LA CORTE DEI CONTI 
 
 
                Sezione giurisdizionale per il Veneto 
 
 
                   Il Giudice Unico delle pensioni 
 
    Udite, alla pubblica  udienza  del  16  gennaio  2014,  le  parti
costituite; 
    Visti gli atti e i documenti della causa; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto  al  n.
29797 del  registro  di  Segreteria,  proposto  da  Francesco  Abate,
Antonio  Alessandri,  Antonio  Ambrosini,  Renato   Balduin,   Arrigo
Battocchia, Maurizio  Belloni,  Umberto  Bocus,  Giovanni  Bonadonna,
Mario Giovanni Bonandini, Francesco Botner,  Guglielmo  Breda,  Paolo
Cadrobbi, Massimo Cappellin,  Modesto  Carli,  Francesco  Carmignoto,
Giuseppe  Caroli,  Luigi  Casagrande,  Michelangelo  Ciminale,  Carlo
Crivellare,  Paolo  Colleselli,  Gaetano  Consolaro,  Nicola   Conte,
Federico  Corbara,  Loris  Costantini,  Giovanni  Crestanello,  Dario
Curtarello, Dalla Villa  Walter,  Carmelo  D'Amico,  Angela  D'Amico,
Davide D'Amico, Giovan  Battista  De  Dominicis,  Rosario  De  Lisio,
Roberto De Stefani,  Gianfranco  Denes,  Carlo  Di  Bello,  Filiberto
Donzelli, Fabio Fabi,  Mario  Fabiani,  Melchiorre  Fallica,  Adriano
Fante, Eugenio Fantuz, Carlo Favaretti, Mario Ferretti, Bruno  Finco,
Francesco  Frasson,  Paolo  Frasson,   Vittorio   Gasparella,   Maria
Giacobbo, Giovanni  Giampaglia,  Giacomo  Gortenuti,  Lucio  Innecco,
Francesco Lippiello, Francesco Luciani, Sandro Magagnotto,  Ferruccio
Magello,  Carlo  Maniscalco,  Franco  Mantero,  Alessandro  Marcolin,
Giuliano  Menaldo,  Roberto  Mencarelli,  Antonio  Menetto,   Antonio
Michelon, Claudio Mongiat, Romano  Morra,  Giovanni  Motton,  Luciano
Musi, Renato  Musola,  Vito  Ninfa,  Arturo  Orsini,  Vittore  Pagan,
Antonio  Pagnan,  Mariangela  Palu',  Giovanni  Patrassi,   Giampiero
Perrino, Walter Peruzzo, Achille Pessina, Carlo Pianon, Enrico  Pino,
Giambeppi Antonio Pizzi, Cesare  Polico,  Paolo  Pristinger,  Massimo
Rea, Giuseppe Realdi,  Giorgio  Rigatelli,  Michele  Romano,  Onofrio
Sergio Sala, Franco Saija, Gaspare Sammartano, Furio Sandei, Federico
Sartori, Carlo Scapin, Vincenzo Schiavone, Dario Siciliano,  Giuseppe
Signorelli, Giuseppe  Simini,  Giuliano  Soffiati,  Antonio  Soliman,
Paolo Stritoni, Giorgio Svaluto Moreolo, Oreste  Terranova,  Federico
Tremolada,  Carlo  Valfre',  Riccardo  Vangelista,  Sergio   Zamboni,
Giovanni Zoccali, Carlo Cosma Zorzi Meneguzzo,  e  Ugo  Zurlo,  tutti
rappresentati e  difesi  dal  Prof.  Avv.  Vittorio  Angiolini  (c.f.
NGLVTR55C26L833G,           fax            02/796409,            PEC.
vittorio.angiolini@cert.ordineavvocatimilano.it)     e      dall'Avv.
Mariagrazia Romeo (c.t.  RMOMGR66E67F537K,  fax  041/5224190,  P.E.C.
mariagrazia.romeo@venezia.pecavvocati.it),   con   domicilio   eletto
presso quest'ultima in Venezia, S. Croce 205, contro 
    - Ministero Economia e  Finanze,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore, come rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato; 
    - Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in persona  del
Ministro pro tempore, come  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
dello Stato; 
    - INPS - ex INPDAP, in  persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, 
    per il riconoscimento e la tutela,  previa  idonea  cautela,  del
diritto del ricorrenti a percepire la pensione  integralmente,  senza
le decurtazioni relative al trattamento superiore a quattordici volte
il trattamento minimo INPS, disposte per un periodo di  tre  anni,  a
far data dal 1° gennaio 2014, dall'art. 1,  comma  486  della  l.  27
dicembre 2013 n.  147;  con  ogni  conseguente  pronuncia,  anche  di
condanna, quanto agli obblighi dell'Amministrazione. 
 
                              Premesso 
 
    Con ricorso depositato in data 04/6/2014, i  ricorrenti,  essendo
ex magistrati, professori universitari, ufficiali delle forze  armate
o dirigenti dello Stato, della regione ovvero di altri enti  pubblici
o  privati  (Francesco  Luciani,  Michelangelo  Ciminale),  risultano
titolari di pensione, a totale o parziale carico dello Stato, con  un
trattamento  complessivamente  superiore  a  quattordici   volte   il
trattamento minimo  INPS  e  conseguentemente  rientrano  nell'ambito
applicativo del disposto dell'art.  1,  comma  486,  della  legge  n.
147/2013, a norma del quale "a decorrere dal 1° gennaio 2014 e per un
periodo di tre anni,  sugli  importi  dei  trattamenti  pensionistici
corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza  obbligatorie
complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento  minimo
INPS, e' dovuto un contributo di solidarieta' a favore delle gestioni
previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente
il predetto importo lordo annuo fino all'importo lordo annuo di venti
volte il trattamento minimo INPS, nonche' pari al 12 per cento per la
parte eccedente l'importo lordo annuo di venti volte  il  trattamento
minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l'importo  lordo
annuo  di  trenta  volte  il  trattamento  minimo   INPS.   Ai   fini
dell'applicazione della predetta trattenuta e' preso a riferimento il
trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno considerato". 
    Sempre secondo il comma 486 dell'art. 1 della legge  n.  147  del
2013, il suddetto "contributo di solidarieta'"  e'  acquisito  "dalle
competenti gestioni previdenziali  obbligatorie,  anche  al  fine  di
concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191",  e
dunque puo' essere destinato  anche  al  finanziamento  dei  benefici
specialmente stabiliti  dal  legislatore  per  i  lavoratori  il  cui
pensionamento e' stato ritardato e  sottoposto  condizioni  deteriori
dall'entrata in vigore della recente legislazione pensionistica  (cd.
"esodati"). 
    In  particolare,  i  ricorrenti  lamentano  l'incostituzionalita'
della disposizioni sotto molteplici profili: 
        1)   Violazione   e   falsa   applicazione   del    giudicato
costituzionale, ex artt. 136 e 137 Cost., in quanto  la  disposizione
de qua sostanzialmente riproduce analoga norma di legge  (l'art.  18,
comma 22-bis, del d.l. 6 luglio 2011 n. 98,  come  conv.  con  l.  15
luglio 2011 n. 111, e s.mm.), gia' dichiarata incostituzionale  dalla
Consulta con sentenza n. 116 del 3-5  giugno  2013.  In  particolare,
nella  suddetta  pronunzia,  la  Corte  costituzionale,   richiamando
precedenti orientamenti giurisprudenziali (sentenze n. 223/2012 e  n.
241/2012), ha qualificato l'intervento sedicente perequativo come  di
natura   sostanzialmente   tributaria,   in   quanto   "integra   una
decurtazione patrimoniale definitiva del  trattamento  pensionistico,
con acquisizione al bilancio  statale  del  relativo  ammontare,  che
presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza  di  questa
Corte per caratterizzare il prelievo come  tributario  (ex  plurimis,
sentenze n. 223 del 2012; n. 141 del 2009; n. 335, n. 102 e n. 64 del
2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005)". Conseguentemente,  la  Corte
ha  stigmatizzato  il  contrasto  della  disposizione   rispetto   al
principio  costituzionale  di  universalita'  dell'imposizione  e  di
correlazione    alla    "capacita'    contributiva",     e     quindi
l'irragionevolezza della sua deroga  "avendo  riguardo,  quindi,  non
tanto alla disparita' di trattamento fra dipendenti o fra  dipendenti
e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi od  imprenditori,
quanto piuttosto a quella fra cittadini", tenuto conto che "i redditi
derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno,  per  questa  loro
origine, una natura diversa e minoris  generis  rispetto  agli  altri
redditi presi a riferimento, ai  fini  dell'osservanza  dell'art.  53
Cost., il quale non consente  trattamenti  in  pejus  di  determinate
categorie di redditi da lavoro" e che anzi questi godono  nel  nostro
ordinamento di "particolare tutela", anche in quanto aventi natura di
retribuzione differita". 
