Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli  1,  comma
5, lettere a), b), c) e k), e 7, comma 9, della legge  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia 4 giugno 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia
di sviluppo economico regionale, sostegno al reddito dei lavoratori e
delle famiglie,  accelerazione  di  lavori  pubblici),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il  5-10
agosto 2009, depositato in cancelleria il 7 agosto 2009  ed  iscritto
al n. 53 del registro ricorsi 2009. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  maggio  2010  il  Giudice
relatore Alfonso Quaranta; 
    Udito l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giandomenico  Falcon  per  la
Regione Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 5 agosto 2009 e depositato il successivo giorno  7,  ha
impugnato l'art. 1, comma 5, lettere a), b), c)  e  k),  della  legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia 4  giugno  2009,  n.  11  (Misure
urgenti in materia  di  sviluppo  economico  regionale,  sostegno  al
reddito dei lavoratori e  delle  famiglie,  accelerazione  di  lavori
pubblici), per asserita violazione dell'art. 4,  primo  comma,  della
legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1  (Statuto  speciale  della
Regione Friuli-Venezia Giulia) «in relazione  all'art.  117,  secondo
comma, lettere e) e l)» della Costituzione. 
    Con il ricorso e' stato, inoltre, impugnato l'art.  7,  comma  9,
della  predetta  legge  regionale  n.  11  del  2009  per  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    1.2. - Il ricorrente sottolinea come la Regione, pur  avendo  una
potesta' legislativa  primaria  in  materia  di  lavori  pubblici  di
interesse regionale ai sensi dell'art. 4, primo comma, n.  9),  della
legge costituzionale n.  1  del  1963,  deve  tuttavia  rispettare  i
vincoli posti dalla stesso art. 4, primo comma, tra  i  quali  quelli
risultanti dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale.  Si
rileva, inoltre, come la Corte costituzionale abbia gia'  avuto  modo
di stabilire che lo Stato conserva, nelle materie di  sua  competenza
ex art. 117, Cost., il potere di introdurre norme volte  a  garantire
standard minimi ed uniformi  ed  introdurre  limiti  unificanti,  con
prevalenza sulla competenza primaria  regionale.  Cio'  varrebbe,  in
particolare, per  la  materia  della  tutela  della  concorrenza  nel
settore dei contratti pubblici (si citano  le  sentenze  n.  160  del
2009, n. 411 del 2008 e n. 401 del  2007),  come  risulterebbe  dalle
regole poste dall'art. 4 del decreto legislativo 12 aprile  2006,  n.
163 (Codice dei contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). 
    Avuto  riguardo  a  questi  principi,  sarebbero  contrarie  agli
indicati parametri costituzionali le suddette norme come  di  seguito
riportate. 
    1.3. - L'art. 1, comma 5, lettera a),  ha  modificato  l'art.  8,
comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia  Giulia  31  maggio
2002, n. 14 (Disciplina organica dei lavori pubblici), stabilendo che
«per i lavori  di  minore  complessita',  la  cui  progettazione  non
richieda fasi autonome di approfondimento, il progetto  definitivo  e
quello esecutivo sono sviluppati in un unico elaborato tecnico, salvo
diversa indicazione del responsabile unico del  procedimento.  Per  i
suddetti lavori, di importo inferiore a 200.000 euro e  per  i  quali
sia   allegata    una    relazione    descrittiva    dell'intervento,
l'approvazione dell'elenco annuale dei lavori di cui  all'articolo  7
sostituisce l'approvazione del progetto preliminare».  Il  richiamato
art. 7 prevede che l'attivita' di realizzazione dei  lavori  pubblici
di interesse regionale si svolga sulla base di un programma triennale
e dei suoi aggiornamenti annuali. Il  programma  e'  predisposto,  in
particolare, dalle amministrazioni aggiudicatrici  nel  rispetto  dei
documenti  programmatori,  previsti  dalla  normativa  vigente,   ivi
compresa la normativa urbanistica, unitamente all'elenco  dei  lavori
da realizzare nell'anno di riferimento. Il programma e  l'elenco  dei
lavori, continua sempre il ricorrente, sono poi approvati  unitamente
al  bilancio  preventivo,  di  cui  costituiscono  parte  integrante;
l'individuazione   nel    programma    dell'intervento    costituisce
presupposto per l'avvio delle fasi  di  progettazione  definitiva  ed
esecutiva. 
    Con la disposizione censurata si «rende superflua (...)  la  fase
della progettazione preliminare e della sua approvazione». 
    Tale norma contrasterebbe con gli artt. 93 e 128  del  d.lgs.  n.
163 del 2006. Dalla lettura, in combinato  disposto,  delle  predette
disposizioni, risulterebbe che il  progetto  preliminare  e  l'elenco
annuale sono strumenti eterogenei «volti  l'uno  alla  programmazione
della singola opera e l'altro alla programmazione generale  annuale»,
contenendo elementi non sovrapponibili. A conferma di tale assunto il
ricorrente richiama il contenuto del  comma  7,  primo  periodo,  del
citato art. 128, il quale prevede che «un lavoro puo' essere inserito
nell'elenco annuale, limitatamente ad uno o piu' lotti,  purche'  con
riferimento all'intero lavoro sia stata  elaborata  la  progettazione
almeno preliminare e siano state quantificate le complessive  risorse
finanziare necessarie per la realizzazione dell'intero lavoro». 
