Ricorso  della  Regione  autonoma  della  Sardegna  (cod.   fisc.
80002870923),  in  persona  del  Presidente  pro  tempore  Dott.  Ugo
Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta  procura  a  margine  del
presente atto e di deliberazione della Giunta della Regione  Autonoma
della   Sardegna,   dagli   Avv.ti   Tiziana   Ledda   (cod.    fisc.
LDDTZN52T59B354Q,    PEC    -    Posta    Elettronica     Certificata
tledda@pec.regione.sardegna.it) e Prof. Massimo Luciani  (cod.  fisc.
LCNMSM52L23H501G,    PEC    -    Posta    Elettronica     Certificata
massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), ed elettivamente  domiciliata
presso lo studio del secondo in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78, 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente pro  tempore,  per  la  dichiarazione  dell'illegittimita'
costituzionale degli artt. 1, comma 9, lett.  b),  2,  comma  36,  3,
comma 4, 4, 5-bis, 11, 14 e 16 del decreto-legge 13 agosto  2011,  n.
138, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  13  agosto  2011,  n.  188,
convertito con modificazioni in legge  14  settembre  2011,  n.  148,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 settembre 2011, n. 216. 
    1. - Debbono essere qui riassunte le vicende  delle  disposizioni
oggetto del presente ricorso. 
    1.1. - L'originaria formulazione delle disposizioni  indicate  in
epigrafe (precisato che l'art. 5-bis non era presente nell'originaria
formulazione  del  decreto  ed  e'  stato  introdotto  in   sede   di
conversione) era la seguente: 
    «Articolo 1. Disposizioni per la riduzione della spesa.  -  [...]
9.  All'articolo  20,  del  citato  decreto-legge  n.  98  del   2011
convertito con legge n. 111 del  2011,  sono  apportate  le  seguenti
modificazioni: b) al comma  3,  le  parole:  "a  decorrere  dall'anno
2013", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno  2012";
nel medesimo comma, il secondo periodo  e'  soppresso;  nel  medesimo
comma, al terzo periodo sostituire le parole  "di  cui  a  primi  due
periodi" con le seguenti: "di cui al primo periodo"». 
    «Articolo 2. Disposizioni in materia di entrate. - [...]  36.  Le
maggiori  entrate  derivanti  dal  presente  decreto  sono  riservate
all'Erario,  per  essere  destinate  alle  esigenze  prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'  della  situazione
economica internazionale». 
    «Articolo 3. Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e
all'esercizio delle professioni e delle attivita' economiche. - [...]
4. L 'adeguamento di Comuni, Province e Regioni all'obbligo di cui al
comma 1 costituisce elemento di  valutazione  della  virtuosita'  dei
predetti enti ai sensi dell'art. 20, comma  3,  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». 
    «Articolo 4. Adeguamento della disciplina  dei  servizi  pubblici
locali al referendum popolare e alla normativa dell'unione europea. -
1. Gli enti locali, nel rispetto  dei  principi  di  concorrenza,  di
liberta'  di  stabilimento  e  di  libera  prestazione  dei  servizi,
verificano la realizzabilita'  di  una  gestione  concorrenziale  dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica, di  seguito  "servizi
pubblici  locali",  liberalizzando  tutte  le  attivita'   economiche
compatibilmente   con   le   caratteristiche   di   universalita'   e
accessibilita'  del  servizio  e   limitando,   negli   altri   casi,
l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui,  in  base
ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non
risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai  bisogni  della
comunita'. 
    2. All'esito della verifica l'ente adotta una delibera quadro che
illustra l'istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti
alla liberalizzazione, i fallimenti  del  sistema  concorrenziale  e,
viceversa, i benefici per la stabilizzazione, lo sviluppo e l'equita'
all'interno della comunita' locale derivanti dal mantenimento  di  un
regime di esclusiva del servizio. 
    3. Alla delibera di cui al  comma  precedente  e'  data  adeguata
pubblicita'; essa e' inviata all'Autorita' garante della  concorrenza
e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge
10 ottobre 1990, n. 287. 
    4. La verifica di cui al comma 1 e' effettuata entro dodici  mesi
dall'entrata in vigore del  presente  decreto  e  poi  periodicamente
secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali; essa e'  comunque
effettuata prima di procedere al  conferimento  e  al  rinnovo  della
gestione dei servizi. 
    5. Gli enti locali, per assicurare agli  utenti  l'erogazione  di
servizi pubblici che abbiano ad  oggetto  la  produzione  di  beni  e
attivita' rivolte  a  realizzare  fini  sociali  e  a  promuovere  lo
sviluppo economico  e  civile  delle  comunita'  locali,  definiscono
preliminarmente, ove necessario, gli obblighi di  servizio  pubblico,
prevedendo  le  eventuali  compensazioni  economiche   alle   aziende
esercenti i servizi stessi,  tenendo  conto  dei  proventi  derivanti
dalle tariffe e nei limiti della disponibilita' di bilancio destinata
allo scopo. 
    6.  All'attribuzione  di  diritti  di  esclusiva  ad   un'impresa
incaricata  della  gestione  di  servizi  pubblici  locali   consegue
l'applicazione di quanto disposto  dall'articolo  9  della  legge  10
ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 
    7.  I  soggetti  gestori  di  servizi  pubblici  locali,  qualora
intendano svolgere attivita' in mercati diversi da quelli in cui sono
titolari di diritti  di  esclusiva,  sono  soggetti  alla  disciplina
prevista dall'articolo 8, commi 2-bis  e  2-quater,  della  legge  10
ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 
    8. Nel caso in cui l'ente locale, a seguito della verifica di cui
al  comma  1,  intende  procedere  all'attribuzione  di  diritti   di
esclusiva, il conferimento della gestione di servizi pubblici  locali
avviene in favore di imprenditori o di societa'  in  qualunque  forma
costituite individuati mediante  procedure  competitive  ad  evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea e dei principi  generali  relativi  ai  contratti
pubblici  e,  in   particolare,   dei   principi   di   economicita',
imparzialita',     trasparenza,     adeguata     pubblicita',     non
discriminazione,  parita'  di  trattamento,  mutuo  riconoscimento  e
proporzionalita'. Le medesime procedure  sono  indette  nel  rispetto
degli  standard  qualitativi,  quantitativi,  ambientali,   di   equa
distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove
esistente, dalla competente autorita' di settore o,  in  mancanza  di
essa, dagli enti affidanti. 
    9.  Le  societa'  a   capitale   interamente   pubblico   possono
partecipare alle procedure competitive ad evidenza  pubblica,  sempre
che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge. 
    10.  Le  imprese  estere,  non  appartenenti   a   Stati   membri
dell'Unione  europea,   possono   essere   ammesse   alle   procedure
competitive  ad  evidenza  pubblica  per  l'affidamento  di   servizi
pubblici locali a condizione che documentino la possibilita'  per  le
imprese italiane di partecipare alle  gare  indette  negli  Stati  di
provenienza per l'affidamento di omologhi servizi. 
    11. Al fine di promuovere e proteggere  l'assetto  concorrenziale
dei mercati interessati, il bando di gara  o  la  lettera  di  invito
relative alle procedure di cui ai commi 8, 9, 10: 
        a) esclude che la disponibilita'  a  qualunque  titolo  delle
reti,  degli  impianti  e  delle  altre  dotazioni  patrimoniali  non
duplicabili  a  costi  socialmente  sostenibili  ed  essenziali   per
l'effettuazione del servizio possa costituire elemento  discriminante
per la valutazione delle offerte dei concorrenti; 
        b)  assicura  che  i  requisiti  tecnici  ed   economici   di
partecipazione alla gara siano proporzionati alle  caratteristiche  e
al valore del servizio e che la definizione dell'oggetto  della  gara
garantisca  la  piu'  ampia  partecipazione  e  il  conseguimento  di
eventuali economie di scala e di gamma; 
        c) indica, ferme restando le discipline di settore, la durata
dell'affidamento commisurata alla consistenza degli  investimenti  in
immobilizzazioni materiali previsti nei capitolati di gara  a  carico
del soggetto gestore. In ogni caso  la  durata  dell'affidamento  non
puo'  essere  superiore  al  periodo  di  ammortamento  dei  suddetti
investimenti; 
        d) puo' prevedere l'esclusione di forme di aggregazione o  di
collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i  requisiti
tecnici  ed  economici  di  partecipazione  alla  gara,  qualora,  in
relazione alla prestazione oggetto del servizio, l'aggregazione o  la
collaborazione  sia  idonea  a  produrre  effetti  restrittivi  della
concorrenza sulla base di un'oggettiva e motivata analisi  che  tenga
conto di struttura, dimensione e numero degli operatori  del  mercato
di riferimento; 
        e) prevede che la valutazione delle offerte sia effettuata da
una commissione nominata dall'ente affidante e composta  da  soggetti
esperti nella specifica materia; 
        f) indica i criteri e le modalita' per  l'individuazione  dei
beni di cui al comma  29,  e  per  la  determinazione  dell'eventuale
importo spettante al  gestore  al  momento  della  scadenza  o  della
cessazione anticipata della gestione ai sensi del comma 30; 
        g) prevede  l'adozione  di  carte  dei  servizi  al  fine  di
garantire trasparenza informativa e qualita' del servizio. 
    12. Fermo restando quanto previsto ai commi 8, 9, 10  e  11,  nel
caso di procedure aventi ad oggetto, al tempo stesso, la qualita'  di
socio,  al  quale  deve  essere  conferita  una  partecipazione   non
inferiore al 40 per cento,  e  l'attribuzione  di  specifici  compiti
operativi connessi alla gestione del servizio, il bando di gara o  la
lettera di invito assicura che: 
        a) i criteri di valutazione delle offerte basati su  qualita'
e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su  quelli  riferiti
al prezzo delle quote societarie; 
        b) il socio privato selezionato svolga gli specifici  compiti
operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del
servizio stesso e che, ove cio' non si  verifica,  si  proceda  a  un
nuovo affidamento; 
        c) siano previsti criteri e  modalita'  di  liquidazione  del
socio privato alla cessazione della gestione. 
    13. In deroga a quanto previsto dai commi 8, 9, 10, 11 e 12 se il
valore economico del servizio  oggetto  dell'affidamento  e'  pari  o
inferiore alla somma complessiva di 900.000 euro annui, l'affidamento
puo' avvenire a favore di societa' a  capitale  interamente  pubblico
che abbia i  requisiti  richiesti  dall'ordinamento  europeo  per  la
gestione cosiddetta "in house". 
    14. Le societa' cosiddette "in house" affidatarie  dirette  della
gestione di servizi pubblici locali sono  assoggettate  al  patto  di
stabilita' interno secondo le modalita' definite, con il concerto del
Ministro per le riforme per il federalismo,  in  sede  di  attuazione
dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25  giugno  2008,  n.
112, convertito con  legge  6  agosto  2008,  n.  133,  e  successive
modificazioni. Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei
soggetti indicati al periodo precedente al cui capitale  partecipano,
dei vincoli derivanti dal patto di stabilita' interno. 
    15.  Le  societa'  cosiddette  "in  house"  e   le   societa'   a
partecipazione mista  pubblica  e  privata,  affidatarie  di  servizi
pubblici locali, applicano, per l'acquisto  di  beni  e  servizi,  le
disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,  e
successive modificazioni. 
    16. L'articolo 32, comma 3, del  decreto  legislativo  12  aprile
2006, n. 163, e successive modificazioni, limitatamente alla gestione
del servizio per il quale le societa' di cui al comma 1, lettera  c),
del  medesimo  articolo  sono  state  specificamente  costituite,  si
applica se la scelta del socio privato e' avvenuta mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica le  quali  abbiano  ad  oggetto,  al
tempo stesso, la qualita' di  socio  e  l'attribuzione  di  specifici
compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Restano  ferme
le altre condizioni stabilite dall'articolo 32, comma 3, numeri 2)  e
3), del decreto legislativo 12 aprile  2006,  n.  163,  e  successive
modificazioni. 
    17. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis,
primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  e
successive modificazioni, le societa' a partecipazione  pubblica  che
gestiscono   servizi   pubblici   locali   adottano,    con    propri
provvedimenti, criteri e modalita' per il reclutamento del  personale
e per il conferimento degli incarichi nel rispetto  dei  principi  di
cui al comma 3 dell'articolo 35  del  decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165. Fino all'adozione dei predetti provvedimenti, e'  fatto
divieto di procedere al reclutamento di personale ovvero di conferire
incarichi. Il presente comma non si applica alle societa' quotate  in
mercati regolamentati. 
    18. In caso di affidamento della gestione  dei  servizi  pubblici
locali a societa' cosiddette "in house" e in tutti i casi in  cui  il
capitale sociale del soggetto gestore e' partecipato dall'ente locale
affidante, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonche'
ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono sottoposti,
secondo modalita'  definite  dallo  statuto  dell'ente  locale,  alla
vigilanza dell'organo  di  revisione  di  cui  agli  articoli  234  e
seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive
modificazioni.  Restano  ferme  le   disposizioni   contenute   nelle
discipline di settore vigenti alla data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto. 
    19. Gli amministratori, i dirigenti e i responsabili degli uffici
o dei servizi dell'ente locale, nonche'  degli  altri  organismi  che
espletano  funzioni  di  stazione  appaltante,  di  regolazione,   di
indirizzo e di controllo di  servizi  pubblici  locali,  non  possono
svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da parte
dei medesimi soggetti. Il divieto si applica anche nel caso in cui le
dette  funzioni  sono  state  svolte  nei  tre  anni  precedenti   il
conferimento dell'incarico inerente la gestione dei servizi  pubblici
locali. Alle societa' quotate nei mercati regolamentati si applica la
disciplina definita dagli organismi di controllo competenti. 
    20. Il divieto di cui al comma 19 opera anche nei  confronti  del
coniuge, dei parenti  e  degli  affini  entro  il  quarto  grado  dei
soggetti indicati allo stesso comma, nonche' nei confronti di  coloro
che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente,  a  qualsiasi
titolo attivita' di consulenza o collaborazione in favore degli  enti
locali o dei soggetti che hanno affidato  la  gestione  del  servizio
pubblico locale. 
    21.  Non  possono  essere  nominati  amministratori  di  societa'
partecipate da enti locali coloro che nei tre  anni  precedenti  alla
nomina  hanno  ricoperto  la  carica  di   amministratore,   di   cui
all'articolo 77 del decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.  267,  e
successive modificazioni, negli enti locali che  detengono  quote  di
partecipazione al capitale della stessa societa'. 
    22. I componenti della  commissione  di  gara  per  l'affidamento
della gestione di servizi pubblici locali non devono aver svolto  ne'
svolgere alcun'altra funzione o  incarico  tecnico  o  amministrativo
relativamente alla gestione del servizio di cui si tratta. 
    23. Coloro che hanno rivestito, nel biennio precedente, la carica
di amministratore locale, di cui al  comma  21,  non  possono  essere
nominati componenti della commissione di gara relativamente a servizi
pubblici locali da affidare da parte del medesimo ente locale. 
    24. Sono esclusi da successivi incarichi  di  commissario  coloro
che, in qualita'  di  componenti  di  commissioni  di  gara,  abbiano
concorso, con dolo o colpa grave accertati  in  sede  giurisdizionale
con  sentenza  non  sospesa,  all'approvazione  di  atti   dichiarati
illegittimi. 
    25. Si applicano ai componenti delle commissioni di gara le cause
di astensione previste  dall'articolo  51  del  codice  di  procedura
civile. 
    26.  Nell'ipotesi  in  cui  alla  gara  concorre   una   societa'
partecipata dall'ente  locale  che  la  indice,  i  componenti  della
commissione  di  gara  non  possono   essere   ne'   dipendenti   ne'
amministratori dell'ente locale stesso. 
    27. Le incompatibilita' e i divieti di cui ai commi dal 19 al  26
si  applicano   alle   nomine   e   agli   incarichi   da   conferire
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 
    28. Ferma restando la proprieta' pubblica  delle  reti,  la  loro
gestione puo' essere affidata a soggetti privati. 
    29. Alla scadenza della gestione del servizio pubblico  locale  o
in caso di sua cessazione anticipata, il precedente gestore  cede  al
gestore  subentrante  i  beni  strumentali  e  le   loro   pertinenze
necessari, in quanto non duplicabili a costi socialmente sostenibili,
per la prosecuzione del servizio,  come  individuati,  ai  sensi  del
comma 11, lettera f), dall'ente affidante, a titolo gratuito e liberi
da pesi e gravami. 
    30. Se, al momento della cessazione della gestione, i beni di cui
al comma 1  non  sono  stati  interamente  ammortizzati,  il  gestore
subentrante corrisponde al precedente  gestore  un  importo  pari  al
valore contabile originario non  ancora  ammortizzato,  al  netto  di
eventuali contributi pubblici direttamente riferibili ai beni stessi.
Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di  settore,
anche regionali, vigenti alla data di entrata in vigore del  presente
decreto, nonche' restano salvi eventuali diversi accordi tra le parti
stipulati prima dell'entrata in vigore del presente decreto. 
    31. L'importo di cui al comma 30 e' indicato nel  bando  o  nella
lettera di invito  relativi  alla  gara  indetta  per  il  successivo
affidamento del servizio pubblico locale a seguito della  scadenza  o
della cessazione anticipata della gestione. 
    32. Fermo restando quanto previsto dall'articolo  14,  comma  32,
del  decreto-legge  31  maggio   2010,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122,  come  modificato
dall'articolo 1, comma 117, della legge 13 dicembre 2010, n.  220,  e
successive modificazioni, il regime transitorio degli affidamenti non
conformi a quanto stabilito dal presente decreto e' il seguente: 
        a) gli affidamenti diretti relativi a servizi il  cui  valore
economico sia superiore alla somma di cui al comma  13,  nonche'  gli
affidamenti diretti che non rientrano nei casi di cui alle successive
lettere da b) a d) cessano, improrogabilmente e senza  necessita'  di
apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data  del  31  marzo
2012; 
        b)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le  quali  non
abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la  qualita'  di  socio  e
l'attribuzione dei  compiti  operativi  connessi  alla  gestione  del
servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita'  di  apposita
deliberazione dell'ente affidante, alla data del 30 giugno 2012; 
        c)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di  cui  al  comma  8,  le  quali
abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la  qualita'  di  socio  e
l'attribuzione dei  compiti  operativi  connessi  alla  gestione  del
servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; 
        d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre
2003 a societa' a partecipazione pubblica gia'  quotate  in  borsa  a
tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo  2359
del codice civile, cessano alla scadenza prevista  nel  contratto  di
servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente, attraverso procedure ad  evidenza  pubblica  ovvero
forme  di  collocamento  privato  presso  investitori  qualificati  e
operatori industriali, ad una quota non superiore  al  40  per  cento
entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro  il  31
dicembre 2015;  ove  siffatte  condizioni  non  si  verifichino,  gli
affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita
deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del  30
giugno 2013 o del 31 dicembre 2015. 
    33. Le societa', le loro controllate, controllanti e  controllate
da una medesima controllante, anche non appartenenti a  Stati  membri
dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto
o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o  per  contratto
servizi pubblici locali in virtu'  di  affidamento  diretto,  di  una
procedura non ad evidenza pubblica ovvero  ai  sensi  del  comma  12,
nonche' i soggetti cui e' affidata  la  gestione  delle  reti,  degli
impianti e delle altre  dotazioni  patrimoniali  degli  enti  locali,
qualora  separata  dall'attivita'  di  erogazione  dei  servizi,  non
possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero  in  ambiti
territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attivita' per altri enti
pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite loro controllanti o
altre societa' che siano  da  essi  controllate  o  partecipate,  ne'
partecipando a gare. Il divieto di cui al  primo  periodo  opera  per
tutta la durata della gestione e non si applica alle societa' quotate
in mercati regolamentati e alle societa'  da  queste  direttamente  o
indirettamente controllate ai sensi  dell'articolo  2359  del  codice
civile, nonche' al  socio  selezionato  ai  sensi  del  comma  12.  I
soggetti  affidatari  diretti  di  servizi  pubblici  locali  possono
comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima  gara
successiva alla cessazione del servizio,  svolta  mediante  procedura
competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi
forniti. 
