Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  38,  comma  1,
del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  (Norme  generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche),  promosso  dal  Tribunale   ordinario   di   Rimini   nel
procedimento vertente tra Forero Puerta Danis Eunfaly e l'A.U.S.L. di
Rimini con ordinanza del 22 giugno  2010,  iscritta  al  n.  338  del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti l'atto di costituzione  di  Forero  Puerta  Danis  Eunfaly,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore
Paolo Grossi; 
    Uditi gli avvocati Arturo Salerni per Forero Puerta Danis Eunfaly
e l'avvocato  dello  Stato  Maurizio  Borgo  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio introdotto ex articolo  44
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), da una cittadina colombiana -  che
chiede di essere ammessa al concorso pubblico per l'assunzione di  un
assistente amministrativo cat. C indetto dalla AUSL di Rimini, previo
accertamento del carattere discriminatorio del  comportamento  tenuto
dalla Azienda Ospedaliera, consistente nella avvenuta esclusione  dal
suddetto concorso per difetto della  cittadinanza  italiana  o  della
cittadinanza di uno dei  Paesi  UE  -  il  Tribunale  di  Rimini,  in
funzione di giudice del lavoro, con ordinanza  emessa  il  22  giugno
2010, ha sollevato (per contrasto con  gli  articoli  4  e  51  della
Costituzione) questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
38, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165  (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche), nella  parte  in  cui,  contrariamente  a
quanto previsto  per  i  cittadini  appartenenti  agli  Stati  membri
dell'Unione Europea, «non consente di estendere l'accesso ai posti di
lavoro  presso  le  amministrazioni  pubbliche  anche  ai   cittadini
extracomunitari»; 
        che il rimettente premette di avere ordinato inaudita  altera
parte alla AUSL di Rimini di  ammettere  la  ricorrente  al  concorso
pubblico di cui e' causa, con decisione - adottata  «in  applicazione
del chiaro disposto sul punto della norma censurata» - «coerente  con
la recente giurisprudenza del Tribunale di Rimini che [...] che in un
caso analogo aveva ritenuto come l'accesso alla  occupazione  dovesse
essere garantito allo stesso  modo  al  cittadino  italiano  ed  allo
straniero anche  nei  posti  di  lavoro  all'interno  della  pubblica
amministrazione  salvo  che  l'attivita'  lavorativa   non   comporti
esercizio diretto od indiretto di pubblici poteri ovvero attenga alla
tutela di interessi nazionali»; 
        che tuttavia - essendo stata esclusa dalla difesa della  AUSL
resistente la possibilita' di  una  interpretazione  estensiva  della
norma censurata che consenta di accedere ai  posti  di  lavoro  nella
P.A., che non implicano esercizio diretto  o  indiretto  di  pubblici
poteri, ovvero non attengono alla  tutela  dell'interesse  nazionale,
anche ai cittadini  extracomunitari  -  il  rimettente  osserva  che,
«secondo tale tesi», l'articolo censurato,  «in  quanto  destinato  a
regolare una materia specifica quale  e'  l'accesso  al  lavoro  alle
dipendenze della pubblica amministrazione, non sarebbe superabile  in
base al canone ermeneutico dell'incompatibilita'  con  la  disciplina
sui lavoratori immigrati dettata dal d.lgs. n. 286 del 1998:  il  cui
art. 3 in ogni caso, sancendo in generale parita'  di  trattamento  e
piena  uguaglianza  di  diritti  per  i  lavoratori   extracomunitari
rispetto ai lavoratori italiani, non tutelerebbe  anche  i  cittadini
stranieri in  attesa  di  occupazione»;  e  quindi  l'esclusione  dal
concorso della ricorrente non potrebbe  configurare  una  ipotesi  di
comportamento discriminatorio; 
        che,   secondo   il   rimettente,    «tale    interpretazione
restrittiva» (condivisa  anche  da  Cassazione,  sezione  lavoro,  13
novembre 2006, n. 24170) fa si' che la norma censurata  si  ponga  in
contrasto con l'art. 51 della Costituzione che garantisce il  diritto
di tutti i cittadini ad accedere agli uffici pubblici ed alle cariche
elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti  stabiliti
dalla legge, nonche' con l'art. 4 Cost., che, tutelando il diritto al
lavoro, inibisce che  vengano  operate  interpretazioni  che  abbiano
l'effetto di impedirne o comunque  comprimerne  l'esercizio,  creando
ingiustificate disparita' di trattamento  esclusivamente  in  ragione
della diversa nazionalita' del lavoratore (come  affermato  anche  da
