Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc. 00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro-tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale 23 dicembre 2011, n. 2929 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 27666 del 27 dicembre 2011 (doc. 2), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale rogante della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc. FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc. PDRNCL56R01G428C) dell'Avvocatura della Provincia di Trento e dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. MNZLGU34E15H501Y) di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via Confalonieri, n. 51; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 4, comma 90; 8, comma 3, secondo e terzo periodo, e comma 4; 14, commi da 1 a 6; 32, commi 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26 della legge 12 novembre 2011, n. 183, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre 2011, suppl. ord. n. 234; Per violazione: dell'art. 8, n. 1), n. 9), n. 12), n. 14), n. 20); dell'art. 9, n. 3), n. 7), n. 8); degli articoli 16, 74, 87, 88, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale), nonche' delle correlative norme di attuazione; del titolo VI dello statuto speciale, in particolare degli articoli 79, 80 e 81, e delle relative norme di attuazione (in particolare decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268); del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare articoli 2 e 4; degli articoli 3, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; del principio di leale collaborazione, per i profili di seguito illustrati. Fatto e diritto Premessa Il presente ricorso si riferisce ad alcune disposizioni della legge 12 novembre 2011, n. 183, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2012). Tale legge, conformemente alla sua natura, ha contenuto eterogeneo, e contenuto eterogeneo hanno anche le disposizioni qui impugnate. E' risultato percio' preferibile evitare una illustrazione generale in fatto, ed affrontare invece direttamente le singole disposizioni impugnate, esponendo in relazione a ciascuna di esse sia il contenuto che le censure e gli argomenti in diritto. 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 90. L'art. 4 della legge 12 novembre 2011, n. 183, e' intitolato riduzioni delle spese non rimodulabili dei Ministeri. Il comma 89 di tale disposizione stabilisce che «a decorrere dall'anno 2013 le competenze in materia di assistenza sanitaria al personale navigante ed aeronavigante, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n. 620, sono trasferite alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano». Corrispondentemente, il comma 91 dispone l'abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2013, del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 620. E' dunque previsto, in termini generali, il trasferimento delle competenze sia alle autonomie ordinarie che alle speciali. In relazione a queste, il comma 93 correttamente statuisce che "al trasferimento delle funzioni di cui al comma 89, per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano si provvede con apposite norme di attuazione in conformita' ai rispettivi statuti di autonomia» (enfasi aggiunta). Sennonche', in piena contraddizione con la norma specifica ora citata, il precedente comma 90, dispone esso stesso che «al trasferimento delle funzioni assistenziali di cui al comma 89 dal Ministero della salute alle regioni ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si provvede con regolamento da adottare ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, ... su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (enfasi aggiunta), con l'osservanza dei principi e criteri direttivi di seguito elencati. Ed anche tali principi direttivi menzionano in piu' punti menzionano le province autonome. Si tratta in particolare dei seguenti punti: «b) prevedere il conferimento alle regioni e province autonome delle funzioni in materia di pronto soccorso aeroportuale attribuite al Ministero della salute con contestuale trasferimento delle relative risorse»; «d) disciplinare il trasferimento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano del personale dipendente di ruolo del Ministero della salute attualmente in servizio presso gli ambulatori del servizio di assistenza sanitaria ai naviganti, con contestuale trasferimento delle relative risorse finanziarie e corrispondente riduzione delle strutture e delle dotazioni organiche del medesimo Ministero»; «e) disciplinare il trasferimento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano dei rapporti convenzionali relativi al personale convenzionato interno appartenente alle categorie dei medici, chimici biologi e psicologi, infermieri, fisioterapisti, tecnici sanitari di radiologia medica e tecnici di laboratorio biomedico con contestuale trasferimento delle relative risorse finanziarie»; «f) disciplinare il trasferimento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano dei vigenti rapporti convenzionali con i medici generici fiduciari con contestuale trasferimento delle relative risorse finanziarie»; «g) disciplinare il conferimento alle regioni e province autonome delle relative risorse strumentali»; «h) i criteri per la ripartizione, fra le regioni e le province autonome, delle risorse finanziarie complessive destinate alle funzioni assistenziali disciplinate dal presente comma». Ora, e' evidente che i due metodi di trasferimento - mediante norme di attuazione dello statuto e mediante regolamento - sono diversi ed incompatibili. Ed e' altresi' evidente - pur se di seguito sara' compiutamente illustrato - che mentre la disposizione del comma 93 e' pienamente corretta e legittima, quella del comma 90 e', in relazione alla ricorrente provincia, del tutto illegittima. Il presente intervento statale ricade chiaramente in una materia di competenza provinciale, e cio' sia che la si guardi in una prospettiva meramente statutaria, facendo riferimento alla competenza spettante alla Provincia in base all'art. 9, n. 10, dello statuto («igiene e sanita', ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera»), sia che la si consideri nella prospettiva del titolo V dopo la riforma del 2001, cioe' nella prospettiva della «tutela della salute» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.: materia che e' stata ritenuta da codesta Corte - ai sensi dell'art. 10 legge Cost. n. 3/2001 - piu' ampia della competenza statutaria (v., ad es., le sentt. 