    34. Sono  esclusi  dall'applicazione  del  presente  articolo  il
servizio idrico integrato, ad eccezione di quanto previsto dai  commi
19 a 27, il servizio di distribuzione di  gas  naturale,  di  cui  al
decreto  legislativo  23  maggio  2000,  n.  164,  il   servizio   di
distribuzione di energia elettrica, di cui al decreto legislativo  16
marzo 1999, n. 79 e alla legge 23 agosto 2004, n. 239, il servizio di
trasporto ferroviario regionale, di cui  al  decreto  legislativo  19
novembre 1997, n. 422, nonche' la gestione delle  farmacie  comunali,
di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475. 
    35. Restano  salve  le  procedure  di  affidamento  gia'  avviate
all'entrata in vigore del presente decreto»; 
    l'articolo 5-bis non era  presente  nell'originaria  formulazione
del decreto ed e' stato introdotto in sede di conversione. 
    «Articolo 11. Livelli di tutela essenziali per l'attivazione  dei
tirocini. - 1. I tirocini formativi e di orientamento possono  essere
promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti
preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione  di
idonee garanzie all'espletamento  delle  iniziative  medesime.  Fatta
eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali,
i soggetti in  trattamento  psichiatrico,  i  tossicodipendenti,  gli
alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di  detenzione,
i tirocini formativi e di orientamento non  curriculari  non  possono
avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese,  e  possono
essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati  o  neo-laureati
entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei  relativo  titolo
di studio. 
    2. In assenza di specifiche  regolamentazione  regionali  trovano
applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni  di  cui  al
comma che precede, l'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e
il relativo regolamento di attuazione». 
    «Articolo 14. Riduzione del numero dei  consiglieri  e  assessori
regionali e  relative  indennita'.  Misure  premiali.  -  1.  Per  il
conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento
della finanza pubblica, le Regioni, ai fini della collocazione  nella
classe di enti territoriali piu' virtuosa  di  cui  all'articolo  20,
comma 3, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al  rispetto
dei  parametri  gia'  previsti  dal  predetto  articolo  20,  debbono
adeguare,  nell'ambito   della   propria   autonomia   statutaria   e
legislativa,  i  rispettivi   ordinamenti   ai   seguenti   ulteriori
parametri: 
        a)  previsione  che  il  numero   massimo   dei   consiglieri
regionali, ad esclusione del Presidente della Giunta  regionale,  sia
uguale o inferiore a 20 per le Regioni con  popolazione  fino  ad  un
milione di abitanti; a 30 per le Regioni con popolazione fino  a  due
milioni di abitanti; a 40 per  le  Regioni  con  popolazione  fino  a
quattro milioni di abitanti; a 50 per le Regioni con popolazione fino
a sei milioni di abitanti; a 70 per le Regioni con  popolazione  fino
ad otto milioni di abitanti; a 80  per  le  Regioni  con  popolazione
superiore ad otto milioni di abitanti. La riduzione  del  numero  dei
consiglieri regionali  rispetto  a  quello  attualmente  previsto  e'
adottata da ciascuna Regione entro sei mesi dalla data di entrata  in
vigore del presente  decreto  e  deve  essere  efficace  dalla  prima
legislatura regionale successiva a quella della data  di  entrata  in
vigore del presente decreto. Le Regioni che, alla data di entrata  in
vigore  del  presente  decreto,  abbiano  un  numero  di  consiglieri
regionali inferiore a quello previsto  nella  presente  lettera,  non
possono aumentarne il numero; 
        b) previsione che il numero massimo degli assessori regionali
sia pari o inferiore ad un  quinto  del  numero  dei  componenti  del
Consiglio regionale,  con  arrotondamento  all'unita'  superiore.  La
riduzione deve essere operata entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto  e  deve  essere  efficace,  in  ciascuna
regione, dalla prima legislatura regionale  successiva  a  quella  in
corso alla data di entrata in vigore del presente decreto; 
        c) riduzione a decorrere dal 1° gennaio 2012,  in  attuazione
di quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010,
n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26  marzo  2010,  n.
42, degli emolumenti e delle utilita', comunque denominati,  previsti
in favore dei consiglieri regionali entro il  limite  dell'indennita'
massima spettante ai membri del Parlamento, cosi' come  rideterminata
ai sensi dell'articolo 1 del presente decreto; 
        d) previsione che il trattamento  economico  dei  consiglieri
regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori  del
Consiglio regionale; 
        e) istituzione, a  decorrere  dal  1°  gennaio  2012,  di  un
Collegio dei revisori dei conti,  quale  organo  di  vigilanza  sulla
regolarita'  contabile,  finanziaria  ed  economica  della   gestione
dell'ente; i componenti tale Collegio sono scelti mediante estrazione
da un elenco nel  quale  possono  essere  inseriti,  a  richiesta,  i
soggetti iscritti, a livello regionale,  nel  Registro  dei  revisori
legali di cui al decreto legislativo  27  gennaio  2010,  n.  39,  in
possesso di specifica  qualificazione  professionale  in  materia  di
contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria  degli  enti
territoriali; 
        f) passaggio, entro sei mesi dalla data di entrata in  vigore
del  presente  decreto  e  con  efficacia  a  decorrere  dalla  prima
legislatura regionale successiva a  quella  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore del  presente  decreto,  al  sistema  previdenziale
contributivo per i consiglieri regionali. 
    2. L'adeguamento ai parametri di cui al comma 1  da  parte  delle
Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento  e  di
Bolzano costituisce condizione per  l'applicazione  dell'articolo  27
della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti di quelle  Regioni  a
statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato, ai  sensi
del citato articolo 27, assicura  il  conseguimento  degli  obiettivi
costituzionali di perequazione e  di  solidarieta',  ed  elemento  di
riferimento per l'applicazione di  misure  premiali  o  sanzionatorie
previste dalla normativa vigente». 
    «Articolo 16. Riduzione dei costi  relativi  alla  rappresentanza
politica nei comuni. - 1. Al  fine  di  assicurare  il  conseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica, l'ottimale  coordinamento  della
finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali
e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative, a  decorrere
dal primo rinnovo successivo alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto, nei Comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000
abitanti, il Sindaco e' il solo organo di governo e sono soppressi la
Giunta ed il Consiglio comunale.  Tutte  le  funzioni  amministrative
sono esercitate obbligatoriamente in forma associata con altri Comuni
contermini con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti mediante
la costituzione, nell'ambito del territorio di una  provincia,  salvo
quanto previsto dall'articolo 15 del  presente  decreto,  dell'unione
municipale. 
    2. Nei Comuni di cui al comma 1, il Sindaco e' eletto a suffragio
universale e diretto. Ciascun elettore ha diritto di  votare  per  un
candidato alla carica di Sindaco, segnando il relativo contrassegno o
il nominativo sulla scheda elettorale. E' proclamato  eletto  Sindaco
il candidato alla carica che ottiene il maggior numero  di  voti.  In
caso di parita' di voti, si applica l'articolo  71  del  Testo  unico
degli enti locali di cui al decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.
267. Restano ferme le norme vigenti in  materia  di  ineleggibilita',
incandidabilita' e incompatibilita'  e  per  la  presentazione  della
candidatura previste per i Sindaci dei comuni con popolazione fino  a
1.000 abitanti. 
    3. L'unione municipale e' costituita dai  comuni  contermini  con
popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti al fine  dell'esercizio
in forma associata di tutte le funzioni amministrative e dei  servizi
pubblici di spettanza comunale. La complessiva popolazione  residente
nel  territorio  dell'unione  municipale  e'  pari  almeno  a   5.000
abitanti, salvo diverso limite demografico individuato  con  delibera
della Giunta regionale. 
    4. Nel caso in cui non  vi  siano  altri  Comuni  contermini  con
popolazione inferiore a 1000 abitanti, a tali Comuni si applicano, ai
fini della composizione degli organi di governo,  le  norme  previste
per i Comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti di cui al comma 9,
lettera a). I comuni di cui al primo  periodo  costituiscono,  con  i
comuni contermini, unioni di comuni, ai sensi  dell'articolo  32  del
citato Testo unico al fine di ridurre le spese complessive. 
    5. Gli organi dell'unione municipale sono l'assemblea municipale,
il  presidente  dell'unione  municipale  e  la   giunta   municipale.
L'assemblea  municipale  e'  costituita  dai   sindaci   dei   comuni
costituenti  l'unione  municipale   ed   esercita,   sul   territorio
dell'unione municipale, le competenze  attribuite  dal  citato  Testo
unico ai Consigli comunali. L'assemblea municipale  elegge,  nel  suo
seno, il Presidente dell'unione municipale, al  quale  spettano,  sul
territorio  dell'unione  municipale,  le   competenze   del   Sindaco
stabilite dall'articolo  50  del  citato  Testo  unico.  Spettano  ai
Sindaci  dei  comuni  facenti   parte   dell'unione   municipale   le
attribuzioni di cui  all'articolo  54  del  citato  Testo  unico.  Il
Presidente  dell'unione   municipale   nomina,   fra   i   componenti
l'assemblea municipale, la giunta municipale, composta da  un  numero
di assessori non  superiore  a  quello  previsto  per  i  comuni  con
popolazione uguale a quella complessiva  dell'unione  municipale.  La
Giunta esercita, sul territorio dell'unione municipale, le competenze
di cui all'articolo 48 del citato Testo unico. 
    6. Lo statuto dell'unione municipale individua  le  modalita'  di
funzionamento degli organi di cui  al  comma  5  e  ne  disciplina  i
rapporti. 
    7. Con regolamento da adottare entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, ai  sensi  dell'articolo  17,
comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro
dell'interno, di concerto con il  Ministro  per  le  riforme  per  il
federalismo, e' disciplinato il procedimento  di  prima  costituzione
dell'unione municipale, prevedendo in ogni caso che, nel caso in  cui
siano decorsi sei mesi dalla data di rinnovo dei  comuni  di  cui  al
comma 1 e la costituzione dell'unione municipale non sia avvenuta, il
Prefetto  stabilisca  per  i  Comuni  interessati  un   termine   per
adempiere. Decorso inutilmente detto termine, il Prefetto  nomina  un
commissario  ad  acta  al  fine  di  provvedere   alla   convocazione
dell'Assemblea municipale per gli adempimenti previsti. 
    8. Si  applicano,  in  quanto  compatibili,  le  disposizioni  in
materia di ordinamento e funzionamento dei Comuni. 
    9. A decorrere dal primo rinnovo di  ciascun  consiglio  comunale
successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto: 
        a) per i comuni con popolazione superiore a  1000  e  fino  a
3000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre  al  Sindaco,
da cinque  consiglieri  ed  il  numero  massimo  degli  assessori  e'
stabilito in due; 
        b) per i comuni con popolazione superiore a  3000  e  fino  a
5000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre  al  Sindaco,
da  sette  consiglieri  ed  il  numero  massimo  degli  assessori  e'
stabilito in tre; 
        c) per i comuni con popolazione superiore a 5.000  e  fino  a
10.000 abitanti, il consiglio comunale e' composto, oltre al Sindaco,
da nove consiglieri ed il numero massimo degli assessori e' stabilito
in quattro. 
    10. All'articolo 14,  comma  31,  alinea,  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30
luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni,  le  parole:  "5.000
abitanti o  nel  quadruplo  del  numero  degli  abitanti  del  comune
demograficamente piu' piccolo tra quelli associati", sono  sostituite
dalle seguenti: "10.000 abitanti, salvo  diverso  limite  demografico
individuato con delibera della Giunta regionale,"; le lettere b) e c)
del medesimo comma 31 sono sostituite dalla seguente: "b) entro il 31
dicembre 2012 con riguardo a tutte le sei funzioni fondamentali  loro
spettanti ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della citata  legge  n.
42 del 2009". 
    11. A decorrere dal  primo  rinnovo  del  collegio  dei  revisori
successivo alla data di entrata in vigore  del  presente  decreto,  i
revisori dei conti dei Comuni sono scelti mediante estrazione  da  un
elenco nel quale possono essere inseriti,  a  richiesta,  i  soggetti
iscritti, a livello provinciale, nel Registro dei revisori legali  di
cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n.  39,  in  possesso  di
specifica qualificazione professionale  in  materia  di  contabilita'
pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti  territoriali.
Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore del presente  decreto,  sono  stabilite  le
modalita' di attuazione del presente comma. 
    12. Le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di  governo
degli enti locali  sono  elencate,  per  ciascun  anno,  in  apposito
prospetto allegato al rendiconto di cui all'articolo  227  del  Testo
unico degli enti locali di cui  al  18  agosto  2000,  n.  267.  Tale
prospetto e' trasmesso alla  sezione  regionale  di  controllo  della
Corte   dei   conti   ed   e'   pubblicato,   entro   dieci    giorni
dall'approvazione del rendiconto, sul sito internet dell'ente locale. 
    Con atto di natura non regolamentare, adottato  d'intesa  con  la
Conferenza Stato - citta' ed autonomie locali ai sensi  dell'articolo
3 del decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  il  Ministro
dell'interno, di concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, entro novanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore  del
presente decreto, adotta uno schema tipo  del  prospetto  di  cui  al
primo periodo. 
    13. All'articolo 14, comma 32, alinea del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, le parole "31  dicembre  2013"  sono  sostituite  dalle
seguenti: "31 dicembre 2012"; alla lettera a), del medesimo comma 32,
le parole "31 dicembre 2013"  sono  sostituite  dalle  seguenti:  "31
dicembre 2012". 
    14. Al fine di verificare il  perseguimento  degli  obiettivi  di
semplificazione e di  riduzione  delle  spese  da  parte  degli  enti
locali, il Prefetto accerta che  gli  enti  territoriali  interessati
abbiano  attuato,  entro  i  termini   stabiliti,   quanto   previsto
dall'articolo 2, comma 186, lettera e) della legge 23 dicembre  2009,
n. 191, e successive modificazioni, e dell'articolo 14, comma 32, del
citato decreto-legge n. 78 del  2010.  Nel  caso  in  cui,  all'esito
dell'accertamento, il Prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto
previsto dalle disposizioni di cui al  primo  periodo,  assegna  agli
enti inadempienti un termine perentorio entro  il  quale  provvedere.
Decorso inutilmente detto termine, il Prefetto nomina un  commissario
ad acta per l'adozione dei provvedimenti necessari». 
    1.2. - Il decreto-legge n. 138 del 2011 e' stato convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  n.  148  del  2011.  Il   testo   delle
disposizioni impugnate e' ora, a seguito della conversione in  legge,
il seguente. 
    «Articolo 1. Disposizioni per la riduzione della spesa  pubblica.
[...] - 9. All'articolo 20, del citato decreto-legge n. 98  del  2011
convertito con legge n. 111 del  2011,  sono  apportate  le  seguenti
modificazioni: [...] b) al comma 3, le parole: "a decorrere dall'anno
2013", sono sostituite dalle seguenti: "a decorrere dall'anno  2012";
nel medesimo comma, il secondo periodo  e'  soppresso;  nel  medesimo
comma, al terzo periodo sostituire le parole "di  cui  ai  primi  due
periodi" con le seguenti: "di cui al primo periodo"». 
    «Articolo 2. Disposizioni in materia di entrate. [...] -  36.  Le
maggiori  entrate  derivanti  dal  presente  decreto  sono  riservate
all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate  alle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica  concordati  in  sede  europea,  anche   alla   luce   della
eccezionalita'  della  situazione   economica   internazionale.   Con
apposito decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della
legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono  stabilite   le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata
contabilizzazione. A partire dall'anno 2014, il Documento di economia
e finanza conterra' una valutazione delle maggiori entrate derivanti,
in termini  permanenti,  dall'attivita'  di  contrasto  all'evasione.
Dette maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento
del pareggio di bilancio ed alla riduzione del  debito,  confluiranno
in un Fondo per la riduzione strutturale della  pressione  fiscale  e
saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi
gravanti sulle famiglie e sulle imprese». 
    «Articolo 3. Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e
all'esercizio delle professioni e delle attivita' economiche. [...] -
4. L'adeguamento di Comuni, Province e Regioni all'obbligo di cui  al
comma 1 costituisce elemento di  valutazione  della  virtuosita'  dei
predetti enti ai sensi dell'art. 20, comma  3,  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». 
    «Art. 4. Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali
al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea. - 1. Gli
enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di liberta' di
stabilimento e di  libera  prestazione  dei  servizi,  verificano  la
realizzabilita' di una gestione concorrenziale dei  servizi  pubblici
locali di rilevanza economica, di seguito "servizi pubblici  locali",
liberalizzando tutte le attivita' economiche compatibilmente  con  le
caratteristiche di universalita'  e  accessibilita'  del  servizio  e
limitando, negli altri casi, l'attribuzione di diritti  di  esclusiva
alle ipotesi in cui, in base ad una analisi  di  mercato,  la  libera
iniziativa economica  privata  non  risulti  idonea  a  garantire  un
servizio rispondente ai bisogni della comunita'. 
    2. All'esito della verifica di cui al comma 1 l'ente  adotta  una
delibera quadro che illustra l'istruttoria compiuta ed evidenzia, per
i settori sottratti alla liberalizzazione, le ragioni della decisione
e i benefici per la comunita' locale derivanti dal mantenimento di un
regime di esclusiva del servizio. 
    3. Alla delibera di cui al  comma  precedente  e'  data  adeguata
pubblicita'; essa e' inviata all'Autorita' garante della  concorrenza
e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge
10 ottobre 1990, n. 287. 
    4. La verifica di cui al comma 1 e' effettuata entro dodici  mesi
dall'entrata in vigore del  presente  decreto  e  poi  periodicamente
secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali; essa e'  comunque
effettuata prima di procedere al  conferimento  e  al  rinnovo  della
gestione dei servizi. 
    5. Gli enti locali, per assicurare agli  utenti  l'erogazione  di
servizi pubblici che abbiano ad  oggetto  la  produzione  di  beni  e
attivita' rivolte  a  realizzare  fini  sociali  e  a  promuovere  lo
sviluppo economico  e  civile  delle  comunita'  locali,  definiscono
preliminarmente, ove necessario, gli obblighi di  servizio  pubblico,
prevedendo  le  eventuali  compensazioni  economiche   alle   aziende
esercenti i servizi stessi,  tenendo  conto  dei  proventi  derivanti
dalle tariffe e nei limiti della disponibilita' di bilancio destinata
allo scopo. 
    6.  All'attribuzione  di  diritti  di  esclusiva  ad   un'impresa
incaricata  della  gestione  di  servizi  pubblici  locali   consegue
l'applicazione di quanto disposto  dall'articolo  9  della  legge  10
ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 
    7.  I  soggetti  gestori  di  servizi  pubblici  locali,  qualora
intendano svolgere attivita' in mercati diversi da quelli in cui sono
titolari di diritti  di  esclusiva,  sono  soggetti  alla  disciplina
prevista dall'articolo 8, commi 2-bis  e  2-quater,  della  legge  10
ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni. 