questa Corte, nella sentenza n. 454 del 1998, che ha riconosciuto  ai
lavoratori  extracomunitari  che  fruiscono  di  idoneo  permesso  di
soggiorno il godimento di tutti i diritti riconosciuti ai  lavoratori
italiani, affermando la piena  parita'  di  trattamento  e  la  piena
uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani); 
        che si e' costituita la ricorrente nel  giudizio  principale,
la quale - ricordato il precedente di cui alla sentenza  n.  454  del
1998 e rilevato che la citata pronuncia  della  Cassazione  e'  stata
costantemente disattesa dai giudici di merito -, pur ritenendo che la
limitazione di accesso di cui alla norma censurata «sia superabile in
base ai canoni ermeneutici dell'incompatibilita' con fonti  normative
successive  e  di  rango  superiore,   aderisce   alle   censure   di
legittimita' costituzionale prospettate dal giudice a quo», deducendo
altresi' la violazione degli artt. 2, 3 e 10 Cost., della Convenzione
della organizzazione internazionale del lavoro 24 giugno 1975, n. 143
(Convenzione  sulle  migrazioni  in  condizioni   abusive   e   sulla
promozione  della  parita'  di  opportunita'  e  di  trattamento  dei
lavoratori migranti, ratificata dalla legge 10 aprile 1981,  n.  158,
recante «Ratifica ed esecuzione delle convenzioni numeri  92,  133  e
143 dell'Organizzazione»),  nonche'  dell'art.  15  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea; 
        che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
concludendo per la manifesta infondatezza della  questione,  giacche'
e' proprio l'art. 51 della  Costituzione  a  garantire  ai  cittadini
l'accesso ai pubblici uffici ed alle cariche elettive  in  condizioni
di  eguaglianza  e  secondo  i  requisiti  stabiliti   dalla   legge,
presupponendo come connaturale nel  solo  cittadino  -  e  non  nello
straniero - il legame di solidarieta' con lo Stato  per  l'attuazione
dell'interesse pubblico; 
        che, inoltre, la  difesa  erariale  evidenzia  che  anche  in
ambito comunitario analoga esclusione e' prevista,  per  i  cittadini
comunitari, dall'art. 48 del Trattato 25  marzo  1957  (Trattato  che
istituisce la Comunita' europea), che,  nell'affermare  il  principio
della libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunita',
dispone espressamente sulla inapplicabilita' di tale  principio  agli
impieghi  nella  pubblica  amministrazione;  laddove,  la  Corte   di
giustizia europea (decisione del 17 dicembre 1980, causa  149/79)  ha
affermato che devono rientrare nell'esclusione tutti quei  posti  che
implicano  in  maniera  diretta   o   indiretta   la   partecipazione
all'esercizio dei pubblici poteri  ed  alle  mansioni  che  hanno  ad
oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle  altre
collettivita' pubbliche, in quanto presuppongono  l'esistenza  di  un
rapporto particolare  di  solidarieta'  nei  confronti  dello  Stato,
nonche' la reciprocita' di diritti  e  doveri  che  costituiscono  il
fondamento del vincolo di cittadinanza. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Rimini, in funzione  di
giudice del lavoro, censura  l'articolo  38,  comma  1,  del  decreto
legislativo  30  marzo  2001,  n.  165   (recante   «Norme   generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche»), nella parte in cui, contrariamente a quanto previsto per
i cittadini appartenenti agli Stati membri dell'Unione europea,  «non
consente  di  estendere  l'accesso  ai  posti  di  lavoro  presso  le
amministrazioni pubbliche anche ai cittadini extracomunitari»; 
        che, a giudizio del  rimettente,  la  norma  si  porrebbe  in
contrasto con l'articolo 4 della Costituzione, il quale, tutelando il
diritto al  lavoro,  inibisce  che  vengano  operate  interpretazioni
restrittive che abbiano l'effetto di impedirne o comunque comprimerne
l'esercizio,  con   cio'   creando   ingiustificate   disparita'   di
trattamento in ragione della diversa nazionalita' del  lavoratore,  e
con l'art. 51 Cost., che garantisce il diritto di tutti  i  cittadini
ad  accedere  agli  uffici  pubblici  ed  alle  cariche  elettive  in
condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge; 
        che,  preliminarmente  -  con  riferimento  alla   violazione
(denunciata dalla parte privata costituitasi nel  presente  giudizio)
anche degli artt. 2, 3 e 10 Cost., nonche'  della  Convenzione  della
organizzazione internazionale del  lavoro  24  giugno  1975,  n.  143
(Convenzione  sulle  migrazioni  in  condizioni   abusive   e   sulla
promozione  della  parita'  di  opportunita'  e  di  trattamento  dei
