Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia (cod. fisc. 80014930327; P. IVA 00526040324), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore dott. Renzo Tondo, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 122 del 30 gennaio 2013 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc. FLCGDM45C06L736E) di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione, in Piazza Colonna, 355; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'art. 1, commi da 2 a 12 (eccetto l'8) e 16; dell'art. 1-bis, co. 1, lett. a), n. 1, e lett. e), e co. 4; dell'art. 2, co. 1, 2 e 4; dell'art. 3, co. 1, lett. e); dell'art. 6, co. 1, 2 e 3; dell'art. 11-bis; del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, come convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 286 del 7 dicembre 2012, Suppl. ord. n. 206; Per violazione: dello Statuto speciale adottato con legge cost. 1 del 1963; degli articoli 24, 100, 113, 116, 117, 127 e 134 della Costituzione; delle norme di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975 e artt. 3, 4, 6, 9 e 18 decreto legislativo n. 9/1997); della legge n. 220/2010; del principio dell'accordo in materia finanziaria e del principio di leale collaborazione; Per i profili e nei modi di seguito illustrati. F a t t o La Regione Friuli-Venezia Giulia e' dotata di autonomia organizzativa (art. 4, n. 1, Statuto), di competenza in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale (art. 4, n. 1-bis, St. e art. 9 decreto legislativo n. 9/1997) e di autonomia finanziaria ai sensi delle disposizioni comprese nel Titolo IV dello Statuto speciale. Secondo la regola stabilita dall'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001, ad essa le disposizioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione si applicano in quanto le attribuiscano una maggiore autonomia. Il Titolo V dello Statuto regola i Controlli sull'Amministrazione regionale ed il Titolo VII disciplina i Rapporti fra Stato e Regione. La materia dei controlli statali sulle Province rientra, all'evidenza, in tali Titoli e l'integrazione e l'attuazione delle norme statutarie, come noto, puo' essere compiuta solo dalle norme di attuazione adottate ai sensi dell'art. 65 dello Statuto. La disciplina di tali controlli, dunque, rientra nella competenza delle norme di attuazione: per quel che riguarda i controlli della Corte dei conti, rileva in particolare l'art. 33 decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975, come modificato dal decreto legislativo n. 125/2003. In tale contesto, e' ora intervenuto il decreto-legge n. 174/2012, che detta norme «in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali». L'art. 1 si propone il Rafforzamento della partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria delle regioni. Il comma 1 di esso dispone che, «al fine di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, le disposizioni del presente articolo sono volte ad adeguare, ai sensi degli articoli 28, 81, 97, 100 e 119 della Costituzione, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131». Delle disposizioni cosi' richiamate, l'art. 3, co. 5, legge n. 20/1994 stabilisce che, «nei confronti delle amministrazioni regionali, il controllo della gestione concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma». L'art. 7, co. 7, della legge n. 131/2003 ha un contenuto piu' complesso, e dispone quanto segue: «la Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilita' interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonche' la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati... Resta ferma la potesta' delle Regioni a statuto speciale, nell'esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalita'». Il comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge n. 174/2012 prevede una relazione semestrale della Corte dei conti sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali, relazione che e' inviata ai Consigli regionali. Il comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 174/2012 disciplina un controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi delle Regioni e degli enti che compongono il servizio sanitario nazionale, rivolto al fine di verificare il «rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilita' interno», l'«osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'art. 119, sesto comma, della Costituzione», la «sostenibilita' dell'indebitamento» e l'«assenza di irregolarita' suscettibili di pregiudicare... gli equilibri economico-finanziari degli enti». Il comma 4 dell'art. 1 precisa che, «ai fini del comma 3, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano altresi' che i rendiconti delle regioni tengano conto anche delle partecipazioni in societa' controllate e alle quali e' affidata la gestione di servizi pubblici per la collettivita' regionale e di servizi strumentali alla regione, nonche' dei risultati definitivi della gestione degli enti del Servizio sanitario nazionale». Il comma 5 si occupa del giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione. Il comma 6 dispone che «il presidente della regione trasmette ogni dodici mesi alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti una relazione sulla regolarita' della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Il comma 7 disciplina gli effetti del controllo. Esso stabilisce in primo luogo che, «nell'ambito della verifica di cui ai commi 3 e 4, l'accertamento, da parte delle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarita' della gestione finanziaria o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilita' interno comporta per le amministrazioni interessate l'obbligo di adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarita' e a ripristinare gli equilibri di bilancio» (enfasi aggiunta). Dispone poi