    8. Nel caso in cui l'ente locale, a seguito della verifica di cui
al  comma  1,  intende  procedere  all'attribuzione  di  diritti   di
esclusiva, il conferimento della gestione di servizi pubblici  locali
avviene in favore di imprenditori o di societa'  in  qualunque  forma
costituite individuati mediante  procedure  competitive  ad  evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea e dei principi  generali  relativi  ai  contratti
pubblici  e,  in   particolare,   dei   principi   di   economicita',
imparzialita',     trasparenza,     adeguata     pubblicita',     non
discriminazione,  parita'  di  trattamento,  mutuo  riconoscimento  e
proporzionalita'. Le medesime procedure  sono  indette  nel  rispetto
degli  standard  qualitativi,  quantitativi,  ambientali,   di   equa
distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove
esistente, dalla competente autorita' di settore o,  in  mancanza  di
essa, dagli enti affidanti. 
    9.  Le  societa'  a   capitale   interamente   pubblico   possono
partecipare alle procedure competitive ad evidenza  pubblica,  sempre
che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge. 
    10.  Le  imprese  estere,  non  appartenenti   a   Stati   membri
dell'Unione  europea,   possono   essere   ammesse   alle   procedure
competitive  ad  evidenza  pubblica  per  l'affidamento  di   servizi
pubblici locali a condizione che documentino la possibilita'  per  le
imprese italiane di partecipare alle  gare  indette  negli  Stati  di
provenienza per l'affidamento di omologhi servizi. 
    11. Al fine di promuovere e proteggere  l'assetto  concorrenziale
dei mercati interessati, il bando di gara  o  la  lettera  di  invito
relative alle procedure di cui ai commi 8, 9, 10: 
        a) esclude che la disponibilita'  a  qualunque  titolo  delle
reti,  degli  impianti  e  delle  altre  dotazioni  patrimoniali  non
duplicabili  a  costi  socialmente  sostenibili  ed  essenziali   per
l'effettuazione del servizio possa costituire elemento  discriminante
per la valutazione delle offerte dei concorrenti; 
        b)  assicura  che  i  requisiti  tecnici  ed   economici   di
partecipazione alla gara siano proporzionati alle  caratteristiche  e
al valore del servizio e che la definizione dell'oggetto  della  gara
garantisca  la  piu'  ampia  partecipazione  e  il  conseguimento  di
eventuali economie di scala e di gamma; 
        c) indica, ferme restando le discipline di settore, la durata
dell'affidamento commisurata alla consistenza degli  investimenti  in
immobilizzazioni materiali previsti nei capitolati di gara  a  carico
del soggetto gestore. In ogni caso  la  durata  dell'affidamento  non
puo'  essere  superiore  al  periodo  di  ammortamento  dei  suddetti
investimenti; 
        d) puo' prevedere l'esclusione di forme di aggregazione o  di
collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i  requisiti
tecnici  ed  economici  di  partecipazione  alla  gara,  qualora,  in
relazione alla prestazione oggetto del servizio, l'aggregazione o  la
collaborazione  sia  idonea  a  produrre  effetti  restrittivi  della
concorrenza sulla base di un'oggettiva e motivata analisi  che  tenga
conto di struttura, dimensione e numero degli operatori  del  mercato
di riferimento; 
        e) prevede che la valutazione delle offerte sia effettuata da
una commissione nominata dall'ente affidante e composta  da  soggetti
esperti nella specifica materia; 
        f) indica i criteri e le modalita' per  l'individuazione  dei
beni di cui al comma  29,  e  per  la  determinazione  dell'eventuale
importo spettante al  gestore  al  momento  della  scadenza  o  della
cessazione anticipata della gestione ai sensi del comma 30; 
        g) prevede  l'adozione  di  carte  dei  servizi  al  fine  di
garantire trasparenza informativa e qualita' del servizio. 
    12. Fermo restando quanto previsto ai commi 8, 9, 10  e  11,  nel
caso di procedure aventi ad oggetto, al tempo stesso, la qualita'  di
socio,  al  quale  deve  essere  conferita  una  partecipazione   non
inferiore al 40 per cento,  e  l'attribuzione  di  specifici  compiti
operativi connessi alla gestione del servizio, il bando di gara o  la
lettera di invito assicura che: 
        a) i criteri di valutazione delle offerte basati su  qualita'
e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su  quelli  riferiti
al prezzo delle quote societarie; 
        b) il socio privato selezionato svolga gli specifici  compiti
operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del
servizio stesso e che, ove cio' non si  verifica,  si  proceda  a  un
nuovo affidamento; 
        c) siano previsti criteri e  modalita'  di  liquidazione  del
socio privato alla cessazione della gestione. 
    13. In deroga a quanto previsto dai commi 8, 9, 10, 11 e 12 se il
valore economico del servizio  oggetto  dell'affidamento  e'  pari  o
inferiore alla somma complessiva di 900.000 euro annui, l'affidamento
puo' avvenire a favore di societa' a  capitale  interamente  pubblico
che abbia i  requisiti  richiesti  dall'ordinamento  europeo  per  la
gestione cosiddetta "in house". 
    14. Le societa' cosiddette "in house" affidatarie  dirette  della
gestione di servizi pubblici locali sono  assoggettate  al  patto  di
stabilita' interno secondo le modalita' definite, con il concerto del
Ministro per le riforme per il federalismo,  in  sede  di  attuazione
dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25  giugno  2008,  n.
112, convertito con  legge  6  agosto  2008,  n.  133,  e  successive
modificazioni. Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei
soggetti indicati al periodo precedente al cui capitale  partecipano,
dei vincoli derivanti dal patto di stabilita' interno. 
    15.  Le  societa'  cosiddette  «in  house»  e   le   societa'   a
partecipazione mista  pubblica  e  privata,  affidatarie  di  servizi
pubblici locali, applicano, per l'acquisto  di  beni  e  servizi,  le
disposizioni di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,  e
successive modificazioni. 
    16. L'articolo 32, comma 3, del  decreto  legislativo  12  aprile
2006, n. 163, e successive modificazioni, limitatamente alla gestione
del servizio per il quale le societa' di cui al comma 1, lettera  c),
del  medesimo  articolo  sono  state  specificamente  costituite,  si
applica se la scelta del socio privato e' avvenuta mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica le  quali  abbiano  ad  oggetto,  al
tempo stesso, la qualita' di  socio  e  l'attribuzione  di  specifici
compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Restano  ferme
le altre condizioni stabilite dall'articolo 32, comma 3, numeri 2)  e
3), del decreto legislativo 12 aprile  2006,  n.  163,  e  successive
modificazioni. 
    17. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis,
primo e secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  e
successive modificazioni, le societa' a partecipazione  pubblica  che
gestiscono   servizi   pubblici   locali   adottano,    con    propri
provvedimenti, criteri e modalita' per il reclutamento del  personale
e per il conferimento degli incarichi nel rispetto  dei  principi  di
cui al comma 3 dell'articolo 35  del  decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165. Fino all'adozione dei predetti provvedimenti, e'  fatto
divieto di procedere al reclutamento di personale ovvero di conferire
incarichi. Il presente comma non si applica alle societa' quotate  in
mercati regolamentati. 
    18. In caso di affidamento della gestione  dei  servizi  pubblici
locali a societa' cosiddette "in house" e in tutti i casi in  cui  il
capitale sociale del soggetto gestore e' partecipato dall'ente locale
affidante, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonche'
ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono sottoposti,
secondo modalita'  definite  dallo  statuto  dell'ente  locale,  alla
vigilanza dell'organo  di  revisione  di  cui  agli  articoli  234  e
seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive
modificazioni.  Restano  ferme  le   disposizioni   contenute   nelle
discipline di settore vigenti alla data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto. 
    19. Gli amministratori, i dirigenti e i responsabili degli uffici
o dei servizi dell'ente locale, nonche'  degli  altri  organismi  che
espletano  funzioni  di  stazione  appaltante,  di  regolazione,   di
indirizzo e di controllo di  servizi  pubblici  locali,  non  possono
svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da parte
dei medesimi soggetti. Il divieto si applica anche nel caso in cui le
dette  funzioni  sono  state  svolte  nei  tre  anni  precedenti   il
conferimento dell'incarico inerente la gestione dei servizi  pubblici
locali. Alle societa' quotate nei mercati regolamentati si applica la
disciplina definita dagli organismi di controllo competenti. 
    20. Il divieto di cui al comma 19 opera anche nei  confronti  del
coniuge, dei parenti  e  degli  affini  entro  il  quarto  grado  dei
soggetti indicati allo stesso comma, nonche' nei confronti di  coloro
che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente,  a  qualsiasi
titolo attivita' di consulenza o collaborazione in favore degli  enti
locali o dei soggetti che hanno affidato  la  gestione  del  servizio
pubblico locale. 
    21.  Non  possono  essere  nominati  amministratori  di  societa'
partecipate da enti locali coloro che nei tre  anni  precedenti  alla
nomina  hanno  ricoperto  la  carica  di   amministratore,   di   cui
all'articolo 77 del decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.  267,  e
successive modificazioni, negli enti locali che  detengono  quote  di
partecipazione al capitale della stessa societa'. 
    22. I componenti della  commissione  di  gara  per  l'affidamento
della gestione di servizi pubblici locali non devono aver svolto  ne'
svolgere alcun'altra funzione o  incarico  tecnico  o  amministrativo
relativamente alla gestione del servizio di cui si tratta. 
    23. Coloro che hanno rivestito, nel biennio precedente, la carica
di amministratore locale, di cui al  comma  21,  non  possono  essere
nominati componenti della commissione di gara relativamente a servizi
pubblici locali da affidare da parte del medesimo ente locale. 
    24. Sono esclusi da successivi incarichi  di  commissario  coloro
che, in qualita'  di  componenti  di  commissioni  di  gara,  abbiano
concorso, con dolo o colpa grave accertati  in  sede  giurisdizionale
con  sentenza  non  sospesa,  all'approvazione  di  atti   dichiarati
illegittimi. 
    25. Si applicano ai componenti delle commissioni di gara le cause
di astensione previste  dall'articolo  51  del  codice  di  procedura
civile. 
    26.  Nell'ipotesi  in  cui  alla  gara  concorre   una   societa'
partecipata dall'ente  locale  che  la  indice,  i  componenti  della
commissione  di  gara  non  possono   essere   ne'   dipendenti   ne'
amministratori dell'ente locale stesso. 
    27. Le incompatibilita' e i divieti di cui ai commi dal 19 al  26
si  applicano   alle   nomine   e   agli   incarichi   da   conferire
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 
    28. Ferma restando la proprieta' pubblica  delle  reti,  la  loro
gestione puo' essere affidata a soggetti privati. 
    29. Alla scadenza della gestione del servizio pubblico  locale  o
in caso di sua cessazione anticipata, il precedente gestore  cede  al
gestore  subentrante  i  beni  strumentali  e  le   loro   pertinenze
necessari, in quanto non duplicabili a costi socialmente sostenibili,
per la prosecuzione del servizio,  come  individuati,  ai  sensi  del
comma 11, lettera f), dall'ente affidante, a titolo gratuito e liberi
da pesi e gravami. 
    30. Se, al momento della cessazione della gestione, i beni di cui
al comma 29 non  sono  stati  interamente  ammortizzati,  il  gestore
subentrante corrisponde al precedente  gestore  un  importo  pari  al
valore contabile originario non  ancora  ammortizzato,  al  netto  di
eventuali contributi pubblici direttamente riferibili ai beni stessi.
Restano ferme le disposizioni contenute nelle discipline di  settore,
anche regionali, vigenti alla data di entrata in vigore del  presente
decreto, nonche' restano salvi eventuali diversi accordi tra le parti
stipulati prima dell'entrata in vigore del presente decreto. 
    31. L'importo di cui al comma 30 e' indicato nel  bando  o  nella
lettera di invito  relativi  alla  gara  indetta  per  il  successivo
affidamento del servizio pubblico locale a seguito della  scadenza  o
della cessazione anticipata della gestione. 
    32. Fermo restando quanto previsto dall'articolo  14,  comma  32,
del  decreto-legge  31  maggio   2010,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122,  come  modificato
dall'articolo 1, comma 117, della legge 13 dicembre 2010, n.  220,  e
successive modificazioni, il regime transitorio degli affidamenti non
conformi a quanto stabilito dal presente decreto e' il seguente: 
        a) gli affidamenti diretti relativi a servizi il  cui  valore
economico sia superiore alla somma di cui al comma  13,  nonche'  gli
affidamenti diretti che non rientrano nei casi di cui alle successive
lettere da b) a d) cessano, improrogabilmente e senza  necessita'  di
apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data  del  31  marzo
2012; 
        b)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le  quali  non
abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la  qualita'  di  socio  e
l'attribuzione dei  compiti  operativi  connessi  alla  gestione  del
servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita'  di  apposita
deliberazione dell'ente affidante, alla data del 30 giugno 2012; 
        c)  le  gestioni   affidate   direttamente   a   societa'   a
partecipazione mista pubblica e privata,  qualora  la  selezione  del
socio  sia  avvenuta  mediante  procedure  competitive  ad   evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi di  cui  al  comma  8,  le  quali
abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la  qualita'  di  socio  e
l'attribuzione dei  compiti  operativi  connessi  alla  gestione  del
servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio; 
        d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre
2003 a societa' a partecipazione pubblica gia'  quotate  in  borsa  a
tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo  2359
del codice civile, cessano alla scadenza prevista  nel  contratto  di
servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente, attraverso procedure ad  evidenza  pubblica  ovvero
forme  di  collocamento  privato  presso  investitori  qualificati  e
operatori industriali, ad una quota non superiore  al  40  per  cento
entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30 per cento entro  il  31
dicembre 2015;  ove  siffatte  condizioni  non  si  verifichino,  gli
affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessita' di apposita
deliberazione dell'ente affidante, rispettivamente, alla data del  30
giugno 2013 o del 31 dicembre 2015. 
    33. Le societa', le loro controllate, controllanti e  controllate
da una medesima controllante, anche non appartenenti a  Stati  membri
dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto
o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o  per  contratto
servizi pubblici locali in virtu'  di  affidamento  diretto,  di  una
procedura non ad evidenza pubblica ovvero  ai  sensi  del  comma  12,
nonche' i soggetti cui e' affidata  la  gestione  delle  reti,  degli
impianti e delle altre  dotazioni  patrimoniali  degli  enti  locali,
qualora  separata  dall'attivita'  di  erogazione  dei  servizi,  non
possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero  in  ambiti
territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attivita' per altri enti
pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite loro controllanti o
altre societa' che siano  da  essi  controllate  o  partecipate,  ne'
partecipando a gare. Il divieto di cui al  primo  periodo  opera  per
tutta la durata della gestione e non si applica alle societa' quotate
in mercati regolamentati e alle societa'  da  queste  direttamente  o
indirettamente controllate ai sensi  dell'articolo  2359  del  codice
civile, nonche' al  socio  selezionato  ai  sensi  del  comma  12.  I
soggetti  affidatari  diretti  di  servizi  pubblici  locali  possono
comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima  gara
successiva alla cessazione del servizio,  svolta  mediante  procedura
competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi
forniti. 
    34. Sono  esclusi  dall'applicazione  del  presente  articolo  il
servizio idrico integrato, ad eccezione di quanto previsto dai  commi
da 19 a 27, il servizio di distribuzione di gas naturale, di  cui  al
decreto  legislativo  23  maggio  2000,  n.  164,  il   servizio   di
distribuzione di energia elettrica, di cui al decreto legislativo  16
marzo 1999, n. 79 e alla legge 23 agosto 2004, n. 239, il servizio di
trasporto ferroviario regionale, di cui  al  decreto  legislativo  19
novembre 1997, n. 422, nonche' la gestione delle  farmacie  comunali,
di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475. E' escluso dall'applicazione
dei  commi  19,  21  e  27  del  presente  articolo  quanto  disposto
dall'articolo 2, comma 42, del decreto-legge  29  dicembre  2010,  n.
225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011,  n.
10. 
    35. Restano  salve  le  procedure  di  affidamento  gia'  avviate
all'entrata in vigore del presente decreto». 
    «Articolo   5-bis.   Sviluppo   delle   regioni    dell'obiettivo
convergenza e realizzazione del Piano Sud. - 1. Al fine di  garantire
l'efficacia delle misure finanziarie per lo  sviluppo  delle  regioni
dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalita'  del  Piano
per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,  i
in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da c delle
predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo  sviluppo  e
la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo  31  maggio
88,  sui  cofinanziamenti  nazionali  dei  fondi   comunitari   a   ,
strutturale, nonche' sulle risorse individuate ai sensi di  quanto  1
dall'articolo  6-sexies  del  decreto-legge   25   giugno   2008,   r
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133,
puo' eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127,  della
legge 13  dicembre  2010,  n.  220,  nel  rispetto,  comunque,  delle
condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del
presente articolo. 
    2. Al fine di salvaguardare gli equilibri  di  finanza  pubblica,
con del Ministro dell'economia e delle finanze, di  concerto  con  il
Ministro i rapporti con le regioni e per la coesione  territoriale  e
di intesa Conferenza permanente per  i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  da  adottare
entro settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari  per
l'attuazione del comma 1, nonche' le modalita' di  attribuzione  allo
Stato ed alle regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni
caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla  legge  per  il
concorso  dello  Stato  predette  regioni  alla  realizzazione  degli
obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento». 
    «Articolo 11. Livelli di tutela essenziali per l'attivazione  dei
tirocini. - 1. I tirocini formativi e di orientamento possono  essere
promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti
preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione  di
idonee garanzie all'espletamento  delle  iniziative  medesime.  Fatta
eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali,
i soggetti in  trattamento  psichiatrico,  i  tossicodipendenti,  gli
alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di  detenzione,
i tirocini formativi e di orientamento non  curriculari  non  possono
avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese,  e  possono
essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati  o  neo-laureati
entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del  relativo  titolo
di studio. 
    2. In assenza di specifiche  regolamentazioni  regionali  trovano
applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni  di  cui  al
comma che precede, l'articolo 18 della legge 24 giugno 1997 n. 196  e
il relativo regolamento di attuazione». 
    «Articolo 14. Riduzione del numero dei  consiglieri  e  assessori
regionali e  relative  indennita'.  Misure  premiali.  -  1.  Per  il
conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento
della finanza pubblica, le Regioni, ai fini della collocazione  nella
classe di enti territoriali piu' virtuosa  di  cui  all'articolo  20,
comma 3, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al  rispetto
dei  parametri  gia'  previsti  dal  predetto  articolo  20,  debbono
adeguare,  nell'ambito   della   propria   autonomia   statutaria   e
legislativa,  i  rispettivi   ordinamenti   ai   seguenti   ulteriori
parametri: 
        a)  previsione  che  il  numero   massimo   dei   consiglieri
regionali, ad esclusione del Presidente della Giunta  regionale,  sia
uguale o inferiore a 20 per le Regioni con  popolazione  fino  ad  un
milione di abitanti; a 30 per le Regioni con popolazione fino  a  due
milioni di abitanti; a 40 per  le  Regioni  con  popolazione  fino  a
quattro milioni di abitanti; a 50 per le Regioni con popolazione fino
a sei milioni di abitanti; a 70 per le Regioni con  popolazione  fino
ad otto milioni di abitanti; a 80  per  le  Regioni  con  popolazione
superiore ad otto milioni di abitanti. La riduzione  del  numero  dei
consiglieri regionali  rispetto  a  quello  attualmente  previsto  e'
adottata da ciascuna Regione entro sei mesi dalla data di entrata  in
vigore del presente  decreto  e  deve  essere  efficace  dalla  prima
legislatura regionale successiva a quella della data  di  entrata  in
vigore del presente decreto. Le Regioni che, alla data di entrata  in
vigore  del  presente  decreto,  abbiano  un  numero  di  consiglieri
regionali inferiore a quello previsto  nella  presente  lettera,  non
possono aumentarne il numero; 
        b) previsione che il numero massimo degli assessori regionali
sia pari o inferiore ad un  quinto  del  numero  dei  componenti  del
Consiglio regionale,  con  arrotondamento  all'unita'  superiore.  La
riduzione deve essere operata entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto  e  deve  essere  efficace,  in  ciascuna
regione, dalla prima legislatura regionale  successiva  a  quella  in
corso alla data di entrata in vigore del presente decreto; 
        c) riduzione a decorrere dal 1° gennaio 2012,  in  attuazione
di quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010,
n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26  marzo  2010,  n.