    Orbene, sostengono le parti ricorrenti, la  recente  disposizione
riproduce, per forma,  sostanza  ed  effetti,  quella  gia'  ritenuta
incostituzionale dalla Consulta, applicandosi a tutti i  "trattamenti
pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatorie", trattandosi di  un  "contributo",  avendo  una  durata
triennale ma con effetti definitivi,  essendo  strutturato  in  forma
analoga alla precedente ed  infine  essendo  destinato  a  confluire,
anziche' "all'entrata del bilancio dello Stato" (come il precedente),
alle casse dell'ente previdenziale pubblico, il quale peraltro potra'
solo eventualmente ("anche") utilizzarlo per finanziare interventi di
sostegno ai lavoratori c.d. "esodati". 
    Parte  ricorrente  ritiene  dunque  palese  la   violazione   del
giudicato costituzionale, tanto  piu'  in  quanto  la  giurisprudenza
della Consulta ritiene che questo sia violato  "non  solo  quando  il
legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione  di
quella gia' ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche  laddove  la
nuova  disciplina  miri  a  "perseguire  e  raggiungere,   anche   se
indirettamente", "esiti corrispondenti" (cosi' Corte Cost., sent.  n.
245 del 2012; ma v. anche e gia' le sentt. n. 223 del 1983, n. 88 del
1966 e n. 73 del 1963). 
        2) Violazione e falsa applicazione degli  artt.  2,  3  e  38
Cost.,  anche  sotto  il  profilo   della   lesione   del   legittimo
affidamento. 
    Parte attrice ritiene altresi' violati i principi  costituzionali
di cui agli articoli 2 e 3 della costituzione, nella  misura  in  cui
impongono il rispetto della "tutela  dell'affidamento  legittimamente
sorto  nei  soggetti  interessati   all'applicazione   della   norma"
precedentemente in vigore (cosi', in ultimo, la sent. della  Consulta
n. 160 del 2013), principio valido a fortiori (alla luce dei principi
di cui agli articoli 36 - retribuzione "proporzionata alla  quantita'
e qualita'" delle prestazioni - e 38, comma 2 - obbligo di assicurare
ai pensionati "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita")  allorche'
si  tratti  di  un   diritto   a   "gia'   riconosciute   prestazioni
pensionistiche" su cui il titolare legittimamente facesse affidamento
ed il cui regime venga modificato in senso deteriore dal  legislatore
(v., di recente, Corte cost., sent. n. 69 del 2014). 
        3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 38 e 53
Cost., anche sotto il  profilo  della  violazione  della  parita'  di
trattamento tra situazioni reddituali tra loro omologabili. 
    Tenuto conto della ritenuta ricorrenza degli elementi tipici  del
tributo secondo la menzionata sentenza  della  Consulta  n.  223/2012
("la disciplina legale deve essere  diretta,  in  via  prevalente,  a
procurare una (definitiva) decurtazione  patrimoniale  a  carico  del
soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica  di
un  rapporto  sinallagmatico"....;  le   risorse   connesse   ad   un
presupposto  economicamente  rilevante  e  derivanti  dalla  suddetta
decurtazione sono destinate a  sovvenire  pubbliche  spese",  secondo
parte attrice la misura  in  questione  violerebbe  il  principio  di
"universalita' dell'imposizione" ex artt. 3 e 53 Cost., in quanto non
si comprenderebbero le ragioni per le quali detta  imposizione  debba
gravare non gia' su tutti i percettori  di  reddito  ma  soltanto  su
detti pensionati, che  peraltro  (ammesso  e  non  concesso  che  gli
importi vengano destinati agli "esodati") "non hanno avuto la benche'
minima parte" in detta vicenda. 
    Inoltre, parte attrice evidenzia ulteriori irragionevolezza della
misura ex artt. 3 e 53 della Carta, in quanto: 
        a) i redditi da pensione, piuttosto che esser considerati  in
modo privilegiato in ragione della loro  funzione  costituzionale  di
assicurare ai pensionati i "mezzi  adeguati  alle  loro  esigenze  di
vita"  (art.  38,  comma  2  Cost.),  risultano  assoggettati  ad  un
trattamento deteriore rispetto ad altri redditi; 
        b) il comma 590 dell' art. 1 della l. n. 147  del  2013,  nel
confermare il trattamento di cui all'art. 2, comma  2,  del  d.l.  13
agosto 2011 n. 138 (contributo di solidarieta' del 3% sui redditi per
l'importo eccedente gli euro 300.000,00), ha previsto  che  "Ai  fin,
della verifica del superamento del limite di  300.000  euro  rilevano
anche i trattamenti pensionistici di cui al comma 486, fermo restando
che su tali trattamenti il contributo di solidarieta' di cui al primo
periodo non e' dovuto". Detta norma, secondo parte attrice, introduce
un ulteriore fattore di "irragionevolezza" e sproporzione, anche  nel
trattamento di soggetti tutti egualmente pensionati, a seconda che il
loro reddito, pur con lo  stesso  ammontare  complessivo,  derivi  in
misura maggiore o minore dal trattamento pensionistico,  anziche'  da
altri cespiti, in quanto chi raggiunga un reddito superiore  ad  euro
300.000,00 derivante esclusivamente  o  prevalentemente  da  pensione
sara' soggetto ad un contributo di solidarieta' di importo  superiore
rispetto   a   chi   consegua   detto   reddito   esclusivamente    o
prevalentemente da fonti diverse. 
    Con breve memoria in atti al 18  luglio  2014  si  e'  costituita
l'Avvocatura di Stato  per  il  Ministero  del  lavoro,  testualmente
limitandosi a "contestare quanto avversamente dedotto in fatto  e  in
diritto"  e  a  "chiedere  che  il  ricorso  sia  rigettato   perche'
inammissibile, improponibile, irricevibile, improcedibile,  infondato
nel merito, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese". 
    Si e' altresi' costituito l'INPS, con memoria depositata in  data
6/8/2014, eccependo preliminarmente il difetto  di  giurisdizione  di
questa Corte relativamente ai seguenti soggetti: 
        1) CIMINALE Michelangelo  (n.  18),  in  quanto  titolare  di
trattamento pensionistico erogato dall'INPS (categoria  VO)  gestione
privata nonche' dal Fondo pensioni  credito  bergamasco,  ma  non  di
pensione pubblica; 
        2) D'AMICO Angela (n. 29),  in  quanto  beneficiaria  di  due
pensioni INPS gestione privata (VO e PI) ma non di pensione pubblica; 
        3)  LUCIANI  Francesco  (n.  53),  poiche'  beneficiario   di
pensione INPS gestione privata (VO) ma non di pensione pubblica; 
        4) SANDEI Furio (n. 89), in quanto beneficiario  di  pensione
INPS gestione privata (VO; che peraltro non risulti gravata di alcuna
ritenuta ex lege 147/2013) e di una pensione  erogata  dall'ENPAM  ma
non di pensione pubblica; 
        5) SICILIANO Dario (n. 93), in  quanto  beneficiario  di  due
pensioni INPS gestione privata  (Va  e  VOAUT)  ma  non  di  pensione
pubblica. 
    Inoltre, l'Inps ha eccepito il proprio difetto di  legittimazione
passiva con riguardo alla posizione di PINO Enrico (n. 78), in quanto
trattamento  pensionistico   viene   corrisposto   direttamente   dal
Ministero della difesa. 