162/2007 e 240/2007). Trattandosi di una materia (a doppio titolo) di competenza provinciale, correttamente l'art. 4, comma 93, legge n. 183/2011 prevede che il trasferimento delle funzioni sia operato con norme di attuazione, in conformita' - per quel che riguarda le province autonome - all'art. 107 dello statuto speciale; ma, come noto, la necessita' di usare le norme di attuazione per il trasferimento delle funzioni e' stata ribadita, anche «in relazione alle ulteriori materie spettanti alla loro [delle regioni speciali] potesta' legislativa» ai sensi dell'art. 10 legge Cost. n. 3/2001, dall'art. 11 legge n. 131/2003. Non si comprende, dunque, come il comma 90, in totale contraddizione con il comma 93, stabilisca che «al trasferimento delle funzioni assistenziali di cui al comma 89 dal Ministero della salute alle regioni ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si provvede con regolamento». Il fatto che i principi direttivi di seguito fissati menzionino piu' volte le province autonome rende difficile ipotizzare un'interpretazione «correttiva» del comma 90, alla luce del comma 93 e dello statuto speciale. E' dunque necessario che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale del comma 90, in quanto esso viola la competenza della provincia in materia di sanita' derivante sia dall'art. 117, terzo comma, Cost., che dall'art. 9, n. 10, St., e la sfera di competenza riservata dall'art. 107 St. alla speciale fonte rappresentata dalle norme di attuazione dello statuto. Inoltre, il comma 90 prevede un regolamento statale in materia provinciale, cosi' violando il principio di esclusione dei regolamenti statali nelle materie regionali, risultante - oltre che da risalente giurisprudenza costituzionale - dall'art. 117, sesto comma, Cost. e, per quel che riguarda le province autonome, dall'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, che menziona solo gli «atti legislativi dello Stato» come fonti idonee a vincolare le leggi provinciali. 2) Illegittimita' dell'art. 8, comma 3, secondo e terzo periodo, e comma 4. L'art. 8 contiene disposizioni in materia di debito pubblico degli enti territoriali. Sono qui impugnati il comma 3, secondo e terzo periodo, ed il comma 4. Per la comprensione del ricorso, tuttavia, e' in primo luogo necessario espone il contenuto dei commi 1, 3 e 3, primo periodo, che pure non sono direttamente impugnati. Il comma 1 modifica l'art. 204, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, riducendo il limite massimo degli oneri che gli enti locali possono assumere, dal 2012 in poi, per interessi sui mutui e altre fattispecie analoghe. Dopo la modifica, l'art. 204, comma 1, dispone che, «oltre al rispetto delle condizioni di cui all'art. 203, l'ente locale puo' assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento reperibili sul mercato solo se l'importo annuale degli interessi sommato a quello dei mutui precedentemente contratti, a quello dei prestiti obbligazionari precedentemente emessi, a quello delle aperture di credito stipulate ed a quello derivante da garanzie prestate ai sensi dell'art. 207, al netto dei contributi statali e regionali in conto interessi, non supera il 12 per cento per l'anno 2011, l'8 per cento per l'anno 2012, il 6 per cento per l'anno 2013 e il 4 per cento a decorrere dall'anno 2014 delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l'assunzione dei mutui». Poiche' il comma l dell'art. 8 modifica il t.u. enti locali, l'innovazione introdotta ha lo stesso ambito di operativita' del testo unico: e dunque anche per essa opera la clausola di salvaguardia di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 267/2000, secondo cui «le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione». Il comma 2 dell'art. 8 modifica l'art. 10, comma 2, legge n. 281/1970, riducendo «l'importo complessivo delle annualita' di ammortamento per capitale e interesse dei mutui e delle altre forme di indebitamento in estinzione nell'esercizio considerato», che ora «non puo' comunque superare il 20 per cento dell'ammontare complessivo delle entrate tributarie non vincolate della regione» (prima il limite era il 25%). Poiche' la legge n. 281/1970 e' espressamente rivolta alle sole regioni ordinarie, anche tale disposizione non riguarda la ricorrente provincia. Il comma 3, primo periodo, dispone che «ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica a decorrere dall'anno 2013 gli enti territoriali riducono l'entita' del debito pubblico» (primo periodo). Tale disposizione non contiene espliciti riferimenti alle autonomie speciali o alle province autonome, e dunque verosimilmente non si riferisce ad esse. Ma se pure fosse ad esse riferibile, per il suo carattere di principio fondamentale e per il suo contenuto gia' riconducibile alla logica dell'equilibrio della finanza pubblica e del patto di stabilita', essa non costituisce per la provincia autonoma di Trento ragione di contestazione. Diversamente stanno le cose - in caso di riferibilita' alla ricorrente provincia - per le disposizioni che subito seguono: i rimanenti due periodi del comma 3 ed il comma 4. In effetti, il secondo periodo del comma 3 stabilisce che «le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione», mentre il terzo periodo addirittura prescrive che con «decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la conferenza unificata, ... sono stabilite le modalita' di attuazione del presente comma». Il comma 4, a sua volta, prevede che «agli enti che non adempiono a quanto previsto nel comma 3 del presente articolo, si applicano le disposizioni contenute nell'art. 7, comma 1, lettere b) e d), e comma 2, lettere b) e d), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149»: le quali disposizioni a loro volta prevedono limiti alle spese e alle assunzioni di personale a carico delle regioni e degli enti locali che non hanno rispettato il patto di stabilita' interno. Per vero, il riferimento all'art. 117, terzo comma, e all'art. 119 Cost. suggerirebbe che anche i commi 3 e 4 dell'art. 8 siano rivolti alle sole regioni ordinarie. La presente impugnazione e' dunque proposta per la contraria ipotesi che, per il loro tenore generale, le disposizioni in questione siano applicabili anche alla provincia ed agli enti locali del relativo territorio. In questo caso, infatti, il secondo ed il terzo periodo del comma 3 ed il comma 4 risulterebbero illegittimi e lesivi delle prerogative costituzionali della Provincia di Trento sotto diversi profili. Quanto al secondo periodo del comma 3, va rilevato che i commi 1 e 2 non contengono affatto «principi fondamentali» di coordinamento della finanza pubblica e, dunque, risultano violati gli stessi articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione richiamati nell'art. 8, comma 3. Cio' risulta chiaramente