IL TRIBUNALE 
 
    Il Giudice dell'udienza preliminare Elena Rossi, premesso che: 
        all'odierna  udienza  preliminare  si  procede  a  carico  di
Quaglia Daniele, Bortotto Sergio, Gallina Paolo, Zorzi Dino,  Merotto
Giuliana e  Zambon  Danilo,  nei  confronti  dei  quali  il  Pubblico
Ministero ha chiesto il rinvio a giudizio in relazione  al  reato  di
cui agli artt. 110,  112  n.  1  c.p.  e  1  D.L.vo  n.  43/1948,  in
riferimento  alla  formazione  del  corpo   paramilitare   denominato
«POLISIA VENETA», dotata di un inquadramento e ordinamento gerarchico
interno in tutto analogo a quello militare; 
        questo Giudice in data 21 gennaio 2011 ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale, per contrarieta' all'art. 76, 18 e 25
Cost. dell'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo  2010
nella parte  in  cui  al  n.  297  del  comma  1  abroga  il  decreto
legislativo n. 43 del 1948  per  mancanza  di  una  valida  delega  e
contrarieta' alla riserva di legge e, in via  subordinata,  dell'art.
14, comma 14 e 14-ter, della legge n. 246 del 2005; 
        con decreto legislativo  n.  213  del  13  dicembre  2010  il
Governo ha  di  nuovo  abrogato  il  decreto  legislativo  n.  43/48,
espungendo la norma dall'elenco  delle  disposizioni  che  lo  stesso
Governo, con il precedente  decreto  legislativo  n.  179  del  2009,
attuativo della legge delega n. 246  del  2005,  aveva  espressamente
deliberato di mantenere in vigore; 
        in  conseguenza  di  questa  sopravvenuta  nuova  e  autonoma
abrogazione del decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43  la  Corte
costituzionale ha  dichiarato  la  manifesta  inammissibilita'  delle
questioni di legittimita' costituzionale sollevate in  quanto  questo
Giudice ha omesso di valutare gli effetti del decreto legislativo  n.
213/10; 
        in data 27  marzo  2012  e'  entrato  in  vigore  il  decreto
legislativo 24 febbraio 2012 n. 20 che all'art. 9 modifica  il  libro
nono del decreto legislativo n. 66/10 disponendo alla lettera q)  che
«all'articolo 2268, comma 1, il  numero  297)  e'  soppresso  e,  per
l'effetto, il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n.  43,  riprende
vigore ed e' sottratto agli effetti di cui all'articolo 1,  comma  1,
lettera b), del decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 213»; 
 
                               Osserva 
 
    Detto  articolo  9  ha  espressamente  abrogato   le   precedenti
disposizioni  abrogatrici  con   la   conseguenza   che   rivive   la
disposizione originariamente abrogata, nel caso di specie il  decreto
legislativo n. 43/48, e l'effetto abrogativo si limita a interrompere
il  flusso  normativo  pro  futuro   della   disposizione   abrogata,
circoscrivendone  l'efficacia:  rimossa  la  causa   ostruttiva,   si
determina il ripristino della precedente disposizione normativa. 
    Il legislatore delegato ha, quindi, ripristinato  la  fattispecie
abrogata  ma  cio'  non  e'  sufficiente  a  rendere  irrilevante  la
questione di legittimita' costituzionale delle norme  abrogatrici  in
quanto  l'assetto  punitivo,  estenderebbe  retroattivamente  i  suoi
effetti favorevoli di abolitio criminis in forza della  regola  della
lex intermedia favorevole di cui all'art. 2, comma 4, c.p. 
    Diverso e' il caso in cui l'effetto caducatorio discenda  da  una
sentenza della Corte costituzionale:  in  tal  caso  la  reviviscenza
della norma abrogata e' ammessa sia dalla dottrina maggioritaria, sia
dalla Corte costituzionale (sent. 107/1974,  108/1986,  408/1998)  in
quanto l'illegittimita' costituzionale della  disposizione  abrogante
determina l'annullamento dell'effetto abrogativo. 