    L'istituto previdenziale  ha  altresi'  eccepito  la  carenza  di
interesse a ricorrere e/o la manifesta infondatezza della pretesa con
riguardo alle posizioni di CRIVELLARO Carlo (n. 19) e MOREOLO Svaluto
Giorgio (n. 99), in quanto titolari di trattamenti pensionistici  non
incisi da alcuna ritenuta, nonche' con riferimento alla posizione  di
PERUZZO Walter (n. 75), in quanto non titolare di  alcun  trattamento
pensionistico erogato dall'INPS, e anzi in servizio  attivo  iscritto
alla gestione parasubordinati. 
    Nel merito, l'Istituto previdenziale ha sostenuto la legittimita'
del prelievo operato e la manifesta infondatezza della  questione  di
legittimita'  costituzionale  prospettata  da  parte  attrice,  avuto
riguardo alle peculiarita' della  norma  che  la  diversificherebbero
recisamente dalla disposizione gia' dichiarata incostituzionale dalla
Consulta con la sentenza n. 116/2013. 
    Nella  norma  oggi  in  esame,  secondo  parte  resistente,   non
sarebbero  infatti  riscontrabili  i  gia'  delineati  tre   elementi
indefettibili della fattispecie tributaria. 
    In dettaglio, il contributo di solidarieta' ex lege  n.  147/2013
avrebbe "natura transitoria" e non "definitiva",  ma  soprattutto  ad
escludere  la  natura  tributaria  del  contributo  vi   sarebbe   la
finalizzazione dei risparmi di spesa ottenuti che vengono  "acquisiti
dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche  al  fine
di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al  comma  191
del  presente  articolo";  secondo  la  prospettazione  dell'Istituto
previdenziale, si tratterebbe  dunque,  diversamente  del  contributo
sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici  introdotto  dall'art.  9,
comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 gia' dichiarato incostituzionale con
la  recente  sentenza  n.  223/2012,  di  un   contributo   destinato
eminentemente a garantire risparmi di gettito finalizzati a  precipui
interventi, individuati dal legislatore,  e  non  a  beneficio  della
fiscalita' generale. 
    Anche  le  ulteriori  censure  inerenti  la  ritenuta  violazione
dell'art.  3  della  Costituzione  non  sarebbero  fondate,   secondo
l'istituto previdenziale, in  quanto  il  prelievo  in  questione,  a
differenza del contributo sulle retribuzioni dei dipendenti  pubblici
introdotto dall'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010,  vede  come
destinatari   l'intera   platea   dei   titolari    di    trattamenti
pensionistici, anche integrativi, rimanendone escluse  esclusivamente
le  prestazioni  assistenziali  (rispetto  alle  quali,   d'altronde,
risulterebbe  difficile  ipotizzare  il  superamento  degli   importi
previsti dal co. 22-bis, ratione mensurae), gli assegni  straordinari
di  sostegno  al  reddito,  le  pensioni  erogate  alle  vittime  del
terrorismo e le rendite dell'INAIL. 
    Con  ordinanza  n.  del  26/9/2014,  questa  Corte  ha  rigettato
l'istanza  cautelare  proposta  dai  ricorrenti  in  quanto  non   e'
risultata  affatto  provata  (anzi,  neppure  si   sono   riscontrate
allegazioni in merito) la sussistenza, per alcuno dei ricorrenti, del
periculum in mora, tanto piu' che si tratta nella specie di  soggetti
aventi diritto  a  trattamenti  pensionistici  elevati  (almeno  euro
90.000,00 annui) sul  quali  per  giunta  il  contributo  verrebbe  a
gravare in percentuale limitatamente all'eccedenza. 
    Da ultimo, con memoria in atti al 23 dicembre 2014,  l'Avvocatura
dello Stato di Venezia ha chiesto il rigetto del  ricorso  sostenendo
la manifesta infondatezza del prospettata questione  di  legittimita'
costituzionale,  tenuto  conto  della  specifica  finalizzazione  del
contributo al riequilibrio  del  sistema  previdenziale  (ex  art.  2
Cost.),  in  un  frangente  storico  segnato  dalla   necessita'   di
salvaguardare l'equilibrio della finanza pubblica (cfr.  Corte  cost.
sent. nn. 299/1999 e 223/2012). 
    In particolare, la  difesa  erariale  ha  richiamato  l'ordinanza
della Consulta n. 22/2003 (in termini,  ord.  n.  160/2007),  che  ha
dichiarato manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale posta con  riferimento  all'art.  37  della  legge  23
dicembre 1999, n. 488 (norma che prevedeva un prelievo  coattivo  del
2%, a decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un  periodo  di  tre  anni,
sugli importi  dei  trattamenti  pensionistici  corrisposti  da  enti
gestori  di  forme  di   previdenza   obbligatorie   complessivamente
superiori al massimale annuo previsto dall'art. 2,  comma  18,  della
legge 8 agosto 1995, n. 335), in quanto "la scelta del legislatore e'
stata  operata  in  attuazione  del  principi  solidaristici  sanciti
dall'art.  2  della  Costituzione  attraverso  l'imposizione  di  una
ulteriore  prestazione   patrimoniale   gravante   solo   su   alcuni
trattamenti previdenziali che superino  un  certo  importo  stabilito
dalla legge". 
    L'avvocatura erariale ha altresi' evidenziato come  la  norma  in
esame non contempli un prelievo di  natura  tributaria  (obbligazione
generica  di  contribuzione  alle  pubbliche   spese),   ma   preveda
sostanzialmente  "una  forma   di   riequilibrio   dell'importo   dei
trattamenti  all'interno  dello  stesso  sistema  pensionistico",  in
quanto le somme prelevate dalla generalita' dei  pensionati  "vengono
acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie" e non
alla fiscalita' generale. 
    Per giunta, ha concluso l'Avvocatura dello Stato, "ammesso e  non
concesso che tali previsioni  abbiano  carattere  tributario  -  come
ritenuto dalla Corte Cost. in relazione  ai  precedenti  prelievi  di
solidarieta' del 2010 e del 2011 - cio' non determinerebbe  per  cio'
solo la loro illegittimita' costituzionale -  correndo  l'obbligo  di
vagliarne la costituzionalita' alla luce dei  principi  di  cui  agli
artt. 2, 3 e 53 della Costituzione", e che nella specie  il  prelievo
sarebbe ragionevole in  quanto  la  disposizione  "colpisce  soltanto
trattamenti previdenziali in ragione della sua esclusiva destinazione
al finanziamento di altri trattamenti  previdenziali  e,  dall'altro,
non appare censurabile, sotto il profilo del difetto della  capacita'
contributiva, essendo imposta  su  trattamenti  che  -  per  la  loro
entita' - sicuramente rappresentano un indice di forza economica". 
    Con ulteriore memoria in atti al 31 dicembre 2014,  i  ricorrenti
hanno  replicato  alle  argomentazioni  avanzate  dall'avvocatura  di
Stato,  evidenziando  la  natura   definitiva   del   prelievo   (pur
temporaneo), richiamando in tema  le  considerazioni  espresse  dalla
Consulta nelle sentenze n. 116/2013 e 223/2012, nella quale si legge,
tra l'altro, che il prelievo triennale "va  "oltre  il  periodo  reso
necessario dalle esigenze di riequilibrio di bilancio". 
    Quanto alla tesi  dell'Avvocatura  dello  Stato  secondo  cui  la
confluenza  dei  fondi  nelle  casse  delle  gestioni   previdenziali
obbligatorie  escluderebbe  la  natura  tributaria  del  prelievo,  i
ricorrenti hanno evidenziato che  "le  somme  impiegate  in  gestioni
previdenziali obbligatorie" sono  ben  "spese  pubbliche,  in  quanto
concorrenti alle finalita' tipicamente  pubblicistiche  dell'art.  38
Cost." e ricomprese quali componenti degli equilibri  generali  della
finanza pubblica. 