42, degli emolumenti e delle utilita', comunque denominati,  previsti
in favore dei consiglieri regionali entro il  limite  dell'indennita'
massima spettante ai membri del Parlamento, cosi' come  rideterminata
ai sensi dell'articolo 13 del presente decreto; 
        d) previsione che il trattamento  economico  dei  consiglieri
regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori  del
Consiglio regionale; 
        e) istituzione, a  decorrere  dal  1°  gennaio  2012,  di  un
Collegio dei revisori dei conti,  quale  organo  di  vigilanza  sulla
regolarita'  contabile,  finanziaria  ed  economica  della   gestione
dell'ente; il Collegio,  ai  fini  del  coordinamento  della  finanza
pubblica, opera in raccordo con le  sezioni  regionali  di  controllo
della Corte dei conti; i componenti  di  tale  Collegio  sono  scelti
mediante estrazione da un elenco, i cui iscritti devono  possedere  i
requisiti previsti dai principi contabili  internazionali,  avere  la
qualifica di revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio
2010, n. 39,  ed  essere  in  possesso  di  specifica  qualificazione
professionale  in  materia  di  contabilita'  pubblica   e   gestione
economica e finanziaria anche  degli  enti  territoriali,  secondo  i
criteri individuati  dalla  Corte  dei  conti  sono  scelti  mediante
estrazione  da  un  elenco  nel  quale  possono  essere  inseriti,  a
richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel Registro dei
revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39,
in possesso di specifica qualificazione professionale in  materia  di
contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria  degli  enti
territoriali; 
        f) passaggio, entro sei mesi dalla data di entrata in  vigore
del  presente  decreto  e  con  efficacia  a  decorrere  dalla  prima
legislatura regionale successiva a  quella  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore del  presente  decreto,  al  sistema  previdenziale
contributivo per i consiglieri regionali. 
    2. L'adeguamento ai parametri di cui al comma 1  da  parte  delle
Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento  e  di
Bolzano costituisce condizione per  l'applicazione  dell'articolo  27
della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti di quelle  Regioni  a
statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato, ai  sensi
del citato articolo 27, assicura  il  conseguimento  degli  obiettivi
costituzionali di perequazione e  di  solidarieta',  ed  elemento  di
riferimento per l'applicazione di  misure  premiali  o  sanzionatorie
previste dalla normativa vigente». 
    «Articolo 16. Riduzione dei costi  relativi  alla  rappresentanza
politica nei comuni e razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni
comunali. - 1. Al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi
di finanza pubblica, l'ottimale coordinamento della finanza pubblica,
il contenimento delle spese degli enti  territoriali  e  il  migliore
svolgimento delle funzioni amministrative e dei servizi  pubblici,  a
decorrere dalla data di cui al comma 9, i comuni con popolazione fino
a 1.000 abitanti  esercitano  obbligatoriamente  in  forma  associata
tutte le funzioni amministrative e  tutti  i  servizi  pubblici  loro
spettanti sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di
comuni ai sensi dell'articolo 32 del testo unico di  cui  al  decreto
legislativo 18 agosto  2000,  n.  267.  Le  disposizioni  di  cui  al
presente comma non si applicano ai comuni il cui territorio  coincide
integralmente con quello di una o di piu' isole, nonche' al comune di
Campione d'Italia. 
    2. A ciascuna unione di cui al comma l hanno facolta' di  aderire
anche comuni con popolazione superiore  a  1.000  abitanti,  al  fine
dell'esercizio in forma associata di tutte le  funzioni  fondamentali
loro spettanti sulla base della legislazione vigente e dei servizi ad
esse inerenti, anche al fine di dare attuazione alle disposizioni  di
cui all'articolo 14, commi 28, 29, 30 e 31, del citato  decreto-legge
n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del
2010. 1 comuni  di  cui  al  primo  periodo  hanno,  in  alternativa,
facolta' di esercitare mediante tale unione tutte le funzioni e tutti
i servizi pubblici  loro  spettanti  sulla  base  della  legislazione
vigente. 
    3. All'unione di cui al comma 1, in deroga all'articolo 32, commi
2, 3 e 5, secondo periodo, del citato testo unico di cui  al  decreto
legislativo n. 267 del 2000, si  applica  la  disciplina  di  cui  al
presente articolo. 
    4. Sono affidate all'unione, per conto dei  comuni  che  ne  sono
membri,  la  programmazione  economico-finanziaria  e   la   gestione
contabile di cui alla parte II del  citato  testo  unico  di  cui  al
decreto legislativo n. 267 del 2000, con riferimento alle funzioni da
essi esercitate per mezzo  dell'unione.  I  comuni  che  sono  membri
dell'unione  concorrono  alla   predisposizione   del   bilancio   di
previsione   dell'unione   per   l'anno   successivo   mediante    la
deliberazione,  da  parte  del  consiglio   comunale,   da   adottare
annualmente, entro il 30 novembre,  di  un  documento  programmatico,
nell'ambito del piano generale di  indirizzo  deliberato  dall'unione
entro il precedente 15 ottobre. Con regolamento  da  adottare,  entro
centottanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 1,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, e  successive  modificazioni,  su
proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il  Ministro  per
le riforme per il  federalismo,  sono  disciplinati  il  procedimento
amministrativo-contabile di formazione e di variazione del  documento
programmatico, i poteri  di  vigilanza  sulla  sua  attuazione  e  la
successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun  comune
e l'unione. 
    5. L'unione succede a tutti gli effetti nei rapporti giuridici in
essere alla data di cui al comma 9 che siano inerenti  alle  funzioni
ed ai servizi ad essa affidati ai sensi dei commi 1,  2  e  4,  ferme
restando le disposizioni  di  cui  all'articolo  111  del  codice  di
procedura civile. Alle unioni di cui al comma l sono trasferite tutte
le risorse umane e strumentali relative alle funzioni ed  ai  servizi
loro affidati ai sensi dei  commi  1,  2  e  4,  nonche'  i  relativi
rapporti finanziari risultanti dal bilancio.  A  decorrere  dall'anno
2014, le unioni di comuni di  cui  al  comma  1  sono  soggette  alla
disciplina del patto  di  stabilita'  interno  per  gli  enti  locali
prevista per i comuni aventi corrispondente popolazione. 
    6. Le unioni di cui al comma 1 sono  istituite  in  modo  che  la
complessiva   popolazione   residente   nei   rispettivi   territori,
determinata ai sensi dell'articolo 156, comma  2,  del  citato  testo
unico di cui al decreto legislativo n. 267 del  2000,  sia  di  norma
superiore a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 abitanti qualora i  comuni
che intendono comporre  una  medesima  unione  appartengano  o  siano
appartenuti a comunita' montane. Entro due mesi dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente  decreto,  ciascuna
regione ha facolta' di individuare diversi limiti demografici. 
    7. Le unioni di comuni che risultino costituite alla data di  cui
al comma 9 e di cui facciano parte uno o piu' comuni con  popolazione
fino a 1.000 abitanti, entro i successivi  quattro  mesi  adeguano  i
rispettivi  ordinamenti  alla  disciplina  delle  unioni  di  cui  al
presente articolo. I comuni appartenenti a forme associative  di  cui
agli articoli 30 e 31 del  citato  testo  unico  di  cui  al  decreto
legislativo n. 267 del 2000 cessano di diritto di  farne  parte  alla
data in cui diventano membri di un'unione di cui al comma 1. 
    8. Nel termine perentorio di sei mesi dalla data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto, i' comuni  di
cui  al  comma  1,  con  deliberazione  del  consiglio  comunale,  da
adottare,  a   maggioranza   dei   componenti,   conformemente   alle
disposizioni di cui al comma 6, avanzano alla regione una proposta di
aggregazione,  di  identico  contenuto,   per   l'istituzione   della
rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31  dicembre  2012,  la
regione  provvede,  secondo  il  proprio   ordinamento,   a   sancire
l'istituzione  di  tutte  le  unioni  del  proprio  territorio   come
determinate nelle proposte di cui  al  primo  periodo  e  sulla  base
dell'elenco di cui al comma 16. La regione provvede anche qualora  la
proposta di aggregazione manchi o non sia conforme alle  disposizioni
di cui al presente articolo. 
    9. A decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti  negli
organi di governo del comune che, successivamente al 13 agosto  2012,
sia per primo interessato al rinnovo, nei comuni con popolazione fino
a 1.000 abitanti che siano parti  della  stessa  unione,  nonche'  in
quelli con popolazione superiore che esercitino mediante tale  unione
tutte le proprie funzioni, gli organi di governo sono il  sindaco  ed
il consiglio comunale, e le giunte in carica decadono di diritto.  Ai
consigli  dei  comuni  che  sono  membri  di  tale  unione  competono
esclusivamente  poteri  di  indirizzo  nei  confronti  del  consiglio
dell'unione,  ferme  restando  le  funzioni  normative  che  ad  essi
spettino in riferimento alle  attribuzioni  non  esercitate  mediante
l'unione. 
    10. Gli organi dell'unione di cui al comma 1 sono  il  consiglio,
il presidente e la giunta. 
    11. Il consiglio e' composto da tutti i sindaci  dei  comuni  che
sono membri  dell'unione  nonche',  in  prima  applicazione,  da  due
consiglieri comunali per ciascuno di essi. I consiglieri  di  cui  al
primo periodo sono eletti, non oltre venti giorni  dopo  la  data  di
istituzione dell'unione ai sensi del comma 9, in tutti i  comuni  che
sono membri dell'unione dai  rispettivi  consigli  comunali,  con  la
garanzia  che  uno  dei  due  appartenga   alle   opposizioni.   Fino
all'elezione del presidente dell'unione ai sensi del comma 12,  primo
periodo, il sindaco del comune avente il maggior numero  di  abitanti
tra quelli che sono membri dell'unione esercita tutte le funzioni  di
competenza dell'unione medesima. La legge dello Stato puo'  stabilire
che le successive elezioni avvengano a suffragio universale e diretto
contestualmente alle elezioni per il rinnovo degli organi di  governo
di ciascuno dei comuni appartenenti alle unioni. La legge dello Stato
di cui al quarto periodo disciplina conseguentemente  il  sistema  di
elezione; l'indizione delle elezioni avviene ai sensi dell'articolo 3
della legge 7 giugno 1991, n. 182,  e  successive  modificazioni.  Al
consiglio spettano le competenze attribuite dal citato testo unico di
cui al decreto legislativo n. 267 del  2000  al  consiglio  comunale,
fermo restando quanto previsto dai commi 4 e 9 del presente articolo. 
     12. Entro trenta giorni dalla data di istituzione dell'unione ai
sensi del comma 9, il consiglio e' convocato di diritto ed elegge  il
presidente dell'unione tra i propri componenti.  Al  presidente,  che
dura in carica due anni  e  mezzo  ed  e'  rinnovabile,  spettano  le
competenze attribuite al sindaco dall'articolo 50  del  citato  testo
unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000,  ferme  restando
in capo ai sindaci di ciascuno dei comuni che sono membri dell'unione
le attribuzioni di cui all'articolo 54 del medesimo testo unico. 
    13. La giunta dell'unione e'  composta  dal  presidente,  che  la
presiede, e dagli assessori, nominati  dal  medesimo  fra  i  sindaci
componenti il consiglio in numero non superiore a quello previsto per
i comuni aventi corrispondente popolazione. Alla giunta  spettano  le
competenze di cui all'articolo 48 del citato testo unico  di  cui  al
decreto legislativo n. 267 del 2000; essa decade contestualmente alla
cessazione del rispettivo presidente. 
    14.  Lo   statuto   dell'unione   individua   le   modalita'   di
funzionamento dei propri  organi  e  ne  disciplina  i  rapporti.  Il
consiglio  adotta  lo  statuto  dell'unione,  con   deliberazione   a
maggioranza assoluta dei propri componenti, entro venti giorni  dalla
data di istituzione dell'unione ai sensi del comma 9. 
    15. Ai consiglieri, al presidente ed agli  assessori  dell'unione
si applicano le disposizioni di cui agli articoli 82 e 86 del  citato
testo unico di cui al decreto legislativo n.  267  del  2000,  ed  ai
relativi atti di attuazione, in riferimento al trattamento spettante,
rispettivamente, ai consiglieri, al sindaco  ed  agli  assessori  dei
comuni aventi corrispondente popolazione. 
    Agli   amministratori   dell'unione   che   risultino   percepire
emolumenti di ogni genere in qualita'  di  amministratori  locali  ai
sensi dell'articolo 77, comma 2, del citato testo  unico  di  cui  al
decreto legislativo n. 267 del 2000, fino al  momento  dell'esercizio
dell'opzione,  non   spetta   alcun   trattamento   per   la   carica
sopraggiunta. 
    16. L'obbligo di cui  al  comma  1  non  trova  applicazione  nei
riguardi dei comuni che, alla data del 30 settembre  2012,  risultino
esercitare le funzioni amministrative e i servizi pubblici di cui  al
medesimo comma 1 mediante convenzione ai sensi dell'articolo  30  del
citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.  Ai
fini di cui al primo periodo, tali comuni  trasmettono  al  Ministero
dell'interno, entro il 15 ottobre 2012,  un'attestazione  comprovante
il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed  efficienza
nella gestione, mediante convenzione, delle rispettive  attribuzioni.
Con decreto del Ministro dell'interno, da  adottare  entro  tre  mesi
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente  decreto,  sono  determinati  contenuti  e  modalita'  delle
attestazioni di cui al secondo periodo.  Il  Ministero  dell'interno,
previa valutazione delle attestazioni ricevute,  adotta  con  proprio
decreto, da pubblicare entro il 30 novembre  2012  nel  proprio  sito
internet,  l'elenco  dei  comuni  obbligati  e  di  quelli   esentati
dall'obbligo di cui al comma 1. 
    17. A decorrere dal primo rinnovo di ciascun  consiglio  comunale
successivo alla data di entrata in vigore della legge di  conversione
del presente decreto: 
        a) per i comuni con popolazione fino  a  1.000  abitanti,  il
consiglio comunale  e'  composto,  oltre  che  dal  sindaco,  da  sei
consiglieri; 
        b) per i comuni con popolazione superiore a 1.000  e  fino  a
3.000 abitanti, il consiglio comunale  e'  composto,  oltre  che  dal
sindaco, da sei consiglieri ed il numero massimo degli  assessori  e'
stabilito in due; 
        c) per i comuni con popolazione superiore a 3.000  e  fino  a
5.000 abitanti, il consiglio comunale  e'  composto,  oltre  che  dal
sindaco, da sette consiglieri ed il numero massimo degli assessori e'
stabilito in tre; 
        d) per i comuni con popolazione superiore a 5.000  e  fino  a
10.000 abitanti, il consiglio comunale e'  composto,  oltre  che  dal
sindaco, da dieci consiglieri ed il numero massimo degli assessori e'
stabilito in quattro. 
    18. A decorrere dalla data di cui al comma 9, ai consiglieri  dei
comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti non sono applicabili  le
disposizioni di cui all'articolo 82 del citato testo unico di cui  al
decreto legislativo n. 267 del 2000; non sono  altresi'  applicabili,
con l'eccezione del primo periodo del comma 1, le disposizioni di cui
all'articolo 80 del citato testo unico di cui al decreto  legislativo
n. 267 del 2000. 
    19. All'articolo 38, comma 7, del citato testo unico  di  cui  al
decreto legislativo n. 267 del 2000, dopo le  parole:  «previsti  dal
regolamento»,  sono  aggiunte  le  seguenti:  «e,  nei   comuni   con
popolazione fino a 15.000 abitanti, si tengono preferibilmente in  un
arco  temporale  non  coincidente  con   l'orario   di   lavoro   dei
partecipanti». 
    20. All'articolo 48, comma 1, del citato testo unico  di  cui  al
decreto legislativo n.  267  del  2000,  e'  aggiunto,  in  fine,  il
seguente periodo: «Nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti,
le riunioni della  giunta  si  tengono  preferibilmente  in  un  arco
temporale non coincidente con l'orario di lavoro dei partecipanti». 
    21. All'articolo 79, comma 1, del citato testo unico  di  cui  al
decreto legislativo  n.  267  del  2000,  le  parole:  «per  l'intera
giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli» sono sostituite
dalle  seguenti:  «per  il  tempo  strettamente  necessario  per   la
partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi  consigli  e  per  il
raggiungimento del luogo di suo svolgimento». 
    22. All'articolo 14, comma 28, del citato decreto-legge n. 78 del
2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,  le
parole: «fino a 5.000 abitanti, esclusi  le  isole  monocomune»  sono
sostituite  dalle  seguenti:  «superiore  a  1.000  e  fino  a  5.000
abitanti, esclusi i comuni il cui territorio  coincide  integralmente
con quello di una o di piu' isole». 
    23. All'articolo 2, comma 7, del  decreto  legislativo  14  marzo
2011, n. 23, le parole: «le isole monocomune» sono  sostituite  dalle
seguenti: «i comuni il  cui  territorio  coincide  integralmente  con
quello di una o di piu' isole». 
    24. All'articolo 14, comma 31, alinea, del  citato  decreto-legge
n. 78 del 2010, le parole: «5.000 abitanti o nel quadruplo del numero
degli abitanti del comune demograficamente piu'  piccolo  tra  quelli
associati» sono sostituite dalle seguenti:  «10.000  abitanti,  salvo
diverso limite demografico individuato dalla regione entro  due  mesi
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138»;  al  medesimo  comma  31,  la
lettera c) e' abrogata e la lettera b) e' sostituita dalla seguente: 
        «b) entro il 31 dicembre 2012 con riguardo  a  tutte  le  sei
funzioni fondamentali loro spettanti ai sensi dell'articolo 21, comma
3, della citata legge n. 42 del 2009». 
    25. A  decorrere  dal  primo  rinnovo  dell'organo  di  revisione
successivo alla data di entrata in vigore  del  presente  decreto,  i
revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante  estrazione
da un elenco nel  quale  possono  essere  inseriti,  a  richiesta,  i
soggetti iscritti, a livello regionale,  nel  Registro  dei  revisori
legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39,  nonche'
gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti  e  degli  esperti
contabili. Con decreto del Ministro dell'interno, da  adottare  entro
sessanta giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione  del  presente  decreto,  sono  stabiliti   criteri   per
l'inserimento degli interessati nell'elenco di cui al primo  periodo,
nel rispetto dei seguenti principi: 
        a) rapporto proporzionale tra anzianita' di iscrizione  negli
albi e registri di cui al presente comma  e  popolazione  di  ciascun
comune; 
        b)  previsione  della  necessita',  ai  fini  dell'iscrizione
nell'elenco di cui al presente comma, di aver in precedenza  avanzato
richiesta di svolgere la funzione nell'organo di revisione degli enti
locali; 
        c) possesso  di  specifica  qualificazione  professionale  in
materia di contabilita' pubblica e gestione economica  e  finanziaria
degli enti pubblici territoriali. 
    26. Le spese di rappresentanza sostenute dagli organi di  governo
degli enti locali  sono  elencate,  per  ciascun  anno,  in  apposito
prospetto allegato al rendiconto di cui all'articolo 227  del  citato
testo unico di cui al decreto  legislativo  n.  267  del  2000.  Tale
prospetto e' trasmesso alla  sezione  regionale  di  controllo  della
Corte   dei   conti   ed   e'   pubblicato,   entro   dieci    giorni
dall'approvazione del rendiconto, nel sito internet dell'ente locale.