    Solo   la   dichiarazione   di   incostituzionalita',   pertanto,
limiterebbe l'efficacia depenalizzante  della  norma  abrogatrice  ai
«fatti concomitanti», la  cui  irrilevanza  penale  sarebbe  comunque
salvaguardata dal principio di irretroattivita'  sfavorevole,  mentre
per i «fatti pregressi», come quelli oggetto del  presente  giudizio,
si   riespanderebbe   l'efficacia   punitiva   della   norma   penale
illegittimamente abrogata vigente al tempus commissi delicti. 
    Avendo  il  legislatore  reintrodotto  la  norma   incriminatrice
abrogata, e' necessario sollevare la questione  di  costituzionalita'
delle norme abrogatrici, precisamente del decreto legislativo n.  213
del 2010, art. 1 nella parte in cui modifica il  decreto  legislativo
n. 179 del 2009 espungendo dalle norme mantenute in vigore il decreto
legislativo n. 43 del 1948, e dell'art. 2268, I comma n. 297, decreto
legislativo n. 66 del 2010, in quanto norme illegittime,  rilevandosi
che la Corte ha gia' ammesso la possibilita' di  sindacare  norme  di
favore intermedie abrogate (sentenza n. 28/10). 
    La rilevanza della questione non  puo'  essere  pregiudicata  dal
fatto che gli effetti retroattivi in malam  partem,  derivanti  dalla
caducazione ex tunc della  norma  abrogatrice  che  fosse  dichiarata
costituzionalmente illegittima, potrebbero  porsi  in  contrasto  con
principio di retroattivita' della lex mitior  in  quanto  la  portata
costituzionale  del  principio  di   retroattivita'   favorevole   e'
strettamente legata all'esistenza di una lex mitior legittima,  cioe'
validamente emanata nel  rispetto  di  tutti  vincoli  costituzionali
(Corte costituzionale, sentenza n. 394/06). 
Questione di costituzionalita' dell'art. 2268, I comma  n.  297,  del
decreto legislativo n. 66 del 2010. 
    Il decreto legislativo n. 66 del  2010,  Codice  dell'ordinamento
militare, e' entrato in vigore il 9  ottobre  2010  e  trova  la  sua
legittimazione nella legge delega del 28 novembre 2005, n. 246, cosi'
come modificata dalla legge 18 giugno 2009 n. 69. 
    La legge delega per la «semplificazione e il riassetto normativo»
n. 246/05 all'art. 14, comma 14, delega il Governo a  individuare  le
disposizioni antecedenti al primo gennaio 1970 la cui  permanenza  in
vigore e' ritenuta indispensabile e al comma  14-quater  ad  adottare
decreti legislativi recanti l'abrogazione espressa  di  disposizioni,
anche posteriori al primo gennaio 1970, che siano  state  oggetto  di
abrogazione tacita o implicita, oppure che abbiano esaurito  la  loro
funzione, siano  prive  di  effettivo  contenuto  normativo  o  siano
comunque obsolete. 
    Stabilisce, inoltre, al comma 14-ter, che decorso un  anno  dalla
scadenza del termine di cui al comma 14, ovvero del  maggior  termine
previsto dall'ultimo periodo del  comma  22,  tutte  le  disposizioni
legislative statali non comprese nei decreti legislativi  di  cui  al
comma 14, anche se  modificate  con  provvedimenti  successivi,  sono
abrogate. 
    In attuazione di tale legge, il  primo  dicembre  2009  e'  stato
emanato il decreto legislativo n. 179, con il quale si e'  provveduto
a individuare una  serie  di  leggi  anteriori  al  1970  che  devono
rimanere in vigore in quanto indispensabili. 
    Tra queste e' stato espressamente indicato il decreto legislativo
n. 43/1948. 
    Il decreto legislativo 14 febbraio 1948,  n.  43,  che  vieta  le
associazioni  di  carattere  militare,  le  quali  perseguono,  anche
indirettamente, scopi politici, e' invece  stato  abrogato  dall'art.
2268, comma 297, del decreto legislativo n. 66/10.  Tale  abrogazione
non  era  possibile  in  quanto  il  d.lgs.  n.  43/1948  era   stato
espressamente fatto salvo dal d.lgs. n. 179/2009 del  primo  dicembre
2009. 