    Anzi la  stessa  giurisprudenza  costituzionale,  ha  argomentato
parte attrice, ha  evidenziato,  in  materia  di  ammissibilita'  dei
referendum, il collegamento tra azione  di  bilancio  e  prelievi  su
trattamenti pensionistici (sentenza n. 2/1994), giungendo altresi'  a
qualificare  i  prelievi  sui  trattamenti   pensionistici,   sebbene
effettuati solo in funzione della spesa previdenziale, come destinati
a sovvenire a pubbliche  spese  e,  quindi,  come  aventi  natura  di
prelievi forzosi a carattere tributario (sentenza n. 119/1981). Tanto
piu' che, nella specie, "il legislatore, chirurgicamente,  si  guarda
dal parlare della loro destinazione per la  spesa  e,  tantomeno,  ne
assicura la destinazione vincolata ai trattamenti pensionistici  ..."
potendo "essere  concretamente  impiegate,  dalle  medesime  gestioni
previdenziali,  per  finalita'  altre  e  tutte  diverse  da  quella,
tipicamente  solidaristica,  di  finanziare  pensioni  "nuove"  o  di
accrescere  trattamenti  pensionistici  meno  consistenti  di  quelli
colpiti  .....  come  quelli  inerenti  a   prestazioni   prettamente
assistenziali  o,  perfino,  per  quelli  inerenti  semplicemente  al
mantenere ed ampliare l'organizzazione degli istituti di previdenza". 
    Tanto piu' che, ha  concluso  parte  ricorrente,  il  legislatore
segue una politica di mobilizzazione nell'allocazione  delle  risorse
per la spesa cosicche' la stessa dichiarata destinazione  finale  del
prelievo  alle  gestioni  previdenziali   non   risulta   del   tutto
intangibile; si  adduce  in  proposito  l'esemplificazione  normativa
tradotta nell'art. 1, comma 9, della legge n. 228/2012, a  norma  del
quale le somme destinate alle spese  per  l'attivita'  di  patronato,
poste a carico della contribuzione  previdenziale  obbligatoria  sino
dalla L. n. 152/2001, concorrono, proprio a  partire  dal  2014,  "al
raggiungimento degli obiettivi del obiettivi di finanza  pubblica  di
cui all'art. 7 del decreto-legge 4 luglio 2012 n. 95" (come conv.  in
l. n. 135 del 2012). 
    Con ulteriore memoria in  atti  al  9  gennaio  2015,  I'Inps  ha
ulteriormente argomentato in tema, eccependo innanzitutto il  difetto
di giurisdizione relativamente ai convenuti Ciminale Angelo,  D'amico
Angela, Luciano Francesco, Sandei Furia e Siciliano Dario, in  quanto
non  beneficiari  di  pensioni  pubbliche,  il  proprio  difetto   di
legittimazione passiva con riguardo al sig. Pino  Enrico,  in  quanto
beneficiario di pensione direttamente corrisposta dal ministero della
difesa, nonche' la carenza di interesse a ricorre ex art. 100  c.p.c.
con  riguardo  ai  ricorrenti  Perruzzo   Walter   (in   quanto   non
beneficiario di pensione e "pare" in servizio  attivo  iscritto  alla
gestione parasubordinati), Crivellaro Carlo e Moreolo Svaluto Giorgio
(in  quanto  non  risulta  alcun  trattamento  pensionistico  erogato
dall'Inps). Nel merito,  l'Istituto  previdenziale  ha  ulteriormente
argomentato in ordine alla natura non tributaria della norma,  tenuto
conto della transitorieta' del prelievo, e della sua destinazione  "a
precipui interventi, individuati dal legislatore e  non  a  beneficio
della  fiscalita'   generale",   finalita'   fondata   sui   principi
costituzionale ex artt. 2 e 38 Cost (ordinanze c. cost. nn. 22/2003 e
160/2007), come emerso anche in sede di lavori parlamentari. 
    In proposito, l'Istituto previdenziale, ha menzionato una recente
sentenza (n. 14/2014) della Corte dei conti, Sezione  giurisdizionale
del Trentino Alto Adige - Bolzano, che  ha  dichiarato  la  manifesta
infondatezza di identica questione di costituzionalita' sollevata  in
giudizio analogo al presente 
 
                             Considerato 
 
    [1] I  ricorrenti  chiedono  a  questa  Corte  di  "dichiarare  e
riconoscere il diritto a percepire il  trattamento  pensionistico  in
atto, senza le  decurtazioni  relative  al  trattamento  superiore  a
quattordici volte il trattamento minimo INPS, disposte per un periodo
di tre anni, a far data dal 1° gennaio 2014, dall'art. 1,  comma  486
della I. 27 dicembre 2013 n. 147", previa remissione della  questione
alla  Corte  costituzionale  per  l'esame  di  costituzionalita'   di
quest'ultima norma. Sulla domanda proposta dai ricorrenti sussiste la
giurisdizione  di  questa  Corte  (in  disparte  la  questione  posta
dall'Inps sulle domande dei sigg.ri  CIMINALE  Michelangelo,  D'AMICO
Angela, LUCIANI Francesco, SANDEI Furio e SICILIANO Dario,  riservata
alla trattazione successiva all'incidente di  costituzionalita'),  in
quanto il  petitum  sostanziale,  da  individuare  in  ragione  della
intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (causa petendi)
dai ricorrenti - ovvero l'oggetto della domanda  sulla  cui  base  va
determinata, a norma dell'art. 386 cod. proc. civ. la giurisdizione -
concerne  il  riconoscimento  del  diritto  alla  corresponsione  del
trattamento pensionistico  maturato,  senza  dunque  le  decurtazioni
"disposte per un periodo di tre anni, a far data dal 1° gennaio 2014,
dall'art. 1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013 n. 147". Infatti,
secondo univoca giurisprudenza delle sezioni  Unite  della  Corte  di
Cassazione, la giurisdizione della Corte  dei  conti  in  materia  di
pensioni (ai sensi degli artt. 13 e 62 del R.D. n. 1214 del 1933)  ha
carattere esclusivo, in quanto affidata ai criterio  di  collegamento
costituito dalla  materia,  onde  in  essa  sono  comprese  tutte  le
controversie in cui il rapporto  pensionistico  costituisca  elemento
identificativo  del  petitum  sostanziale,  ovvero  sia  comunque  in
questione la misura della prestazione previdenziale (ex aliis,  Cass.
civ. Sez. Unite,  Sent.  n.  8324  del  2010).  Ne'  peraltro  appare
suscettibile di inficiare  detta  affermazione  giurisprudenziale  la
circostanza che detto contributo perequativo rivesta (in tesi) natura
tributaria,  in  quanto  il  rapporto  tra   enti   previdenziali   e
beneficiari  dei   trattamenti   pensionistici   rimane   di   natura
previdenziale e non certo tributario, il quale  ultimo  di  norma  si
caratterizza, diversamente dal caso di specie, per la presenza di  un
soggetto investito di  potestas  impositiva  e  di  un  provvedimento
espressione di tale potere (Sentenza Cass.  n.  15031/2009).  D'altra
parte, come peraltro affermato dalla Sezioni  Unite  della  Corte  di
cassazione nella sentenza n. 2064 del 2011, «le controversie relative
all'indebito  pagamento  dei  tributi   seguono   la   regola   della
devoluzione  alla  giurisdizione  speciale  del  giudice   tributario
soltanto quando si debba impugnare uno degli atti previsti dal d.lgs.
n. 546 del 1992, art. 19 e, di conseguenza,  il  convenuto  in  senso
formale sia uno dei soggetti indicati nell'art. 10, d.lgs. n. 546 del
d.lgs. n. 546 del 1992". 
    [2] Ad avviso di questa Corte, la questione risulta rilevante  ai
fini del decidere ex art. 23 secondo comma  della  legge  n.  87  del
1953,  stante  l'impossibilita'  di  delibare  la   domanda   attorea
«indipendentemente dalla risoluzione della questione di  legittimita'
costituzionale» dell'art. 1, comma 486 della legge 27  dicembre  2013
n. 147. 
    Infatti, poiche' le parti ricorrenti chiedono  il  riconoscimento
del  diritto  al  trattamento  previdenziale   maturato   nella   sua
integralita' e dunque al  netto  delle  decurtazioni  previste  dalla
disposizione di  legge  teste'  menzionata,  questa  Corte  si  trova
nell'oggettiva impossibilita' di definire  il  giudizio  prescindendo
dagli esiti dell'esame della questione di costituzionalita' dell'art.
1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013 n. 147, norma pacificamente
applicabile ed  invero  autoritativamente  applicata  al  trattamento
pensionistico  dei  ricorrenti,  tenuto  altresi'  presente  che   la
disposizione, stante l'univoco e  cogente  tenore  letterale  che  la
connota, non si presta a diversa ricostruzione  interpretativa  (c.d.
costituzionalmente orientata) che  possa  altrimenti  consentire  una
compiuta delibazione del petitum. 
