LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Con  sentenza emessa dal Tribunale in composizione monocratica di
Palermo  in  data  13  maggio 2005 Di Marco Ciro e' stato assolto dal
reato  di  lesioni  colpose  (art. 590  c.p.)  perche'  il  fatto non
sussiste.
    Avverso  la  detta  sentenza  proponevano  appello il Procuratore
generale  della  Repubblica e la difesa della parte civile costituita
Micciche'  Antonina,  quest'ultima, per chiedere l'affermazione della
responsabilita' civile del predetto imputato.
    All'udienza   del  23  febbraio  2007  le  parti  hanno  concluso
chiedendo:  il  p.g. in riforma della sentenza impugnata, la condanna
dell'imputato  alla pena di giorni venti di reclusione ed Euro 110,00
di  multa; la parte civile, la condanna dell'imputato al risarcimento
dei  danni  quantificati  in  Euro 60.000 o da liquidarsi in separata
sede  e  il  difensore  dell'imputato,  la  conferma  della  sentenza
impugnata.
    L'art. 576  c.p.p.,  nella  sua attuale formulazione, prevede che
«la  parte  civile  puo'  proporre  impugnazione  contro i capi della
sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e ai soli effetti
della  responsabilita'  civile, contro la sentenza di proscioglimento
pronunciata nel giudizio».
    Detta  norma,  collocata  nel  Libro  riguardante le disposizioni
generali  in  materia  di  impugnazioni,  non  ne indica lo specifico
mezzo,  essendo  venuto  meno  il  richiamo al «mezzo previsto per il
pubblico  ministero»  che,  nella  soppressa normativa, costituiva il
solo  elemento testuale legittimante il potere di appello della parte
civile.
    Sia in virtu' di quanto previsto dall'art. 568 c.p.p., il quale -
fissando  in  via  generale  il  principio  di tassativita' dei mezzi
impugnazione  -  stabilisce  che  i provvedimenti del giudice possono
essere  impugnati  solo  dai  soggetti  e  con  i mezzi espressamente
indicati,  sia  in  forza  delle  disposizioni contenute nell'art. 12
delle  disposizioni  sulla legge in generale, le quali non consentono
una   interpretazione   estensiva  della  legge  che  vada  oltre  il
significato  reso  palese  da  quello  proprio  delle  parole e dalla
intenzione  del  Legislatore,  si  deve  escludere  che oggi la parte
civile   possa   proporre  appello  avverso  la  sentenza  che  abbia
prosciolto l'imputato.
    Osserva,  ancora,  la  Corte  che  la nuova disciplina introdotta
dalla  menzionata  legge n. 46/2006, ai sensi della norma transitoria
di  cui  all'art. 10  ivi  contenuta  (che  e'  quella  che  viene in
considerazione  nel  caso concreto), e' immediatamente applicabile ai
processi   in   corso,   con   l'effetto  di  rendere  immediatamente
inammissibili  anche  gli  appelli  proposti dalla parte civile prima
dell'entrata in vigore della legge modificatrice.
    Detta  situazione,  peraltro,  non  e' variata neanche in seguito
alla  sentenza  n. 26/2007  emessa  dalla  Corte  costituzionale, non
essendo   il  Giudice  delle  leggi  intervenuto  nella  parte  della
disposizione   di  cui  all'art. 6  della  legge  n. 46/2006  che  ha
eliminato l'inciso «con il mezzo previsto per il pubblico ministero»,
gia' figurante nell'art. 576, comma 1 c.p.p.
    Reputa  la Corte che la limitazione (rectius, l'eliminazione) del
potere   di   appello   riconosciuto  dalle  previgenti  disposizioni
processuali  nei  confronti  della  parte  civile confligga sia con i
principi  di  uguaglianza  e  ragionevolezza  di cui all'art. 3 della
Costituzione,  sia con i principi di parita' tra le parti processuali
nello svolgimento del processo, sanciti dall'art. 111 Cost.
    Vulnerato e' anche il principio dell'affidamento.
    Se  il  danneggiato  si  puo' costituire parte civile e sfruttare
tutte  le  potenzialita'  che,  al momento della sua costituzione, la
legge  gli  mette  a  disposizione, il sistema crea una aspettativa -
valevole  anche nella materia processuale, come affermato dalla Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n. 525/2000 - a percorrere fino in
fondo  la  via prescelta, anche allestendo reazioni capaci di elidere
gli eventuali pregiudizi derivanti da taluni provvedimenti.
    Pertanto, una volta ammessa per il danneggiato la possibilita' di
costituirsi parte civile, pur nel contesto di scelte, che, in un modo
o   nell'altro,   possono   ritornare   di   svantaggio,  sancire  la
inappellabilita'  delle sentenze di proscioglimento appare una scelta
che si presta ad obiezioni di irragionevolezza.
    Privare,  infatti, la parte civile di ogni potere di impugnazione
nel merito, equivale a costringerla a subire l'efficacia di giudicato
della  sentenza penale, pur in presenza di una scelta di innestare la
sua  pretesa  di  ristoro per i danni derivanti dalla commissione del
reato,  in un contesto processuale che conferiva alla parte civile il
potere di appello.
    Senza  considerare,  inoltre, che la nuova disciplina transitoria
introduce  anche  una disparita' di trattamento tra chi ha intrapreso
l'azione  civile  nella  sede  propria  e  chi ha, invece, optato per
l'esercizio dell'azione civile nel processo penale, essendo inibito a
quest'ultimo   -   e   non  per  sua  determinazione  -  il  diritto,
riconosciuto  invece  al  primo, di chiedere, con l'appello, un nuovo
giudizio di merito che ribalti la pronunzia a lui favorevole.
    Anche  sotto tale profilo, dunque, la nuova disciplina sembra non
essere coerente con i richiamati principi costituzionali
    La  questione  e' rilevante nel presente procedimento perche' dal
suo  accoglimento  dipende  la  tutela  giurisdizionale della pretesa
risarcitoria della parte civile.