IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello in sede di rinvio proposto da D.L.A. avverso l'ordinanza del G.U.P. di Catanzaro, emessa in data 5 luglio 2011, di rigetto della richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, ai sensi dell'art. 89, comma 2, d.P.R. n. 309/90; Letti gli atti; Sentito il presidente relatore; Osserva e rileva 1. In data 14 dicembre 2009, D.L.A. veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere con ordinanza emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro, su mozione della locale DDA, perche' gravemente indiziato, tra l'altro, di partecipare ad associazione dedita al narcotraffico, ex art. 74, d.P.R. n. 309/90. In seguito, il cautelato, dichiarato colpevole per tale reato con sentenza in data 31 maggio 2011 del G.U.P. presso lo stesso Tribunale, proponeva a quest'ultimo Giudice procedente istanza ex art. 89, comma 2, cit. D.P.R., chiedendo la sostituzione della misura inframuraria in atto con quella degli arresti domiciliari presso una Comunita' terapeutica per tossicodipendenti; istanza che veniva rigettata con ordinanza emessa il 5 luglio 2011 e impugnata dal custodito medesimo con ricorso ex art. 310 c.p.p. Questo Tribunale, decidendo su tale appello, con provvedimento dell' 01.09.2011, dichiarava l'inammissibilita' della richiesta, rilevando che, ai sensi dell'art. 89, comma 4, d.P.R. n. 309/90, «Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano quando si procede per uno dei delitti previsti dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354», tra i quali e' richiamato proprio quello sanzionato dall'art. 74, d.P.R. n. 309/90, per cui e' cautela; pertanto, e' preclusa a priori, nel caso di specie, l'applicabilita' della normativa invocata dall'appellante. Proposto ricorso per cassazione dal D. L., avverso questa ordinanza di inammissibilita', il Supremo Consesso annullava con rinvio detta decisione, per nuovo esame, alla luce dell'intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2011. All'udienza fissata per la trattazione in sede di rinvio nessuno compariva, nonostante la ritualita' degli avvisi di udienza, ed il Tribunale riservava la decisione. Ritiene l'adito Collegio, a scioglimento della riserva, che vada sollevata e proposta d'ufficio la rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, d.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309, in riferimento agli artt. 3, 13, 27 e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74, d.P.R. n. 309/90, per come richiamato dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. 2. Occorre innanzitutto rilevare come, nel caso di specie, il ricorrente abbia documentato la sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma in esame per la concessione della misura domiciliare presso una Comunita' terapeutica per tossicodipendenti, sicche', non ricorrendo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, l'istanza difensiva andrebbe accolta se non ostasse a tale accoglimento il titolo di reato contestato all'imputato, rientrante tra quelli previsti dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, cui la norma impugnata fa rinvio per escludere l'applicabilita' dei commi 1 e 2 del medesimo art. 89 e dunque la concedibilita' della misura richiesta. Non appare superfluo evidenziare altresi', ad ulteriore conferma della rilevanza nella fattispecie che occupa della prospettanda questione di legittimita' costituzionale, che la presente decisione e' sottoposta al principio giuridico del «tantum devolutum quantum appellatum», a cui deve attenersi il Giudice quando decide su ricorso avanzato ex art. 310 c.p.p., sicche' non rientra nei poteri di questo Tribunale operare una valutazione, non dedotta con i motivi di impugnazione e dunque ultra petitum, sull'eventuale attenuazione delle esigenze cautelari e quindi sulla possibilita' di sostituire la misura carceraria ex art. 299, comma 2, c.p.p., operando una modificazione dello status libertatis sul piano di una prognosi di pericolosita' soggettiva. 