    [3] Quanto alla valutazione di non manifesta  infondatezza  della
questione di costituzionalita' ex art. 23 secondo comma  della  legge
n. 87 del 1953, occorre premettere che  l'art.  1,  comma  486  della
legge 27 dicembre 2013 n. 147 testualmente prevede che: "A  decorrere
dal 1° gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli  importi  dei
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza  obbligatorie  complessivamente  superiori  a  quattordici
volte  il  trattamento  minimo  INPS,  e'  dovuto  un  contributo  di
solidarieta' a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari
al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo  annuo
fino all'importo lordo annuo di venti  volte  il  trattamento  minimo
INPS, nonche' pari al 12 per cento per la parte  eccedente  l'importo
lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS  e  al  18  per
cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di trenta volte il
trattamento minimo INPS. Ai  fini  dell'applicazione  della  predetta
trattenuta  e'  preso  a  riferimento  il  trattamento  pensionistico
complessivo lordo per l'anno considerato ....... Le somme  trattenute
vengono   acquisite   dalle   competenti    gestioni    previdenziali
obbligatorie, anche al fine  di  concorrere  al  finanziamento  degli
interventi di cui al comma 191 del presente articolo". 
    Detta ultima disposizione fa riferimento ad interventi  a  favore
dei lavoratori c.d, esodati,  individuati  dall'art.  1,  comma  231,
lett. b, della legge n. 228 del 2012. 
    Orbene, ad avviso di questa Corte, si rivelano non manifestamente
infondate   le   censure   di   incostituzionalita'   sollecitate   e
articolatamente argomentate dalle parti ricorrenti, con riguardo agli
articoli 2, 3, 36 (considerata la natura di "retribuzione  differita"
del trattamento pensionistico) e 53 della Carta Costituzionale, tanto
piu' avuto riguardo alla recente  giurisprudenza  del  Giudice  delle
leggi (sentenze nn. 116/2013, 241/2012 e 223/2012), per le ragioni di
seguito esposte. 
    [4]  Deve  premettersi  che  questa  Corte  non  ignora  che   la
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n.  446/2002)  ha
chiarito che "In materia previdenziale  [..]  de[bba]  tenersi  anche
conto del principio, [...], secondo cui il legislatore puo' - al fine
[...] di salvaguardare equilibri di bilancio  e  contenere  la  spesa
previdenziale -  ridurre  trattamenti  pensionistici  gia'  in  atto.
(sentenze n. 417 e n. 361 del 1996, n.  240  del  1994,  n.  822  del
1988)", con la conseguenza che" [...]  il  diritto  ad  una  pensione
legittimamente attribuita (in concreto e non potenzialmente) - se non
puo' essere eliminato del tutto da una  regolamentazione  retroattiva
che renda indebita l'erogazione della prestazione  (sentenze  n.  211
del 1997 e n. 419  del  1999)  -  ben  puo'  subire  gli  effetti  di
discipline piu' restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi
sopravvenute", ma a condizione che detti interventi non trasmodino in
"regolamenti irrazionali" che frustrino "l'affidamento del  cittadino
nella  sicurezza  giuridica",  peggiorando   "senza   un'inderogabile
esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva  un  trattamento
pensionistico in precedenza spettante"(c. Cost. sent. n. 822/1988). 
    Tuttavia, si osserva in proposito innanzitutto,  con  riserva  di
successivi approfondimenti, come  la  norma  in  esame  presenti,  ad
avviso  di  questo  giudice  e  anche   a   prescindere   dalla   sua
ricostruzione  in   termini   di   prelievo   tributario,   rilevanti
problematiche di ragionevolezza, avuto riguardo in  particolare  alla
constatazione  che  il   contributo   de   quo,   che   pure   incide
autoritativamente sul reddito da pensione gia' maturato ex lege,  per
un verso  non  viene  finalizzato  all'effettuazione  di  prestazioni
previdenziali/assistenziali puntualmente individuate e  nei  contempo
viene acquisito indistintamente da ciascuna  delle  diverse  gestioni
previdenziali obbligatorie indipendentemente da ogni riferimento alle
dinamiche dei rispettivi equilibri  finanziari,  e  dunque  anche  da
quelle che risultano in una situazione di equilibrio o addirittura di
avanzo (in tema, si confronti la disposizione, sui si veda  posti  di
cui all'art. 1, comma 488 della medesima  legge  di  stabilita').  Si
rileva altresi' che nella norma in esame, come piu' approfonditamente
si sosterra' nel prosieguo, manca qualsivoglia logica di correlazione
tra an e quantum del contributo (compreso il suo orizzonte  temporale
triennale)  e  dinamiche  finanziarie/prestazionali  complessive  del
sistema previdenziale. 
    In questo  quadro,  non  appaiono  manifestamente  infondati,  ad
avviso di questo giudice, i dubbi di costituzionalita' avanzati dalle
parti ricorrenti con riguardo alla irragionevole lesione dei  diritti
soggettivi pensionistici maturati ex lege e del legittimo affidamento
sulla stabilita' del trattamento previdenziale, con  riguardo  dunque
ai principi costituzionali di cui agli  articoli  2,  36  (stante  la
natura di retribuzione differita del trattamento previdenziale), e  3
della Carta fondamentale, quest'ultimo assunto  dalla  giurisprudenza
costituzionale (da ultimo, sentenza,  n.  160/2013)  a  presidio  del
legittimo affidamento verso situazioni giuridiche consolidate. 
    [4.1.] Peraltro, alla luce della ormai consolidata giurisprudenza
del Giudice delle leggi, questa Corte dubita  che  il  contributo  di
solidarieta' previsto dalla norma de qua,  per  come  conformato  dal
legislatore,   rivesta   esclusivamente   natura    di    prestazione
patrimoniale imposta ex art. 23 Cost. e non  anche,  al  di  la'  del
nomen furis utilizzato, di prelievo di natura tributaria ex  art.  53
della Carta. 
    In tema, pare appena il caso di osservare come, secondo la  ormai
consolidata giurisprudenza costituzionale (ex aliis, sentenza n.  223
del  2012),  "indipendentemente  dal  nomen  iuris  attribuitole  dal
legislatore, al fine di valutare  se  una  decurtazione  patrimoniale
definitiva integri un tributo,  occorre  interpretare  la  disciplina
sostanziale che la prevede  alla  luce  dei  criteri  indicati  dalla
giurisprudenza  costituzionale  come   caratterizzanti   la   nozione
unitaria di tributo:  cioe'  la  doverosita'  della  prestazione,  in
mancanza di un rapporto  sinallagmatico  tra  le  parti,  nonche'  il
collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in  relazione
ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis, sentenze  n.
141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del  2006,  n.  73  del
2005). Un tributo consiste, quindi, in un «prelievo coattivo  che  e'
finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico  di
un soggetto passivo in base ad  uno  specifico  indice  di  capacita'
contributiva» (sentenza n. 102 del 2008); indice che  deve  esprimere
l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria (sentenze n.
91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del  1965,  n.  45
del 1964)". 
    Orbene, in disparte la diversa quaestio  della  natura  giuridica
dei c.d. contributi previdenziali (in  ordine  ai  quali,  pur  nella
diversificazione  delle  impostazioni   ricostruttive,   prevale   in
dottrina e giurisprudenza - di recente, Cass., sez. III  pen.,  sent.
n. 20845/2011 -, la qualificazione in termini tributari), la norma in
esame espressamente prevede una prestazione patrimoniale autoritativa
(cfr. artt. 23 e 53 Cost.) "isolata" (ovvero avulsa  da  qualsivoglia
rapporto  sinallagmatico),  gravante  (esclusivamente)   su   redditi
derivanti  da  trattamento  previdenziale  obbligatorio,   per   come
maturati secundum legem a seguito di  contribuzione  obbligatoria  in
costanza di rapporto di lavoro. 