che tali provvedimenti «sono trasmessi alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta giorni dal ricevimento» e che qualora «la regione non provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali e' stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria» (enfasi aggiunta). I commi 9, 10, 11 e 12 dell'art. 1 decreto-legge n. 174/2012 contengono disposizioni orientate in modo simile a quelle ora esposte, riferite pero' non alle Regioni in quanto tali ma ai gruppi dei Consigli regionali. In particolare, essi prevedono che ciascun gruppo elabori un rendiconto annuale e che la regolarita' di esso sia controllata dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. L'accertamento della Corte dei conti puo' produrre obblighi di regolarizzazione a carico del gruppo e, «nel caso in cui il gruppo non provveda alla regolarizzazione entro il termine fissato, decade, per l'anno in corso, dal diritto all'erogazione di risorse da parte del consiglio regionale». Tale decadenza «comporta l'obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale e non rendicontate» (co. 11). In base al comma 12, «la decadenza e l'obbligo di restituzione di cui al comma 11 conseguono alla mancata trasmissione del rendiconto entro il termine individuato ai sensi del comma 10, ovvero alla delibera di non regolarita' del rendiconto da parte della sezione regionale di controllo della Corte dei conti». Al comma 16, esso detta una clausola di salvaguardia, disponendo che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente articolo entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto». L'art. 1-bis decreto-legge n. 174/2012 apporta modifiche al decreto legislativo n. 149/2011, Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42. Il comma 1 modifica due commi dell'art. 1 decreto legislativo n. 149/2011, in materia di relazione di fine legislatura. Il comma 4, lett. a), dell'art. 1-bis modifica l'art. 5, co. 1, del decreto legislativo n. 149/2011, aggiungendo ad esso un riferimento espresso alle Province autonome. L'art. 2, comma 1, decreto-legge n. 174/2012 dispone che, «ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, a decorrere dal 2013 una quota pari all'80 per cento dei trasferimenti erariali a favore delle regioni, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e al trasporto pubblico locale, e' erogata a condizione che la regione, con le modalita' previste dal proprio ordinamento, entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto qualora occorra procedere a modifiche statutarie», abbia rispettato i numerosi vincoli previsti dalle lett. da a) a n) del comma 1. In base al comma 2, «ferme restando le riduzioni di cui al comma 1, alinea, in caso di mancato adeguamento alle disposizioni di cui al comma 1 entro i termini ivi previsti, a decorrere dal 1° gennaio 2013 i trasferimenti erariali a favore della regione inadempiente sono ridotti per un importo corrispondente alla meta' delle somme da essa destinate per l'esercizio 2013 al trattamento economico complessivo spettante ai membri del consiglio regionale e ai membri della giunta regionale». Il comma 4 dispone che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione». L'art. 3, co. 1, lett. e) decreto-legge n. 174/2012 sostituisce l'art. 148 decreto legislativo n. 267/2000, in materia di controlli esterni sugli enti locali. L'art. 6, intitolato Sviluppo degli strumenti di controllo della gestione finalizzati all'applicazione della revisione della spesa presso gli enti locali e ruolo della Corte dei conti, dispone, al comma 1, che, «per lo svolgimento di analisi sulla spesa pubblica effettuata dagli enti locali, il Commissario per la revisione della spesa previsto dall'art. 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52,... si avvale dei Servizi ispettivi di Finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato ai quali sono affidate analisi su campione relative alla razionalizzazione, efficienza ed economicita' dell'organizzazione e sulla sostenibilita' dei bilanci». Il comma 2 dispone che tali analisi «sono svolte ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, sulla base di modelli di accertamento concordati dalla Ragioneria generale dello Stato con il Commissario di cui al comma 1 e deliberati dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti», e che gli esiti «dell'attivita' ispettiva sono comunicati al predetto Commissario di cui al comma precedente, alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti e alla Sezione delle autonomie». Il comma 3 dispone che «la Sezione delle autonomie della Corte dei conti definisce, sentite le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, le metodologie necessarie per lo svolgimento dei controlli per la verifica dell'attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali» e che le Sezioni regionali «effettuano i controlli in base alle metodologie suddette anche tenendo conto degli esiti dell'attivita' ispettiva e, in presenza di criticita' della gestione, assegnano alle amministrazioni interessate un termine, non superiore a trenta giorni, per l'adozione delle necessarie misure correttive dirette a rimuovere le criticita' gestionali evidenziate e vigilano sull'attuazione delle misure correttive adottate». Infine, l'art. 11-bis decreto-legge n. 174/2012 stabilisce che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui al presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione». Ad avviso della Regione Friuli-Venezia Giulia, le norme sopra richiamate risultano lesive delle sue prerogative costituzionali per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 2 a 12 (eccetto l'8) e 16. A) Premessa. I controlli della Corte dei conti sulla Regione Friuli-Venezia Giulia. L'art. 100, comma 2, della Costituzione dispone, come