    Il decreto legislativo n. 43/1948 dava attuazione al principio di
cui all'art. 18, II comma Cost., che  dice  espressamente  che  «sono
proibite le associazioni  segrete  e  quelle  che  perseguono,  anche
indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni  di  carattere
militare». 
    Il divieto di  costituire  associazioni  paramilitari  con  fini,
anche indirettamente, politici nasce dall'esigenza  che  il  regolare
svolgimento delle libere istituzioni non venga compromesso da  metodi
violenti o dall'inquadramento in gerarchie militari. 
    Non possono ammettersi associazioni con  struttura  militare  che
realizzino  un  modello  organizzativo  gerarchico  simile  a  quello
statale, in grado di  infondere  un  analogo  sentimento  di  timore,
derivante dal potenziale uso della forza, ma con finalita'  politiche
antidemocratiche perseguite con la lotta violenta. 
    Il  D.L.vo  n.  66/2010  abroga  espressamente  il  decreto   che
sanzionava  penalmente  coloro  i  quali   promuovono,   organizzano,
dirigono  o  aderiscono  ad  associazioni  paramilitari,  ma  non  lo
sostituisce con altre disposizioni facendo cosi'  mancare  sul  punto
una disciplina costituzionalmente necessaria a salvaguardia di valori
e liberta' costituzionali. 
    E'  noto  il  consolidato   orientamento   della   giurisprudenza
costituzionale che vieta  alla  Corte  di  pronunciare  sentenze  che
estendano l'ambito di applicazione  di  una  norma  incriminatrice  o
comunque accrescano l'area del  penalmente  rilevante  in  quanto  la
Corte costituzionale con le sue decisioni non puo'  introdurre  nuovi
reati, ne' ampliare figure di reato gia' esistenti, perche' andrebbe,
cosi', a invadere il campo riservato dall'art. 25, comma 2, Cost.  al
legislatore. 
    Violazione della riserva di legge si avrebbe anche  nel  caso  di
sindacato di  legittimita'  di  una  norma  che  abbia  abrogato  una
incriminazione o  l'abbia  trasformata  in  illecito  amministrativo,
facendo rivivere la figura  di  reato  abolita  o  depenalizzata  dal
legislatore. 
    La Corte costituzionale ha, infatti, precisato che la  violazione
della riserva di legge  penale  preclude  anche  quelle  censure  per
violazione  dell'art.  76  Cost.,  fondate   sia   sull'insufficiente
specificazione dei principi e criteri direttivi della  legge  delega,
sia sull'arbitraria o scorretta  attuazione  della  delega  da  parte
dell'esecutivo (C. Cost. n. 161/04). 
    Si osserva, pero', che se e' vero che il  sindacato  della  Corte
puo'  essere  limitato  dal  principio   della   riserva   di   legge
nell'ipotesi di un cattivo esercizio in concreto da parte del Governo
della funzione  legislativa  conferitagli  ex  art.  76  Cost.  dalle
Camere, e' anche vero che il controllo di legittimita' costituzionale
delle norme primarie non puo' essere negato quando vi sia una  scelta
del  legislatore  delegato  che  esuli  completamente  dalla   delega
ricevuta. 
    E allora il principio della riserva di legge  in  materia  penale
non impedisce il  vaglio  di  costituzionalita'  in  presenza  di  un
eccesso di delega in quanto la violazione della riserva di  legge  e'
gia'  stato  posto  in  essere  dall'esecutivo,  che  ha  violato  il
monopolio parlamentare nelle scelte penali. 
    Nel caso in cui si abbia un'abrogazione in assenza di delega,  il
principio di legalita' costituzionale, secondo cui la legge ordinaria
non  puo'   esprimere   norme   contrarie   alle   norme   di   rango
costituzionale, con conseguente annullamento  da  parte  della  Corte
costituzionale, non viene limitato dal  principio  della  riserva  di
legge in materia penale. 