    Detta  prestazione  patrimoniale  imposta,  pur  congegnata  come
temporanea (tre anni a decorrere dall'1 gennaio 2014),  presenta  per
giunta  inequivocabilmente   (contrariamente   a   quanto   sostenuto
dall'Inps e dall'Avvocatura dello Stato nelle  memorie  prodotte)  il
carattere della definitivita', ovvero della irretrattabile  ablazione
a vantaggio del patrimonio delle gestioni previdenziali obbligatorie. 
    [4.2] In questo orizzonte ricostruttivo, non appaiono ex  adverso
persuasive  le  argomentazioni   rese   in   giudizio   dall'Istituto
previdenziale e dall'Avvocatura dello Stato fondate sulla  diversita'
del beneficiario dei contributi (le gestioni previdenziali e  non  lo
Stato), per un insieme di ragioni, di seguito specificate. 
    a) Secondo la dottrina tributarista, tanto piu' alla  luce  della
recente riforma del titolo V della Costituzione (lo Stato e' divenuto
una, seppur fondamentale, componente  della  Repubblica,  nell'ambito
della quale si e' registrata una  implementazione  poliarchica  della
potesta' impositiva, pur rimanendo ferma la riserva relativa di legge
prevista dall'art. 23  della  Carta),  in  presenza  di  un  prelievo
coattivo avulso da un rapporto sinallagmatico, la  qualificazione  in
termini tributari non puo' ritenersi inficiata dalla circostanza  che
le somme vengano acquisite non dallo Stato ma da un diverso  soggetto
giuridico del settore pubblico (sulla natura pubblicistica degli enti
previdenziali privatizzati e comunque dell'attivita' istituzionale di
obbligatoria previdenza e assistenza, si  vedano  Cds.,  sentenze  n.
6014/2012 e n. 182/2006; C. Conti,  Sez.  contr.  enti,  n.  59/1996;
Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze n.  13398/2007  e
n. 19497/2008:, Corte costituzionale, sentenza 248/1997). 
    b) In questo senso, peraltro, si e' puntualmente  pronunziata  la
stessa   Corte   costituzionale   in   alcune   sentenze,   pur   non
particolarmente recenti. In dettaglio, la Consulta, nella sentenza n.
11  del  1995,  ha  sostenuto  che  "gli  elementi  basilari  per  la
qualificazione di una legge come  tributaria  sono  costituiti  dalla
ablazione delle somme  con  attribuzione  delle  stesse  ad  un  ente
pubblico e la loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il
fabbisogno  finanziario  dell'ente  medesimo".  Analogamente,   nella
sentenza n. 37 del 1997 la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che
"nella  fattispecie,  invero,  risultano  sussistenti  entrambi   gli
elementi indicati da altra giurisprudenza di questa Corte  costituiti
dalla ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un  ente
pubblico e la loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il
fabbisogno finanziario". 
    c) Ma soprattutto, la Carta fondamentale  testualmente  individua
il  soggetto  giuridico  deputato   ad   assicurare   le   necessarie
prestazioni previdenziali e assistenziali, tanto piu' per la gestione
previdenziale obbligatoria, esclusivamente nello Stato,  che,  a  tal
fine, "predispone" o "integra" "organi o istituti" (art. 38, comma 4,
Cost.), quali il convenuto  Inps,  peraltro  ente  strumentale  dello
Stato. D'altra parte, l'Istituto nazionale della previdenza  sociale,
fin dalla sua istituzione,  ha  usufruito  di  trasferimenti  statali
(art. 59 del R.D.L. 4-10-1935 n. 1827),  ed  e'  tuttora  stabilmente
finanziato anche da fondi statali, evidentemente  principalmente  con
riguardo alle  gestioni  previdenziali  obbligatorie.  In  proposito,
possono  essere  sinteticamente   richiamati   i   tre   sistemi   di
finanziamento statale  delle  gestioni  previdenziali  Inps  previsti
ormai a regime in quanto sistematicamente richiamati dalle  leggi  di
stabilita' (da ultimo, art. 1, comma 2, della  legge  n.  147/2013  e
art. 2 della legge di stabilita' per il 2015 n. 190/2014) di cui agli
articoli 37, comma 3, lettera c), della legge 9 marzo 1989, n. 88,  e
successive modificazioni, 59, comma 34, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449, e successive modificazioni, e 2,  comma  4,  della  legge  12
novembre 2011, n. 183, norma quest'ultima che prevede che "AI fine di
garantire il pagamento dei trattamenti pensionistici e' stabilito  un
apporto dello Stato a favore della gestione di cui al comma  1.  Tale
apporto  e'  erogato  su  base  trimestrale,  subordinatamente   alla
verifica delle effettive necessita' finanziarie della dtata gestione,
riferite al singolo esercizio finanziario". 
    Da ultimo, si osserva incidentalmente che detto  obbligo  statale
di contribuzione alla gestione previdenziale, lungi dal risolversi in
un'affermazione legislativa puramente teorica, ha  assunto  in  rebus
carattere di effettivita' finanziaria e  di  sostanziale  permanenza,
anche in ragione dell'andamento della gestione finanziaria  dell'Inps
(per rimanere all'ultimo consuntivo approvato - ma non si  tratta  di
trend gestionale di breve periodo -, l'Istituto  nel  2013  ha  fatto
registrare un disavanzo di competenza di 8.724 milioni di  euro,  con
una perdita di esercizio di 12.217 milioni di euro). 
    [4.3]  Parimenti,  non  appaiono   ex   adverso   persuasive   le
argomentazioni rese  dall'Istituto  previdenziale  e  dall'Avvocatura
dello Stato a  sostegno  della  peculiarita'  della  norma  di  legge
esaminata, fondate essenzialmente sulla destinazione finalistica  dei
contributi,  in   quanto   "acquisiti   dalle   competenti   gestioni
previdenziali  obbligatorie,  anche  al   fine   di   concorrere   al
finanziamento degli interventi di  cui  al  comma  191  del  presente
articolo"; diversamente dalle fattispecie  astratte  esaminate  dalla
menzionata recente giurisprudenza costituzionale,  secondo  le  parti
resistenti  si  tratterebbe,  piu'  puntualmente,   di   un'ablazione
funzionale a garantire risorse  finanziarie  non  tanto  a  beneficio
della fiscalita' generale, ma funzionali ad interventi specificamente
individuati  dal  legislatore  e  ispirati   ad   un   principio   di
solidarieta', per cosi' dire, endo-previdenziale. 
    In proposito, questa Corte non ignora come  si  rinvengano  nella
giurisprudenza della Consulta alcuni precedenti in  materia,  seppure
non univoci, nei quali il valore  costituzionale  della  solidarieta'
endo-previdenziale (artt. 2 e 38 della Carta) ha  ricevuto  specifica
valorizzazione. 
    In dettaglio e con riferimento a prestazioni patrimoniali imposte
sui redditi da pensione,  se  nella  sentenza  n.  119  del  1981  la
Consulta ritenne violato il principio  di  eguaglianza  in  relazione
alla capacita' contributiva perche' i pensionati (cui, a partire  dal
1968, era richiesto un contributo  progressivo  a  favore  del  Fondo
sociale)  erano  invero  colpiti  "in  misura  ingiustificatamente  e
notevolmente maggiore" rispetto ai percettori di altri redditi  e  ai
lavoratori subordinati, nell'ordinanza di inammissibilita' n. 22  del
2003 (in termini,  ord.  n.  160/2007)  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 37 della legge 23  dicembre  1999,  n.  488,
disattendendo la censura di  irragionevolezza  fondata  sull'asserita
natura tributaria  del  contributo,  "laddove  la  contestata  scelta
discrezionale del legislatore e'  stata  operata  in  attuazione  dei
principi  solidaristici  sanciti  dall'art.  2  della   Costituzione,
attraverso l'imposizione  di  un'ulteriore  prestazione  patrimoniale
gravante solo su alcuni  trattamenti  previdenziali  obbligatori  che
superino  un  certo  importo  stabilito  dalla  legge,  al  fine   di
concorrere al finanziamento dello stesso sistema previdenziale". 
    Tuttavia, appare significativo rilevare, in  proposito,  come  il
combinato disposto degli articoli 37 della legge n.  488/1999  (norma
scrutinata dall'ordinanza di inammissibilita' n. 22 del 2003)  e  69,
comma 9, della legge n. 388/2000 prevedesse la  confluenza  di  detti
contributi in uno specifico fondo obbligatoriamente finalizzato  alla
copertura previdenziale di specifici ambiti prestazionali, ovvero dei
lavori discontinui, dei lavoratori autonomi e co.co.co,  nonche'  per
il finanziamento di periodi di tempo non coperti da contribuzione. 