dal tenore dell'art. 204, comma 1, d.lgs. n. 267/2000 e dall'art. 10, comma 2, legge n. 281/1970, come modificati dall'art. 8 legge n. 183/2011 e sopra riportati: si tratta di norme che fissano limiti precisi e rigidi alla possibilita' di indebitamento degli enti locali e delle regioni, limiti che non sono suscettibili di autonomo ulteriore svolgimento da parte delle regioni. Risulta assente, dunque, il fondamentale carattere indicato anche da codesta Corte come necessario affinche' una norma possa qualificarsi come un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (v. le sentt. n. 390 del 2004, n. 417 del 2005, n. 169 del 2007, n. 159 del 2008 e n. 297 del 2009). Inoltre, tali limiti non sono neppure caratterizzati da quella transitorieta' o temporaneita' che in alcuni casi ha costituito una giustificazione per limiti precisi, in vista del conseguimento di un risultato costituzionalmente necessario (v. in particolare sent. n. 300 del 2004). Anche il terzo periodo del comma 3 viola la logica dell'art. 117, terzo comma, Cost. Esso, infatti, invece di lasciare alle regioni l'attuazione del primo periodo del comma 3, affida ad un d.m. il compito di dettare le norme di dettaglio attuative: anch'esso, dunque, non puo' essere considerato un principio fondamentale. Infine, dall'illegittimita' - appena illustrata - del comma 3, secondo e terzo periodo, discende l'illegittimita' (sempre per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.) dell'art. 8, comma 4: infatti, le sanzioni possono essere legittimamente previste dallo Stato, in base alla giurisprudenza costituzionale, per la violazione di principi fondamentali di coordinamento della finanza, non per la violazione di norme di dettaglio presenti (v. l'art. 8, commi 1 e 2) o future (cioe', quelle del d.m. previsto nel comma 3). Inoltre, per quanto riguarda la finanza della stessa provincia autonoma, e' violato l'art. 74 dello statuto speciale, ai sensi del quale «la regione e le province possono ricorrere all'indebitamento solo per il finanziamento di spese di investimento, per una cifra non superiore alle entrate correnti». Lo statuto, dunque, disciplina specificamente la possibilita' di indebitamento delle province autonome, stabilendone anche il limite massimo. Risulta dunque in contrasto con esso l'art. 8, comma 3, che pretende di aggiungere altri limiti, mediante illegittima diversa norma puntuale (art. 8, comma 2) e mediante illegittimo rinvio ad un decreto ministeriale per la riduzione del debito. In via conseguenziale, anche il comma 4 - in quanto norma sanzionatoria - si pone in contrasto con l'art. 74 St. Ancora, i commi 3 (secondo e terzo periodo) e 4 violano l'art. 79 dello statuto di autonomia. Infatti, questo regola in modo preciso, esaustivo ed esclusivo i modi in cui le province assolvono gli «obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale», espressamente disponendo che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1». Inoltre, nel comma 3 l'art. 79 stabilisce le regole per la definizione del patto di stabilita' e prevede espressamente che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale»; il comma 4 ribadisce che «le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo». Dunque, appare chiara l'illegittimita' dei commi 3, secondo e terzo periodo, e 4 dell'art. 8: essi dettano norme di coordinamento della finanza pubblica e hanno scopi di stabilizzazione finanziaria, richiamando a fini sanzionatori le norme previste per la violazione del patto di stabilita': ma la Provincia di Trento e' soggetta al regime speciale di cui all'art. 79 St., con espressa esclusione dell'applicabilita' delle norme valevoli per le regioni ordinarie e, in particolare, di quelle relative al patto di stabilita'. Come piu' volte confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, l'art. 79 ha pieno rango di statuto speciale, ed il legislatore ordinario non puo' alterare unilateralmente l'assetto dei rapporti in materia finanziaria disegnato dallo Statuto, assimilando la posizione delle province autonome - regolate da disciplina speciale - a quella delle regioni ordinarie. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. Con riferimento specifico agli enti locali, le norme impugnate violano l'art. 79, comma 3, St., in base al quale «spetta alle province stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali», mentre «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale». Inoltre, lo stesso articolo dispone che «le province vigilano sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo successivo sulla gestione». Le norme impugnate, dunque, interferiscono illegittimamente con il potere di coordinamento della finanza locale spettante alla ricorrente provincia. Ancora, poiche' l'art. 8, comma 3, secondo e terzo periodo, pretende di vincolare gli enti locali della provincia di Trento con norme dettagliate in materia di indebitamento, risulta violato l'art. 80, comma 1, dello statuto, in base al quale «le province hanno competenza legislativa, nei limiti stabiliti dall'art. 5, in materia di finanza locale», e risulta violata altresi' la relativa norma di attuazione che assegna alla provincia il potere di provvedere a definire i limiti dell'indebitamento degli enti locali (art. 17, comma 3, decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268: «Nel rispetto delle competenze regionali in materia di ordinamento dei comuni, le province disciplinano con legge i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti all'assunzione di personale, le modalita' di ricorso all'indebitamento, nonche' le procedure per l'attivita' contrattuale»). In via conseguenziale, anche il comma 4 - in quanto norma sanzionatoria - si pone in contrasto con tali disposizioni e risulta dunque ugualmente illegittima. Il terzo periodo del comma 3, infine, e' affetto da ulteriori, specifiche illegittimita'. Infatti, benche' esso parli di «decreto di natura non regolamentare», l'atto cui si rinvia ha carattere sostanzialmente normativo (e' generale, astratto ed innovativo), per cui la norma impugnata contempla una fonte secondaria statale in materie provinciali (coordinamento della finanza pubblica e finanza locale), in contrasto con il principio di esclusione dei regolamenti statali nelle materie regionali, risultante - oltre che da risalente giurisprudenza costituzionale - dall'art. 117, comma 6, Cost. e, per quel che riguarda le province autonome, dall'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, che menziona solo gli «atti legislativi dello Stato» come fonti idonee a vincolare le leggi provinciali. Qualora si ritenesse che il d.m. in questione sia un atto non normativo, il terzo periodo del comma 3 si porrebbe in contrasto con l'art. 4 d.1gs. n. 266/1992, che esclude l'esercizio di funzioni amministrative statali in materie di competenza provinciale. E come atto di indirizzo sarebbe ugualmente illegittimo per difetto del parere provinciale previsto dall'art. 3 del medesimo decreto legislativo. In via subordinata, la norma de qua sarebbe comunque illegittima perche' prevede il solo parere della conferenza unificata invece dell'intesa, che - in virtu' del principio di leale collaborazione - si rende necessaria data la chiara incidenza del d.m. su una materia (coordinamento della finanza pubblica) di competenza concorrente. 