3. Passando al merito della questione, va osservato come nel sistema delle misure cautelari personali siano rinvenibili numerosi correttivi alla disciplina generale circa la scelta della misura da applicare, allorche' la persona da sottoporre ad una di esse versi in determinate condizioni o qualita' personali: a norma dell'art. 275, commi 4 e ss., del codice di procedura penale, sono richieste esigenze cautelari di "eccezionale rilevanza" per disporre la custodia in carcere di una persona incinta o che allatta la propria prole, o ultrasettantenne o, ancora, che si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in stato di detenzione; l'art. 286 dello stesso codice stabilisce la custodia in luogo di cura, anziche' in carcere, nell'ipotesi di infermita' totale o parziale di mente; l'art. 299, comma 4-ter, del codice di rito, infine, "chiude" questo assetto sul piano delle indagini medico-legali finalizzate alla verifica della compatibilita' tra le condizioni della persona e la detenzione carceraria. A ben vedere, comune ragione d'essere di queste previsioni e' da ravvisare evidentemente nella tutela del diritto alla salute, protetto in tal modo da pregiudizi - potenziali o in atto - derivanti dalla custodia carceraria, la cui finalita' cautelare pertanto risulta cedevole di fronte a situazioni soggettive peculiari, reputate dal legislatore prevalenti indipendentemente dal titolo di reato in ordine al quale si procede. Raffrontando tale disciplina con la norma impugnata, che regola il sistema delle misure cautelari personali quanto agli imputati tossicodipendenti (o alcool-dipendenti), quest'ultima deve essere censurata, sia sotto il profilo della irragionevole ridotta protezione del diritto alla salute del tossicodipendente rispetto agli altri casi ricordati, in aperta violazione dell'art. 32 Cost., sia sotto il profilo della ingiustificata discriminazione (art. 3 Cost.) che essa determinerebbe tra tossicodipendenti imputati del delitto ex art. 74, d.P.R. n. 309/90, e tossicodipendenti imputati di reati diversi, per i quali ultimi trova piena applicazione il sistema delineato nei commi 1 e 2 del citato art. 89 ed e' dunque privilegiata la misura alternativa, salvo che vi Siano esigenze cautelati di eccezionale rilevanza. 4. Ulteriore profilo di censura della norma impugnata, riferito ai parametri degli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione, va ravvisato nel raffronto con le norme che, regolando gli aspetti esecutivi della pena inflitta a persone tossicodipendenti, accordano piu' ampia possibilita' di accesso a programmi di recupero: gli artt. 90 e 94, d.P.R. n. 309 del 1990, in tema, rispettivamente, di sospensione dell'esecuzione e di affidamento in prova al servizio sociale; possibilita', viceversa, precluse al tossicodipendente cautelato per il delitto ex art. 74, cit. d.P.R. 5. Quanto alla figura criminosa che interessa, il delitto di cui all'art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, e' una figura speciale del delitto di associazione per delinquere che si differenzia da questo solo per la specificita' del programma criminoso, costituito dalla commissione di piu' delitti tra quelli previsti dall'art. 73 del medesimo decreto. Le caratteristiche strutturali della fattispecie criminosa non divergono, per il resto, da quelle del reato associativo comune. Per costante giurisprudenza, infatti, i suoi elementi essenziali sono costituiti dal carattere indeterminato del programma criminoso e dalla permanenza della struttura, senza che occorra un accordo consacrato in manifestazioni di formale adesione ne' un'organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di specifiche cariche e compiti: essendo sufficiente, al contrario, una qualunque forma organizzativa, sia pur rudimentale, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici, per il perseguimento del fine comune. Trattasi, dunque, di una «fattispecie aperta», idonea ad abbracciare fenomeni criminali fortemente eterogenei tra loro, che spaziano dal grande sodalizio internazionale con struttura imprenditoriale, che controlla tanto la produzione che l'immissione sul mercato dello stupefacente, fino ad arrivare al gruppo attivo in ambito puramente locale e con organizzazione del tutto rudimentale, spesso limitata all'impiego di autovetture e telefoni cellulari. La giurisprudenza di legittimita' ha, d'altra parte, ravvisato l'ipotesi criminosa in questione anche nel vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore della droga e coloro che la ricevono per rivenderla "al minuto", non ritenendo di ostacolo alla configurabilita' del rapporto associativo la diversita' degli scopi personali e la differente utilita' che i singoli si propongono di ricavare. 