    Il ricorrente sottolinea che «il progetto preliminare  definisce,
in particolare,  le  caratteristiche  qualitative  e  funzionali  dei
lavori, il quadro delle esigenze da  soddisfare  e  delle  specifiche
prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle
ragioni  della  scelta  della  soluzione  prospettata  in  base  alla
valutazione  delle   eventuali   soluzioni   possibili,   anche   con
riferimento  ai  profili  ambientali  e  all'utilizzo  dei  materiali
provenienti  dalle  attivita'  di  riuso  e  riciclaggio,  della  sua
fattibilita'  amministrativa  e  tecnica,  accertata  attraverso   le
indispensabili indagini  di  prima  approssimazione,  dei  costi,  da
determinare in relazione ai  benefici  previsti,  nonche'  in  schemi
grafici  per  l'individuazione  delle  caratteristiche  dimensionali,
volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche  dei  lavori  da
realizzare». 
    Si tratta,  si  puntualizza  nel  ricorso,  di  una  scelta  gia'
effettuata dalla legge 11 febbraio 1994,  n.  109  (Legge  quadro  in
materia di lavori pubblici), la quale prevedeva  che  l'attivita'  di
progettazione   fosse   articolata   in   tre   fasi,   rappresentate
dall'approvazione del progetto preliminare, di  quello  definitivo  e
infine di quello esecutivo. La ricorrente  rileva  come  ai  principi
della predetta legge n. 109 del 1994, l'art. 1, comma 2, della  legge
stessa  attribuiva  natura  di   «norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale» e di «principi della legislazione dello  Stato  ai
sensi degli statuti delle Regioni a statuto speciale,  anche  per  il
rispetto degli obblighi internazionali». 
    Il ricorrente conclude affermando come sia «da escludere  che  le
informazioni contenute nell'elenco annuale, ancorche' integrate dalla
"relazione descrittiva"  che  la  disposizione  censurata  prescrive,
possano efficacemente surrogare quelle richieste ai fini del progetto
preliminare o, comunque, soddisfare le  esigenze  ad  esso  sottese».
Deve, inoltre, escludersi  che  «la  normativa  statale  consenta  di
prescindere dalla fase della progettazione preliminare». 
    Sotto altro aspetto, si assume che la norma in esame invade anche
la competenza statale in materia di tutela della concorrenza. 
    1.3.1. - L'art. 1, comma 5, lettere  b)  e  c),  modificando  gli
artt. 9 e 17 della legge regionale n.  14  del  2002,  introduce  una
preferenza  per  il   criterio   dell'offerta   economicamente   piu'
vantaggiosa  nel  caso   di   aggiudicazione   degli   incarichi   di
progettazione. Tale criterio preferenziale si risolve in  un  obbligo
di specifica e adeguata motivazione  nel  caso  in  cui  la  stazione
appaltante decida di ricorrere al criterio del prezzo piu' basso. 
    Tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 91, comma 2, e 57,
comma 6, del Codice dei contratti pubblici, i quali stabiliscono  che
«la stazione appaltante sceglie l'operatore economico che ha  offerto
le condizioni piu' vantaggiose, secondo il criterio del  prezzo  piu'
basso o dell'offerta economicamente  piu'  vantaggiosa».  Da  qui  la
violazione della  competenza  statale  in  materia  di  tutela  della
concorrenza. 
    1.3.2. - L'art. 1, comma 5, lettera k), prevede che gli oneri per
spese tecniche generali e di collaudo sono commisurati alle  aliquote
determinate dal Presidente della Regione. 
    Tale disposizione, sottolinea il ricorrente, «non e' in linea con
l'art. 92, comma 2, del Codice  dei  contratti  pubblici»,  il  quale
attribuisce ad un decreto del Ministro della giustizia,  di  concerto
con quello delle infrastrutture e dei trasporti, la determinazione di
dette aliquote. Si assume, pertanto, la violazione  della  competenza
statale in materia di ordinamento civile. 
    1.4. - Infine, si censura l'art. 7, comma 9, della medesima legge
regionale, il quale prevede una  riduzione  alla  meta'  dei  termini
stabiliti per l'approvazione dei progetti (preliminari e  definitivi)
di  opere  nel  settore  delle  infrastrutture  di  trasporto,  della
mobilita' e della logistica. Tale riduzione contrasterebbe con quanto
disposto dal decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia ambientale), il quale  sancisce,  per  le  opere  soggette  a
valutazione di impatto ambientale (v.i.a.),  «una  precisa  scansione
temporale  per  l'espletamento  del  procedimento  di  compatibilita'
ambientale, fissando all'art. 26, comma 1, il termine di  conclusione
del procedimento (150 giorni elevati a 210 nel caso  di  progetti  di
particolare complessita')». 
    La disposizione censurata ostacolerebbe,  poi,  il  rispetto  dei
tempi stabiliti  dalla  norma  nazionale  per  la  consultazione  del
pubblico   (art.   20,   comma   3,   in   tema   di   «verifica   di
assoggettabilita'»:  45  giorni;  art.  24,  comma  4,  in  tema   di
«consultazione»: 60 giorni),  ponendosi  cosi'  in  contrasto  con  i
principi  di  partecipazione  sanciti  dalla  normativa   comunitaria
(direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, n.  85/337/CEE,  concernente
la  valutazione  dell'impatto  ambientale  di  determinati   progetti
pubblici e privati, art. 6). 
    Inoltre, la impugnata normativa regionale  interferirebbe  con  i
termini sostanziali e di  consultazione  del  pubblico  previsti  (si
citano gli art. 12 e 14) con riferimento al procedimento di  rilascio
della valutazione ambientale strategica (v.a.s.). 
    Per le ragioni sin qui esposte la norma violerebbe la  competenza
statale in materia di tutela dell'ambiente ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    2. - Si e'  costituita  in  giudizio  la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia, chiedendo che il ricorso  venga  dichiarato  inammissibile  o
infondato. 