Con atto di  natura  non  regolamentare,  adottato  d'intesa  con  la
Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali ai sensi dell'articolo  3
del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  il   Ministro
dell'interno, di concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, entro novanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore  del
presente decreto, adotta uno schema tipo  del  prospetto  di  cui  al
primo periodo. 
    27. All'articolo 14, comma 32, alinea, del  citato  decreto-legge
n. 78 del 2010, le parole: «31 dicembre 2013» sono  sostituite  dalle
seguenti: «31 dicembre 2012»; alla lettera a) del medesimo comma  32,
le parole «31 dicembre 2013»  sono  sostituite  dalle  seguenti:  «31
dicembre 2012». 
    28. Al fine di verificare il  perseguimento  degli  obiettivi  di
semplificazione e di  riduzione  delle  spese  da  parte  degli  enti
locali, il prefetto accerta che  gli  enti  territoriali  interessati
abbiano  attuato,  entro  i  termini   stabiliti,   quanto   previsto
dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della legge 23 dicembre 2009,
n. 191, e successive modificazioni, e  dall'articolo  14,  comma  32,
primo periodo, del citato decreto-legge  n.  78  del  2010,  come  da
ultimo modificato dal comma 27 del presente  articolo.  Nel  caso  in
cui, all'esito  dell'accertamento,  il  prefetto  rilevi  la  mancata
attuazione di quanto previsto dalle  disposizioni  di  cui  al  primo
periodo, assegna agli enti inadempienti un termine  perentorio  entro
il  quale  provvedere.  Decorso  inutilmente  detto  termine,   fermo
restando quanto previsto  dal  secondo  periodo,  trova  applicazione
l'articolo 8, commi 1, 2, 3 e 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    29. Le disposizioni di cui al presente articolo si  applicano  ai
comuni appartenenti alle regioni a statuto speciale ed alle  province
autonome di Trento e di Bolzano  nel  rispetto  degli  statuti  delle
regioni e province medesime, delle relative  norme  di  attuazione  e
secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5  maggio  2009,
n. 42. 
    30. Dall'applicazione di ciascuna delle disposizioni  di  cui  al
presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica. 
    31. A  decorrere  dall'anno  2013,  le  disposizioni  vigenti  in
materia  di  patto  di  stabilita'  interno  per  i  comuni   trovano
applicazione nei riguardi di tutti i comuni con popolazione superiore
a 1.000 abitanti». 
    Gli articoli 1, comma 9, lettera b), 2, comma 36, 3, comma 4,  4,
5-bis, 11, 14  e  16  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,
pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  13  agosto  2011,   n.   188,
convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre  2011,  n.  148,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 settembre 2011, n.  216,  sono
incostituzionali e gravemente lesivi delle attribuzioni della Regione
Autonoma della Sardegna, per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    1. - Preliminarmente, e' opportuno ricordare che le  disposizioni
oggi impugnate irrompono in un  contesto  normativo  nel  quale,  per
quanto specificamente riguarda la  Regione  Autonoma  della  Sardegna
(hinc inde: Regione o Sardegna), campeggia l'art. 1, comma 834, della
legge 27 dicembre 2006,  n.  296,  che  ha  modificato  alcune  delle
disposizioni piu' qualificanti del Titolo III dello  Statuto,  recate
dall'art. 8, in materia di fonti delle entrate regionali. 
    In base alle  disposizioni  cosi'  novellate,  le  entrate  della
Regione Sardegna derivano «a) dai  sette  decimi  del  gettito  delle
imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone
giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove  decimi
del gettito delle imposte sul bollo,  di  registro,  ipotecarie,  sul
consumo  dell'energia  elettrica  e  delle  tasse  sulle  concessioni
governative percette nel territorio  della  regione;  c)  dai  cinque
decimi delle imposte  sulle  successioni  e  donazioni  riscosse  nel
territorio  della  regione;  d)  dai  nove  decimi  dell'imposta   di
fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta  nel
territorio della regione; e) dai  nove  decimi  della  quota  fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli
dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del  gettito
dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da
determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie  rilevati
annualmente  dall'ISTAT;   g)   dai   canoni   per   le   concessioni
idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri  tributi
propri che la regione ha facolta' di istituire con legge  in  armonia
con i principi del sistema tributario dello  Stato;  i)  dai  redditi
derivanti dal  proprio  patrimonio  e  dal  proprio  demanio;  l)  da
contributi straordinari dello Stato per particolari  piani  di  opere
pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte
le entrate erariali, dirette o  indirette,  comunque  denominate,  ad
eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici». 
    L'art.  8  dello  Statuto,  nella  sua  formulazione  originaria,
disponeva invece che le entrate  della  Regione  fossero  costituite:
«dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui
fabbricati situati nel territorio della Regione  e  dell'imposta  sui
redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai  nove
decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della
Regione; dai nove decimi del gettito  delle  tasse  di  bollo,  sulla
manomorta,  in  surrogazione  del  registro  e   del   bollo,   sulle
concessioni governative,  dell'imposta  ipotecaria,  dell'imposta  di
fabbricazione  del  gas  e  dell'energia  elettrica,   percette   nel
territorio  della  Regione;  dai  nove  decimi  della  quota  fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli
del tabacchi consumati  nella  Regione;  da  una  quota  dell'imposta
generale sull'entrata  di  competenza  dello  Stato,  riscossa  nella
Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario
d'accordo fra  lo  Stato  e  la  Regione,  in  relazione  alle  spese
necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni
per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria  ed  a
spese per opere determinate, da imposte e  tasse  sul  turismo  e  da
altri tributi propri, che la Regione ha  facolta'  di  istituire  con
legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da
redditi patrimoniali; da  contributi  straordinari  dello  Stato  per
particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie». 
    Le misure previste dalle nuove disposizioni statutarie non  hanno
avuto ancora piena e corretta esecuzione  per  la  colpevole  inerzia
dello Stato, inerzia  che  la  Regione  Sardegna  ha  gia'  censurato
promuovendo  i  giudizi  pendenti  dinanzi   codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale e iscritti al n. 8 Reg. Confl. Enti 2011 e  al  n.  96
Reg. Ric. 2011. Proprio quelle previsioni, pero',  sono  di  centrale
importanza anche nella presente controversia, in una  con  gli  altri
parametri che verranno appresso richiamati. 
    1.1. - La riforma dell'art. 8 dello Statuto si e' resa necessaria
per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione  complessiva
della realta'  economico-finanziaria  territoriale  e  nazionale.  Di
questo e' testimonianza il carteggio intervenuto  tra  il  Ragioniere
Generale dello  Stato  e  la  medesima  Regione  tra  l'agosto  e  il
settembre del  2005,  relativamente  alla  misura  delle  entrate  di
maggiore rilevanza per le  finanze  regionali:  la  compartecipazione
all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. 
    Con nota del 3 agosto  2005,  prot.  n.  0102482,  il  Ragioniere
Generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente
sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva  una
determinazione annuale in merito,  una  proposta  di  quantificazione
delle quote di compartecipazione I.V.A. «nell'attesa che  si  proceda
alla  revisione  dell'ordinamento   finanziario   che   consenta   di
trasformare la compartecipazione  IVA  da  quota  variabile  a  quota
fissa», e che tale proposta era stata predisposta «abbandonando [...]
il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel
tempo la  progressiva  svalutazione  in  termini  reali  del  cespite
regionale, ha di fatto svilito  lo  strumento  di  garanzia  previsto
dallo Statuto, che mirava  a  consentire  il  tempestivo  adeguamento
delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di  spesa  derivanti
dall'espletamento delle funzioni normali della Regione». 
    Con nota del 2  settembre  2005,  prot.  n.  0112371,  ancora  il
Ragioniere Generale rappresentava che  «il  gettito  IRPEF  regionale
[...]  registra  una  crescita,   nell'arco   temporale   considerato
[1991-2003],  pari  all'1,9%,  avallando,  pertanto,  la  tesi  della
Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a  quello
nazionale». 
    E'  proprio  in   considerazione   della   palese   insufficienza
(esplicitamente riconosciuta  dallo  Stato)  del  quadro  finanziario
delle entrate regionali che si e' addivenuti  alla  seconda  modifica
dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e'  gia'  detto,  nel
2006, con la quale - fra  l'altro -  si  e'  aggiunto  il  canale  di
finanziamento relativo ai «sette decimi di tutte le entrate erariali,
dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di  quelle  di
spettanza di altri enti pubblici» e - per l'appunto in coerenza con i
rilievi sopra  riportati  -  si  e'  introdotta  la  quota  fissa  di
compartecipazione all'I.V.A. maturata  nella  Regione  Sardegna  (v.,
rispettivamente, lettere  m)  ed  f)  dell'art.  8,  comma  1,  nella
formulazione vigente). 
    Risulta dunque per tabulas, sia  dalla  posizione  assunta  dallo
Stato nell'interlocuzione con la Regione,  sia  (e  soprattutto)  dal
contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il  regime
delle entrate regionali e' stato modificato al fine  permettere  alla
Sardegna  di  assolvere   ai   propri   compiti   istituzionali,   in
considerazione delle condizioni fattuali  e  normative  maturate  nel
tempo. 
    Come la Regione Sardegna ha lamentato nei gia' menzionati ricorsi
iscritti al n. 8 del Reg. Confl. Enti 2011 e al n. 96 Reg. Ric. 2011,
lo Stato, dopo aver riconosciuto l'inadeguatezza del vecchio  regime,
si e' illegittimamente sottratto al procedimento necessario per  dare
esecuzione  al  nuovo,  arrecando  un  nuovo   vulnus   all'autonomia
regionale. 
    1.2. - Ancora in via preliminare, e' opportuno precisare  che  la
violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia puo' e deve  essere
censurata (anche in questa sede, come  gia'  nei  menzionati  ricorsi
numeri 8 Reg. Confl. Enti 2011 e 96 Reg. Ric. 2011) sebbene l'art.  8
di tale Statuto sia stato modificato con legge  ordinaria,  ai  sensi
del successivo art. 54. 
    La  qualita'   di   parametri   dei   giudizi   di   legittimita'
costituzionale,  invero,  deve   essere   riconosciuta   anche   alle
disposizioni del Titolo III dello  Statuto  speciale  della  Sardegna
che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo,  possono
essere modificate con legge ordinaria, previo parere  della  Regione.
Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e'  stato
definito un  processo  di  «decostituzionalizzazione»  (come  codesta
Ecc.ma  Corte  ha  affermato  nella  sentenza  n.   70   del   1987),
costituiscono pur sempre precetti che  il  legislatore  statale  deve
rispettare, in quanto il procedimento di  modificazione  della  norma
statutaria e' comunque «assistito da una garanzia del tutto peculiare
a favore della Regione sarda», sicche'  la  legge  statale  non  puo'
derogare la norma in questione,  ma  puo'  solo  modificarla  con  lo
speciale procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi'  ancora
la cit.  sent.  n.  70  del  1987,  cui  adde  le  pur  meno  dirette
affermazioni della sent. n. 215 del 1996). 
    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  36,  del
d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148  del  2011,
per violazione degli artt. 7 e 8 della legge cost.  n.  3  del  1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna e degli artt. 3, 117  e  119
della Costituzione. Come si e' gia' detto  in  narrativa,  l'art.  2,
comma 36, del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in  legge  n.
148 del 2011, stabilisce  che  «Le  maggiori  entrate  derivanti  dal
presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di  cinque
anni,   per   essere   destinate   alle   esigenze   prioritarie   di
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'  della  situazione
economica  internazionale.  Con  apposito   decreto   del   Ministero
dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto, sono stabilite le modalita' di  individuazione  del  maggior
gettito, attraverso separata contabilizzazione. A  partire  dall'anno
2014, il Documento di economia e finanza  conterra'  una  valutazione
delle   maggiori   entrate   derivanti,   in   termini    permanenti,
dall'attivita' di contrasto all'evasione. Dette maggiori entrate,  al
netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio  di  bilancio
ed alla riduzione  del  debito,  confluiranno  in  un  Fondo  per  la
riduzione strutturale della pressione fiscale e  saranno  finalizzate
alla riduzione degli oneri  fiscali  e  contributivi  gravanti  sulle
famiglie e sulle imprese». Tale previsione  appare  illegittima,  per
violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto  e  3,  117  e  119  della
Costituzione per i motivi di seguito specificati. 
    2.1. - In primo luogo, la disposizione censurata acquisisce  alla
disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere  di
sicura spettanza  regionale,  quanto  meno  in  notevole  misura.  In
particolare, lo sono le maggiori entrate derivanti dal contributo  di
solidarieta' sui redditi  eccedenti  € 300.000,00,  atteso  che  alle
imposte sui redditi la Regione  compartecipa  nella  misura  del  70%
(art. 8, comma 1, lettera a), Statuto); lo sono le  maggiori  entrate
derivanti dall'incremento dell'I.V.A., atteso che a tale  imposta  la
Regione compartecipa nella misura del 90% (art. 8, comma  1,  lettera
f), Statuto);  lo  sono  le  maggiori  entrate  derivanti  da  giochi
pubblici, atteso che a tali entrate  la  Regione  compartecipa  nella
misura del 70% (art. 8, comma 1, lettera m),  Statuto);  lo  sono  le
maggiori  entrate  derivanti  dal  recupero   dell'evasione   fiscale
previsto dall'art. 2, commi 5-bis e 5-ter dello stesso  d.l.  n.  138
del 2011, atteso che si trattava comunque di entrate  spettanti  alla
Regione, che solo per  una  patologia  del  sistema  non  sono  state
acquisite e che ora non possono  essere  distratte  in  favore  dello
Stato (a tutto concedere, lo Stato potrebbe trattenere il  costo  del
recupero dell'evasione, ma non certo le intere somme recuperate);  lo
sono le entrate derivanti dagli aumenti delle aliquote sui redditi da
capitale previsti dall'art. 2, commi 6 e 9, dello stesso d.l. n.  138
del 2011, atteso che a tali entrate  la  Regione  compartecipa  nella
misura del 70% (art. 8, comma 1, lettera m),  Statuto);  lo  sono  le
entrate derivanti dall'anticipazione delle riduzioni delle esenzioni,
stabilita dall'art. 1, comma 6, dello stesso d.l. n.  138  del  2011,
entrate alle quali la Regione compartecipa nella  misura  di  ciascun
tributo, sempre ai  sensi  dell'art.  8  dello  Statuto  (per  quanto
riguarda, in particolare, l'IRAP e l'Addizionale regionale IRPEF,  la
partecipazione e' totale). 
    In materia valgono, anzitutto, i principi stabiliti  dalla  sent.
n. 198 del 1999 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale. 
    In quel caso la Regione Sardegna censurava gli artt. 1, comma  3,
e 7, del d.l. n.  669  del  1996  che,  rispettivamente,  prevedevano
l'obbligo di un versamento del 20% a titolo di acconto per i «redditi
sottoposti a tassazione separata non soggetti a ritenuta alla  fonte»
e la riserva all'erario delle entrate dell'intero cit.  d.l.  n.  669
del 1996. 
    L'illegittimita' delle menzionate disposizioni  fu  esclusa  solo
perche' - disse codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale  -  «l'art.  1,
comma 3,  del  decreto-legge  impugnato  non  da'  luogo  ad  entrate
aggiuntive per il  fisco:  esso  si  limita  a  imporre  una  diversa
modalita' di riscossione per una quota dell'imposta dovuta [...]  Non
si avranno comunque entrate "nuove", diverse e aggiuntive rispetto  a
quelle  derivanti  dall'applicazione  della  legislazione  tributaria
previgente, e alle quali  lo  statuto  prevede  la  compartecipazione
della Regione in quote prefissate.  Se  non  vi  sono  nuove  entrate
derivanti dall'applicazione dell'art.  1  ,  comma  3,  del  decreto,
l'art. 7 del medesimo, che dispone la riserva allo Stato  delle  sole
entrate che derivano da esso, cioe'  che  in  esso  trovano  la  loro
fonte, non puo' trovare applicazione agli importi riscossi  a  titolo
di acconto sull'imposta dovuta in relazione ai redditi  a  tassazione
separata». 
    Cio' considerato, codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' in
maniera cristallina che «una diversa interpretazione porterebbe,  del
resto,  ad  una  palese  elusione  delle  previsioni  degli   statuti
speciali, che prevedono, come nel caso  della  Regione  Sardegna,  la
partecipazione delle Regioni al gettito di  determinate  imposte.  Se
bastasse, infatti, la modifica delle modalita'  e  quindi  del  tempo
della riscossione, senza alcun aumento del gettito  complessivo,  per
consentire l'avocazione allo Stato di quote del gettito medesimo,  si
verificherebbe [l'effetto] di avocare allo Stato l'intero importo  di
un  gettito  tributario  (corrispondente  agli  acconti  versati)  in
precedenza ripartito fra lo Stato stesso e  la  Regione.  All'aumento
delle entrate a favore dello Stato,  derivante  da  tale  avocazione,
farebbe riscontro una diminuzione del gettito a favore della Regione,
la quale verrebbe a  partecipare  al  gettito  della  sola  quota  di
imposte  riscossa,  a  conguaglio,  sulla  base  della   liquidazione
effettuata dagli uffici, e non piu', come per il passato, dell'intero
importo  di  esse.  Cio'  [...]  si  tradurrebbe  in   una   modifica
surrettizia dell'ordinamento finanziario della Regione, garantito sul
piano   costituzionale   dalle   disposizioni   dello   statuto,    e
modificabile,  bensi',  con   legge   ordinaria,   ma   solo   previa
consultazione della Regione  stessa  (art.  54  stat.  spec.  per  la
Regione Sardegna)». 
    Ora, non e' dubbio che almeno le entrate derivanti dal  contrasto
all'evasione non possano essere acquisite al patrimonio dello  Stato,
se non si vogliono violare i principi stabiliti dalla  pronuncia  ora
riportata.  Tali   entrate,   infatti,   non   derivano   da   alcuna
modificazione normativa della  disciplina  dei  singoli  tributi,  ma
semplicemente dalla messa in  opera  dei  meccanismi  di  lotta  alla
sottrazione al dovere di solidarieta' fiscale. La Regione,  pertanto,
subirebbe, paradossalmente, la diminuzione  di  entrate  cui  avrebbe
avuto diritto qualora le relative somme  fossero  state  regolarmente
versate.  Acquisire  tali  entrate   allo   Stato,   in   definitiva,
significherebbe ridurre le entrate regionali, proprio come  la  sent.
n. 198 del 1999 aveva escluso si potesse fare. 
    Nemmeno la previsione di riserva allo Stato delle altre  entrate,
pero', nel caso di specie, si sottrae a censura. Si deve considerare,
infatti, che, per le ragioni gia'  sopra  esposte,  l'attuale  regime
delle  risorse  della   Regione   Sardegna   e'   riconosciuto   come
insufficiente. E' pertanto illegittimo, per violazione degli artt.  7
e 8 dello Statuto, e 117 e 119  della  Costituzione,  riservare  allo
Stato entrate che,  invece,  debbono  essere  destinate  almeno  alla
riduzione di tali insufficienze, constatate addirittura da una  norma
statutaria (l'art. 8). Ed e' specificamente irragionevole  (eppercio'
violativo  dell'art.  3  Cost.,   in   combinato   disposto   con   i
summenzionati parametri) disporre di risorse pubbliche in  modo  tale
da distrarle alla destinazione che sarebbe stata  la  piu'  logica  e
coerente, onde impiegarle  al  generico  fine  di  raggiungere  vaghi
obiettivi di finanza pubblica. 