3) Illegittimita' dell'art. 14, commi da 1 a 6. L'art. 14 e' intitolato riduzione degli oneri amministrativi per imprese e cittadini. Il comma 1 stabilisce che, «in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2013, sull'intero territorio nazionale si applica la disciplina delle zone a burocrazia zero prevista dall'articolo 43» d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010. Il comma 2 dispone poi che, «a tale scopo, fino al 31 dicembre 2013, i provvedimenti di cui al primo periodo della lettera a) del comma 2 dell'art. 43 del citato decreto-legge n. 78 del 2010 [cioe' i "provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte" e relativi a "nuove iniziative produttive", "fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumita' pubblica"] sono adottati, ferme restando le altre previsioni ivi contenute, in via esclusiva e all'unanimita', dall'ufficio locale del Governo, istituito in ciascun capoluogo di provincia, su richiesta della regione, d'intesa con gli enti interessati e su proposta del Ministro dell'interno, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri». In base al comma 3, «l'ufficio locale del Governo e' presieduto dal prefetto e composto da un rappresentante della regione, da un rappresentante della provincia. e da un rappresentante del comune interessato». Il dissenso di uno o piu' dei componenti, «a pena di inammissibilita', deve essere manifestato nella riunione convocata dal prefetto, deve essere congruamente motivato e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche e delle integrazioni eventualmente necessarie ai fini dell'assenso». Si considera acquisito «l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non partecipa alla riunione medesima, ovvero non esprime definitivamente la volonta' dell'amministrazione rappresentata». Il comma 4 precisa che «resta esclusa l'applicazione dei commi 1, 2 e 3 ai soli procedimenti amministrativi di natura tributaria, a quelli concernenti la tutela statale dell'ambiente, quella della salute e della sicurezza pubblica, nonche' alle nuove iniziative produttive avviate su aree soggette a vincolo». In base al comma 5, «fatto salvo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160» (cioe' dal regolamento sullo sportello unico per le attivita' produttive), «nel caso di mancato rispetto dei termini dei procedimenti, di cui all'art. 7 del medesimo decreto, da parte degli enti interessati, l'adozione del provvedimento conclusivo e' rimessa all'ufficio locale del Governo». Infine, il comma 6 dispone che «le previsioni dei commi da 1 a 5 non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e la partecipazione all'ufficio locale del Governo e' a titolo gratuito e non comporta rimborsi». La disposizione pone innanzi tutto rilevanti problemi interpretativi. Quando e' stata approvata, era gia' intervenuta la sentenza di codesta Corte n. 232 del 2011, (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 27 luglio 2011), che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 43 d.l. n. 78/2010, nella parte in cui e' destinato «ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l'ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale». Dunque, poiche' l'art. 43 non si applica a tali materie, anche l'art. 14, che ad esso fa riferimento per definire il proprio ambito di applicazione, non puo' riferirsi ad esse. In questi termini, non vi sarebbe interesse ne' ragione di impugnazione, non avendo la ricorrente provincia titolo per sindacare il modo nel quale lo Stato regola i procedimenti di propria competenza. Nonostante l'art. 14, comma 1, legge n. 183/2011 rinvii alla «disciplina delle zone a burocrazia zero prevista dall'art. 43» d.l. n. 78/2010, che ora ha il contenuto risultante dalla sent. n. 232/2011 appena citata, il complesso dei primi sei commi dell'art. 14 potrebbe indurre a ritenere che la legge n. 183/2011 intenda riproporre la disciplina dell'art. 43 anche in relazione alle materie di competenza regionale. Ed in questo caso, anche se l'art. 14 non menziona espressamente le autonomie speciali, il suo tenore (soprattutto il riferimento allo «intero territorio nazionale») non consente di escludere che esso pretenda di applicarsi anche nelle regioni speciali. La presente impugnazione viene dunque qui proposta in via tuzioristica, per l'ipotesi che l'art. 14 si riferisca anche a procedimenti di competenza della ricorrente provincia. In tal caso, i primi sei commi dell'art. 14 risulterebbero illegittimi e lesivi delle sue prerogative costituzionali. Non vi e' dubbio infatti che, come emerge anche dalla sent. n. 232/2011, le norme censurate intervengono in svariate materie di competenza provinciale, come l'urbanistica (art. 8, n. 5 St.), l'artigianato (art. 8, n. 9), le fiere e i mercati (art. 8, n. 12), le miniere, cave e torbiere (art. 8, n. 14), il turismo e l'industria alberghiera (art. 8. n. 20), l'agricoltura (art. 8, n. 21), il commercio (art. 9, n. 3), gli esercizi pubblici (art. 9, n. 7), l'incremento della produzione industriale (art. 9, n. 8). In tutte queste materie la provincia dispone anche della potesta' amministrativa (art. 16 St.). Peraltro, in queste materie, a parte l'urbanistica, e' da verificare l'operativita' della «clausola di maggior favore» di cui all'art. 10 legge Cost. n. 3/2001, in quanto si tratta di materie che rientrano nella competenza residuale delle regioni ordinarie (in particolare, queste hanno ormai competenza primaria in generale in materia di «industria»). Iniziative produttive potrebbero poi aversi in materie di competenza provinciale ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.: «sostegno all'innovazione per i settori produttivi», «ordinamento della comunicazione», «porti e aeroporti civili», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», «promozione e organizzazione di attivita' culturali». Inoltre, e' da tener conto anche del potenziale impatto della nuova disciplina statale sulla normativa organica gia' vigente in questa provincia in materia di