    La  Corte  non  effettuerebbe  autonome  scelte  punitive  ma  si
limiterebbe a garantire l'osservanza del precetto costituzionale  che
altrimenti rimarrebbe privo di supporto sanzionatorio. 
    Nel caso di specie sussiste una  violazione  dell'art.  76  della
Costituzione in quanto l'abrogazione del decreto legislativo n. 43/48
e' avvenuta in mancanza di una espressa  delega  legislativa  in  tal
senso  al  Governo  in  quanto  la  legge  delegante  non   conteneva
l'indicazione dell'abrogazione. 
    La delega attribuiva al  Governo  un  compito  ricognitivo  delle
norme esistenti e non gli conferiva il potere innovativo di  decidere
quali legge eliminare dall'ordinamento. 
    Tale convincimento trova conferma nel comma  14-quater  dell'art.
14 della legge delega che stabilisce che il  Governo  e'  delegato  a
emanare decreti legislativi con cui abrogare disposizioni legislative
statali ma  solo  se  si  tratti  di  disposizioni  gia'  oggetto  di
abrogazione tacita o implicita ovvero le quali  abbiano  esaurito  la
loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o  siano
da considerare obsolete. 
    Non  poteva,  quindi,  il  Governo  apportare   innovazioni   mai
considerate dal Parlamento che si risolvano nell'abolizione di  norme
di perdurante rilevanza, come il decreto legislativo n. 43/48. 
    Inoltre, con il decreto legislativo n. 179/09, il  Governo  aveva
indicato le disposizioni di legge anteriori al 1970 di cui si  doveva
ritenere indispensabile  la  permanenza  in  vigore,  esercitando  il
potere  delegatogli,   potere   non   piu'   esistente   al   momento
dell'emanazione del decreto legislativo n. 66/10. 
    La disciplina trattata dal predetto decreto, per la sua  evidente
autonomia, non poteva giustificare l'eliminazione  della  fattispecie
penale  sui  sodalizi  di  carattere  militare  non   avendo   questa
incriminazione nulla a che fare con «l'organizzazione, le funzioni  e
l'attivita' della difesa e sicurezza militare e delle Forze Armate». 
    Il Governo legislatore ha violato i limiti della  delega  andando
ad abrogare il delitto che vieta la costituzione di  associazioni  di
carattere militare che non era oggetto di delega: la materia  oggetto
di delega, l'ordinamento militare, seppur connessa all'incriminazione
abrogata non e' sufficiente per affermare la conformita'  alla  legge
delega. 
Questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1 lett.
b) del decreto legislativo 213 del 2010 nella parte in  cui  modifica
il decreto  legislativo  n.  179  del  2009  espungendo  dalle  norme
mantenute in vigore il decreto legislativo n. 43 del 1948. 
    Con l'art. 14, comma 14, legge n. 246/05,  il  Governo  e'  stato
delegato «ad adottare, con le modalita' di cui all'articolo 20  della
legge 15 marzo 1997,  n.  59,  e  successive  modificazioni,  decreti
legislativi che  individuano  le  disposizioni  legislative  statali,
pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate  con
provvedimenti successivi, delle quali si  ritiene  indispensabile  la
permanenza in vigore»; stabilendo, al successivo  comma  14-bis,  che
«decorso un anno dalla scadenza del  termine  di  cui  al  comma  14,
ovvero del maggior termine previsto dall'ultimo periodo del comma 22,
tutte le disposizioni legislative statali non  comprese  nei  decreti
legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti
successivi, sono abrogate». 
    Secondo  quanto  disposto  dall'art.  76  Cost.  il   legislatore
delegante ha fissato un termine per l'esercizio  della  delega  e  ha
dettato i principi e i  criteri  direttivi  che  il  Governo  avrebbe
dovuto seguire nell'opera di selezione delle norme  da  mantenere  in
vigore. 
    Nel comma 14 il termine ultimo per l'esercizio  della  delega,  e
quindi l'individuazione delle  norme  da  mantenere  in  vigore,  era
fissato in ventiquattro mesi dalla scadenza del  termine  di  cui  al
comma 12, comma che prevedeva ventiquattro mesi dalla data di entrata
in vigore della legge n.  246/05,  legge  pubblicata  sulla  Gazzetta
Ufficiale del primo dicembre 2005, entrata in vigore il  16  dicembre
2005. 