    2.1. - Con riferimento all'impugnazione  dell'art.  1,  comma  5,
lettera a), si sottolinea, in via preliminare, come, avendo lo  Stato
fatto riferimento sia  a  parametri  costituzionali  contenuti  nella
parte seconda  del  titolo  V  della  Costituzione  sia  a  parametri
statutari, occorre avere riguardo soltanto a questi ultimi.  Infatti,
la Regione ha una competenza primaria in materia di  lavori  pubblici
di  interesse  regionale,  con  la  conseguenza   che   non   sarebbe
ipotizzabile, perche' non  maggiormente  ampliativa  dei  margini  di
autonomia ex art. 10  della  legge  costituzionale  n.  3  del  2001,
un'applicazione delle norme contenute nel suddetto titolo V. 
    Chiarito cio',  si  chiede  che  la  questione  venga  dichiarata
inammissibile per genericita', atteso che non si argomenta perche' la
previsione del progetto preliminare costituisca uno di quei  principi
della disciplina statale  che  costituiscono  norme  fondamentali  di
riforma    economico-sociale.    Inoltre,    sempre     sul     piano
dell'ammissibilita', si sottolinea come il ricorrente  evochi,  quale
parametro interposto, una norma, l'art. 1, comma 2,  della  legge  n.
109 del 1994, non piu' in vigore a seguito dell'emanazione del d.lgs.
n. 163 del 2006. 
    Nel merito, la questione, sempre nella prospettiva  della  difesa
regionale, non sarebbe fondata. 
    In primo luogo, perche' la presenza del progetto preliminare  non
sarebbe  un  requisito  inderogabile  nell'ambito  della   disciplina
statale, non integrando gli estremi di un «nucleo  essenziale»  della
disciplina stessa. A tale proposito,  si  richiama  quanto  affermato
nella  sentenza  di  questa  Corte  n.  482  del  1995,  che  avrebbe
attribuito la predetta valenza soltanto alla progettazione esecutiva. 
    In secondo luogo, si deduce come, in ogni caso,  l'art.  7  della
legge regionale n. 14 del  2002  stabilisca  che  l'approvazione  del
programma triennale e dell'elenco annuale presuppone l'esistenza  «di
una  relazione  illustrativa,  dell'inquadramento   territoriale   di
massima, di uno studio di fattibilita'  tecnico-amministrativa  e  di
identificazione  e  quantificazione  dei  bisogni   con   particolare
riferimento al bacino di utenza, di un preventivo di  spesa  e  della
individuazione  dei  presumibili  tempi  di  attuazione»  (comma  4).
Inoltre, l'elenco annuale dei lavori  «deve  contenere  l'indicazione
dei mezzi finanziari  stanziati  sullo  stato  di  previsione  o  sul
proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contribuiti o  risorse
comunitarie, statali, regionali o di  altri  enti  pubblici,  nonche'
quelli comunque acquisibili» (comma 6).  Si  aggiunge  che  il  comma
impugnato puntualizza che  «l'approvazione  dell'elenco  annuale  dei
lavori»  sostituisce  «l'approvazione   del   progetto   preliminare»
soltanto   quando   «sia   allegata   una    relazione    descrittiva
dell'intervento». 
    Da quanto esposto  conseguirebbe  che  tutti  i  contenuti  della
progettazione preliminare, contemplati dal comma 3 dell'art.  93  del
Codice degli appalti  pubblici,  sarebbero  rinvenibili  anche  nella
legislazione regionale. 
    In terzo luogo, si rileva come il  campo  di  applicazione  della
norma impugnata sarebbe alquanto  limitato,  riguardando  soltanto  i
lavori di importo inferiore a 200.000 euro. Inoltre, lo stesso Codice
prevede diversi casi in cui l'inclusione  di  un  lavoro  nell'elenco
annuale  non  e'   subordinata   alla   previa   approvazione   della
progettazione preliminare. Ne' a sostegno della censura  si  potrebbe
invocare l'art. 128, comma 7,  del  d.lgs.  n.  163  del  2006,  «sia
perche' esso riguarda il caso specifico dell'inserimento di un lavoro
nell'elenco annuale limitatamente ad uno o piu'  lotti,  sia  perche'
l'art. 128 regola  i  procedimenti  che  attengono  alle  materia  di
competenza concorrente (...) mentre i lavori  pubblici  di  interesse
locale e regionale rientrano nella potesta'  primaria  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia». 
    Infine, non sarebbe conferente neanche il richiamo all'art. 4 del
Codice dei contratti pubblici, in quanto tale norma si  rivolge  alle
Regioni a statuto ordinario. 
    2.2.- Con riferimento alle censure che hanno investito l'art.  1,
comma 5, lettere b) e c) della  legge  n.  11  del  2009,  che  hanno
modificato l'art. 9, commi 9-ter e 9-quater, e l'art.  17,  comma  1,
lettera b), della precedente legge  regionale  n.  14  del  2002,  si
deduce la inammissibilita', da un lato, della censura  formulata  con
riferimento all'art. 117, secondo comma, Cost.,  perche'  tale  norma
non  si  applicherebbe,  per  le  ragioni   esposte,   alla   Regione
resistente, dall'altro, della doglianza prospettata in relazione alle
norme statutarie, in quanto non si indicano le ragioni per  le  quali
le  disposizioni  impugnate  dovrebbero  essere   considerate   norme
fondamentali di grande riforma economico-sociale. 