    2.2. - Per le ragioni anzidette, l'art. 2, comma 36 del  d.l.  n.
138 del 2011 viola  l'art.  8  dello  Statuto,  che,  come  indicato,
attribuisce  alla  Regione   una   partecipazione   maggioritaria   o
addirittura totalitaria alle entrate  che  lo  Stato,  ora,  vorrebbe
riservarsi.  E'  parimenti  violato,  pero',  anche  l'art.  7  dello
Statuto,  che   garantisce   alla   Regione   un'adeguata   autonomia
finanziaria, e sono parimenti violati  gli  artt.  117  e  119  della
Costituzione, che confermano la tutela  della  particolare  autonomia
economico-finanziaria della Regione e attribuiscono alla Sardegna  la
competenza concorrente nella materia del coordinamento della  finanza
pubblica. Violato,  altresi',  e'  l'art.  3  Cost.,  per  l'evidente
irragionevolezza della scelta di acquisire allo Stato risorse che per
definizione (in base, cioe', alle stesse previsioni statutarie e alla
logica, visto che le entrate cui  esse  si  riferiscono  erano  state
destinate a coprire  il  fabbisogno  regionale)  sono  funzionali  al
soddisfacimento di esigenze che statali non sono, tanto piu'  che  e'
parimenti irragionevole perseguire l'intento di raggiungere obiettivi
di finanza pubblica dello Stato, sacrificando quelli  delle  Regioni,
quasi che  l'equilibrio  finanziario  non  fosse  affare  dell'intera
Repubblica. 
    2.3.- Ulteriore motivo di illegittimita', di nuovo per violazione
dei parametri gia' invocati, sta nel fatto che la norma impugnata non
prevede uno scopo specifico al quale destinare il sacrificio  imposto
alla Regione (limitandosi ad invocare generiche esigenze  di  finanza
pubblica) e stabilisce un periodo di tempo lunghissimo (cinque anni!)
di applicazione delle  penalizzanti  misure  qui  contestate.  Se  ne
evince l'assoluta irragionevolezza della previsione,  che  non  tiene
minimamente conto delle esigenze regionali e opera  come  se  esse  -
assieme  alle  norme  di   rango   costituzionale   che,   garantendo
l'autonomia regionale, le tutelano - non esistessero. 
    3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, del d.l.
n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148  del  2011,  per
violazione degli artt. 3, 4 e 7 della legge  cost.  n.  3  del  1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna, e degli artt. 3, 117 e  119
della Costituzione. Come gia' riportato, l'art. 3, comma 4, del  d.l.
n. 138 del 2011, per come  convertito  in  legge  n.  148  del  2011,
stabilisce  che  «L'adeguamento  di  Comuni,   Province   e   Regioni
all'obbligo di cui al comma 1  costituisce  elemento  di  valutazione
della virtuosita' dei predetti enti ai sensi dell'art. 20,  comma  3,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito  dalla  legge  15
luglio 2011, n. 111». A sua volta, il comma 1 stabilisce che «Comuni,
Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente  decreto,  adeguano  i
rispettivi  ordinamenti  al  principio  secondo  cui  l'iniziativa  e
l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso  tutto  cio'
che non e'  espressamente  vietato  dalla  legge  nei  soli  casi  di
[seguono alcune fattispecie esonerative]». La  disposizione  indicata
in epigrafe appare in contrasto con gli artt. 3, 4 e 7 dello  Statuto
e con gli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione. 
    3.1. - L'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011  trasforma  in
pretesi vincoli di finanza pubblica degli  adempimenti  di  carattere
sostanziale che con la finanza pubblica non hanno nulla a che vedere. 
    Con questo artifizio lo Stato condiziona, fino ad  annullare,  la
discrezionalita' del legislatore regionale in tutte le materie di sua
competenza, concorrente o addirittura esclusiva, ingabbiandolo in  un
meccanismo perverso  per  cui  ogni  opzione  legislativa,  anche  in
materie che nulla hanno a che valere con la finanza pubblica, che non
fosse pedissequamente conseguente  alle  indicazioni  qui  censurate,
determinerebbe un  grave  pregiudizio  sul  piano  delle  prerogative
finanziarie della Regione. 
    Ci si trova di  fronte,  dunque,  ad  un  caso  paradigmatico  di
eccesso  di  potere  legislativo  e,  comunque,  di  violazione   del
principio di ragionevolezza. Tanto, con frontale contrasto con l'art.
3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117 e 119 Cost. che  non
prevedono una simile competenza statale. 
    Il meccanismo dell'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011: 
        i)  in  primo  luogo  permette  allo  Stato,  attraverso   il
grimaldello  della  valutazione  delle  prestazioni   delle   Regioni
nell'adempimento dei loro obblighi di finanza pubblica, di esorbitare
dall'ambito di competenze definito dall'artt. 117, commi 2 e 3, Cost.
e  contestualmente  di  impingere   nelle   attribuzioni   regionali,
condizionando le scelte legislative del legislatore regionale; 
        ii) in secondo luogo  vincola  le  Regioni  -  tra  le  quali
l'odierna ricorrente - nelle materie di competenza concorrente  senza
aver dettato, come vorrebbe l'art. 117, comma 3,  Cost.,  i  principi
fondamentali  della  materia,  a  meno  di  non  voler  ritenere  che
costituisca un autentico principio la generica indicazione del  comma
1 dell'art. 3, che, come la dottrina ha subito messo in luce,  e'  di
ben scarsa pregnanza normativa. 
    3.2. - L'art. 3, comma 4, del d.l. n. 138 del 2011 viola altresi'
lo Statuto sardo, ed in particolare gli artt. 3, 4 e  7,  perche'  la
disposizione  in  questione  limita  indebitamente,  nei  modi  sopra
descritti, l'autonomia della Regione Sardegna, sia nelle  materie  di
competenza esclusiva che in quelle di competenza concorrente, nonche'
nell'esercizio delle sue prerogative in ambito di bilancio. 
    Non v'e' dubbio, infatti, che la regolamentazione dell'iniziativa
e dell'attivita' economica privata interessi, oltre  che  gli  ambiti
materiali enumerati all'art. 117, comma 3, Cost. (si pensi, a  titolo
esemplificativo, alla tutela e  sicurezza  del  lavoro,  al  sostegno
all'innovazione per i settori produttivi, alla tutela  della  salute,
alla  produzione,  al  trasporto  e  alla   distribuzione   nazionale
dell'energia, etc.), anche gli ambiti di attribuzione  specificamente
elencati negli artt. 3 e  4  dello  Statuto,  ed  in  particolare  le
materie «agricoltura e foreste», «edilizia e urbanistica», «trasporti
su linee automobilistiche  e  tranviarie»,  «artigianato»,  «turismo,
industria alberghiera» (art. 3, comma 1, lettere d), f), g), o),  p),
dello Statuto) nonche' le materie «industria, commercio ed  esercizio
industriale  delle  miniere,  cave   e   saline»,   «istituzione   ed
ordinamento degli enti di credito fondiario ed agrario,  delle  casse
di  risparmio  [...]»,  «produzione  e   distribuzione   dell'energia
elettrica», «linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli
scali della regione», «pubblici spettacoli» (art. 4, comma 1, lettere
a), b), e), f), m) dello Statuto). Una volta  di  piu',  la  minaccia
della sanzione finanziaria opera, indebitamente  e  illegittimamente,
come strumento per condizionare e resecare, con generale  estensione,
l'autonomia regionale. 
    4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 del  d.l.  n.  138
del 2011,  per  come  convertito  in  legge  n.  148  del  2011,  per
violazione degli articoli 3 (spec. comma 1, lettere a, b  e  g)  e  4
(spec. comma 1, lettere f e g) della  legge  cost.  n.  3  del  1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna. L'art. 4 del  d.l.  n.  138
del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011,  al  comma  1
stabilisce che  «Gli  enti  locali,  nel  rispetto  dei  principi  di
concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione  dei
servizi, verificano la realizzabilita' di una gestione concorrenziale
dei servizi  pubblici  locali  di  rilevanza  economica,  di  seguito
"servizi  pubblici  locali",  liberalizzando   tutte   le   attivita'
economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalita'  e
accessibilita'  del  servizio  e   limitando,   negli   altri   casi,
l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui,  in  base
ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non
risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai  bisogni  della
comunita'».  I  commi  che  seguono,  poi,  dettano  una   disciplina
estremamente  dettagliata  relativa  non  solo  all'affidamento   dei
servizi pubblici locali a  rilevanza  economica,  bensi'  anche  alla
gestione dei medesimi e al  controllo  operato  dall'ente  appaltante
(comma 5), alla  composizione  degli  uffici  degli  enti  appaltanti
nonche' degli organi societari delle imprese appaltatrici  (commi  19
sgg.),  all'impatto  della  gestione  del  servizio   sulla   finanza
dell'ente ed in  particolare  al  patto  di  stabilita'  (comma  14),
all'approvvigionamento di beni e servizi da parte delle societa' c.d.
«in house» (comma 15) nonche' al reclutamento  del  personale  (comma
16). 
    L'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 viola gli artt.  3  e  4  della
legge cost. n. 3 del  1948.  E'  evidente,  infatti,  che  lo  Stato,
nell'esercizio della potesta' esclusiva in materia  di  tutela  della
concorrenza, ha dettato il principio generale  della  verifica  della
realizzabilita' di una gestione concorrenziale  dei  servizi  locali.
Nell'ambito di questo principio, pero', spetta in  primo  luogo  alla
Regione Sardegna, non certo direttamente  ai  suoi  enti  locali,  la
verifica  in  questione,  che  essa   deve   poter   legislativamente
disciplinare. L'art. 4, comma 1 (ma tanto vale anche per i commi da 2
a 4, nei quali si  prevede  che  la  verifica  sopra  menzionata  sia
incorporata  in  un  provvedimento  amministrativo,   sia   trasmessa
all'Autorita'  Garante  della  Concorrenza  e  del  Mercato   e   sia
periodicamente riformulata), nell'attribuire direttamente  agli  enti
locali la competenza a determinare le  modalita'  di  erogazione  dei
servizi pubblici, ha leso le competenze della Regione Sardegna,  alla
quale lo Statuto ha conferito in via  esclusiva  (art.  3,  comma  1,
lettere a, b e g) le attribuzioni relative alle materie  «ordinamento
degli uffici e  degli  enti  amministrativi  della  Regione  e  stato
giuridico  ed  economico  del  personale»,  «ordinamento  degli  Enti
Locali», «trasporti su linee automobilistiche e tranviarie»,  nonche'
la competenza concorrente (art. 4, comma 1,  lettere  f  e  g)  nelle
materie «assunzione di pubblici servizi» e «linee marittime ed  aeree
di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione». 
    La  disciplina  in  esame,  paradossalmente,  attribuisce  ad  un
livello  di  autonomia  inferiore  cio'  che  toglie  ad  un  livello
superiore, le cui attribuzioni sono tutelate da disposizioni di rango
costituzionale, che qui restano del tutto inosservate. 
    L'illegittimita' del comma 1 comporta, per le  medesime  ragioni,
l'illegittimita' dell'intero  art.  4,  poiche'  i  commi  successivi
dettano, come si e' visto in  narrativa,  disposizioni  ancillari  di
quelle dettate dal primo, nel senso che  si  tratta  di  disposizioni
strumentali all'operativita' del meccanismo di affidamento agli  enti
locali del  potere  di  scegliere  una  gestione  concorrenziale  dei
servizi. 
    4.2. - Non basta. Nella  pur  breve  ricognizione  della  materia
oggetto di regolamentazione da parte dell'art. 4 sopra menzionato, si
e' messo in luce che il legislatore statale ha piu' volte  esorbitato
dalla sua competenza in materia di tutela della concorrenza, la quale
comprende, come affermato  da  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale
nella sent. n. 325 del 2010, il  solo  profilo  dell'affidamento  del
servizio pubblico locale. Ancora una volta,  invece,  il  legislatore
statale ha debordato dai limiti assegnatigli fino a dettare norme  in
materie connesse eppur distinte, come, ad esempio, lo svolgimento del
servizio pubblico (comma 5, in tema di definizione degli obblighi  di
servizio pubblico) di rispetto del patto di stabilita' da parte delle
aziende  appaltanti  (comma  14),  di  assunzione  di   personale   e
acquisizione di beni e servizi da parte delle imprese  aggiudicatarie
del servizio,  infine  di  organizzazione  del  controllo,  da  parte
dell'ente  appaltante,  sul  servizio  pubblico  erogato.  In  questa
maniera lo Stato ha senza alcun dubbio  invaso  le  competenze  della
Regione Sardegna garantite in particolare dagli  artt.  3,  comma  1,
lettere a), b) e g), e 4, comma 1, lettere f) e g) dello  Statuto.  I
parametri statutari invocati, lo  si  ribadisce,  attribuiscono  alla
Regione la competenza  esclusiva  nelle  materie  «ordinamento  degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed
economico del personale», «ordinamento degli Enti Locali», «trasporti
su  linee  automobilistiche  e  tranviarie»,  nonche'  la  competenza
concorrente nelle materie «assunzione di pubblici servizi»  e  «linee
marittime ed aeree di cabotaggio  fra  i  porti  e  gli  scali  della
Regione». 
    Ferma restando, per i profili sopra individuati, l'illegittimita'
dell'intero articolo 4, a piu' forte ragione si  deve  insistere  per
l'incostituzionalita'   delle   disposizioni   che   non    attengono
strettamente al profilo dell'affidamento  dei  servizi  pubblici,  in
quanto invadono  le  competenze  esclusive  della  Regione  e,  nelle
materie  di  competenza  concorrente,   impediscono   alla   Sardegna
l'esercizio  delle  sue  attribuzioni  anche  a  fronte  dell'estremo
dettaglio della disciplina, che certo non si e' limitata a dettare  i
principi  fondamentali  della  materia,  ma  ha  regolato  tutti  gli
aspetti, anche i piu' minuti, della  gestione  dei  servizi  pubblici
locali. 
    5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, del  d.l.  n.
138 del 2011, per come convertito in  legge  n.  148  del  2011,  per
violazione degli artt. 3 e 119 Cost. L'art. 5-bis del  d.l.  138  del
2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011,  stabilisce  che,
«al fine di garantire l'efficacia delle  misure  finanziarie  per  lo
sviluppo delle  regioni  dell'obiettivo  convergenza  e  l'attuazione
delle  finalita'  del  Piano  per  il  Sud,  a  decorrere   dall'anno
finanziario in corso alla data di entrata in vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e
di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni  a
valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione  di  cui
all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio  2011,  n.  88,  sui
cofinanziamenti  nazionali   dei   fondi   comunitari   a   finalita'
strutturale, nonche' sulle risorse individuate  ai  sensi  di  quanto
previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133, puo' eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126  e  127,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto,  comunque,  delle
condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del
presente articolo» (comma 1) e che, «al  fine  di  salvaguardare  gli
equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia
e delle finanze, di concerto con il Ministro per i  rapporti  con  le
regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre  di
ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari  per  l'attuazione  del
comma 1, nonche' le modalita' di  attribuzione  allo  Stato  ed  alle
restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso
il rispetto  dei  tetti  complessivi,  fissati  dalla  legge  per  il
concorso dello Stato e  delle  predette  regioni  alla  realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento» (comma
2). 
    La  disposizione  in  esame  viola  gli  artt.  3  e  119   della
Costituzione. 
    5.1. - La Regione Sardegna e' tra le  otto  Regioni  incluse  nel
c.d. «Piano per il Sud», ossia nel programma di attivita' strategiche
che il Governo ha varato nel novembre del 2010 proponendosi  il  fine
di «creare nel Mezzogiorno un ambiente  favorevole  e  pre-condizioni
adeguate al pieno dispiegamento delle sue potenzialita' di sviluppo»,
a fronte del «divario di sviluppo tra il Mezzogiorno ed il resto  del
Paese  [...]  da  oltre  40  anni  immutato  nelle   sue   dimensioni
quantitative» e del «divario  nel  Pil  pro  capite  del  Mezzogiorno
rispetto al Centro Nord [...] oggi all'incirca uguale a quello  degli
anni '60» (cosi' si legge nella relazione esplicativa del Piano). 
    Al contrario, la Regione Sardegna non e' inclusa tra  le  Regioni
che possono partecipare al c.d. «Obiettivo  Convergenza»  dell'Unione
Europea, che e' stato varato con il Regolamento CE n. 1083  del  2006
al  fine  di  promuovere  una  maggiore  armonizzazione  e   coerenza
nell'utilizzo dei  fondi  strutturali  europei  (si  veda,  a  questo
proposito, il Considerando n. 9 del cit. Regolamento), in quanto  non
rientra nei  parametri  che  individuano  le  Regioni  e  gli  ambiti
territoriali ammissibili, stabiliti in base  al  «sistema  comune  di
classificazione delle regioni» introdotto dal Regolamento CE n.  1059
del 2003 (cfr. art. 5 del Reg. CE n. 1083 del 2006; si veda anche  il
documento della Commissione Europea «European  Cohesion  in  Italy  -
Cohesion policy 2007-2013»). 
    5.2. - La disposizione  in  esame  prevede  che  le  Regioni  non
inserite nell'«Obiettivo Convergenza», ma che  presentano,  comunque,
quella  situazione  di  mancato  sviluppo  che  ne   ha   determinato
l'inserimento nel Piano per il Sud, come e' la Regione Sardegna,  non
solo non  si  vedono  riconoscere  i  benefici  di  cui  al  comma  1
dell'articolo 5-bis, ma subiscono anche i  pregiudizi  derivanti  dal
comma 2, essendo obbligate a cofinanziare  le  risorse  destinate  al
sostegno di altre Regioni alle quali, comunque,  sono  accomunate  da
una condizione di arretratezza rispetto agli indicatori  di  sviluppo
nazionali. 
    Pertanto la disposizione in esame: 
        i) viola  l'art.  3  della  Costituzione  pel  profilo  della
disparita' di trattamento, in quanto  considera  in  maniera  diversa
Regioni e aree del paese  che,  pure,  presentano  gli  stessi  gravi
problemi di mancato sviluppo sociale ed economico; 
        ii) viola l'art.  3  pel  profilo  dell'irragionevolezza,  in
quanto, al fine di  colmare  le  diseguaglianze  strutturali  tra  le
diverse aree del Paese, richiede maggiori  oneri  a  Regioni  che  lo
stesso  Stato  ha  ritenuto,  con  il  «Piano  Sud»   meritevoli   di
beneficiare  di  un  particolare  sforzo  di  sostegno   sociale   ed
economico; 
        iii) viola l'art. 119 Cost., ed in particolare il terzo e  il
quinto comma, in quanto aggrava le diseguaglianze tra Regioni ed aree
del Paese arretrate quanto alle condizioni di sviluppo,  contrastando
in maniera frontale con il  principio  di  perequazione,  coesione  e
solidarieta' sociale ivi previsto. 
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11 del d.l.  n.  138
del 2011,  per  come  convertito  in  legge  n.  148  del  2011,  per
violazione dell'art. 117 della Costituzione,  in  combinato  disposto
con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. L'art. 11 del d.l.  n.
138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011,  concerne
la fattispecie dei tirocini  formativi.  Essa  attiene  alla  materia
della formazione professionale, che, ai sensi del combinato  disposto
dell'art. 117, comma 3, e 117, comma 4, della Costituzione appartiene
alla competenza residuale della  Regione,  in  quanto  la  formazione
professionale  e'  esplicitamente  esclusa  dall'ambito   applicativo
dell'art. 117, comma 3, Cost. 