    Il termine, quindi,  per  esercitare  la  delega  scadeva  il  16
dicembre del 2009. 
    Sempre nel comma 14 dell'art. 14 venivano indicati i  principi  e
criteri direttivi ai quali il legislatore delegato si doveva attenere
per individuare le norme da mantenere in vigore: 
        a)  esclusione  delle  disposizioni  oggetto  di  abrogazione
tacita o implicita; 
        b) esclusione delle disposizioni che abbiano esaurito la loro
funzione o siano prive  di  effettivo  contenuto  normativo  o  siano
comunque obsolete; 
        c) identificazione  delle  disposizioni  la  cui  abrogazione
comporterebbe lesione dei diritti costituzionali; 
        d) identificazione delle disposizioni indispensabili  per  la
regolamentazione di ciascun settore, anche utilizzando a tal fine  le
procedure di analisi e verifica dell'impatto della regolazione; 
        e) organizzazione delle disposizioni da mantenere  in  vigore
per settori omogenei o per materie, secondo il  contenuto  precettivo
di ciascuna di esse; 
        f) garanzia della coerenza giuridica,  logica  e  sistematica
della normativa; 
        g) identificazione  delle  disposizioni  la  cui  abrogazione
comporterebbe effetti anche indiretti sulla finanza pubblica; 
        h) identificazione delle disposizioni contenute  nei  decreti
ricognitivi, emanati ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 5
giugno 2003, n. 131, aventi per oggetto principi  fondamentali  della
legislazione dello Stato nelle materie  previste  dall'articolo  117,
terzo comma, della Costituzione. 
    In attuazione di tale delega il Governo ha  adottato  il  decreto
legislativo primo dicembre 2009, n. 179  con  quale  ha  elencato  le
leggi dello Stato anteriori al 1970 per le quali  era  indispensabile
la permanenza in vigore e tra queste, al punto 1001 dell'allegato  1,
il decreto legislativo n. 43/48. 
    In data  16  dicembre  2010  e'  entrato  in  vigore  il  decreto
legislativo n. 213 del 13 dicembre 2010 che ha modificato e integrato
decreto  legislativo  primo  dicembre  2009  n.  179  disponendo  che
dall'Allegato 1 di detto decreto vengano espunte  varie  disposizioni
legislative statali e in particolare,  al  n.  1001  dell'elenco,  il
decreto legislativo n. 43/48. 
    Tale intervento di modifica del contenuto del decreto legislativo
n. 179/09 e' illegittimo per l'assoluta  assenza  di  una  delega  al
Governo ad abrogare leggi o provvedimenti gia' sottratti  all'effetto
abrogativo del comma 14-ter dell'art. 14 della legge 2005 n. 246: nel
momento in cui il Governo ha indicato un provvedimento tra quelli per
i quali era «indispensabile la permanenza in vigore» ha impedito  che
quel  testo  venisse  a  essere  travolto   dall'effetto   abrogativo
altrimenti conseguente al comma 14-ter della legge 2005 n. 246. 
    Solo il Parlamento, con un  successivo  provvedimento  di  legge,
avrebbe potuto disporne  l'abrogazione,  non  il  Governo  il  quale,
peraltro, poteva esercitare il potere  conferitogli  per  un  termine
complessivo di quattro anni, decorrenti  dalla  data  di  entrata  in
vigore della stessa legge, ossia dal 16 dicembre 2005, per  cui  quel
termine era spirato gia' nel dicembre del 2009. 
    Ne' e' possibile sostenere che il potere del Governo discenda dal
comma 18 dell'art. 14 legge 246/05, citato nel corpo dell'art. 1  del
decreto legislativo n. 213/10, il quale prevede che: «Entro due  anni
dalla data di entrata in vigore dei decreti  legislativi  di  cui  al
comma 14, possono essere emanate, con uno o piu' decreti legislativi,
disposizioni integrative, di riassetto o  correttive,  esclusivamente
nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al  comma  15  e
previo parere della Commissione di cui al comma 19». 