procedimenti amministrativi, contenuta in generale nella legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23 (Principi per la democratizzazione, la semplificazione e la partecipazione all'azione amministrativa provinciale e norme in materia di procedimento amministrativo), che disciplina anche lo sportello unico per le attivita' produttive (art. 16-sexies), nonche' nelle leggi di settore. Poiche' le nonne censurate regolano in modo dettagliato i procedimenti amministrativi relativi alle iniziative produttive, affidando la competenza a deciderli ad un ufficio statale (seppur comprendente anche rappresentanti degli enti territoriali), esse ledono chiaramente le competenze legislative ed amministrative nelle materie sopra elencate ed in quella dell'organizzazione amministrativa (art. 8, n. 1 St. o art. 117, quarto comma, Cost., se ritenuto piu' favorevole), dato che il procedimento amministrativo non e', in realta', una materia autonoma ma e' connesso - da un lato - alle singole materie, dall'altro appunto all'organizzazione amministrativa dei vari enti (v. sent. n. 465/1991). Per le materie per le quali siano applicabili le norme statutarie, sono violati gli artt. 8, 9 e 16 dello statuto, per «l'esproprio» della competenza a regolare i procedimenti amministrativi e della stessa funzione amministrativa; qualora, invece, si ritenga operante l'art. 10 legge cost. n. 3/2001 o si ricada in una «nuova» materia, risulteranno violati l'art. 117, terzo e quarto, e l'art. 118 Cost., sempre per l'invasione della competenza provinciale a regolare i procedimenti amministrativi nelle proprie materie e per assenza dei presupposti della «chiamata in sussidiarieta'», come evidenziato dalla sent. n. 232/2011. Infatti, la disciplina contenuta nell'art. 14 si differenzia da quella di cui all'art. 43 d.l. n. 78/2010 solo per il carattere «sperimentale» e transitorio e per quel che riguarda l'ufficio locale del Governo, ma non contiene nessun elemento di novita' idoneo a superare le ragioni della sentenza di codesta Corte. Questa ha dichiarato espressamente «assorbita» la censura relativa al mancato coinvolgimento della Regione territorialmente interessata e si e' fondata sulla sola violazione dell'art. 118, primo comma, Cost.: dunque, le novita' relative all'ufficio locale del Governo non fanno venir meno l'illegittimita' accertata dalla sent. n. 232/2011. Quanto al percorso argomentativo delle censurate illegittimita', sia consentito qui fare espresso richiamo a quanto gia' statuito da codesta Corte nella citata sentenza. In primo luogo, la Corte ha respinto la tesi difensiva secondo la quale la norma andrebbe ricondotta alla competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ovvero - in via subordinata - a quella concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, osservando che l'art. 43 «prescrive una disciplina di dettaglio in tema di trattazione e definizione di procedimenti amministrativi, del tutto estranea alla evocata materia» del coordinamento finanziario (punto 5.2). La Corte ha poi rilevato che «la disposizione impugnata - prevedendo una attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di funzioni, individuate in modo generico e caratterizzate anche da una notevole eterogeneita' quanto alla possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza - e' destinata ad avere vigore in tutti i procedimenti amministrativi ad istanza di parte o avviati d'ufficio concernenti le "nuove iniziative produttive", a prescindere dalla materia nel cui contesto hanno rilievo tali procedimenti, i quali possono essere destinati ad esplicarsi nei piu' svariati ambiti materiali, sia di competenza esclusiva statale (ad esempio, in materia di organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali), sia di competenza concorrente ovvero residuale regionale (ad esempio, in materia di governo del territorio, promozione ed organizzazione di attivita' culturali, ovvero di industria, commercio, agricoltura, artigianato, turismo etc.)». Appurato cio', la Corte ha ritenuto fondata la censura fondata sull'art. 118, primo comma, Cost., «in ragione della assenza nel contesto dispositivo di una qualsiasi esplicitazione, sia dell'esigenza di assicurare l'esercizio unitario perseguito attraverso tali funzioni, sia della congruita', in termini di proporzionalita' e ragionevolezza, di detta avocazione rispetto al fine voluto ed ai mezzi predisposti per raggiungerlo, sia della impossibilita' che le funzioni amministrative de quibus possano essere adeguatamente svolte agli ordinari livelli inferiori». Per la disciplina statutaria propria della Provincia di Trento, inoltre le norme censurate violano anche le norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 266/1992: da un lato con riferimento all'art. 2, il quale nelle materie di potesta' legislativa provinciale vieta la diretta operativita' della legislazione statale, prescrivendone invece il recepimento nei sei mesi e nei limiti in cui esso risulti dovuto, dall'altro con riferimento all'art. 4, il quale stabilisce che la legge non puo' attribuire agli organi statali, nella materie di competenza delle province autonome, funzioni amministrative diverse da quelli spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione. Infatti, l'ufficio locale del Governo, pur comprendendo rappresentanti degli enti territoriali, e' comunque un organo statale, istituito «su richiesta della regione, d'intesa con gli enti interessati e su proposta del Ministro dell'interno, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri». Inoltre, esse violano gli artt. 87, 88 e 107 St., in quanto l'attuazione-integrazione delle norme statutarie disciplinanti le funzioni del Commissario del Governo (che nella provincia svolge le funzioni del prefetto) rientra nella competenza delle norme di attuazione. Infine, sono violati il principio di ragionevolezza e quello di buona amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.), perche' la norma dichiara di voler ridurre gli oneri amministrativi ma, in realta', li aggrava dato che agli organi normalmente competenti sostituisce un ufficio necessariamente composto dai rappresentanti dei quattro livelli istituzionali (a prescindere dal tipo di procedimento), che devono decidere all'unanimita'. L'art. 14 regola le modalita' di espressione del dissenso ma non quelle di superamento di esso. Ne risulta, dunque, una disciplina farraginosa, che verosimilmente renderebbe piu' difficili nuove iniziative produttive. La provincia e' legittimata a denunciare la violazione degli artt. 3 e 97 cost. perche' essa si traduce in lesione delle competenze provinciali, dato che l'irragionevolezza del nuovo procedimento incide negativamente sulla tutela degli interessi facenti capo alla provincia stessa. 