6. Risultano, quindi, evidenti le differenze strutturali tra il delitto in esame e i reati di mafia, in rapporto ai quali la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 339 del 1995 (G.U. n. 33 del 09/08/1995), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Il delitto previsto dall'art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, infatti, non e' necessariamente connotato da un forte radicamento nel territorio dell'associazione, da fitti collegamenti personali e da una particolare forza intimidatrice. Difettano, soprattutto, le peculiarita' «storiche e sociologiche», prima ancora che giuridiche, dell'associazione mafiosa, consistenti nell'adesione degli associati, senza possibilita' di recesso, ad un sistema illegale parallelo a quello dello Stato, consolidato nel tempo e preesistente, nella sua struttura essenziale, rispetto ai singoli fenomeni associativi: sistema che, attraverso attivita' criminose che coinvolgono i piu' diversi settori della vita pubblica e privata, mira ad interferire con le istituzioni per assicurarsi «potere e stabilita'». Caratteristiche, queste, che rendono possibile, per i reati di mafia, enucleare una regola di esperienza in base alla quale soltanto la custodia cautelare in carcere e' idonea a preservare le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva, messe a rischio da simili reati. Analoga generalizzazione, per converso, e' impraticabile in rapporto al delitto previsto dall'art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, il cui paradigma copre situazioni che incidono in misura sensibilmente differenziata sul bene protetto dell'ordine pubblico e che, sotto il profilo cautelare, possono essere fronteggiate anche con misure diverse dalla custodia in carcere come quella prevista dal gravato art 89. 7. La norma censurata, con riferimento al delitto che interessa, non puo' trovare fondamento neanche nella natura dei reati-scopo dell'associazione e nella tutela particolarmente rigorosa accordata dal legislatore al bene della salute pubblica nei confronti del fenomeno dello spaccio di stupefacenti. Del resto, come gia' rimarcato da plurime sentenze della Corte Costituzionale (tra cui, nn. 265 del 2010 e 231 del 2011), la gravita' astratta del reato, desunta dalla misura della pena o dalla natura dell'interesse tutelato, non puo' legittimare una preclusione alla verifica giudiziale del grado delle esigenze cautelari e all'individuazione della misura piu' idonea a fronteggiarle, rilevando solo ai fini della commisurazione della sanzione penale. 8. Alla luce di tali rilievi, la norma censurata, nella parte in cui esclude l'operativita' dei commi l e 2 dello stesso articolo 89 per gli imputati cautelati in ordine alla fattispecie delittuosa di cui all'art. 74 medesimo d.P.R., viola, oltre che per le ragioni dette in precedenza (§§ 3 e 4), l'art. 3 della Carta Costituzionale, sottoponendo ad un eguale trattamento situazioni differenti tra loro, senza che vi siano fondate ragioni per impedire la piena individualizzazione della coercizione cautelare. Difatti, in un numero tutt'altro che marginale di casi, le esigenze cautelari sono suscettibili di trovare idonea risposta anche in misure diverse da quella carceraria, come quella del collocamento in Comunita' terapeutica, che valgano a neutralizzare il "fattore scatenante" o ad impedirne la riproposizione. 9. La medesima disposizione si pone, altresi', in contrasto con il principio di inviolabilita' della liberta' personale, sancito dall'art. 13, primo comma, Costituzionale, imponendo il massimo sacrificio di tale bene primario all'esito di un giudizio di bilanciamento non corretto, in quanto non rispettoso del principio di ragionevolezza. 10. Essa lede, infine, si ribadisce (§ 4), la presunzione di non colpevolezza, prevista dall'art. 27, secondo comma, della Costituzione, affidando al regime cautelare funzioni proprie della pena, la cui applicazione presuppone invece un giudizio definitivo di responsabilita'. 11. Per tutte le suesposte argomentazioni, ritiene l'intestato Tribunale che la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, d.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309 - in riferimento agli arti. 3, 13, 27 e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui ai commi l e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74, d.P.R. n. 309/90, per come richiamato dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 - oltre che rilevante ai fini della decisione dell'interposto ricorso, non sia manifestamente infondata e che, pertanto, vada sollevata e proposta innanzi la Corte costituzionale; dovendosi, per l'effetto, sospendere il presente procedimento per pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle Leggi sulla questione medesima, ordinare la trasmissione degli atti alla stessa Corte costituzionale, nonche' disporre, a cura dell'ufficio di cancelleria, la notificazione del presente provvedimento al Pubblico Ministero, all'Imputato, al Difensore, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.