    Detta norma si limita a  consentire  interventi  integrativi,  di
riassetto o correttivi rispetto alle norme mantenute in vigore e alle
norme adottate per ragioni di semplificazione e  di  riassetto  delle
stesse leggi e non attribuisce al legislatore delegato di intervenire
nuovamente sull'individuazione  delle  norme  la  cui  permanenza  in
vigore sia indispensabile. 
    Il comma 15 dell'art. 14 della legge 246/05, citato nel comma 18,
stabilisce che «i decreti legislativi di cui al comma  14  provvedono
altresi' alla semplificazione o al riassetto della materia che ne  e'
oggetto, nel  rispetto  dei  principi  e  criteri  direttivi  di  cui
all'articolo 20 della legge  15  marzo  1997,  n,  59,  e  successive
modificazioni, anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute
in vigore con quelle pubblicate  successivamente  alla  data  del  1°
gennaio 1970». 
    Gli interventi consentiti dal comma 18 sono solo di adeguamento e
armonizzazione della disciplina mantenuta in  vigore  atteso  che  in
detta disposizione il legislatore  delegante  impone  al  Governo  di
adottare questi nuovi interventi di adeguamento e armonizzazione  nel
rispetto «esclusivamente» dei criteri dettati dal comma  15,  criteri
dettati esclusivamente per guidare il  Governo  nelle  operazioni  di
semplificazione e armonizzazione della normativa mantenuta in vigore,
e non gia' dei criteri di cui al comma 14, che sono,  invece,  quelli
dettati per guidare Governo nella scelta delle leggi da mantenere  in
vigore. 
    Si osserva, inoltre, che al comma 14 dell'art. 14 e'  fissato  un
termine per l'individuazione delle  norme  da  mantenere  in  vigore,
termine che non avrebbe alcun senso se si  ammettesse  che  nel  piu'
ampio termine di cui al comma 18 il Governo avesse ancora la medesima
facolta'. 
    Si ritiene, quindi, che il legislatore delegante abbia  assegnato
al Governo il termine di quarantotto mesi per  individuare  le  norme
ante  1970  da  mantenere  in  vigore,  termine  scaduto  al  momento
dell'emanazione e dell'entrata in vigore del decreto  legislativo  n.
213/10,  e  il  termine  di  ulteriori  ventiquattro  mesi  per   gli
interventi  di  semplificazione  e  armonizzazione  della   normativa
mantenuta in vigore e di quella successiva al 1970. 
Eventuale subordinata illegittimita'  costituzionale  dei  commi  14,
14-ter e 18 dell'art. 14 legge delega 28 novembre 2005, n. 246. 
    Nel caso in cui il riferimento contenuto nel decreto  legislativo
n. 213 del 2010  al  comma  18  dell'art.  14  legge  246/05  dovesse
intendersi come decreto correttivo del decreto legislativo n. 179 del
2009, quindi emanato in costanza di potere legislativo  delegato,  si
deve rilevare l'illegittimita' costituzionale di questa disposizione,
per contrasto con l'art. 76 della Costituzione e con  la  conseguente
illegittimita' della disposizione abrogatrice del decreto  n.  213/10
per assenza di delega. 
    L'art. 76 Cost. permette di delegare  il  potere  legislativo  al
Governo solo con determinazione di principi, criteri direttivi e  per
oggetti definiti. 
    Al contrario il comma 18, limitandosi a richiamare i  criteri  di
cui al comma 15, non detta  nessun  criterio  effettivo  nel  guidare
Governo nell'intervento di selezione  delle  norme  da  mantenere  in
vigore. 
    Profili di  illegittimita'  costituzionale  sussistono  anche  in
relazione all'art. 14, comma 14 e 14-ter,  legge  246/05  cosi'  come
modificata dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, per contrasto con l'art.
76 Cost. nel caso in  cui  si  dovesse  ritenere  che  il  potere  di
abrogazione sussista in capo al Governo in base a dette disposizioni. 