noto, quanto segue: «la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimita' sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito». In relazione agli enti locali, tale norma e' stata attuata dapprima con l'art. 13 decreto-legge n. 786/1981 e poi con l'art. 3, co. 4, legge n. 20/1994, in base al quale «la Corte dei conti svolge, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonche' sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimita' e la regolarita' delle gestioni, nonche' il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione» (controllo sulla gestione finanziaria). Era inoltre stabilito che la Corte «accerta, anche in base all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attivita' amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa» (controllo sulla gestione amministrativa). Per le Regioni, l'art. 3, co. 5 legge n. 20/1994 disponeva che «nei confronti delle amministrazioni regionali, il controllo della gestione concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma». Dunque, la legge n. 20/1994 ha introdotto il controllo di gestione da parte della Corte dei conti, che gia' nel 1994 si articolava in controllo sulla gestione finanziaria e controllo sulla gestione amministrativa; era pero' chiarito sin dall'inizio che le Regioni erano oggetto solo del secondo. L'art. 3 legge n. 20/1994 e' stato impugnato da diverse Regioni (compresa la Regione Friuli-Venezia Giulia) e la sent. 2n. 9/1995 di codesta Corte lo ha ritenuto costituzionalmente legittimo, rilevando che la Corte dei conti va intesa come «organo posto al servizio dello Stato-comunita'» e che l'attribuzione ad essa del controllo di gestione «non puo' essere considerata come l'attribuzione di un potere statale che si contrappone alle autonomie delle regioni, ma come la previsione di un compito essenzialmente collaborativo posto al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente tutelate» (punto 9.2, enfasi aggiunta). L'art. 3, co. 5, era considerato attuativo degli artt. 28, 81, 97 e 119 Cost. (non dell'art. 100) ed il controllo sulla gestione amministrativa era considerato esercitabile anche verso le Regioni speciali. La Corte ha inoltre osservato che, «se la disposizione contestata dovesse essere interpretata nel senso che il controllo di gestione dovra' essere compiuto, nel caso delle amministrazioni regionali, in riferimento agli obiettivi posti dalle leggi di principio e di programma dello Stato, la questione proposta sarebbe sicuramente fondata, poiche' da una siffatta norma risulterebbe vanificata l'autonomia politica costituzionalmente garantita alle regioni»: dunque, il controllo di gestione si puo' svolgere sulla «unica base» delle leggi regionali (punto 11.3). Dalla sent. n. 29/1995 risulta anche che «la verifica del funzionamento dei preesistenti controlli interni non costituisce l'oggetto di un autonomo potere di vigilanza attribuito alla Corte dei conti nei confronti di determinati uffici regionali (potere che, se fosse cosi' costruito, sarebbe indubbiamente lesivo dell'autonomia costituzionale delle regioni), ma rappresenta, piuttosto, un elemento di valutazione inerente al complessivo controllo sulla gestione, nel senso che, come si e' gia' precisato, l'eventuale cattivo funzionamento dei controlli interni puo' essere assunto a elemento o indizio per la valutazione connessa all'esercizio del controllo sulla gestione» (punto 11.5). Dopo la riforma del Titolo V, l'art. 7, co. 7, legge n. 131/2003 ha previsto quanto segue: «la Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilita' interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonche' la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati, salvo quanto disposto dal terzo periodo del presente comma. Nelle relazioni al Parlamento di cui all'art. 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, e all'art. 13 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51, e successive modificazioni, la Corte dei conti riferisce anche sulla base dei dati e delle informazioni raccolti dalle sezioni regionali di controllo. Resta ferma la potesta' delle Regioni a statuto speciale, nell'esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalita'. Per la determinazione dei parametri di gestione relativa al controllo interno, la Corte dei conti si avvale anche degli studi condotti in materia dal Ministero dell'interno» (enfasi aggiunta). Dunque, l'art. 7 legge n. 131/2003 ha allargato il controllo di gestione sulle Regioni ordinarie alla verifica sul «rispetto degli equilibri di bilancio», pur ribadendo il carattere collaborativo del controllo di gestione; ma e' pacifico che tale norma non si applica alle Regioni speciali, sia per il riferimento espresso alle Regioni speciali contenuto nello stesso art. 7, co. 7, sia per quanto risulta dall'art. 11 legge n. 131/2003 («Per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, nonche' dall'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»). La sent. n. 236/2004 (punto 3.1 del Diritto) ha confermato che l'art. 7 legge n. 131/2003 non si applica alle Regioni speciali, per le quali devono essere adottate specifiche norme di attuazione. Che i controlli della Corte dei conti sulla Regione Friuli-Venezia Giulia siano materia riservata alle norme di attuazione e' confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale: la sent. n. 267/2006 ha dichiarato infondata una questione di costituzionalita' sollevata con riferimento ad una legge della Valle d'Aosta che disciplinava l'istituzione ed il funzionamento dell'Autorita' di vigilanza sulla gestione finanziaria, affermando che tale Autorita' poteva coesistere con il controllo di gestione, di natura collaborativa, affidato alla Corte dei conti; e la sentenza ha concluso osservando che, «nel richiamato quadro