    Orbene, premesso il riferimento alla non  univoca  giurisprudenza
costituzionale in materia, deve, ad avviso di questo  giudice,  esser
sottoposta a puntuale  verifica  controfattuale  la  stessa  asserita
finalita' solidaristica esclusivamente endo-previdenziale, ex artt. 2
e 38 Cost., del contributo in esame. 
    In  merito,  questa  Corte,  alla  luce  dei  dati  normativi   e
finanziari di sistema, dubita che il contributo de quo,  non  a  caso
inserito nella legge di stabilita' per il  2014,  sia  effettivamente
finalizzato non tanto a contribuire a ridurre il  debito  pubblico  o
comunque a contrastare  la  situazione  finanziaria  complessiva  dei
Paese,  ma  a  perequare  in  funzione   solidaristica   il   sistema
previdenziale, per un insieme di ragioni di seguito specificate. 
    a) Innanzitutto, giova evidenziare come la norma non  costituisca
espressione di una ridefinizione, rigorosamente supportata da analisi
di matrice statistico/assicurativa, del sistema di previdenza sociale
(cfr. legge 8 agosto 1995, n. 335), ovvero anche solo di  alcune  sue
componenti,  ispirata  a  finalita'   solidaristiche   (ad   esempio,
intergenerazionali  o  di  altra  natura  tra  settori  diversi   del
welfare),  limitandosi  a  introdurre  un   obbligo   temporaneo   di
contribuzione in percentuale sulle pensioni piu' elevate  determinato
in maniera evidentemente atecnica sul  terreno  statistico/attuariale
endoprevidenziale; in buona sostanza, non si comprende,  innanzitutto
sul terreno tecnico-finanziario e  degli  equilibri  complessivi  del
sistema previdenziale e delle gestioni obbligatorie, perche' -  cioe'
con     quali     prospettive      di      equilibrio/redistribuzione
previdenziale/assistenziale  -  prelievo  sia  stato   introdotto   e
limitatamente ad un triennio,  per  quali  ragioni  debba  operare  a
partire da un reddito di circa euro 90.000,00  annui  e  perche'  sia
stato determinato nelle percentuali previste per i diversi scaglioni. 
    Anzi, nella norma in questione manca del tutto ogni  correlazione
con prospettive e dinamiche degli equilibri  finanziari  del  sistema
previdenziale (del resto, come si vedra', connessi a quelli generali)
e finanche delle gestioni previdenziali obbligatorie, diversamente da
altra disposizione relativa sempre al settore previdenziale contenuta
(arti, comma 488 e normativa ivi richiamata) nella medesima legge  di
stabilita' (cfr.  Corte  di  Cassazione,  sez.  lavoro,  sentenza  n.
53/2015 sulla inconciliabilita' tra natura temporanea dei  contributi
e funzionalizzazione agli equilibri finanziari di lungo periodo). 
    Diversamente da quest'ultima disposizione  (a  prescindere  dalle
problematiche interpretative sul suo ambito applicativo), infatti, la
norma in esame  disegna  una  prestazione  patrimoniale  imposta  che
opera,  in  via  generale  e  astratta,   per   tutte   le   gestioni
previdenziali  obbligatorie  a  prescindere  dalle  diverse  concrete
dinamiche dei rispettivi equilibri finanziari (anche  per  quelle  in
equilibrio o addirittura in avanzo) e avendo per converso a parametro
di  commisurazione  esclusivamente  il  livello   del   reddito   dei
pensionati. 
    b)  Come  emerge  in  maniera  evidente  dall'esame  dei   lavori
preparatori parlamentari,  che  pure  sottolineano  -  come  eccepito
dall'Inps - come il  Governo  abbia  evidenziato  la  confluenza  dei
contributi nelle  gestioni  previdenziali  obbligatorie  al  fine  di
argomentare l'infondatezza delle sollevate (gia' in  sede  di  lavori
parlamentari) problematiche  di  costituzionalita'  sulla  norma,  la
logica  ispiratrice  dell'intervento  normativo  ictu  ocull  risiede
essenzialmente in valutazioni di finanza pubblica generale. 
    In particolare, il  prospetto  riepilogativo  riferito  al  testo
licenziato dal Senato testualmente pone in primario rilievo, non gia'
gli effetti sulle dinamiche finanziarie/prestazionali  delle  diverse
gestioni   obbligatorie   o    anche    del    complessivo    sistema
previdenziale/assistenziale,   ma   essenzialmente    le    inferenze
dell'ablazione patrimoniale sui  saldi  di  finanza  pubblica  (saldo
netto da finanziare, fabbisogno e indebitamento  netto),  secondo  la
seguente tabella (testualmente riportata): 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    E ancora, la relazione tecnica al testo  licenziato  dal  Senato,
oltre  a  descrivere  le  norme,  espone  sostanzialmente   parametri
finanziari generali, concludendo  che  dalle  disposizioni  in  esame
(considerati il numero dei soggetti coinvolti, il loro reddito  e  le
relative aliquote fiscali) derivano le seguenti economie: 
 
                          (milioni di euro) 
 
      
 
   ===============================================================
   |               |  2014   |    2015   |    2016   |    2017   |
   +===============+=========+===========+===========+===========+
   |Al lordo       |         |           |           |           |
   |effetti fiscali|   93    |     93    |     93    |     0     |
   +---------------+---------+-----------+-----------+-----------+
   |Al netto       |         |           |           |           |
   |effetti fiscali|   52    |     52    |     52    |     0     |
   +---------------+---------+-----------+-----------+-----------+
 
    E appare altresi'  significativo  evidenziare  come  il  medesimo
approccio espositivo/ricostruttivo, del resto del tutto coerente  con
la natura del testo  normativo  (legge  c.d.  di  stabilita'),  viene
parimenti seguito nei lavori parlamentari sia (come e'  scontato  che
sia)  con  riferimento  al  contributo  di  solidarieta'  su  redditi
complessivi  superiori  a  300.000  euro  (comma  590)  (1)  che  con
riferimento all'obbligo di restituzione (comma 287) dei contributi di
solidarieta'  sulle  pensioni  (2)  gia'   prelevati   e   dichiarati
incostituzionali dalla Consulta con la sentenza n. 116/2013. 
 
    c) Analogamente, la norma in  esame  (diversamente  dall'art.  37
della legge n. 488/1999, scrutinato dalla gia'  richiamata  ordinanza
della Consulta  n.  22/2003),  non  prevede  alcun  puntuale  vincolo
finalistico nell'impiego delle somme, come peraltro emerso anche  nel
corso dei lavori preparatori (servizio studi della Camera). Lo stesso
generico riferimento al lavoratori c.d. esodati, oltre  a  non  esser
vincolante quanto alla destinazione dei contributi (come testualmente
evidenziato,   in   maniera   inequivocabile,   dall'impiego    della
congiunzione "anche"),  non  viene  adeguatamente  sostanziato  dalla
individuazione  di  specifiche  prestazioni  previdenziali  (cosa  si
assicura ed  a  quante  persone)  da  garantire  a  detta  platea  di
soggetti. 
 

              Parte di provvedimento in formato grafico

 
    Piu' in generale, occorre in buona sostanza evidenziare che  alla
previsione delle prestazioni patrimoniali imposte il legislatore  non
associa inderogabilmente, con  finalita'  solidaristiche  interne  al
sistema previdenziale, alcuna individuazione di "ulteriori o diverse"
prestazioni  da  garantire  mediante  l'impiego  di  dette   risorse,
limitandosi ad un intervento finanziario di pura "cassa"  nel  quadro
delle complessive dinamiche della finanza pubblica,  conseguentemente
del   tutto   "fungibile"   rispetto   all'"ordinario"   sistema   di
finanziamento  statale   delle   gestioni   previdenziali   (prelievo
tributario e trasferimenti agli enti previdenziali). 