    Si osserva, infatti, che nel caso di specie la legge  delega  non
indica il settore nel quale il Governo e' delegato  a  esercitare  la
funzione legislativa, limitandosi a indicare una  totale  abrogazione
di  norme  anteriori  a  una  data,  senza  distinzione  di  materie,
lasciando al Governo il potere di decidere quali  norme  lasciare  in
vigore  e  trasferendogli  il  potere  di  legiferare  senza   alcuna
limitazione,  in  assenza  di  quei  criteri  e  principi   direttivi
necessari ai sensi dell'art. 76 Cost. 
    Oltre a prevedere che non devono essere mantenute  in  vigore  le
norme gia' abrogate, quelle  prive  di  effetto  od  obsolete,  nella
lettura della legge non e' dato riscontrare nessun criterio idoneo  a
indirizzare la scelta del legislatore delegato circa l'individuazione
delle norme da mantenere in vita  lasciandogli  in  tal  modo  totale
discrezionalita' in violazione dell'art. 76 Cost. 
    L'effetto e' che i  predetti  criteri  lasciano  al  Governo  una
totale  discrezionalita',  il  che  contrasta  indiscutibilmente  con
l'art. 76 Cost. fatto tanto piu' grave ove, come nel caso di  specie,
il legislatore delegato utilizzi questa  ampia  discrezionalita'  per
andare ad attingere norme che  sono  comunque  poste  a  presidio  di
valori  costituzionali,   atteso   che   indubbiamente   il   decreto
legislativo n. 43 del 1948 da' attuazione all'art. 18, comma 2, della
Costituzione, sanzionando penalmente il divieto ivi previsto. 
    Ne'  e'  possibile  ritenere  che  l'art.   14,   comma   quater,
consentisse  l'abrogazione  del  reato  di  divieto  di  associazione
militare in quanto non certo norma che ha esaurito la  sua  funzione,
essendo attuativa di un  precetto  costituzionale,  ne'  obsoleta  in
quanto sempre attuale e' la tutela del  metodo  democratico  tutelato
dalla Costituzione. 
    Ugualmente  non  e'  possibile  sostenere  che   il   potere   di
abrogazione derivi dal comma 15 dell'art. 14 legge 246/05  in  quanto
si tratta di una delega alla «semplificazione o al  riassetto»  delle
norme mantenute in vigore, anche al fine di armonizzarle  con  quelle
pubblicate successivamente alla data del primo gennaio 1970,  dove  i
principi e criteri direttivi cui il Governo si doveva  attenere  sono
quelli elencati nell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59. 
    Tali criteri  attengono  alla  regolamentazione  di  procedimenti
amministrativi o di compiti  propri  di  enti  pubblici  e  non  sono
pertinenti rispetto alla materia di cui al decreto legislativo n.  66
del 2010, che fa riferimento al comma 15, e, tanto meno,  di  cui  al
decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43, 
    Gli unici criteri effettivamente idonei a definire l'ambito entro
cui doveva muoversi il legislatore delegato sono, quindi,  quelli  di
cui alla lettera a)  e,  in  parte,  a-bis),  i  quali  prevedono  la
possibilita'  di  un  «riassetto  normativo  e  codificazione   della
normativa primaria regolante  la  materia»  e  di  «un  coordinamento
formale  e  sostanziale  del  testo   delle   disposizioni   vigenti,
apportando  le  modifiche  necessarie  per  garantire   la   coerenza
giuridica, logica e  sistematica  della  normativa  e  per  adeguare,
aggiornare  e  semplificare  il  linguaggio  normativo»,  mentre   il
criterio sub b), che richiede  l'indicazione  esplicita  delle  norme
abrogate, ha il solo scopo di imporre di indicare in modo espresso le
norme che debbono essere abrogate proprio perche' sostituite da altre
disposizioni confluite nel Codice o incompatibili con queste. 
    Si puo', quindi, affermare che la delega non  era  conferita  per
riformare  le  diverse  materie  individuate,  ma  semplicemente  per
realizzare Testi Unici delle  disposizioni  ante  1970  mantenute  in
vigore, con eventuale armonizzazione  delle  disposizioni  successive
vigenti, con la facolta' aggiuntiva  di  modificare  le  disposizioni
medesime, ma esclusivamente  per  «garantire  la  coerenza  logica  e
sistematica della normativa». 