ordinamentale, lo Stato e la Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste dovranno dunque provvedere, secondo la procedura di cui all'art. 48-bis dello statuto valdostano, all'istituzione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti». L'art. 48-bis dello Statuto VdA regola la procedura di adozione delle norme di attuazione: percio' la sent. n. 267/2006 conferma che la disciplina dei controlli statali sulle Regioni speciali e' riservata alle norme di attuazione. Cio' e' stato ulteriormente ribadito dalla recente legge n. 243/2012 (di attuazione del nuovo art. 81 Cost.), il cui art. 20 stabilisce quanto segue: «La Corte dei conti svolge il controllo successivo sulla gestione dei bilanci degli enti di cui agli articoli 9 [Regioni] e 13, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e dell'equilibrio dei bilanci di cui all'art. 97 della Costituzione. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a quanto disposto dal presente comma in conformita' ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione. (enfasi aggiunta)». Tale disposizione conferma che, per le Regioni speciali, la materia del controllo successivo sulla gestione dei bilanci spetta alle norme di attuazione. Cio' posto, del resto, e' chiaro che una materia non puo', nei rapporti tra Stato e Regione speciale, appartenere contemporaneamente all'ambito della attuazione statutaria e all'ambito di competenza della legislazione ordinaria: se non, naturalmente, quando a questa rinviino le norme di attuazione, e nei corrispondenti limiti. Non pare quindi del tutto esatto l'esito cui e' pervenuta la sent. n. 179/2007 di codesta Corte. La legge n. 266/2005 (art. 1, commi 166-169) aveva ulteriormente regolato il potere di controllo della Corte dei conti sulla «sana gestione finanziaria» degli enti locali, con norme, pero', applicabili anche alle Regioni speciali. Nonostante tali norme si ricollegassero ai gia' vigenti art. 13, decreto-legge n. 786/1981, all'art. 3, co. 4, legge n. 20/1994 e all'art. 7, co. 7, legge n. 131/2003, la sent. n. 179/2007 di codesta Corte, di fronte ad un ricorso di questa Regione, ha ritenuto che non vi fosse un contrasto con la disciplina statutaria e delle norme di attuazione in quanto le norme censurate avrebbero introdotto «un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti», avente fondamento costituzionale nell'art. 100 Cost. e nel potere statale di «coordinamento della finanza pubblica». Si trattava, infatti, dello stesso tipo di controllo per il quale sembrava pacifica la competenza delle norme di attuazione. La stessa sent. n. 179/2007 ha peraltro sottolineato «la natura collaborativa del controllo disciplinato dalle norme impugnate, che si limita alla segnalazione all'ente controllato delle rilevate disfunzioni e rimette all'ente stesso l'adozione delle misure necessarie» (punto 3.1); nel punto 4.1 si legge che il controllo previsto dai commi da 166 a 169 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005 «risulta dettato da esigenze di tutela dell'unita' economica della Repubblica e di coordinamento della finanza pubblica, ed e' finalizzato (nel quadro del controllo disciplinato dalla legge n. 131 del 2003), con funzione collaborativa, alla tempestiva segnalazione agli Enti interessati di situazioni inerenti agli equilibri di bilancio, per l'adozione delle necessarie misure correttive». Il carattere collaborativo era chiaramente sottolineato come condizione di legittimita' costituzionale. Poste tali premesse, conviene ora esporre la disciplina statutaria e delle norme di attuazione in merito ai controlli della Corte dei conti sulla Regione Friuli-Venezia Giulia e sugli enti locali della Regione. Il Titolo V dello Statuto speciale regola i Controlli sull'Amministrazione regionale e prevede che «Il controllo di legittimita' sugli atti amministrativi della Regione e' esercitato, in conformita' delle leggi dello Stato che disciplinano le attribuzioni della Corte dei conti, da una delegazione della Corte stessa, avente sede nel capoluogo della Regione». Il Titolo VII disciplina i rapporti tra Stato e Regione, senza prevedere ulteriori controlli. La norma di attuazione introdotta con il decreto legislativo n. 125/2003 ha modificato le precedenti norme di attuazione relative alla Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di controlli, contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975, adeguandole all'evoluzione della legislazione statale, avvenuta con la legge n. 20/1994 e con la legge cost. n. 3/2001; ed a seguito della modifica l'art. 33 di tale decreto dispone quanto segue: «La sezione regionale di controllo esercita, nel rispetto dell'ordinamento regionale ed ai sensi dell'art. 3, commi 4, 5 e 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nell'ambito dei programmi annuali dalla stessa deliberati anche sulla base delle richieste della regione, il controllo sulla gestione dell'amministrazione regionale e degli enti strumentali, ai fini del referto al Consiglio regionale, nonche' il controllo sulla gestione degli enti locali territoriali e loro enti strumentali, e delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione, per riferirne agli organi rappresentativi di detti enti. La sezione, nell'esercizio del controllo sulla gestione, valuta le deduzioni delle amministrazioni controllate, evidenziandole nei referti di cui sopra, ed esamina i risultati dei controlli interni eventualmente effettuati. Il controllo comprende anche la verifica della gestione dei cofinanziamenti regionali per interventi sostenuti con fondi comunitari; tale attivita' deve adeguarsi ai sistemi di controllo espressamente previsti, collateralmente ai sistemi gestionali, dalle specifiche normative dell'Unione europea. 