    Sotto un diverso profilo, si  deduce  la  inammissibilita'  della
censura per incertezza in ordine all'oggetto della questione  per  le
seguenti ragioni: le norme censurate riguardano  l'affidamento  degli
incarichi di  progettazione  (art.  9,  commi  9-ter  e  9-quater)  e
l'aggiudicazione degli appalti (art. 17, comma  1),  ma  l'Avvocatura
generale dello Stato «lamenta solo l'introduzione di  preferenza  per
il criterio dell'offerta economicamente  piu'  vantaggiosa  nel  caso
dell'aggiudicazione degli incarichi di progettazione». 
    Le norme interposte evocate nel ricorso riguardano, inoltre,  sia
l'affidamento degli incarichi di progettazione (art. 91, comma 2, del
d.lgs. n. 163 del 2006), sia  l'aggiudicazione  del  lavoro  mediante
«procedura negoziata senza previa pubblicazione di  un  bando»  (art.
57, comma 6). 
    Nel merito, la censura non sarebbe fondata, in  quanto  la  norma
impugnata si spiegherebbe  in  ragione  della  «essenziale  rilevanza
dell'elemento qualitativo negli affidamenti in  questione»;  elemento
che «e' meglio tutelato dal criterio dell'offerta economicamente piu'
vantaggiosa rispetto a quello del prezzo piu' basso,  che  si  mostra
invece maggiormente  idoneo  quando  i  profili  qualitativi  possono
essere  esauriti  in  modo  oggettivo  dal  bando  di   gara».   Cio'
spiegherebbe il motivo per il  quale  la  preferenza  espressa  dalla
legge e' solo tendenziale ed e' superabile in casi  specifici,  sulla
base di elementi concreti. Sul punto, si conclude affermando che «non
si vorra' certo sostenere che un'autonomia  assoluta  della  stazione
appaltante e' un  principio  di  grande  riforma  della  legislazione
statale». 
    2.3. - Con riferimento alle censure relative all'art. 1, comma 5,
lettera k), della legge n. 11 del 2001, che  ha  apportato  modifiche
all'art. 56, comma 2, della precedente  legge  n.  14  del  2002,  si
deduce anche in questo caso la inammissibilita' della  doglianza,  in
quanto non si motiverebbe «ne' per quale  ragione  la  norma  statale
invocata sarebbe di grande riforma ne' per  quale  ragione  la  norma
impugnata invaderebbe la materia dell'ordinamento civile». 
    Inoltre, si  afferma  come  la  censura  sia  il  «frutto  di  un
equivoco».  La   norma   impugnata   «regola   la   concessione   del
finanziamento a enti pubblici per la realizzazione di lavori pubblici
e il comma 2 definisce  il  modo  in  cui  si  deve  quantificare  il
contributo  regionale  relativo  agli  oneri   per   spese   tecniche
gestionali e di collaudo». Il decreto ministeriale  di  cui  all'art.
92, commi 2 e 3,  non  disciplinerebbe  questo  aspetto,  occupandosi
soltanto del modo  in  cui  si  determinano  i  «corrispettivi  delle
attivita' di progettazione». In  altri  termini,  «mentre  l'art.  56
regola il rapporto fra Regione  ed  ente  pubblico  beneficiario  del
contributo,  l'art.  92   del   Codice   regola   il   rapporto   fra
amministrazione  aggiudicatrice  e  professionista  progettista».  In
questa prospettiva,  la  norma  impugnata  non  escluderebbe  affatto
l'applicazione del decreto ministeriale  di  cui  all'art.  92,  «che
dovra'  esser  rispettato  dall'amministrazione  aggiudicatrice»,  ma
definirebbe la misura del contributo regionale per le spese  tecniche
generali e di collaudo. 
    Infine, si sottolinea come la norma censurata fosse gia' presente
nel testo originario della legge regionale  n.  14  del  2002  e  che
l'unica novita' sarebbe consistita nella previsione del  decreto  del
Presidente della Regione, mentre la disposizione precedente  rinviava
ad  un  generico  «decreto  del  Presidente  della  Regione,   previa
deliberazione della Giunta regionale». 
    2.4. - Con riferimento all'impugnazione  dell'art.  7,  comma  9,
della legge regionale n. 11 del 2009, si deduce, in via  preliminare,
la inammissibilita' della relativa censura in ragione del  fatto  che
il  ricorrente  ha  fatto  esclusivo  riferimento  al  secondo  comma
dell'art. 117 Cost., senza argomentare in ordine alla violazione  dei
parametri statutari. 
    Nel merito,  si  sottolinea  come  la  norma  impugnata  riguardi
procedimenti di competenza regionale e degli enti locali, per i quali
lo stesso Codice dell'ambiente ammetterebbe una competenza  regionale
(si cita l'art. 7, commi 2, 4, 6 e 7 del d.lgs. n. 152 del 2006). 
    In relazione all'art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, si
osserva che «la lesione della competenza statale in materia di tutela
dell'ambiente ci sarebbe se il decorso del termine  abbreviato  dalla
norma regionale implicasse v.i.a favorevole, ma l'art. 26,  comma  2,
del Codice dell'ambiente non prevede affatto  che  l'inutile  decorso
del termine produca questo esito». 
    In relazione all'art. 12 dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006,  si
sottolinea che anch'esso  «non  prevede  che  l'inutile  decorso  del
termine implichi l'esclusione del piano dalla v.a.s.». 
    Per le ragioni sin qui esposte, si conclude  affermando  che  «la
legge regionale non compromette in alcuna misura la tutela ambientale
e corrisponde invece ad una  ragionevole  esigenza  di  accelerazione
delle opere individuate come strategiche». 