    D'altronde il comma 15 in esame, testualmente prevede  la  delega
«alla semplificazione o al riassetto della materia», anche al fine di
«armonizzare  le  disposizioni  mantenute  in   vigore   con   quelle
pubblicate successivamente alla data del primo gennaio 1970». 
    Tanto piu', inoltre, era precluso in un  ambito  come  quello  in
esame, di mero coordinamento  tra  disposizioni  in  vigore,  che  il
legislatore delegato potesse abrogare una  disposizione  direttamente
attuativa di un precetto costituzionale (art. 18  Cost.),  senza  far
confluire nel Codice militare una norma penale analoga. 
Violazione degli artt. 3 e 18, II comma, Costituzione. 
    Il reato di associazione militare rende operativo il disposto  di
cui all'art. 18, comma  2,  Cost.:  «Sono  proibite  le  associazioni
segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici
mediante organizzazioni di carattere militare». 
    Tale divieto, concernente le associazioni di  carattere  militare
con scopi politici, ha trovato attuazione nel sistema penale  tramite
il decreto legislativo  n.  43  del  1948,  fonte  costituzionalmente
necessaria. 
    Eliminare l'unica disciplina che prevede  rimedi  normativi  alla
creazione  di  tali  associazioni,  essenziale  per   realizzare   la
democraticita' della partecipazione alla vita  politica,  contraddice
il «nucleo indisponibile» del divieto sancito dall'art. 18, II comma,
Cost. 
    Tale  convincimento  trova  conferma  proprio  nell'operato   del
legislatore delegato  che  senza  un  percorso  logico  e  razionale,
adeguato e proporzionato, ha reintrodotto il decreto  legislativo  n.
43 del 1948 dimostrando che le precedenti  abrogazioni  costituiscono
norme  di  favore  con  le  quali  si   sono   violati   i   precetti
costituzionali. 
    Con i decreti abrogativi illegittimi il legislatore  delegato  ha
sottratto soltanto determinati soggetti alla sfera applicativa  della
norma incriminatrice,  creando  una  «odiosa  forma  di  privilegio»,
realizzando un'ingiustificata diversita' di trattamento  di  condotte
uguali, essendo oggi il fatto previsto dalla legge come reato. 
    L'art. 3 Cost. afferma che tutti i cittadini hanno pari  dignita'
sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di  sesso,
di  razza,  di  lingua,  di  religione,  di  opinioni  politiche,  di
condizioni personali e sociali. 
    Tale disposizione sancisce il principio di  uguaglianza  formale,
che costituisce  un  presupposto  giustificativo  della  legge  e  un
carattere proprio dell'intero sistema normativo e si  estrinseca  nel
vietare che la legge ponga in essere  una  disciplina  che  dia  vita
direttamente o indirettamente a una non  giustificata  disparita'  di
trattamento di situazioni giuridiche. 
    Il legislatore delegato ha operato  scelte  legislative  che  non
sono  supportate  e  giustificate  da  nessuna  ragione  creando  una
disparita' di trattamento, violando l'art. 3 Cost. 
    La questione e'  rilevante  in  quanto  se  le  norme  che  hanno
abrogato il reato per cui  si  procede  e  la  legge  delega  fossero
legittimi questo Giudice dovrebbe pronunciare sentenza di non luogo a
procedere perche' il fatto non e' previsto come reato mentre, in caso
contrario, il procedimento dovrebbe continuare per pervenire  ad  una
pronuncia  nel  merito,  esito  che  giustifica  la  rilevanza  della
questione (Corte cost. sentenza n. 148 del 1983, sentenza n. 394  del
2006). 
    Si osserva, infine, che la permanenza del reato, sia  dagli  atti
contenuti  nel  fascicolo  delle  indagini  preliminari,  sia   dalla
contestazione effettuata dal Pubblico Ministero,  e'  cessata  il  22
luglio 2010, data di  formulazione  dell'accusa  (Cass.  sez.  V,  n.
4554/10 e Cass. sez. VI, n. 49525/03).