    A  tal  proposito,   non   appare   ultroneo   evidenziare   come
l'immediatamente successivo comma 487  dell'art.  1  della  legge  di
stabilita'  per  il  2014,  espressamente  preveda  che  "i  risparmi
derivanti dalle misure di contenimento della  spesa  adottate,  sulla
base dei principi di cui al comma 486, dagli  organi  costituzionali,
dalle regioni e dalle province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
nell'esercizio della propria autonomia sono versati  all'entrata  del
bilancio dello Stato per essere destinati al Fondo di  cui  al  comma
48" (di garanzia per le piccole e medie imprese, etc..). 
    [4.4]  L'insieme  delle   considerazioni   ricostruttive   svolte
contribuisce, in sostanza, a disegnare il  quadro  di  uno  strumento
normativa, quello dell'obbligo di contribuzione ex art. 1, comma 486,
della legge n. 147/2013, giuridicamente e assiologicamente (artt. 2 e
38  Cost)   "distante"   da   autentiche   finalita'   solidaristiche
endo-previdenziali,   avuto    riguardo    alla    sua    neutralita'
giuridico-economica  rispetto  alla  consistenza   quali-quantitativa
delle prestazioni previdenziali concretamente assicurate, all'assenza
di correlazione (nell'an e nel quantum del prelievo) con le  concrete
dinamiche finanziarie delle varie gestioni previdenziali obbligatorie
nonche' alla sua parametrazione con  esclusivo  riguardo  al  reddito
(capacita' contributiva) dei pensionati e  avendo  a  riferimento  le
dinamiche complessive della finanza pubblica; dinamiche rispetto alle
quali  emerge  la  sostanziale  sovrapponibilitta'/fungibilita'   del
contributo, nell'ottica del policy maker finanziario e quoad effectum
in aerarium (comprese le finanze degli enti previdenziali),  rispetto
al prelievo tributario e al sistema di trasferimento di fondi statali
alle gestioni previdenziali. 
    [4.5] Ricostruita in questi termini la natura  della  prestazione
patrimoniale imposta de qua, questo giudice  ritiene  sostanzialmente
nella  specie  trasponibili,   a   sostegno   della   non   manifesta
infondatezza della  questione  di  costituzionalita'  per  violazione
degli articoli 3 (eguaglianza/ragionevolezza) e 53 (correlazione alla
capacita' contributiva e progressivita') della Carta fondamentale, le
argomentazioni addotte dalla recente  giurisprudenza  costituzionale,
con particolare riguardo per la sentenza n. 116 del 2013. 
    Cio' anche  a  prescindere  dalla  diversa  qualificazione  della
fattispecie in termini di vera e  propria  violazione  del  giudicato
costituzionale, pur avanzata da parte della  dottrina  e  sollecitata
anche dalle parti ricorrenti sulla scorta di rigorosa  giurisprudenza
costituzionale (C. cost., sentenze n. 73/1963 e n. 88/1966, che parla
di violazione del'art. 136 nell'ipotesi che  una  legge  "persegue  e
raggiunge, anche se indirettamente, lo stesso risultato" di una norma
gia' dichiarata incostituzionale), ma difficile da condividere  (come
rilevato da altra opinio dottrinaria) in  ragione,  oltre  che  delle
invero residuali (nel  senso  teste'  precisato)  peculiarita'  della
disposizione sub iudice, del suo differente  orizzonte  temporale  di
efficacia. 
    Ad ogni modo, ai fini del riscontro  di  costituzionalita'  della
norma de qua, si osserva che la prestazione patrimoniale imposta ictu
oculi  incide  esclusivamente  su  una   determinata   categoria   di
cittadini, ovvero i titolari di trattamenti pensionistici erogati  da
enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, mentre la rimanente
generalita' dei consociati di eguale capacita' contributiva  (tertium
comparationis, come tale  individuato  dalla  stessa  Consulta  nella
sentenza n. 116/2013 nel prelievo del 3 per cento sui  redditi  annui
superiori a 300.000 euro ex l'art.  2  del  d.l.  n.  138  del  2011,
reiterato dall'art. 1 comma 590 della medesima legge n. 147/2013) non
risulta astretta da analogo prelievo tributario. 
    Infatti, detta evidente disparita' di trattamento appare  viepiu'
confermata   (ulteriore   testimonianza   dell'evidente    "affinita'
contributiva" degli istituti) dai legislatore, nella  medesima  legge
di stabilita' (art. 1, comma 590), anche in materia  di  proroga  del
contributo di solidarieta' del 3 per  cento  relativo  a  redditi  di
importo notevolmente elevato (superiore a  300.000,00  euro),  per  i
quali per un verso  si  prevede  che  "ai  fini  della  verifica  del
superamento del limite rilevano anche i trattamenti pensionistici  di
cui al comma 486", e nel contempo si dispone che "su tali trattamenti
il contributo di solidarieta' di cui al primo periodo non e' dovuto",
in quanto sottoposti  al  piu'  elevato  contributo  di  solidarieta'
specifico per i redditi da pensione.  Con  l'irragionevole  esito  di
sottoporre ad un trattamento  radicalmente  deteriore  i  redditi  da
pensione rispetto a quelli da diversa fonte ovvero anche misti, anche
nell'ambito di un range reddituale particolarmente elevato. 
    Eppure, come sottolineato dal giudice  delle  leggi  (da  ultimo,
sentenza n. 116  del  2013)  "i  redditi  derivanti  dai  trattamenti
pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura  diversa
e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai
fini dell'osservanza  dell'art.  53  Cost.,  il  quale  non  consente
trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro". 
    Questa Corte non ignora come, secondo consolidata  giurisprudenza
costituzionale, «la Costituzione non impone  affatto  una  tassazione
fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e  proporzionali
per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece  un
indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di
sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale (artt. 2 e 3 della  Costituzione)»  (sentenza  n.
341 del 2000, richiamata dalla sentenza n. 116 del 2013). 
    Lo  scrutinio  di  costituzionalita'  si  risolve  dunque  in  un
"giudizio sull'uso ragionevole, o meno,  che  il  legislatore  stesso
abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia  tributaria,  al
fine di verificare la coerenza interna della  struttura  dell'imposta
con il suo presupposto economico,  come  pure  la  non  arbitrarieta'
dell'entita' dell'imposizione (sentenza n. 111 del 1997)". 
    Proprio in applicazione dei  menzionati  principi,  emerge  nella
specie, cosi come gia'  in  passato  ravvisato  dalla  Consulta,  "un
giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso trattamento
riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di  un  risultato
di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e  piu'  favorevole
per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi  di
eguaglianza  dei  cittadini  e  di  solidarieta'   economica,   anche
modulando diversamente un universale intervento impositivo». Se da un
lato l'eccezionalita' della situazione economica che  lo  Stato  deve
affrontare e' suscettibile  di  consentire  il  ricorso  a  strumenti
eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento
degli interessi finanziari e di garantire i servizi e  la  protezione
di cui tutti cittadini necessitano, dall'altro cio' non  puo'  e  non
deve determinare ancora una volta un'obliterazione  dei  fondamentali
canoni   di   uguaglianza,   sui   quali   si   fonda   l'ordinamento
costituzionale" (cosi' ancora la sentenza della Corte  costituzionale
n. 116 del 2013). 
    Tanto  piu'  che,  ha  argomentato  la  Consulta  nel  precedente
ripetutamente  richiamato,  la  giurisprudenza   costituzionale   "ha
ritenuto che il trattamento  pensionistico  ordinario  ha  natura  di
retribuzione differita  (fra  le  altre  sentenza  n.  30  del  2004,
ordinanza n. 166 del 2006); sicche' il  maggior  prelievo  tributario
rispetto   ad   altre   categorie   risulta   con    piu'    evidenza
discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai  consolidati
nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia'  rese  da
cittadini che hanno esaurito la loro  vita  lavorativa,  rispetto  ai
quali non  risulta  piu'  possibile  neppure  ridisegnare  sul  piano
sinallagmatico il rapporto di lavoro". 
    Per quanto suesposto, riservata ogni  altra  decisione  all'esito
del giudizio innanzi  alla  Consulta,  deve  essere  conseguentemente
disposta la remissione degli atti  alla  Corte  costituzionale  e  la
sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 134  della  Costituzione,
dell'art. 1 della legge  costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1  e
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.