    Come e' ben noto, l'art. 10 della 1. cost. n. 3 del 2001, a tenor
del  quale  «Sino  all'adeguamento   dei   rispettivi   statuti,   le
disposizioni della presente legge costituzionale si  applicano  anche
alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e
di Bolzano per le parti in cui  prevedono  forme  di  autonomie  piu'
ampie  rispetto  a  quelle  gia'  attribuite».  Cio'  significa  che,
appartenendo la formazione professionale  alla  competenza  residuale
delle Regioni ordinarie, tale materia non puo' non  avere  almeno  il
medesimo regime nel caso della Regione Sardegna. 
    Che  sia   cosi'   e'   stato   puntualmente   verificato   dalla
giurisprudenza costituzionale. Ad esempio, nella  sent.  n.  271  del
2009, codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  ha  affermato  che  «in
materia di professioni, la giurisprudenza della Corte  e'  ferma  nel
senso  che  compete   allo   Stato   l'individuazione   dei   profili
professionali e dei requisiti necessari per il relativo esercizio. Se
[...] rientrano certamente nella competenza statale  l'individuazione
delle figure professionali,  e  i  relativi  profili  ed  ordinamenti
didattici, non si spiega per  quale  motivo  le  Regioni,  dotate  di
potesta' primaria in materia di formazione professionale, non possano
regolare corsi di formazione  relativi  alle  professioni  turistiche
gia'   istituite   dallo   Stato.   In   base   alla   giurisprudenza
costituzionale,  "in  materia   di   formazione   professionale,   la
definizione dei programmi e l'organizzazione dei  corsi  spetta  alla
sfera delle attribuzioni regionali, salva la  presenza  di  possibili
forme di coordinamento e controllo centrale"  (sentenza  n.  372  del
1989, nonche' sentenza n. 50 del 2005)». 
    La disposizione censurata (in particolar modo il comma 1, secondo
periodo), attiene proprio alla organizzazione  dei  programmi  e  dei
corsi di tirocinio professionale, in quanto ne  definisce  la  durata
massima e i soggetti  che  ne  possono  essere  beneficiari.  Palese,
dunque, la sua illegittimita'. 
    6.1. - Il comma 2 dell'art. 11 in questione,  infine,  prevedendo
l'applicazione del regolamento di attuazione dell'art. 18 della legge
n. 196 del 2007, viola anche l'art. 117, comma 6,  Cost.,  che  vieta
l'adozione di regolamenti statali in materie di competenza  regionale
(principio ribadito di recente da codesta Ecc.ma Corte costituzionale
nella sent. n. 325 del 2010, punto 12.6 del Considerato in diritto). 
    Ne' si potrebbe obiettare che  la  disposizione  potrebbe  andare
esente da censure perche' il legislatore ha  previsto  l'applicazione
del   regolamento   statale   solo   «in   assenza   di    specifiche
regolamentazioni  regionali».  Infatti,  la  forma  regolamentare  e'
comunque illegittima e non  puo'  trovare  fondamento  in  una  legge
statale che, a sua volta, e'  viziata  proprio  perche'  pretende  di
consentire ai regolamenti di estendersi ad un  dominio  che  e'  loro
sottratto. 
    7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14 del d.l.  n.  138
del 2011,  per  come  convertito  in  legge  n.  148  del  2011,  per
violazione degli artt. 15 e 16 della  legge  cost.  n.  3  del  1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna, e degli artt. 3, 116 e  119
Cost. L'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito in legge n.
148 del 2011, impone alle Regioni, compresa la Sardegna,  di  ridurre
il numero dei consiglieri regionali e degli assessori, nonche' i loro
emolumenti,  per  poter  essere  collocate  nella  classe   di   enti
territoriali piu' virtuosa, al fine della distribuzione  degli  oneri
di partecipazione agli  obiettivi  di'  finanza  pubblica  nazionale,
giusta l'art. 20, comma 3, del d.l. n. 98 del 2011. 
    Il secondo comma dell'articolo in  esame  prevede,  poi,  che  la
riduzione  di  assessori  e  consiglieri  regionali  e   delle   loro
indennita' sia anche una condizione necessaria per gli interventi  di
perequazione  e  solidarieta'  in  favore  delle  Regioni  a  statuto
speciale previsti dall'art. 27, comma 2 cpv., della legge n.  42  del
2009. 
    7.1. - La disposizione in esame viola, anzitutto, l'art. 16 dello
Statuto sardo, che stabilisce direttamente il numero  dei  componenti
del Consiglio regionale della Sardegna. Violato e'  anche  l'art.  15
dello Statuto, che affida  alla  legge  regionale  la  determinazione
della forma di governo della  Regione  e  dei  rapporti  fra  i  suoi
organi. Non v'e' dubbio, infatti, che  anche  la  determinazione  del
numero (e degli stessi emolumenti) dei consiglieri e degli  assessori
regionali incide sui rapporti tra gli  organi  istituzionali  che  ne
qualificano la forma di governo. 
    Piu' in generale, e' violata l'autonomia della  Regione  Sardegna
nella determinazione della propria organizzazione interna,  garantita
dall'art. 116 Cost. Infine, sono violati anche  gli  artt.  3  e  119
Cost., perche' la doverosa applicazione del principio di perequazione
e' irragionevolmente subordinata alla rinuncia della Regione alla sua
autonomia costituzionalmente garantita. 
    Non basta. Considerato che lo  Statuto,  ai  sensi  dell'art.  54
dello stesso, si puo' riformare solo con  il  procedimento  stabilito
per la revisione costituzionale, l'adeguamento ai parametri dell'art.
14, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011  non  e'  nella  disponibilita'
della Regione Sardegna, che puo' solamente avviare il procedimento di
revisione, ma non puo' portarlo a compimento (tanto e' vero che  sono
stati presentati al Senato due disegni di legge costituzionale - A.S.
2923, d'iniziativa del sen. Sanna e altri;  A.S.  2976,  d'iniziativa
del sen. Cabras e altri - per la riforma, tra gli altri, dell'art. 16
dello Statuto  sardo  e  la  conseguente  riduzione  del  numero  dei
consiglieri regionali). 
    Questo  elemento  aggrava  i  profili  di  illegittimita'  e   di
irragionevolezza della disposizione censurata, che, ancora una volta,
contribuisce a creare un meccanismo perverso di  distribuzione  degli
oneri di finanza pubblica tra gli enti territoriali, che non tiene in
alcun  conto  la  specifica  situazione   della   Regione   Sardegna,
determinata, nel caso di specie, dalle  regole  che  disciplinano  le
fonti dell'autonomia speciale. 
    Si giunge cosi' ad un duplice paradosso. Anzitutto,  la  Sardegna
e' resa responsabile per scelte (come quelle relative al  numero  dei
consiglieri regionali) delle  quali  non  ha  la  disponibilita'.  In
secondo luogo, essa, pur essendo  ad  autonomia  speciale  (cosa  che
importa, di conseguenza, una maggiore autonomia anche  finanziaria  e
di bilancio), e pur essendo una Regione che (come si e'  visto  nelle
censure  relative  all'art.   5-bis)   necessita   di   provvedimenti
straordinari  per  il  proprio  sviluppo  socio-economico,  in  forza
dell'art. 14 qui censurato non puo' ottenere la  migliore  classe  di
merito nel riparto di cui all'art. 20 del d.l.  n.  98  del  2011,  o
beneficiare degli interventi di perequazione  previsti  dall'art.  27
della legge n. 42 del 2009, se  non  in  ragione  dell'intervento  di
fonti non proprie, ovvero della rinuncia ad attribuzioni che le  sono
garantite a livello costituzionale. 
    8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.l.  n.  138
del 2011,  per  come  convertito  in  legge  n.  148  del  2011,  per
violazione dell'art. 3 della legge  cost.  n.  3  del  1948,  recante
Statuto speciale per la Sardegna, e dell'art. 117 della Costituzione.
L'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito in legge  n.  148
del 2011, regola la costituzione, le attribuzioni, l'organizzazione e
il funzionamento delle unioni di comuni, e detta ulteriori norme  sui
comuni  stessi,  fissando  una  disciplina  di  estremo  dettaglio  e
particolarmente  stringente.  In  particolare,  l'articolo  in  esame
stabilisce i criteri per la costituzione obbligatoria  e  facoltativa
delle unioni (commi da 1 a 3) e per l'esercizio obbligatorio in forma
associata delle funzioni fondamentali dei comuni (commi 22 e 24),  il
procedimento per la redazione dei bilanci di previsione (comma 4), il
procedimento per la costituzione dell'unione stessa (commi  8  e  9),
gli organi di governo dell'unione e le rispettive competenze,  (commi
10 sgg.). I commi da 17 a 21, 25 e 26, invece,  dettano  disposizioni
relative alla composizione degli organi di governo e di controllo dei
comuni che non sono obbligati a costituire  un'unione,  nonche'  allo
svolgimento delle loro funzioni istituzionali e alla  rendicontazione
delle spese di rappresentanza. Il comma 27 stabilisce i nuovi criteri
di definizione degli enti locali cui e' fatto divieto  di  costituire
societa'. Il comma 28 prevede la verifica,  da  parte  del  Prefetto,
dell'avvenuta soppressione dei consorzi  di  funzioni  tra  gli  enti
locali, di cui all'art. 2, comma 186, lettera e), della legge n.  191
del 2009, e l'eventuale esercizio di poteri sostitutivi da parte  del
Presidente del Consiglio dei Ministri. I commi 30 e 31 prevedono  che
l'applicazione dell'articolo non  debba  produrre  nuovi  o  maggiori
oneri per la finanza pubblica e che siano assoggettati  al  patto  di
stabilita' interno tutti i comuni con popolazione  superiore  a  1000
abitanti. 
    L'intero articolo in esame, il cui contenuto precettivo e'  stato
qui brevemente riassunto, viola l'art. 3, comma  1,  lett.  b)  dello
Statuto della Sardegna, nonche', limitatamente al comma 4, ult. cpv.,
anche l'art. 117, comma 6, Cost. 
    8.1. - La Regione non ignora che il comma 29  del  cit.  art.  16
prevede  che  «le  disposizioni  [...]   si   applicano   ai   comuni
appartenenti  alla  regioni  a  statuto  speciale  ed  alle  province
autonome di Trento e Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni
e province medesime, delle relative norme  di  attuazione  e  secondo
quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009,  n.  42».
Tuttavia quella che sembra una  disposizione  di  salvaguardia  delle
competenze delle autonomie speciali, a ben  vedere,  non  esclude  la
lesione delle attribuzioni della Sardegna, per due ordini di motivi. 
    In primo luogo si deve considerare che l'art. 3, comma 1, lettera
b), dello Statuto della Sardegna  dispone  che  «In  armonia  con  la
Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica
e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli  interessi
nazionali,   nonche'   delle   norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali  della   Repubblica,   la   Regione   ha   potesta'
legislativa nelle seguenti materie: [...] b) ordinamento  degli  enti
locali e delle relative  circoscrizioni».  E'  dunque  evidente  che,
essendo garantito dall'art. 3, comma 1, lettera b) dello Statuto alla
Regione Sardegna una sfera  di  autonomia  legislativa  esclusiva  in
materia  di  «ordinamento  degli  Enti  Locali   e   delle   relative
circoscrizioni», la semplice  applicazione  dell'art.  16  agli  enti
territoriali sardi, ancorche' nelle modalita' di cui al comma 29,  e'
gia' di per se' lesiva dell'autonomia regionale.  La  previsione  del
comma 29 appare, dunque, meramente di  stile,  perche'  la  normativa
statale, nella materia di cui al citato art. 3, comma 1, lettera  b),
dello Statuto, non puo' avere alcun  ingresso,  nemmeno  nelle  forme
cautelative della previsione qui censurata. 
    In secondo luogo, l'articolo in esame non introduce una normativa
di carattere generale o  limitata  ai  principi  di  semplificazione,
accorpamento di funzioni e riduzione degli enti non necessari, bensi'
un'autoritativa e unilaterale determinazione del livello  demografico
della  c.d.  intercomunalita',  cui  segue  una  regolamentazione  di
estremo  dettaglio,  della  quale  la  Regione,  anche  attivando  le
procedure necessarie per il  rispetto  del  proprio  Statuto,  e  pur
applicandosi quanto previsto dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009,
non potrebbe che prendere atto e recepire in via automatica. 
    Proprio per questa ragione non si potrebbe obiettare che la norma
impugnata  appartenga  a   quelle   «fondamentali»   delle   «riforme
economico-sociali della Repubblica», poiche' essa regola con  estremo
dettaglio l'ordinamento degli enti locali,  senza  che  cio'  risulti
necessario  per  la  realizzazione  degli   obiettivi   di   maggiore
efficienza perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe  potuto
e dovuto lasciare alla Regione il potere di determinare le  modalita'
di   concreta   attuazione   del   principio   dell'intercomunalita',
adattandolo alle variegate realta' locali). 
    Per  queste  ragioni,  l'art.  16  del  d.l.  n.  138  del  2011,
nonostante la (pretesa) formula di salvaguardia del comma 29, lede le
attribuzioni conferite alla Sardegna dall'art. 3,  comma  1,  lettera
b), dello Statuto. 
    8.2.  -  In  particolare,  con  la  disposizione  in   esame   il
legislatore statale ha invaso le competenze  della  Regione  Sardegna
attraverso l'imposizione di forme associate  di  esercizio  non  solo
delle funzioni statali delegate agli  enti  locali,  ma  anche  delle
funzioni proprie dei comuni, nonche'  di  quelle  ad  essi  assegnate
dalle leggi regionali. Tale circostanza  consente  di  affermare  che
l'istituzione  obbligatoria  di  unioni  di  comuni,  la  contestuale
riduzione dei consigli comunali a puri organi di partecipazione e del
sindaco a  semplice  ufficiale  di  Governo  producono  l'effetto  di
determinare di fatto la soppressione dei  comuni  che  partecipano  a
questa forma associativa e la loro sostituzione con un nuovo tipo  di
ente  territoriale,  in  violazione  esplicita  della  competenza  in
materia  di  «ordinamento  degli  enti  locali   e   delle   relative
circoscrizioni» di cui al piu' volte citato art. 3, comma 1,  lettera
b), dello Statuto. 
    Quanto  ora  affermato  trova   conferma   nella   giurisprudenza
costituzionale, in cui  a  piu'  riprese  si  e'  statuito  che  alla
disposizione statutaria ora richiamata si deve dare l'interpretazione
piu' ampia  che  sia  consentita,  tanto  che  in  essa  deve  essere
ricompresa anche la potesta' di istituire nuove  province  (sent.  n.
230 del 2001), nonche' quella di regolare la finanza locale (sent. n.
275 del 2007). 
    8.3. - Si deve aggiungere, infine, che il  comma  4,  ult.  cpv.,
dell'articolo in  esame  e'  specificamente  illegittimo,  in  quanto
prevede un regolamento statale in  materia  di  competenza  regionale
(cio' quanto al «procedimento amministrativo-contabile di  formazione
e di variazione del documento programmatico», ai «poteri di vigilanza
sulla   sua   attuazione»   e   alla   «successione   nei    rapporti
amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione», tutti ambiti
ricompresi  nella  materia  «ordinamento  degli  enti  locali»),   in
violazione dell'art. 117, comma 6, Cost.,  che  esclude  la  potesta'
regolamentare dello Stato nelle materie di competenza regionale. 
    9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 9,  lettera
b), del d.l. n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del
2011,  per  violazione  degli  artt.  5,  116,  117   e   119   della
Costituzione, 1, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge  cost.  n.  3  del  1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna. E' gia'  stato  oggetto  di
impugnazione da parte della Regione Sardegna (con il  citato  ricorso
iscritto al n. 96/2011 R. Ric.) l'art. 3, comma 20, del  d.l.  n.  98
del 2011. Detta disposizione e' stata impugnata nel testo  risultante
dall'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011 nella  sua
formulazione originaria, antecedente -  cioe'  -  la  conversione  ad
opera della legge n. 148 del 2011. Ora, come  si  e'  gia'  detto  in
narrativa, la legge n. 148 del 2011 ha disposto che l'art.  1,  comma
9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011 sia convertito in  legge  con
la seguente modificazione: «al comma 9, lettera b),  le  parole:  "di
cui a primi due periodi" sono sostituite dalle seguenti: "di  cui  ai
primi due periodi"». 
    Si tratta, con tutta evidenza, di  una  semplice  correzione  del
testo originario del decreto, ma fosse pure  per  tuziorismo  e'  qui
necessario impugnare  anche  la  nuova  versione  della  disposizione
contestata. Poiche' i vizi non sono - ovviamente - diversi da  quelli
gia' lamentati con il precedente gravame, devono essere qui replicate
le medesime censure gia' articolate nel citato ric. n. 96 del 2011. 
    9.1. - Nel testo emendato dall'art. 1, comma 9, lettera  b),  del
d.l. n. 138 del 2011, come convertito  in  legge  n.  148  del  2011,
l'art. 3, comma 20, del d.l. n. 98 del 2011 dispone quanto segue: 
    «Gli enti che, in esito a quanto previsto dal comma 2,  risultano
collocati nella classe piu' virtuosa, fermo l'obiettivo del comparto,
non concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica
fissati,  a  decorrere  dall'anno  2012,   dal   comma   5,   nonche'
dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010. Gli enti locali di
cui al primo periodo conseguono l'obiettivo  strutturale  realizzando
un saldo finanziario pari a zero. Le regioni di cui al primo  periodo
conseguono un obiettivo pari a  quello  risultante  dall'applicazione
alle  spese  finali  medie  2007-2009  della  percentuale  annua   di
riduzione  stabilita  per  il   calcolo   dell'obiettivo   2011   dal
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. [...]» (la sottolineatura  segnala
la sostituzione intervenuta con l'art. 1, comma 9,  lettera  b),  del
d.l. n. 138 del 2011, come conv. in legge n. 148  del  2011,  oggetto
della presente impugnazione). 
    La disposizione in esame stabilisce le premialita' assegnate agli
enti che ottengono la migliore classe di merito nella valutazione  di
cui all'art. 20, comma 2, del d.l. n. 98 del 2011. 
    Il meccanismo regolato dal cit. comma  2,  invero,  e'  anch'esso
illegittimo, in quanto  l'attribuzione  della  classe  di  merito  e'
stabilita in ragione di criteri (stabiliti dai commi 2, 2-bis e 2-ter
dell'art. 20)  che  sono  del  tutto  incongruenti  con  la  modifica
dell'art. 8 dello Statuto della Sardegna intervenuta nel 2006,  della
quale  non  tengono  alcun  conto,  con  conseguente  grave   lesione
dell'autonomia della Regione Sardegna. 
    Per comodita' d'esposizione, si riportano di seguito i  commi  2,
2-bis e 2-ter dell'art. 20 del d.l. n. 98 del 2011,  nei  quali  sono
stabiliti, come si e' detto, i criteri mediante i quali si  determina
la  virtuosita'   economico-finanziaria   degli   enti   territoriali
assoggettati al patto di stabilita'. 
    «2.  Ai  fini  di  ripartire  l'ammontare   del   concorso   alla
realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza  pubblica   fissati,   a
decorrere dall'anno 2012, dal comma 5, nonche' dall'articolo  14  del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010, tra gli enti del singolo livello di governo, i
predetti enti sono ripartiti con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze, di concerto con il  Ministro  dell'interno  e  con  il
Ministro per gli affari regionali e  per  la  coesione  territoriale,
d'intesa con la  Conferenza  unificata  di  cui  all'articolo  8  del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in quattro classi,  sulla
base  dei  seguenti  parametri   di   virtuosita':   a)   prioritaria
considerazione  della  convergenza  tra  spesa  storica  e  costi   e
fabbisogni standard; b) rispetto del patto di stabilita' interno;  c)
incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in
relazione al numero  dei  dipendenti  in  rapporto  alla  popolazione
residente, alle funzioni svolte  anche  attraverso  esternalizzazioni
nonche' all'ampiezza del  territorio;  la  valutazione  del  predetto
parametro tiene conto del suo valore all'inizio della  legislatura  o
consiliatura e delle sue variazioni nel corso delle  stesse  ai  fini
dell'applicazione del  comma  2-ter;  d)  autonomia  finanziaria;  e)
equilibrio di parte corrente; f) tasso di  copertura  dei  costi  dei
servizi a domanda individuale per gli enti locali;  g)  rapporto  tra
gli introiti derivanti dall'effettiva  partecipazione  all'azione  di
contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le  regioni;
h) effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto
all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate  di  parte  corrente
riscosse e accertate; l) operazione di dismissione di  partecipazioni
societarie nel rispetto della normativa vigente. 