4) Illegittimita' dell'art. 32, commi 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26. L'art. 32 disciplina il patto di stabilita' interno delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Il comma 1 stabilisce che, «ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione». Sennonche', come gia' ricordato sopra, l'art. 79 dello statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le regole secondo le quali le province assolvono gli «obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale». Tale articolo dispone altresi' che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1». Inoltre, nel comma 3 l'art. 79 stabilisce le regole per la definizione del patto di stabilita' e prevede espressamente che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale». Ed il comma 4 ribadisce che «le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo». Con tali disposizioni l'enunciato comma I si pone in insanabile conflitto. Dunque, ne risulta chiara l'illegittimita': la Provincia di Trento e' soggetta al regime speciale di cui all'art. 79 St., con espressa esclusione dell'applicabilita' delle norme valevoli per le regioni ordinarie e, in particolare, di quelle relative al patto di stabilita'. Il legislatore ordinario non puo' alterare unilateralmente l'assetto dei rapporti in materia finanziaria disegnato dallo statuto, assimilando la posizione delle province autonome - regolate da disciplina speciale - a quella delle regioni ordinarie. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. Il comma 10 dell'art. 32 regola «il concorso alla manovra finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano» di cui all'art. 20, comma 5, d.l. n. 98/2011, come modificato dall'art. 1, comma 8, d.l. n. 138/2011, aggiuntivo rispetto a quello disposto dall'art. 14, comma 1, lett. b) d.l. n. 78/2010. Esso precisa che, per il 2012, il concorso della Provincia di Trento e' di € 284.808.000 (59.345.000 ex d.l. n. 78/2010 e 225.462.000 ex d.l. n. 98/2011 e n. 138/2011), mentre per gli anni 2013 e successivi e' di € 335.987.000 (59.346.000 ex d.l. n. 78/2010 e 276.641.000 ex d.l. n. 98/2011 e n. 138/2011). Lo Stato definisce quindi unilateralmente con legge ordinaria il riparto fra le autonomie speciali del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, violando il principio consensuale che domina i rapporti tra Stato e regioni speciali in materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate). Inoltre, il comma 10 viola part. 79 St. perche' i modi in cui la provincia concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso art. 79 o vanno concordati tra Stato e provincia, sempre in base all'art. 79. Questo prescrive, in particolare, che «la regione e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo», e che, «a decorrere dall'anno 2010, gli obiettivi del patto di stabilita' interno sono determinati tenendo conto anche degli effetti positivi in termini di indebitamento netto derivanti dall'applicazione delle disposizioni recate dal presente articolo e dalle relative norme di attuazione (art. 79, comma 3). Corrispondentemente, e' violato l'art. 104, che richiede il consenso della provincia per la modifica delle norme del titolo VI dello statuto. La fissazione da parte del legislatore statale di una entita' finanziaria predeterminata, quale misura del concorso di questa Provincia autonoma agli obiettivi di finanza pubblica, determina che detto obiettivo non risulti in alcun modo pariteticamente concordato, come oggi stabilito nello statuto speciale e secondo un criterio sempre seguito nelle precedenti leggi finanziarie dello Stato, ed a parole anche nella stessa legge n. 183/2011 (si veda. infra, in relazione all'art. 32, comma 12). Il riparto previsto dal comma 10 appare altresi' privo di qualsiasi enunciazione di criterio e quindi meramente «potestativo» da parte dello Stato; si osserva che, se per quanto attiene il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui all'art. 14 d.l. n. 78/2010, le autonomie speciali avevano comunque condiviso autonomamente tra loro il riparto, un'analoga condivisione non vi e' stata con riferimento al concorso aggiuntivo, ne' e' ravvisabile - nel comma 10 - una semplice riproposizione del riparto interno allora concordato tra le autonomie speciali. Il comma 12 dell'art. 32 dispone che, «al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, il saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista, determinato migliorando il saldo programmatico dell'esercizio 2011 della somma degli importi indicati dalla tabella di cui al comma 10». A tale fine, «entro il 30 novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze»; con riferimento «all'esercizio 2012, il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012»; infine, «in caso di mancato accordo, si applicano le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario». Tale norma conferma indirettamente la fondatezza della censura avanzata contro il comma 10, perche' lo stesso legislatore statale prevede che il saldo programmatico vada concordato. Pero', poi, contraddittoriamente, il comma 12 dispone che l'accordo deve avere un contenuto vincolato, corrispondente alla somma indicata nel comma 10. Dunque, in questa parte il comma 12 e' illegittimo per le stesse ragioni esposte in relazione al comma 10, cui si rinvia. La contraddittorieta' interna del comma 12 implica che esso, oltre a violare il principio consensuale in materia di finanza delle regioni speciali e l'art. 79 St., sia anche irragionevole (art. 3 Cost.), con ovvi riflessi negativi sull'autonomia finanziaria della provincia, che in teoria viene chiamata a concludere un accordo ma in realta' si vede imposta la misura del concorso agli obiettivi di finanza pubblica. E' poi illegittima la previsione secondo la quale, «in caso di mancato accordo, si applicano le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario»: anche in questo caso sono violati il principio consensuale in materia di finanza delle regioni speciali e gli artt. 79 e 104 St., oltre al principio di leale collaborazione. Infatti, il legislatore statale non puo' prevedere che l'applicazione delle norme relative alle regioni ordinarie scatti semplicemente «in caso di mancato accordo», dato che cio' «vanifica la previsione dell'intesa, in quanto attribuisce ad una delle parti, un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata [...] dalla paritaria codeterminazione dell'atto» (sent. 121/2010). La norma in questione finisce per rimettere l'applicazione del regime delle regioni ordinarie alla nuda volonta' del Ministro