    3.   -   Nell'imminenza   dell'udienza   pubblica   la    Regione
Friuli-Venezia Giulia ha depositato una  memoria,  con  la  quale  ha
richiamato il contenuto della sentenza di  questa  Corte  n.  45  del
2010, che ha ricostruito il riparto di competenze tra Stato  ed  enti
ad autonomia speciale, riconoscendo a questi  ultimi  uno  spazio  di
intervento, nel settore dei contratti pubblici, piu' ampio rispetto a
quello che  il  titolo  V  della  parte  seconda  della  Costituzione
riconosce alle Regioni a statuto ordinario. 
    La difesa della Regione richiama  anche  quanto  affermato,  alla
luce della citata sentenza n. 45 del 2010, dal Consiglio di Stato con
il parere della Sezione consultiva per  gli  atti  normativi  del  24
febbraio 2010. 
    Alla  luce  delle   suindicate   indicazioni   giurisprudenziali,
risulterebbero  ulteriormente  confermate  le   argomentazioni   gia'
contenute  nell'atto  di  costituzione  e  volte  a   dimostrare   la
infondatezza delle censure formulate con il ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  promosso
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  5,
lettere a), b), c) e k), della  legge  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia 4 giugno 2009, n. 11 (Misure urgenti in  materia  di  sviluppo
economico regionale, sostegno  al  reddito  dei  lavoratori  e  delle
famiglie, accelerazione di lavori pubblici), per asserita  violazione
dell'art. 4, primo comma, della legge costituzionale 31 gennaio 1963,
n. 1 (Statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia),  in
relazione all'art. 117, secondo comma, lettere e)  e  l).  E'  stato,
inoltre, impugnato l'art. 7, comma 9, della predetta legge  regionale
per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    2. - Prima di esaminare le singole censure proposte e'  opportuno
delineare - alla luce di quanto gia' affermato da questa Corte con la
sentenza n. 45 del 2010 - le linee  fondamentali  del  riparto  delle
competenze legislative nel settore degli appalti pubblici  tra  Stato
ed enti ad autonomia differenziata. 
    L'art.  4  della  citata  legge  costituzionale  n.  1  del  1963
attribuisce alla Regione Friuli-Venezia Giulia competenza legislativa
primaria in materie specificamente enumerate, tra  le  quali  rientra
anche quella dei «lavori pubblici di interesse regionale» (n. 9). 
    In presenza di tale specifica attribuzione, deve  ritenersi  che,
non contemplando il novellato titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione  la  materia  «lavori  pubblici»,  trova  applicazione -
secondo quanto previsto dall'art. 10 della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3,  recante  «Modifiche  al  titolo  V  della  parte
seconda  della  Costituzione» -  la   previsione   statutaria   sopra
indicata. 
    Quanto esposto non significa che - in relazione  alla  disciplina
dei contratti di appalto che incidono nel territorio della  Regione -
la legislazione  regionale  sia  libera  di  esplicarsi  senza  alcun
vincolo e che non possano trovare  applicazione  le  disposizioni  di
principio contenute nel decreto legislativo 12 aprile  2006,  n.  163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).  Il  medesimo
art. 4 sopra citato prevede, infatti,  che  la  potesta'  legislativa
primaria  regionale  deve  essere  esercitata  «in  armonia  con   la
Costituzione, con  i  principi  generali  dell'ordinamento  giuridico
della  Repubblica,  con   le   norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali e  con  gli  obblighi  internazionali  dello  Stato
(...)». 
    In questa prospettiva vengono  in  rilievo,  in  primo  luogo,  i
limiti  derivanti  dal  rispetto  dei  principi  della  tutela  della
concorrenza, strumentali ad assicurare  le  liberta'  comunitarie,  e
dunque le disposizioni contenute nel Codice degli  appalti  pubblici,
che costituiscono  diretta  attuazione  delle  prescrizioni  poste  a
livello europeo. In tale ambito, la  disciplina  regionale  non  puo'
avere un contenuto difforme da quella prevista, in  attuazione  delle
norme comunitarie, dal legislatore  nazionale  e,  quindi,  non  puo'
alterare  negativamente  il  livello  di  tutela   assicurato   dalla
normativa statale. 
    In secondo luogo,  il  legislatore  regionale  deve  osservare  i
principi dell'ordinamento giuridico della  Repubblica,  tra  i  quali
sono ricompresi anche quelli afferenti la disciplina  di  istituti  e
rapporti privatistici relativi, soprattutto, alla fase di conclusione
ed esecuzione del contratto di  appalto,  che  deve  essere  uniforme
sull'intero  territorio  nazionale,  in  ragione  della  esigenza  di
assicurare il rispetto del principio di uguaglianza.  A  cio'  e'  da
aggiungere che nella suindicata fase di conclusione ed esecuzione del
rapporto contrattuale si collocano anche istituti che  rispondono  ad
interessi  unitari  e  che  -  implicando  valutazioni   e   riflessi
finanziari, che non tollerano discipline differenziate nel territorio
dello Stato - possono ritenersi espressione del limite  rappresentato
dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. 
    Alla luce di quanto sopra, prima di esaminare le singole  censure
proposte, occorre chiarire - avendo riguardo alle eccezioni sollevate
dalla difesa regionale e al fine dell'esatta individuazione del thema
decidendum - che la risoluzione delle questioni di  costituzionalita'
deve essere svolta alla luce delle  disposizioni  statutarie  evocate
dal ricorrente. 
    3. - Si puo' passare, dunque,  all'esame  delle  singole  censure
proposte. 
    Lo Stato ha, innanzitutto, impugnato l'art. 1, comma  5,  lettera
a), della legge regionale n. 11 del 2009 - che ha  modificato  l'art.
8, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 maggio
2002, n. 14 (Disciplina organica dei lavori pubblici) -  nella  parte
in cui stabilisce che «per i lavori di minore  complessita',  la  cui
progettazione non  richieda  fasi  autonome  di  approfondimento,  il
progetto definitivo e quello esecutivo sono sviluppati  in  un  unico
elaborato tecnico, salvo diversa indicazione del  responsabile  unico
del procedimento. Per i  suddetti  lavori,  di  importo  inferiore  a
200.000 euro e per i quali sia  allegata  una  relazione  descrittiva
dell'intervento, l'approvazione dell'elenco annuale dei lavori di cui
all'articolo 7 sostituisce l'approvazione del progetto preliminare». 
    Tale  norma  violerebbe  l'art.  4,  primo  comma,  della   legge
costituzionale n. 1 del 1963,  in  relazione  all'art.  117,  secondo
comma, lettere e) e  l),  Cost.  che  attribuiscono  alla  competenza
esclusiva  statale  la  materia  della  tutela  della  concorrenza  e
dell'ordinamento civile. In particolare, sarebbero violati gli  artt.
93 e 128 del d.lgs. n. 163 del 2006, i quali configurano il  progetto
preliminare e l'elenco annuale come strumenti eterogenei «volti l'uno
alla programmazione della singola opera e l'altro alla programmazione
generale annuale», contenendo, quindi, elementi non sovrapponibili. 
    3.1.  -  Al  riguardo,  deve  essere  preliminarmente   disattesa
l'eccezione di  inammissibilita'  della  questione,  per  genericita'
della relativa censura, sollevata dalla difesa regionale.  Dall'esame
del  ricorso  dello   Stato,   infatti,   emerge,   con   sufficiente
specificita', il contenuto della doglianza proposta, la quale si basa
sulla deduzione del contrasto tra la norma regionale e  un  principio
fondamentale   di   riforma   economico-sociale   desumibile    dalla
legislazione dello Stato in materia. 
    3.2. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    L'art.  93  del  d.lgs.  n.  163  del  2006   prevede   che   «la
progettazione in materia di lavori pubblici si articola, nel rispetto
dei vincoli esistenti, preventivamente accertati,  laddove  possibile
fin dal documento preliminare, e dei limiti  di  spesa  prestabiliti,
secondo  tre  livelli  di  successivi  approfondimenti  tecnici,   in
preliminare, definitiva ed esecutiva». Tale articolazione persegue il
fine di assicurare la  qualita'  dell'opera  e  la  rispondenza  alle
finalita'  relative  alla  conformita'  alle   norme   ambientali   e
urbanistiche, nonche' il soddisfacimento  dei  requisiti  essenziali,
definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario. 
    Questa Corte, con la sentenza n. 401  del  2007  (punto  6.9  del
Considerato in diritto), ha  gia'  avuto  modo  di  chiarire  che  la
progettazione  non  costituisce  una  materia,  ma  un  momento   del
complesso  iter   procedimentale   preordinato   alla   realizzazione
dell'opera pubblica. Ed ha anche precisato che, ai fini del  rispetto
del   principio   di   libera   concorrenza,   vengono   in   rilievo
esclusivamente   i   criteri   che   presiedono   allo    svolgimento
dell'attivita' di progettazione. 
    Inoltre, la Corte, con la sentenza n. 482  del  1995,  richiamata
dalla predetta sentenza n. 401, ha affermato - in relazione  all'art.
16, comma 1, della legge 11 febbraio 1994, n. 109  (Legge  quadro  in
materia  di   lavori   pubblici),   il   cui   contenuto   e'   stato
sostanzialmente recepito dal riportato art. 93, comma 1,  del  d.lgs.
n. 163 del  2006  -  che  l'aspetto  qualificante  dell'attivita'  di
progettazione e' dato dal fatto che essa deve  svolgersi  secondo  la
suindicata articolazione, essendo questa essenziale «per  assicurare,
con   il   progetto   esecutivo,   l'eseguibilita'   dell'opera»    e
«indispensabile per rendere certi i tempi e i costi di realizzazione»
dell'opera stessa. Sulla base di tale premessa, la Corte ha  ritenuto
che la norma statale costituisca «elemento coessenziale alla  riforma
economico-sociale», con la conseguenza che  essa  opera  come  limite
all'attivita' legislativa regionale. 
    Nel caso in esame, tale limite non e' stato osservato, atteso che
la  disposizione  impugnata  prevede  la  non   essenzialita'   della
progettazione preliminare, considerandola assorbita nell'approvazione
dell'elenco annuale dei lavori. Ne' puo'  ritenersi,  come  sostenuto
dalla  difesa  della  Regione,  che  tale  approvazione  consenta  di
assicurare  le  medesime  finalita'  che  connotano  l'attivita'   di
progettazione.  Cio'  in  quanto,  a  prescindere   da   ogni   altra
valutazione, la programmazione dei lavori ha  una  valenza,  appunto,
programmatoria di carattere generale, rispondente a scopi  diversi  e
piu' ampi. Tale diversita' e' confermata dallo stesso  art.  128  del
d.lgs. n. 163 del 2006 il quale,  al  comma  7,  stabilisce  che  «un
lavoro puo' essere inserito nell'elenco annuale, limitatamente ad uno
o piu' lotti, purche' con riferimento  all'intero  lavoro  sia  stata
elaborata la progettazione almeno preliminare (...)». 
    Sulla base delle suindicate considerazioni, deve essere,  dunque,
dichiarata la illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  5,
lettera a), della legge regionale n. 11 del 2009, che  ha  modificato
l'art. 8, comma 8, della legge regionale n. 14 del 2002. 