2. La sezione delibera il programma annuale di cui al comma 1, tenendo conto degli altri controlli esterni gia' programmati o effettuati, al fine di evitare la duplicazione dei controlli. 3. La sezione regionale, oltre a riferire annualmente con una o piu' relazioni al consiglio regionale gli esiti del controllo sulle gestioni e ad assumere le decisioni in materia di parificazione del rendiconto generale della regione ai sensi del combinato disposto dell'art. 36 del presente decreto e degli articoli 39 e 41 del testo unico approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, presenta allo stesso consiglio una dichiarazione in cui attesta l'affidabilita' del conto e la legittimita' e la regolarita' delle relative operazioni, esplicitando le modalita' di verifica. 4. La sezione, a richiesta del consiglio regionale, procede alla valutazione degli effetti finanziari delle norme legislative che comportino spese riferendone con una o piu' relazioni al consiglio stesso; a richiesta dell'amministrazione controllata, puo' rendere motivati avvisi sulle materie di contabilita' pubblica. 5. La sezione inoltre esercita, ai sensi delle disposizioni vigenti, il controllo sugli atti ed attivita' delle amministrazioni dello Stato aventi sede nella regione». Il decreto legislativo n. 125/2003, dunque, ha dettato un'organica disciplina dei controlli che la Corte dei conti puo' svolgere nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia. Accanto al tradizionale giudizio di parificazione del rendiconto (affiancato dalla presentazione al Consiglio di una «dichiarazione in cui attesta l'affidabilita' del conto e la legittimita' e la regolarita' delle relative operazioni»), si introduce il controllo di gestione, avente carattere collaborativo (i programmi annuali di controllo vengono deliberati anche sulla base delle richieste della Regione; nell'esercizio del controllo la Corte valuta le deduzioni dell'Amministrazione; degli esiti del controllo viene informato il Consiglio regionale; la collaborazione si esplica anche sul piano organizzativo, tant'e' che la Regione concorre anche all'organizzazione dell'attivita' di supporto alla sezione, mettendo a tale fine a disposizione della Corte risorse umane, beni immobili e mobili). B) Illegittimita' dei commi da 2 a 12 (eccetto 1'8) e 16 dell'art. 1 L'art. 1, co. 1, decreto-legge n. 174/2012 rende esplicito che le norme dello stesso art. 1 «sono volte ad adeguare, ai sensi degli articoli 28, 81, 97, 100 e 119 della Costituzione, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131». Poiche' l'art. 3, co. 5, riguarda in realta' il controllo sulla gestione amministrativa, l'art. 1 decreto-legge n. 174/2012 viene ad integrare l'art. 7, co. 7, legge n. 131/2003, la cui inapplicabilita' alle Regioni speciali e' stata sempre pacifica. Infatti, come visto, l'art. 1, co. 16, decreto-legge n. 174/2012 dispone che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente articolo entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto», e l'art. 11-bis decreto-legge n. 174/2012 stabilisce che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui al presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione». Queste clausole evitano la diretta applicazione dell'art. 1 decreto-legge n. 174/2012 (benche', per la loro formulazione, si prestino ad alcune censure: v. infra), ma presuppongono comunque il necessario «adeguamento alle disposizioni» dell'art. 1, vincolando in modo illegittimo o la potesta' legislativa regionale (la' dove l'adeguamento possa avvenire con legge regionale) o il contenuto delle norme di attuazione: percio' si contestano qui anche le singole disposizioni, per il loro contenuto. Naturalmente, le disposizioni dell'art. 1 sarebbero a fortiori illegittime qualora, in denegata ipotesi, si ritenesse che le clausole di salvaguardia sopra riportate fossero inidonee ad evitare la diretta applicazione dell'art. 1 alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Il comma 2 prevede che «ogni sei mesi le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti trasmettono ai consigli regionali una relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali approvate nel semestre precedente e sulle tecniche di quantificazione degli oneri». Tale norma e' difforme dall'art. 33 decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975, al quale - come visto - spetta la disciplina dei controlli della Corte dei conti sulla Regione Friuli-Venezia Giulia. In particolare, mentre l'art. 33, comma 4, stabilisce che «la sezione, a richiesta del consiglio regionale, procede alla valutazione degli effetti finanziari delle norme legislative che comportino spese riferendone con una o piu' relazioni al consiglio stesso» (e che, «a richiesta dell'amministrazione controllata, puo' rendere motivati avvisi sulle materie di contabilita' pubblica»), l'art. 1, co. 2, impone alla Corte dei conti di trasmettere una relazione ogni sei mesi e a prescindere dalla richiesta regionale; inoltre, l'oggetto del controllo e' diverso. Il comma 2, dunque, dettando una disciplina diversa dall'art. 33 decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975 in materia riservata alle norme di attuazione, viola - oltre a questa norma - la specialita' della Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 116 Cost.), l'autonomia finanziaria regionale (Titolo IV) e l'art. 65 dello Statuto, nella misura in cui l'adeguamento ad esso sia ritenuto obbligatorio ai sensi del comma 16 o, addirittura, nella misura in cui esso sia ritenuto direttamente applicabile. I commi 3, 4 e 7 - come visto nel Fatto - disciplinano il controllo sulla gestione finanziaria della Regione. Il controllo ha ad oggetto i bilanci preventivi ed i rendiconti consuntivi delle Regioni e degli enti che compongono il servizio sanitario nazionale ed e' rivolto al fine di verificare il «rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilita' interno», l'«osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'art. 119, sesto comma, della Costituzione», la «sostenibilita' dell'indebitamento» e l'«assenza di irregolarita' suscettibili di pregiudicare... gli equilibri economico-finanziari degli enti» (co. 3). Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti «verificano altresi' che i rendiconti delle regioni tengano conto anche delle partecipazioni in societa' controllate e alle quali e' affidata la gestione di servizi pubblici per la collettivita' regionale e di servizi strumentali alla regione, nonche' dei risultati definitivi della gestione degli enti del Servizio sanitario nazionale» (co. 4). Se, nell'ambito della verifica di cui ai commi 3 e 4, la Corte accerta «squilibri economico-finanziari», la «mancata copertura di spese», la «violazione di norme finalizzate a garantire la regolarita' della gestione finanziaria» o il «mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilita' interno», le amministrazioni interessate hanno l'obbligo di adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarita' e a ripristinare gli equilibri di bilancio» (enfasi aggiunta). Tali provvedimenti «sono trasmessi alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta giorni dal ricevimento»; qualora «la regione non provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali e' stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria» (enfasi aggiunta). I commi 3, 4 e 7, dunque, dettando una disciplina diversa dall'art. 33 decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975 in materia riservata alle norme di attuazione, violano - oltre a questa norma - la specialita' della Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 116 Cost.), l'autonomia finanziaria regionale (Titolo N) e l'art. 65 dello Statuto, nella misura in cui l'adeguamento ad essi sia ritenuto obbligatorio ai sensi del comma 16 o, addirittura, nella misura in cui essi siano ritenuti direttamente applicabili. E' da sottolineare, in particolare, che il controllo regolato dalle norme impugnate non ha affatto carattere collaborativo ma coercitivo, in quanto si puo' tradurre in obblighi di regolarizzazione ed in sanzioni specifiche. L'art. 1 dovrebbe regolare «il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131» (cosi' il comma 1), ma tali controlli hanno natura collaborativa, come e' stato confermato anche da codesta Corte (dalla sent. n. 267/2006 risulta che il controllo di cui all'art. 7, co. 7, mantiene natura collaborativa). Il comma 3 dell'art. 1 decreto-legge n. 174/2012 richiama l'art. 1, commi 166 ss. legge n. 266/2005 e la sent. n. 179/2007 ha sottolineato il carattere collaborativo del «nuovo» controllo. Invece, il comma 7 si discosta nettamente dall'impostazione finora seguita dalle leggi statali, introducendo effetti coercitivi e sanzionatori dell'attivita' di controllo. Attraverso la nuova disciplina, dunque, si istituisce non un controllo collaborativo, ma un vero e proprio potere di supremazia dello Stato sulle Regioni, che non e' ammesso ne' dallo Statuto e dalle sue nonne di attuazione, ne' dallo stesso Titolo V della Parte seconda della Costituzione, che ha soppresso i controlli ad effetto giuridico preclusivo prima esistenti. Inoltre, il bilancio regionale viene approvato con legge, per cui le norme impugnate finiscono per prevedere un anomalo controllo della Corte dei conti su una legge regionale (controllo che in alcuni casi e' di costituzionalita' perche' ha come parametri il principio di copertura finanziaria di cui all'art. 81, l'art. 119, co. 6, i vincoli del patto di stabilita'). Cio' si sovrappone alle competenze della Corte costituzionale (artt. 127 e 134 Cost.) e al controllo svolto dalla stessa Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione (artt. 33 e 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975). La violazione delle competenze della Corte costituzionale si riflette in una lesione delle prerogative regionali, che vedono la propria legge di bilancio sottoposta ad un controllo ulteriore, ad opera di un organo non giurisdizionale (la sezione di controllo) e comunque diverso dalla Corte costituzionale. Il comma 4 e' specificamente illegittimo perche' con esso lo Stato punta a regolare la struttura del rendiconto della Regione. La materia «ordinamento degli uffici» (art. 4, n. 1, St. o art. 117, co. 4, se ritenuto piu' favorevole) comprende la contabilita' regionale (v. sentenza n. 107 del 1970 della Corte costituzionale), e la Regione ha esercitato tale competenza con la legge regionale n. 21/2007, Norme in materia di programmazione finanziaria e di contabilita' regionale. La legge cost. n. 1/2012 ha attribuito alla legge statale attuativa del nuovo art. 81 il compito di regolare «il contenuto della legge di bilancio dello Stato» (non il bilancio delle Regioni). Tale legge e' la legge n. 243/2012 ed essa salvaguarda le prerogative delle Regioni speciali (v. art. 9, co. 6, e art. 20). In materia di bilanci regionali v. anche la sent. n. 178/2012, che ha annullato in parte il decreto legislativo n. 118/2011. Anche la sanzione prevista dal comma 7 e' gravemente lesiva per l'autonomia legislativa e finanziaria regionale, perche' si traduce nella paralisi dei programmi di spesa approvati con legge regionale: il comma 7, dunque, incide sul regime di efficacia delle leggi regionali di settore, che e' fissato da norme costituzionali e non e' disponibile da parte del legislatore ordinario. Infine, il comma 7 non prevede strumenti di tutela giurisdizionale a favore della Regione contro gli accertamenti delle irregolarita' e contro l'esito negativo della verifica dei provvedimenti di regolarizzazione. Qualora il comma 7 fosse da intendere nel senso della assenza di una tutela giurisdizionale, esso sarebbe e' illegittimo per violazione degli artt. 24 e 113 Cost., con ridondanza della violazione sull'autonomia legislativa e finanziaria della Regione, dato che la norma in questione regola un controllo sul bilancio regionale, e che proprio la Regione sarebbe priva di ogni strumento di tutela. L'art. 1 co. 5, dispone che «il rendiconto generale della regione e' parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214». Alla decisione di parifica «e' allegata una relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimita' e alla regolarita' della gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa». La «decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente della giunta regionale e al consiglio regionale». Il comma 5, dettando una disciplina diversa dall'art. 33, co. 