella figura di illecito introdotta dal combinato disposto dei due decreti legislativi, l'esercizio di intermediazione finanziaria mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi, individuandolo come una di quelle attivita' potenzialmente soggette ad infiltrazioni malavitose e agevolatrici di manovre di riciclaggio. A ben vedere, il legislatore ordinario non ha rimesso alla fonte regolamentare di rango inferiore il compito di individuare le attivita' finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio o di modificare l'assetto sino ad allora esistente, ma ha preso atto della presenza, nel nostro ordinamento, della previsione dell' attivita' di intermediazione finanziaria mediante l'incasso ed il iasferimento di fondi, recependola, insieme ad altre numerose attivita', nel precetto penale e nella sanzione che colpisce chi svolge tali attivita' senza la preventiva iscrizione nell'elenco prescritto. Cosi' rigidamente recepita dalla fonte primaria l'indicazione contenuta in quella secondaria, non e' certo violato il principio di riserva di legge penale di cui all'art. 25 della Costituzione; difatti in ordine alla delimitazione dei rapporti tra legge penale e fonti subordinate alla medesima, e' giurisprudenza costante della Corte costituzionale ritenere che il principio di legalita' in materia penale e' soddisfatto, sotto il profilo della riserva di legge (art. 25, secondo comma, Costituzione), allorquando la legge determina con sufficiente specificazione il fatto cui e' riferita la sanzione penale. In corrispondenza della ratio garantista della riserva, e' infatti necessario che la legge consenta di distinguere tra la sfera del lecito e quella dell'illecito, fornendo a tal fine un'indicazione normativa sufficiente ad orientare la condotta dei consociati: presupposto che nella specie, ritiene questo giudice, si e' verificato attraverso il recepimento normativo, tra le attivita' particolarmente suscettibili di infiltrazioni malavitose ed esposte al riciclaggio, di quella di intermediazione finanziaria tramite l'incasso ed il trasferimento di fondi indicata dall'art. 4, d.m. 6 luglio 1994. In definitiva, quest'eccezione di illegittimita' costituzionale deve essere disattesa per manifesta infondatezza.