    4. - Lo Stato, inoltre, ha impugnato l'art. 1, comma  5,  lettere
b) e  c),  della  predetta  legge  regionale  n.  11  del  2009  che,
modificando gli artt. 9 e 17 della legge regionale n. 14 del 2002, ha
stabilito una preferenza per il criterio dell'offerta  economicamente
piu' vantaggiosa  nel  caso  di  aggiudicazione  degli  incarichi  di
progettazione. 
    Tale norma sarebbe in contrasto con l'art. 4, primo comma,  della
legge costituzionale n.  1  del  1963,  in  relazione  all'art.  117,
secondo comma, lettere e) e l),  che  attribuiscono  alla  competenza
esclusiva  statale  le  materie  della  tutela  della  concorrenza  e
dell'ordinamento civile; e in particolare, con gli artt. 91, comma 2,
e 57, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, i quali  stabiliscono  che
«la stazione appaltante sceglie l'operatore economico, che ha offerto
le condizioni piu' vantaggiose, secondo il criterio del  prezzo  piu'
basso o dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa». 
    4.1. - La questione non e' fondata. 
    Innanzi tutto, in via  preliminare,  la  censura  proposta  dallo
Stato deve ritenersi ammissibile, in  quanto  il  ricorso  specifica,
nella parte introduttiva, le ragioni per le quali le disposizioni del
Codice degli  appalti  pubblici,  prese  in  considerazione,  possono
essere qualificate  come  espressione  di  principi  fondamentali  di
riforma economico-sociale, nonche' le ragioni per cui e'  ammissibile
il riferimento anche alle disposizioni del novellato titolo  V  della
parte seconda della Costituzione. 
    Quanto al merito, deve osservarsi che  il  Codice  degli  appalti
pubblici prevede che gli incarichi  di  progettazione  devono  essere
affidati utilizzando, ai fini dell'aggiudicazione, «il  criterio  del
prezzo piu' basso o dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa». Il
legislatore regionale ha, invece, previsto che le stazioni appaltanti
debbano optare «preferibilmente» per quest'ultimo criterio. 
    Tale rilevata diversita' di regolamentazione non e'  suscettibile
di alterare le regole di funzionamento del mercato e,  pertanto,  non
e' idonea ad alterare i livelli di tutela della  concorrenza  fissati
dalla legislazione nazionale. 
    Il legislatore regionale, con la impugnata disposizione,  non  ha
escluso, in via  aprioristica  e  astratta,  uno  dei  due  possibili
criteri di aggiudicazione, ma  ha  soltanto  indicato  un  ordine  di
priorita' nella scelta, che non elimina il potere discrezionale della
stazione appaltante di ricorrere all'altro criterio, cioe'  a  quello
del  prezzo  piu'  basso.  Al  fine  di   evitare   possibili   dubbi
interpretativi, l'art. 1, comma 5, lettera b), della legge  impugnata
ha introdotto il comma 9-quater all'art. 9 della legge della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia  n.  14   del   2002,   il   quale   chiarisce
espressamente che gli incarichi in esame «possono essere affidati con
il criterio del prezzo piu' basso  ove  ritenuto  motivatamente  piu'
adeguato  dalla  stazione  appaltante»  rispetto  all'altro  criterio
previsto dalla disposizione censurata. 
    Ne  consegue  che  la  normativa  regionale,  rispetto  a  quella
statale, si limita ad imporre un obbligo di motivazione -  in  linea,
tra l'altro, con il principio generale consacrato dall'art.  3  della
legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia  di  procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) -
qualora l'amministrazione decida di ricorrere al criterio del  prezzo
piu'  basso.  Tale  diversita',  come  gia'  sottolineato,   non   e'
suscettibile di ridurre la partecipazione degli  operatori  economici
alle procedure di gara, non avendo  alcuna  capacita'  di  recare  un
vulnus, in particolare, ai principi della libera  circolazione  delle
persone e delle merci. 
    5. - Lo Stato ha anche impugnato l'art. 1, comma 5,  lettera  k),
della predetta legge regionale n. 11 del 2009, nella  parte  in  cui,
modificando l'art. 56, comma 2, della  precedente  legge  n.  14  del
2002, prevede che gli oneri per spese tecniche generali e di collaudo
sono commisurati  alle  aliquote  determinate  dal  Presidente  della
Regione. In particolare, si assume che tale  disposizione  violerebbe
la  competenza  esclusiva  statale  in  materia   di   tutela   della
concorrenza e di  ordinamento  civile,  ponendosi  in  contrasto  con
l'art. 92, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale  attribuisce
ad un decreto del Ministro della giustizia, di  concerto  con  quello
delle infrastrutture, la determinazione di dette aliquote. 
    5.1. - La questione e' inammissibile. 
    La norma impugnata ha modificato il comma 2  dell'art.  56  della
citata legge regionale, n. 14 del 2002. 
    Tale  articolo,  nell'insieme,   disciplina   le   modalita'   di
concessione  dei   finanziamenti   regionali   alle   amministrazioni
aggiudicatrici, in relazione a  specifici  lavori  individuati  dalla
Giunta regionale. Nel  contesto  dell'intero  articolo,  il  comma  2
attribuisce al Presidente della Regione  il  compito  di  fissare  le
aliquote  per  la  determinazione  degli  oneri  per  spese  tecniche
generali e di collaudo. 