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975 in materia riservata alle norme di attuazione, viola - oltre a questa norma - la specialita' della Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 116 Cost.), l'autonomia finanziaria regionale (Titolo IV) e l'art. 65 dello Statuto, nella misura in cui l'adeguamento ad esso sia ritenuto obbligatorio ai sensi del comma 16 o, addirittura, nella misura in cui esso sia ritenuto direttamente applicabile. Il comma 6 stabilisce che «il presidente della regione trasmette ogni dodici mesi alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti una relazione sulla regolarita' della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». L'art. 33, co. 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975 dispone che «la sezione, nell'esercizio del controllo sulla gestione, valuta le deduzioni delle amministrazioni controllate, evidenziandole nei referti di cui sopra, ed esamina i risultati dei controlli interni eventualmente effettuati». Stando alla lettera dell'art. 1, co. 6, le «linee guida» dovrebbero riguardare non la relazione annuale ma il sistema dei controlli interni. E' possibile che si tratti di un lapsus calami (al posto di «adottato» dovrebbe leggersi «adottata») e che in via interpretativa la disposizione possa essere corretta, nel senso di riferire le linee guida non al sistema dei controlli interni ma alla relazione. In caso contrario, il comma 6 sarebbe palesemente illegittimo (nella misura in cui l'adeguamento ad esso sia ritenuto obbligatorio ai sensi del comma 16 o, addirittura, nella misura in cui esso sia ritenuto direttamente applicabile) per violazione dell'art. 4, n. 1, Statuto (o dell'art. 117, co. 4, se ritenuto piu' favorevole), in quanto la disciplina dei controlli interni rientra nell'organizzazione regionale e la Regione puo' essere vincolata solo dai limiti costituzionali e non certo da anomale «linee guida» della Corte dei conti. A parte cio', il comma 6 risulta illegittimo (sempre nei casi di ritenuta obbligatorieta' o applicabilita') in quanto introduce un controllo della Corte dei conti «sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni», in violazione dell'autonomia organizzativa regionale e dell'art. 33, co. 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975, dal quale risulta che la Corte «esamina i risultati dei controlli interni eventualmente effettuati» nell'ambito del controllo di gestione, in conformita' a quanto affermato da codesta Corte costituzionale nella sent. n. 29/1995, punto 11.5 («la verifica del funzionamento dei preesistenti controlli interni non costituisce l'oggetto di un autonomo potere di vigilanza attribuito alla Corte dei conti nei confronti di determinati uffici regionali (potere che, se fosse cosi' costruito, sarebbe indubbiamente lesivo dell'autonomia costituzionale delle regioni), ma rappresenta, piuttosto, un elemento di valutazione inerente al complessivo controllo sulla gestione»). I commi 9, 10, 11 e 12 disciplinano il controllo della Corte dei conti sul «rendiconto di esercizio annuale» dei gruppi consiliari. In base al comma 9, «ciascun gruppo consiliare dei consigli regionali approva un rendiconto di esercizio annuale, strutturato secondo linee guida deliberate» dalla Conferenza Stato-Regioni «e recepite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per assicurare la corretta rilevazione dei fatti di gestione e la regolare tenuta della contabilita', nonche' per definire la documentazione necessaria a corredo del rendiconto». In ogni caso «il rendiconto evidenzia, in apposite voci, le risorse trasferite al gruppo dal consiglio regionale, con indicazione del titolo del trasferimento, nonche' le misure adottate per consentire la tracciabilita' dei pagamenti effettuati». Il comma 10 dispone che «il rendiconto e' trasmesso da ciascun gruppo consiliare al presidente del consiglio regionale, che lo trasmette al presidente della regione». Entro sessanta giorni dalla chiusura dell'esercizio, «il presidente della regione trasmette il rendiconto di ciascun gruppo alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti perche' si pronunci, nel termine di trenta giorni dal ricevimento, sulla regolarita' dello stesso con apposita delibera, che e' trasmessa al presidente della regione per il successivo inoltro al presidente del consiglio regionale, che ne cura la pubblicazione». In caso «di mancata pronuncia nei successivi trenta giorni, il rendiconto di esercizio si intende comunque approvato». In base al comma 11, «qualora la competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti riscontri che il rendiconto di esercizio del gruppo consiliare o la documentazione trasmessa a corredo dello stesso non sia conforme alle prescrizioni stabilite a norma del presente articolo, trasmette, entro trenta giorni dal ricevimento del rendiconto, al presidente della regione una comunicazione affinche' si provveda alla relativa