    2-bis. A decorrere dalla determinazione  dei  livelli  essenziali
delle prestazioni e dalla definizione degli obiettivi di servizio cui
devono tendere gli enti territoriali  nell'esercizio  delle  funzioni
riconducibili  ai  livelli  essenziali  delle  prestazioni  e   delle
funzioni fondamentali, tra i parametri di virtuosita' di cui al comma
2 sono compresi indicatori quantitativi e qualitativi  relativi  agli
output  dei  servizi  resi,  anche  utilizzando  come  parametro   di
riferimento realta' rappresentative dell'offerta di  prestazioni  con
il miglior rapporto qualita-costi. 
    2-ter. Il decreto di cui al comma 2 individua un coefficiente  di
correzione connesso alla dinamica nel miglioramento conseguito  dalle
singole amministrazioni rispetto  alle  precedenti  con  riguardo  ai
parametri di cui al citato comma 2». 
    I criteri ora  riportati  sono  illegittimi  per  le  ragioni  di
seguito indicate, gia' messe in luce nel cit. ric. n. 96 del  2011  e
ora, per tuziorismo, qui  ribadite  a  fronte  della  (pur  meramente
formale) modificazione della norma censurata. 
    i) Il criterio di cui alla  lettera  a),  convergenza  tra  spesa
storica e costi e fabbisogni standard, pone la Regione Sardegna sullo
stesso piano degli altri Enti territoriali. Cio'  appare  doppiamente
lesivo dell'autonomia  della  ricorrente.  Anzitutto,  e'  lo  stesso
criterio generale del costo standard che risulta  inapplicabile  alla
Regione Sardegna, le cui spese,  in  ragione  dell'insularita',  sono
caratterizzate da una curva dei costi diversa  da  quella  ordinaria.
Non tenendo conto di questo dato il legislatore statale  ha  violato,
all'un tempo, l'art. 3 della Costituzione, pei profili  dell'indebita
equiparazione fra situazioni diverse  e  dell'irragionevolezza  delle
sue scelte,  e  gli  artt.  5,  116,  117  e  119,  che  garantiscono
l'autonomia  della  Regione  Sardegna,  con  particolare  riferimento
(quanto all'art. 116) alla sua specialita' e  (quanto  all'art.  119)
alla sua autonomia finanziaria. Violato, altresi', e' lo  Statuto  di
autonomia, con particolare riferimento agli artt. 1 (che  costituisce
la Sardegna in Regione autonoma), 3, 4 e 5 (che elencano le  funzioni
regionali, il cui esercizio e' palesemente pregiudicato dall'adozione
del  criterio  ora  descritto)  e  7   (che   riconosce   l'autonomia
finanziaria della Regione). Specificamente violato, pero', e' il gia'
piu' volte ricordato art. 8 dello Statuto. Esso,  infatti,  e'  stato
modificato proprio perche' si  e'  constatata  l'inadeguatezza  delle
entrate regionali rispetto alle spese necessarie  per  l'assolvimento
delle funzioni, con la conseguenza che e' la stessa norma  statutaria
(che il d.l. n. 98 - ora novellato con la norma censurata  -  avrebbe
dovuto rispettare) a presuppone che la spesa regionale dovesse essere
finanziata con un maggiore ammontare delle entrate. Ora, aver imposto
alla Regione Sardegna la convergenza sui costi standard  senza  alcun
adattamento   alle   condizioni   peculiari    dell'ente,    connesse
all'insularita', ma anche e soprattutto al regime  normativo  dettato
dallo  Statuto,  e'   violativo   dell'art.   8   dello   Statuto   e
irragionevole. 
    ii) Anche il criterio di cui alla lettera b), rispetto del  patto
di stabilita' interno,  e'  illegittimo.  E'  ovvio  che  la  Regione
Sardegna  non  puo'  essere  sottratta  al  rispetto  del  patto   di
stabilita', ne' essa  lo  pretende.  Nondimeno,  e'  ben  diversa  la
condizione   delle   Regioni   che   posseggono   risorse    adeguate
all'assolvimento delle funzioni istituzionali e quella delle  Regioni
che,  per  esplicito  riconoscimento  statutario,  tali  risorse  non
posseggono   (sicche'   possono   essere   costrette   a    ricorrere
all'indebitamento).  La  mancata   considerazione   della   peculiare
situazione della  Regione  Sardegna  risulta  violativa  di  tutti  i
parametri invocati al precedente numero. 
    iii) Il criterio di cui  alla  lettera  d)  del  comma  2,  ossia
l'autonomia finanziaria dell'ente, sarebbe, di per se',  ragionevole.
Nondimeno, nel caso specifico della Sardegna,  per  le  ragioni  piu'
volte indicate, finisce per essere illogico, atteso  che  la  vicenda
dell'art. 8 dello Statuto dimostra come la Regione non avesse (e  non
abbia, visto che alla novella statutaria  non  si  e'  data  piena  e
corretta esecuzione) alcuna possibilita' di esercitare  correttamente
la  propria  autonomia  finanziaria,  a  causa   della   riconosciuta
insufficienza delle risorse. Anche qui,  dunque,  abbiamo  violazione
degli artt. 3 (pei profili dell'irragionevolezza e  della  disparita'
di trattamento) 5, 116, 117 e 119  della  Costituzione  (pel  profilo
della garanzia dell'autonomia della Regione Sardegna, con particolare
riferimento alla sua specialita' e alla sua autonomia finanziaria), 1
(pel profilo della costituzione della Sardegna in Regione  autonoma),
3, 4 e 5 (pel profilo del riconoscimento delle funzioni regionali), 7
(pel profilo  del  riconoscimento  dell'autonomia  finanziaria  della
Regione) e 8 (pel profilo  della  mancata  considerazione  del  nuovo
regime finanziario della Regione, che avrebbe imposto un  trattamento
differenziato della ricorrente) dello Statuto di autonomia. 
    iv) Il criterio di cui alla lettera  e),  ossia  l'equilibrio  di
parte corrente nel bilancio dell'Ente, e' anch'esso irragionevole  in
quanto non considera che  l'equilibrio  della  spesa  corrente  della
Sardegna puo' essere conseguito solamente attraverso la piena entrata
a regime del nuovo sistema di compartecipazione alle entrate erariali
disposto dall'art. 8 dello Statuto, che -  come  detto  -  lo  stesso
legislatore statale ha ritenuto essenziale. Anche in questo caso,  la
mancata considerazione della specificita' della ricorrente  determina
la violazione dei parametri piu' volte invocati (che qui si danno per
interamente richiamati). 
    v) I commi  2-bis  e  2-ter  dell'art.  20  stabiliscono  criteri
connessi  alla  qualita'  dei  servizi  (il   comma   2-bis)   o   al
miglioramento dei paradigmi di virtuosita' di  cui  al  comma  2  (il
comma 2-ter) che la Regione Sardegna non e' in grado di osservare con
le medesime chances di successo delle altre Regioni, a causa,  ancora
una volta, della conclamata insufficienza delle  risorse  attribuite.
Ne  derivano,  di  bel  nuovo,  irragionevolezza  e   disparita'   di
trattamento (nei confronti delle altre Regioni) e violazione dei gia'
invocati  parametri   costituzionali   e   statutari   che   tutelano
l'autonomia della Regione. 
    9.3. - Dall'illegittimita', per le ragioni anzidette, dei criteri
di distinzione  degli  enti  territoriali  nelle  diverse  classi  di
merito, deriva l'illegittimita' della stessa misura premiale per  gli
enti piu' virtuosi stabilita dal comma 3 dell'art.  20.  Ne  consegue
che  il   cit.   comma   3   viola   gli   artt.   3   (pei   profili
dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento) 5, 116,  117
e 119 della Costituzione (pel profilo della  garanzia  dell'autonomia
della  Regione  Sardegna,  con  particolare  riferimento   alla   sua
specialita' e alla sua autonomia finanziaria), 1 (pel  profilo  della
costituzione della Sardegna in Regione  autonoma),  3,  4  e  5  (pel
profilo del riconoscimento  delle  funzioni  regionali,  pregiudicate
dall'assoggettamento ad una competizione unfair), 7 (pel profilo  del
riconoscimento dell'autonomia finanziaria della  Regione)  e  8  (pel
profilo della mancata considerazione  del  nuovo  regime  finanziario
della Regione, che avrebbe imposto un trattamento differenziato della
ricorrente) dello Statuto di autonomia. 
    9.4. - Tutto questo dimostra - si confida - che la nuova versione
dell'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, per  come
conv. in legge n. 148  del  2011,  e'  essa  pure  costituzionalmente
illegittima, soffrendo dei medesimi vizi  che  gia'  affliggevano  la
versione precedente e che si sono lamentati con il  ric.  n.  96  del
2011,  e  sono  stati  ora  ribaditi  in  riferimento  alla  presente
impugnazione. 
    10. - Illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  1,  comma  9,
lettera b), 2, comma 36, 3, comma 4, 4, 5-bis, 14 e 16  del  d.l.  n.
138 del 2011 come conv. in legge n.  138  del  2011,  per  violazione
degli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, e agli artt. 3,  7  e  8
della legge cost. n. 3 del 1948,  recante  Statuto  speciale  per  la
Sardegna. L'illegittimita' costituzionale degli  artt.  1,  comma  9,
lettera b), 2, comma 36, 3, comma 4, 4, 5-bis, 14 e 16  del  d.l.  n.
138 del 2011, per come  convertiti  dalla  legge  n.  148  del  2011,
censurati per le ragioni elencate nei paragrafi  precedenti,  ridonda
anche nella lesione complessiva della sfera di autonomia regionale in
ragione del pregiudizio che la Sardegna subisce a causa della mancata
considerazione del novellato art. 8 dello Statuto e  della  specifica
situazione  economico-finanziaria  della  Regione  Sardegna  che   ha
indotto il legislatore statale ad  approvare  l'art.  1,  comma  834,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha novellato l'art. 8 dello
Statuto ampliando le fonti delle entrate della Regione  Sardegna.  Le
disposizioni che concernono le entrate tributarie ed erariali nonche'
le spese degli enti territoriali, infatti, non solo non  prevedono  -
illegittimamente - l'entrata a regime del nuovo  sistema  di  entrate
regionali della Sardegna, ma addirittura ne pregiudicano gli effetti,
penalizzando la Regione anche  rispetto  alla  sua  (gia'  deteriore)
condizione anteriore alla revisione dello Statuto. 
    Si e'  gia'  ricordato  in  premessa  che  la  stessa  Ragioneria
Generale dello Stato, nell'imminenza della riforma dell'art. 8  dello
Statuto,  ha  affermato  la  necessita'  di  modificare  e   comunque
aumentare le fonti  delle  entrate  regionali,  in  modo  da  evitare
l'elusione delle garanzie statutarie dell'autonomia  economica  della
Regione e da consentire  «il  tempestivo  adeguamento  delle  entrate
regionali   alle   mutevoli    necessita'    di    spesa    derivanti
dall'espletamento delle funzioni normali della  Regione»  (cit.  Nota
0102482 del  2005  del  Ragioniere  Generale  dello  Stato).  Con  le
disposizioni in epigrafe citate del d.l. n. 138 del 2011 si  produce,
ancora una volta, proprio lo svilimento  dell'autonomia  di  bilancio
della Sardegna e il peggioramento del quadro normativo entro  cui  la
Regione e' costretta  a  muoversi  per  rispettare  gli  obblighi  di
finanza  pubblica  e  per  adempiere  alle   funzioni   istituzionali
attribuite dallo Statuto. 
    In particolare: 
        l'art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, come
convertito in legge n. 148 del 2011, pur  introducendo  una  semplice
correzione formale al testo originario, per cio' stesso  conferma  la
soggezione della Regione Sardegna ad  un  meccanismo  di  sanzioni  e
premialita'  connesso  al  patto  di  stabilita'   interno   che   e'
caratterizzato da criteri irragionevoli se applicati ad un Ente, qual
e' la Sardegna, che e' in  attesa  di  ottenere  le  risorse  cui  ha
diritto in forza del proprio Statuto; 
        l'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011 distoglie  dalla
finanza regionale  rilevantissime  risorse,  alle  quali  la  Regione
avrebbe  diritto  perche'  ricomprese  nelle  entrate  tributarie  ed
erariali menzionate nell'art. 8 dello Statuto. Tale manovra in  danno
delle casse regionali deve essere censurata anche,  in  relazione  al
principio di ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  Cost.,  in  quanto
determina un  livello  delle  risorse  regionali  incoerente  con  la
novella  dell'art.  8  dello  Statuto,  con  la  conseguenza  che  la
disposizione impugnata risulta censurabile anche  in  riferimento  al
principio di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.,  per  l'intima
contraddittorieta' che l'affligge; 
        l'art. 3, comma 4, e l'art. 14  del  d.l.  n.  138  del  2011
aggiungono  ulteriori  criteri  per  la  classificazione  degli  enti
territoriali  in  distinte  classi  di  merito   rilevanti   per   la
distribuzione degli oneri necessari al conseguimento degli  obiettivi
di finanza pubblica. In questo modo, in considerazione del fatto  che
la Sardegna ancora non beneficia  dell'entrata  a  regime  del  nuovo
sistema di  entrate  regionali  di  cui  all'art.  8  dello  Statuto,
l'illegittimo pregiudizio per la Regione gia' introdotto  con  l'art.
20 del d.l. n. 98 del 2011 e' ancor  piu'  aggravato.  Il  danno  per
l'autonomia e la  finanza  regionale  aumenta  ancor  piu'  anche  in
ragione del fatto  che  il  criterio  di  valutazione  della  finanza
territoriale di cui all'art. 3, comma 4, del d.l.  n.  138  del  2011
utilizza indici totalmente estranei, come si  e'  visto,  al  sistema
della finanza pubblica, mentre l'abbattimento dei c.d.  «costi  della
politica» della Regione e' in una  parte  essenziale  sottratto  alla
disponibilita' della Sardegna, dato che per la riforma dello  Statuto
si procede nelle modalita' della revisione costituzionale; 
        l'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011,  nonostante  attenga  alla
materia dei servizi pubblici locali, non lede  l'autonomia  regionale
per i soli profili  gia'  esaminati  al  motivo  n.  5  del  presente
ricorso, ma  produce  anch'esso  effetti  sull'autonomia  finanziaria
della Regione. Questo sia perche' il comma 14  impone  alle  societa'
c.d.  «in  house»  affidatarie  dirette  della  gestione  di  servizi
pubblici locali l'assoggettamento al patto di stabilita', sia perche'
l'esercizio  dei  servizi  pubblici  locali  importa  senz'altro   lo
svolgimento di  funzioni  pubbliche  che  necessitano  di  specifiche
risorse. Cio' considerato, da una parte l'affidamento, la gestione  e
il controllo sui servizi pubblici locali e' impedito o comunque  reso
piu' difficoltoso dal fatto che la Regione  Sardegna  non  ha  ancora
ottenuto le risorse  cui  ha  diritto  in  forza  dell'art.  8  dello
Statuto,  dall'altra  l'imposizione  di  specifiche   modalita'   per
l'erogazione dei servizi pubblici determinata dal cit. art. 4 aggrava
la condizione economico-finanziaria  della  Regione.  Nel  complesso,
dunque,  risulta  violato  anche  il  principio   del   finanziamento
integrale   delle   funzioni   pubbliche   (definito   non   a   caso
«principio-cardine del nuovo sistema finanziario» in dottrina) di cui
all'art. 119 Cost., in quanto la mancata esecuzione dell'art. 8 dello
Statuto impedisce che la Regione abbia a disposizione, come  dovrebbe
essere in ossequio a detto principio, risorse  idonee  a  «finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (come  stabilito
dall'art. 119, comma 3, Cost.), tra cui vi e' l'esercizio dei servizi
pubblici locali, e che l'Ente possa adempiere alle  proprie  funzioni
senza essere condizionato da vincoli eterodeterminati alla  capacita'
di spesa; 
        l'art. 5-bis del d.l. n. 138 del 2011, come si e' gia' detto,
risulta illegittimo nella misura in cui  impone  anche  alle  Regioni
inserite nel  «Piano  per  il  Sud»  di  finanziare,  per  quanto  di
competenza, gli investimenti nelle Regioni  inserite  nell'«Obiettivo
Convergenza». Anche in questo  caso  i  profili  di  irragionevolezza
della  disposizione,  e  dunque  di  incostituzionalita',   risultano
aggravati dalla circostanza per cui la Regione non ha ancora ottenuto
le risorse economiche cui ha  diritto  in  forza  dell'art.  8  dello
Statuto. Non basta. L'imposizione di  oneri  finanziari  destinati  a
finanziare progetti  di  coesione  per  altre  Regioni  non  solo  e'
particolarmente odiosa per un Ente che non ha ancora ottenuto  quanto
di spettanza, ma e' anche idonea a vanificare  ex  ante  l'entrata  a
regime del nuovo sistema di  compartecipazione  della  Sardegna  alle
entrate erariali, in  quanto  le  maggiori  economie  richieste  alla
Regione  necessariamente  si  traducono   nell'annullamento,   almeno
parziale, del beneficio che l'art. 8  dello  Statuto  avrebbe  dovuto
produrre. Al  contrario,  logica  avrebbe  voluto  che,  al  fine  di
conciliare gli interventi di  coesione  territoriale  e  la  doverosa
osservanza dell'art. 8 dello Statuto sardo con la  tenuta  dei  saldi
della finanza  pubblica  nazionale,  il  legislatore  statale  avesse
distribuito su stesso e sulle altre Regioni,  in  maniera  equa,  gli
oneri conseguenti; 
        anche l'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011,  infine,  non  solo
viola la competenza regionale di cui all'art. 3, comma 1, lettera  b)
dello Statuto, per le ragioni gia' dette al punto n. 8  del  presente
ricorso, ma, considerata  la  particolare  situazione  della  Regione
Sardegna, e' idoneo ad incidere  sulla  autonomia  complessiva  e  in
particolare economico-finanziaria della Regione,  in  quanto  incide,
seppure indirettamente e intervenendo sull'organizzazione degli  enti
locali, sull'adempimento  delle  funzioni  pubbliche  delegate  dalla
Regione agli Enti locali. 
    Per tutte le ragioni anzidette, le  menzionate  disposizioni  del
d.l. n. 138 del 2011, anche per  quest'ulteriore  profilo  legato  in
punto di fatto e di diritto alla novella dell'art. 8 dello Statuto  e
alla mancata esecuzione dello stesso da parte  dello  Stato,  violano
l'art.  3  della  Costituzione  pel  profilo  sia  del  principio  di
ragionevolezza sia del principio di uguaglianza, e ledono l'autonomia
della  Regione  Sardegna  sia  per  quanto  riguarda  le   competenze
legislative (con violazione degli artt. 117  Cost.  e  3  e  4  dello
Statuto), sia per quanto riguarda le competenze  amministrative  (con
violazione ancora dell'art. 117, nonche' dell'art.  119  Cost.),  sia
per quanto riguarda l'autonomia economico-finanziaria (con violazione
ancora dell'art. 119  Cost.,  ma  anche  degli  artt.  7  e  8  dello
Statuto).