lavoratori migranti, ratificata dalla legge 10 aprile 1981,  n.  158,
recante «Ratifica ed esecuzione delle convenzioni numeri  92,  133  e
143 dell'Organizzazione»), e dell'art. 15  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea -  va  rilevato  che,  per  costante
orientamento   di   questa   Corte,   l'oggetto   del   giudizio   di
costituzionalita' in via incidentale e' limitato alle  sole  norme  e
parametri  indicati,  pur  se   implicitamente,   nell'ordinanza   di
rimessione, non potendo  essere  presi  in  considerazione,  oltre  i
limiti  in  questa  fissati,  ulteriori  questioni   o   profili   di
costituzionalita' dedotti dalle parti, tanto se siano stati  eccepiti
ma non fatti propri dal giudice a quo, quanto  se  siano  diretti  ad
ampliare o  modificare  successivamente  il  contenuto  delle  stesse
ordinanze;   sicche'   altri   parametri   ed   altri   profili    di
costituzionalita' diversi da quelli evocati  dal  giudice  rimettente
non possono formare oggetto della decisione (sentenze n. 327, n.  227
e n. 50 del 2010); 
        che, nei termini in cui  e'  stata  formulata,  la  questione
presenta un insuperabile profilo di inammissibilita', derivante dalla
mancata sperimentazione da parte del rimettente di una (pur doverosa)
interpretazione della norma impugnata che  la  ponga  al  riparo  dai
prospettati dubbi di legittimita' costituzionale (da ultimo ordinanze
n. 101 e n. 15 del 2011); 
        che, infatti, per un verso, e' lo stesso giudice  a  quo  (il
quale premette di avere  provvisoriamente  ammesso  la  ricorrente  a
partecipare al concorso  in  oggetto,  con  decreto  inaudita  altera
parte, adottato «in applicazione del chiaro disposto sul punto  della
norma  censurata»)  a  ritenere  che  il  testo  della   disposizione
impugnata non precluda, in se', l'accesso ai posti pubblici da  parte
di cittadini extracomunitari; 
        che, altresi',  e'  sempre  il  medesimo  rimettente  a  dare
espressamente atto di come tale conclusione  derivi  da  una  lettura
della  disposizione  «coerente   con   la   recente   giurisprudenza»
effettuata dal Tribunale di cui egli fa parte, cosi' riconoscendo, ex
ore suo, non  soltanto  la  praticabilita'  in  via  teorica  di  una
interpretazione della norma secundum constitutionem, ma, addirittura,
la gia' intervenuta concreta applicazione  della  norma  medesima  in
precedenti  identiche  occasioni  in  adesione  a  siffatta   opzione
ermeneutica da parte di tale organo giurisdizionale; 
        che, tuttavia, dopo avere esposto tutto cio',  il  rimettente
si limita a riportare la contraria tesi sostenuta, nella  memoria  di
costituzione, dalla amministrazione resistente ed  a  denunciare  che
«tale interpretazione restrittiva» della norma censurata  («condivisa
anche» dalla Corte di cassazione nella citata sentenza n.  24170  del
2006) «appare  in  evidente  contrasto»  con  gli  evocati  parametri
costituzionali; 
        che il mero richiamo ad una interpretazione diversa da quella
espressamente  fatta  propria  dal  rimettente  si  configura   quale
acritico riferimento ad una opinio della parte, riguardo  alla  quale
il giudice  a  quo  avrebbe  dovuto  esprimere  il  proprio  motivato
convincimento  adesivo,  non  foss'altro  che  per   sconfessare   la
validita' del ragionamento seguito dal medesimo Tribunale (oltre  che
da se stesso in sede di decretazione  di  urgenza)  nelle  precedenti
occasioni in cui si e' gia' espresso in senso favorevole  all'accesso
dei cittadini extracomunitari in posti di lavoro anche in  seno  alle
pubbliche amministrazioni; 
        che d'altro canto, a tale scopo, non puo'  certo  bastare  la
semplice e neutra citazione di  una  (a  quanto  consta,  allo  stato
isolata) pronuncia della Corte  di  cassazione,  non  otendosi  certo
quella decisione evocare come diritto vivente e, semmai,  dovendo  il
giudice mostrare almeno una chiara e motivata adesione  al  principio
di diritto ivi affermato; 
        che risulta, dunque, altresi' evidente  come,  attraverso  il
richiesto vaglio di costituzionalita', il giudizio incidentale  venga
nella specie utilizzato in modo assolutamente distorto (ordinanze  n.
363 e n. 322 del 2010), in quanto diretto del tutto impropriamente ad
ottenere dalla Corte un avallo della  interpretazione  gia'  ritenuta
dal  rimettente  come  preferibile  e  costituzionalmente   adeguata,
nonche' gia' applicata anche dal medesimo Tribunale (e  dal  medesimo
giudice); 
        che,  pertanto,  la  sollevata  questione  e'  manifestamente
inammissibile.