    La  norma  statale,  evocata  dal   ricorrente   come   parametro
interposto, riguarda invece  le  modalita'  di  determinazione  delle
tabelle dei corrispettivi delle attivita' relative alla progettazione
preliminare,  definitiva  ed  esecutiva  di  lavori,   nonche'   alla
direzione   dei    lavori    e    agli    incarichi    di    supporto
tecnico-amministrativo   alle   attivita'   del   responsabile    del
procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma
triennale dei lavori pubblici espletate dai  soggetti  specificamente
indicati al comma 1 dell'art. 90 del  d.lgs.  n.  163  del  2006.  In
particolare,  si  prevede  che  detta  determinazione  debba   essere
effettuata con decreto del Ministro della giustizia, di concerto  con
il Ministro delle infrastrutture. 
    Dal contenuto delle richiamate norme risulta che la  disposizione
regionale impugnata -  riguardando  le  modalita'  di  determinazione
dell'importo dei finanziamenti  che  possono  essere  concessi  dalla
Regione alle amministrazioni  aggiudicatrici -  attiene  ai  rapporti
«esterni» tra queste ultime e la Regione stessa.  La  norma  statale,
invece, e' relativa ai criteri di fissazione dei  compensi  spettanti
ai  soggetti  che  prestino  la  loro  attivita'  nel   corso   della
realizzazione dell'opera a partire dalla procedura di  gara,  sicche'
essa incide sui rapporti «interni» tra tali soggetti  e  la  stazione
appaltante.  In  definitiva,  la  disposizione  statale,  avendo   un
differente ambito applicativo rispetto a quella regionale,  non  puo'
essere utilmente evocata  quale  limite  alla  competenza  statutaria
della Regione in materia. Deve, pertanto, ritenersi  che  la  erronea
indicazione del parametro  interposto  impedisca,  nella  specie,  la
disamina nel merito della questione proposta (da ultimo, sentenza  n.
45 del 2010). 
    6. - Lo Stato, infine, ha impugnato  l'art.  7,  comma  9,  della
predetta legge regionale n. 11 del 2009, il quale prevede che, «fermo
restando le disposizioni normative a tutela della  concorrenza,  sono
ridotti del 50 per cento i termini previsti dai singoli  procedimenti
di competenza della  Regione  e  degli  enti  locali  correlati  alla
realizzazione»  di  opere  nel  settore   delle   infrastrutture   di
trasporto, della mobilita' e della logistica. 
    Secondo  il  ricorrente,  tale  norma  violerebbe  la  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia  di  tutela  ambientale,
ponendosi in contrasto con l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., e in particolare con il decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.
152 (Norme in materia ambientale), il quale  prevede,  per  le  opere
soggette a valutazione di impatto ambientale (v.i.a.),  «una  precisa
scansione  temporale   per   l'espletamento   del   procedimento   di
compatibilita' ambientale, fissando all'art. 26, comma 1, il  termine
di conclusione del procedimento (150 giorni elevati a 210 nel caso di
progetti di particolare  complessita')».  La  disposizione  regionale
censurata ostacolerebbe, poi, il rispetto dei tempi  stabiliti  dalla
normativa nazionale per la consultazione del pubblico (art. 20, comma
3, in tema di «verifica di assoggettabilita'»: 45  giorni;  art.  24,
comma 4, in tema di «consultazione»: 60 giorni), violando in tal modo
i principi di partecipazione sanciti dalle  disposizioni  comunitarie
(direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, n.  85/337/CEE,  concernente
la  valutazione  dell'impatto  ambientale  di  determinati   progetti
pubblici  e  privati,  art.  6).  Inoltre,  la  normativa   regionale
interferirebbe con i  termini  sostanziali  e  di  consultazione  del
pubblico previsti (si citano, al riguardo, gli artt. 12  e  14  della
normativa nazionale) con riferimento al procedimento  di  valutazione
ambientale strategica (v.a.s.). 
    6.1. - Anche tale questione va esaminata nel merito, non  essendo
sorretta  da  valide  argomentazioni  la  preliminare  eccezione   di
inammissibilita' proposta dalla difesa regionale, e non e' fondata. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che la procedura  di
valutazione di impatto ambientale e'  autonoma,  ancorche'  connessa,
rispetto al procedimento  amministrativo  nell'ambito  del  quale  si
colloca. La sua funzione prevalente e' quella di tutela dell'ambiente
(sentenza n. 234 del 2009). Analogamente e' a dirsi per la  procedura
di valutazione ambientale strategica. 
    La norma regionale impugnata -  inserendosi  in  una  piu'  ampia
disposizione che, con contenuto articolato e complesso, disciplina le
modalita'  di   realizzazione   delle   opere   nel   settore   delle
infrastrutture di trasporto, della mobilita' e della logistica -  non
reca alcun vulnus, per il suo  contenuto  precettivo,  alla  suddetta
competenza statale in materia di tutela dell'ambiente. 
    D'altronde,  se   il   legislatore   regionale,   per   fini   di
accelerazione e semplificazione procedurale nei  particolari  settori
sopra indicati, ha ridotto la durata dei procedimenti amministrativi,
deve ritenersi che  abbia  in  tal  modo  responsabilmente  valutato,
nell'esercizio della sua  discrezionalita',  che  nel  suddetto  arco
temporale sia possibile effettuare tutti  gli  adempimenti,  compresi
quelli  relativi  alla  consultazione  del  pubblico,  contemplati  a
livello nazionale. In altri  termini,  non  e'  da  ravvisare  alcuna
interrelazione tra la riduzione della durata dei  procedimenti  e  la
violazione dei precetti contenuti nelle  norme  statali  evocate  dal
ricorrente: norme che la Regione e le amministrazioni  aggiudicatrici
sono comunque tenute ad osservare.