dell'economia; e' invece necessario, come messo in luce dalla giurisprudenza costituzionale, che il legislatore preveda meccanismi paritetici volti a superare il dissenso (sent. n. 383/2005). Il comma 13 dispone che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano che esercitano in via esclusiva le funzioni in materia di finanza locale definiscono per gli enti locali dei rispettivi territori, nell'ambito degli accordi di cui ai commi 11 e 12, le modalita' attuatine del patto di stabilita' interno, esercitando le competenze alle stesse attribuite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione e fermo restando l'obiettivo complessivamente determinato in applicazione dell'articolo 31». Anche in questo caso, «in caso di mancato accordo, si applicano, per gli enti locali di cui al presente comma, le disposizioni previste in materia di patto di stabilita' interno per gli enti locali del restante territorio nazionale». Anche tale disposizione risulta illegittima, come puo' essere evidenziato sotto tre profili. In primo luogo, essa prevede che la provincia definisca il patto di stabilita' per gli enti locali «nell'ambito degli accordi ci cui ai commi 11 e 12», il che non e' conforme ne' allo statuto (art. 79, comma 3, e artt. 80 e 81) ne' all'art. 17 d.lgs. n. 268/1992. In tal modo il comma 13 si sovrappone anche all'art. 3 l.p. n. 36/1993, che - correttamente e legittimamente attuando le citate disposizioni - precisa che "in sede di definizione dell'accordo previsto dall'art. 81 dello statuto speciale sono stabilite, oltre alla quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai comuni e agli altri enti locali, le misure necessarie a garantire il coordinamento della finanza comunale e quella provinciale, con particolare riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al patto di stabilita' interno». Inoltre, il comma 13 assoggetta anche gli enti locali del territorio della provincia autonoma allo «obiettivo complessivamente determinato in applicazione dell'articolo 31» per gli enti locali del restante territorio nazionale. Ma cio' si pone in primo luogo in contrasto che con la clausola di salvaguardia di cui all'art. 32, comma 14 secondo la quale «l'attuazione dei commi 11, 12 e 13 avviene nel rispetto degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione»: contrasto che - data la puntualita' della disposizione impugnata - non sembra possa essere superato in via di interpretazione dei commi 12 e 13. Inoltre cio' si pone in contrasto con l'art. 79, comma 3, St., che attribuisce alle province, «fermi restando gli obiettivi complessivi di finanza pubblica», il potere di «stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali», precisando che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale». Ne' l'obiettivo complessivo del patto di stabilita' relativo agli enti locali delle regioni ordinarie (art. 31 legge n. 183/2011), richiamato nel comma 13, puo' essere confuso o identificato con gli «obiettivi complessivi di finanza pubblica» di cui all'art. 79, comma 3, St., che attengono ai limiti definiti consensualmente per il sistema provinciale. Infine, il comma 13 e' illegittimo anche la' dove regola la fattispecie del mancato accordo, stabilendo che in caso di mancato accordo si applichino le regole stabilite per gli enti locali del restante territorio nazionale. Da una parte, infatti, valgono le medesime ragioni gia' illustrate a proposito dell'analoga norma contenuta nel comma 12, che sia consentito qui di richiamare. Dall'altra, la diretta applicazione agli enti locali della provincia di norme statali contraddice la competenza legislativa provinciale in materia di finanza locale e viola l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che subordina la diretta applicazione di sopravvenute norme statali all'accertamento da parte di codesta ecc.ma Corte costituzionale del mancato adeguamento della legislazione provinciale. Il comma 16 statuisce che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai commi 11, 12 e 13, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, mediante l'assunzione dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria»; tali «norme di attuazione precisano le modalita' e l'entita' dei risparmi per il bilancio dello Stato da ottenere in modo permanente o comunque per annualita' definite». Questa disposizione viola l'art. 79 per le ragioni gia' esposte precedentemente in relazione all'art. 32, comma 1, che qui si richiamano. Si aggiunga che, ancor piu' specificamente, l'art. 79 dispone che «le province concorrono... all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale: .... c) con il concorso finanziario ulteriore al riequilibrio della finanza pubblica mediante l'assunzione di oneri relativi all'esercizio di funzioni statali, anche delegate, definite d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, nonche' con il finanziamento di iniziative e di progetti, relativi anche ai territori confinanti, complessivamente in misura pari a 100 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2010 per ciascuna provincia». Nel comma 2 si aggiunge che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1». Poiche' e' pacifico che il legislatore ordinario non puo' sovrapporsi alla speciale disciplina dettata dallo Statuto, se non con la procedura di cui all'art. 104 St., ne risulta in modo piano l'illegittimita' della disposizione impugnata. Il primo periodo del comma 17 dell'art. 32 stabilisce che «a decorrere dall'anno 2013 le modalita' di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica delle singole regioni, esclusa la componente sanitaria, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali del territorio, possono essere concordate tra lo Stato e le regioni e le province autonome, previo accordo concluso in sede di consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI regionali». Tale disposizione sembra puramente facoltizzante, e dunque priva di effetto lesivo. Ove tuttavia essa potesse produrre per la ricorrente provincia un qualunque effetto di vincolo, allora se ne dovrebbe denunciare l'illegittimita' e l'incongruita'. Quanto all'illegittimita', e' palese che una volta ancora la disciplina posta dalla legge ordinaria si sovrappone a quella posta dallo statuto di autonomia, ed in particolare dal piu' volte citato art. 79, che specificamente regola per la provincia le modalita' di stipulazione del patto di stabilita' ed il concorso agli obiettivi di finanza pubblica. Quanto all'incongruita', non si vede perche' sul contenuto dell'accordo tra lo Stato e le regioni (e le province autonome) dovrebbe registrarsi un previo accordo concluso in sede di consiglio delle autonomie, o con i rappresentanti delle associazioni degli enti locali. Se pure per superare l'evidente illogicita' si ritenesse (cosa che non risulta affatto dalla norma) che tale ulteriore accordo sia richiesto soltanto sulla parte che riguarda gli enti locali, ugualmente rimarrebbe illegittimo il vincolo a concordare questa parte, in palese violazione - per quanto almeno riguarda la Provincia di Trento - con le piu' volte richiamate regole dell'art. 79 e con la potesta' legislativa ad essa spettante in materia di finanza locale. Vengono infine in considerazione il terzo periodo del comma 17 ed i commi 19, 22, 24, 25 e 26, i quali prevedono le condizioni per l'adempimento del patto di stabilita', i casi di inadempimento e le relative sanzioni, anche in relazione alla Provincia di Trento. Precisamente, il terzo periodo del comma 17 stabilisce che «le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano rispondono nei confronti dello Stato del mancato rispetto degli obiettivi di cui al primo periodo, attraverso un maggior concorso delle stesse nell'anno successivo in misura pari alla differenza tra l'obiettivo complessivo e il risultato complessivo conseguito». Il comma 19 dispone quanto segue: «ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilita' interno, ciascuna regione e provincia autonoma e' tenuta ad inviare, entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato una certificazione, sottoscritta dal rappresentante legale e dal responsabile del servizio finanziario, secondo i prospetti e con le modalita' definite dal decreto di cui al comma 18. La mancata trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del 31 marzo costituisce inadempimento al patto di stabilita' interno. Nel caso in cui la certificazione, sebbene trasmessa in ritardo, attesti il rispetto del patto, si applicano le sole disposizioni di cui all'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149». Il comma 22 prevede che «restano ferme le disposizioni di cui all'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149», gia' contestato da questa provincia. Il comma 24 dispone che «le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che si trovano nelle condizioni indicate dall'ultimo periodo dell'art. 7, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 [cioe' che non sono soggette a sanzione pur in caso di violazione del patto di stabilita'], si considerano adempienti al patto di stabilita' interno, a tutti gli effetti, se, nell'anno successivo, provvedono a: a) impegnare le spese correnti, al netto delle spese per la sanita', in misura non superiore all'importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio. b) non ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; c) non procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo con qualsivoglia tipologia contrattuale»; a tal fine, «il rappresentante legale e il responsabile del servizio finanziario certificano trimestralmente il rispetto delle condizioni di cui alle lettere a) e b) e di cui alla presente lettera»; la certificazione e' trasmessa, «entro i dieci giorni successivi al termine di ciascun trimestre, al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato»; in caso «di mancata trasmissione della certificazione le regioni si considerano inadempienti al patto di stabilita' interno». Lo stato di inadempienza e le sanzioni previste, «ivi compresa quella di cui all'art. 7, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, hanno effetto decorso il termine perentorio previsto per l'invio della certificazione». Il comma 25 statuisce che «alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano per le quali la violazione del patto di stabilita' interno sia accertata successivamente all'anno seguente a quello cui la violazione si riferisce, si applicano, nell'anno successivo a quello in cui e' stato accertato il mancato rispetto del patto di stabilita' interno, le sanzioni di cui al comma 22». Infine, in base al comma 26 «i contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilita' interno sono nulli». Ad avviso della ricorrente provincia anche tali disposizioni sono illegittime per violazione dell'art. 79 St., che pone le regole per la definizione del patto di stabilita', precisando che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale» (comma 3) e in particolare che «le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo» (comma 4). Lo Stato, dunque, non puo' definire unilateralmente le condizioni perche' la provincia sia considerata adempiente al patto di stabilita', le fattispecie di inadempimento e le sanzioni, in violazione del gia' illustrato principio consensuale che domina i rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e degli artt. 103, 104 e 107 St., che richiedono o il procedimento di revisione costituzionale o comunque un procedimento concertato per la modifica o attuazione del titolo VI dello statuto. Poiche' il primo periodo del comma 17 fa riferimento agli «obiettivi di finanza pubblica delle singole regioni, ... delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali del territorio», le norme successive - sopra illustrate - potrebbero essere intese come applicabili anche in relazione agli obblighi concernenti il patto di stabilita' degli enti locali. In questo caso, tali norme violerebbero l'art. 79, comma 4, dello statuto (sopra citato) e l'art. 79, comma 3, in base al quale spetta alle province stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali, mentre «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale»; inoltre, viene stabilito che «le province vigilano sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al presente comma». Inoltre, sarebbero violati l'art. 80 St., che garantisce competenza legislativa alle province in materia di finanza locale, e l'art. 17, comma 3, d.lgs. n. 268/1992, che attribuisce alle province il potere di disciplinare «con legge i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti all'assunzione di personale, le modalita' di ricorso all'indebitamento, nonche' le procedure per l'attivita' contrattuale». Tale potesta' legislativa e' stata attuata con la l.p. n. 36/1993, il cui art. 3 - come visto - dispone che «in sede di definizione dell'accordo previsto dall'art. 81 dello statuto speciale sono stabilite ... le misure necessarie a garantire il coordinamento della finanza comunale e quella provinciale, con particolare riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al patto di stabilita' interno». Le norme in questione, dunque, pretendono di sovrapporsi con diretta applicabilita' ad una disciplina gia' vigente in provincia, con conseguente violazione dell'art. 2 d.1gs. n. 266/1992.