regolarizzazione, fissando un termine non superiore a trenta giorni». La comunicazione «e' trasmessa al presidente del consiglio regionale per i successivi adempimenti da parte del gruppo consiliare interessato e sospende il decorso del termine per la pronuncia della sezione». Nel caso «in cui il gruppo non provveda alla regolarizzazione entro il termine fissato, decade, per l'anno in corso, dal diritto all'erogazione di risorse da parte del consiglio regionale». Tale decadenza «comporta l'obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale e non rendicontate». Infine, il comma 12 stabilisce che «la decadenza e l'obbligo di restituzione di cui al comma 11 conseguono alla mancata trasmissione del rendiconto entro il termine individuato ai sensi del comma 10, ovvero alla delibera di non regolarita' del rendiconto da parte della sezione regionale di controllo della Corte dei conti». Le norme sopra riferite prevedono, dunque, l'approvazione del rendiconto da parte dei gruppi consiliari, regolano in parte il contenuto di esso e in parte affidano il compito di disciplinarlo ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, stabiliscono un controllo della Corte dei conti su di esso che non ha natura collaborativa ma puo' avere effetti coercitivi (obblighi di regolarizzazione) ed implicare pesanti sanzioni, che possono impedire l'attivita' di organismi essenziali per il funzionamento del Consiglio. Tali norme sono lesive nella misura in cui l'adeguamento ad esse sia ritenuto obbligatorio ai sensi dell'art. 1, co. 16, o nella denegata ipotesi in cui siano ritenute direttamente applicabili a questa Regione. Esse sono illegittime in quanto violano l'autonomia del Consiglio regionale (artt. 16, 18 e 21 dello Statuto), in particolare l'autonomia contabile (v. sent. n. 143/1968 di codesta Corte) e regolamentare, dato che il Consiglio ha un proprio regolamento interno (previsto dall'art. 21 dello Statuto) al quale spetta di disciplinare i gruppi consiliari ed il bilancio (infatti i gruppi sono previsti dal regolamento, non dallo Statuto). L'autonomia del Consiglio risulta anche dall'art. 5 della legge statutaria n. 17/2007, che, essendo stata approvata ai sensi dell'art. 12 dello Statuto, gode di una competenza riservata nella quale non puo' interferire il legislatore statale. L'art. 5 legge regionale n. 17/2007 dispone che «il Consiglio regionale ha autonomia di bilancio, contabile, funzionale e organizzativa» e che «il regolamento contabile del Consiglio e' approvato dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, nel rispetto dei principi delle leggi di contabilita' della Regione». Infatti, l'attuale regolamento interno del Consiglio regionale si occupa nel bilancio all'art. 198, dettando una disciplina di base e rinviando per il resto ad un regolamento di contabilita' approvato dall'Ufficio di presidenza del Consiglio stesso. E' anche da ricordare che la legge regionale n. 52/1980, come modificata dalla legge regionale n. 21/2012, prevede, all'art. 15, che «ciascun gruppo consiliare presenta annualmente all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale una relazione illustrativa sull'impiego dei contributi» e che «le spese effettuate dai gruppi consiliari con i fondi erogati dal Consiglio regionale sono sottoposte al controllo da parte di un Collegio di tre revisori dei conti, iscritti nel registro dei revisori contabili, nominato dall'Ufficio di Presidenza all'inizio di ogni legislatura». Il Collegio dei revisori «e' composto da tre membri effettivi e due supplenti, resta in carica per la durata della legislatura e, comunque, fino alla nomina del nuovo». L'Ufficio di Presidenza «disciplina i termini e le modalita' per l'attuazione del presente articolo». In particolare, poi, il comma 9 e' illegittimo perche' attribuisce un potere sostanzialmente normativo alla Conferenza Stato-regioni (alla quale, tra l'altro, i consigli sono totalmente estranei) e al Presidente del Consiglio dei ministri. Anche ove, in denegata ipotesi, lo Stato fosse competente a regolare il bilancio dei gruppi consiliari, esso dovrebbe provvedere a cio' con legge e non rinviando alla Conferenza Stato-Regioni e ad un anomalo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la deliberazione delle «linee guida» relative al bilancio: il comma 9, dunque, viola anche l'art. 117, co. 6, Cost., dal quale risulta il divieto di fonti secondarie statali nelle materie regionali. I commi 10 e 11 definiscono anche le funzioni dei singoli organi regionali (Presidente del Consiglio e Presidente della Giunta), cosi' violando l'autonomia organizzativa regionale, prevista, in relazione agli organi politici, dall'art. 12 dello Statuto, che rimette alla «legge statutaria» la disciplina dei rapporti tra gli organi della Regione. Infine, i commi 11 e 12 sono illegittimi qualora vengano interpretati nel senso che non sia prevista tutela giurisdizionale contro l'accertamento di irregolarita' (co. 11) e la delibera di non regolarita' (co. 12), per violazione degli artt. 24 e 113 Cost., che si traduce in lesione dell'autonomia del Consiglio e dei gruppi consiliari in particolare. Il comma 16, come visto, dispone che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente articolo entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto». Ad avviso della ricorrente Regione, tale disposizione e' illegittima sotto diversi profili. In primo luogo, essa e' illegittima nella parte in cui prevede un obbligo di adeguamento ad una forma di controllo repressivo non previsto ne' dallo Statuto ne' dalle norme di attuazione. Come sopra esposto, infatti, l'art. 1 decreto-legge n. 174/2012 non solo introduce un controllo di regolarita' finanziaria diverso da quello di gestione in senso stretto previsto dalle norme di attuazione, ma addirittura fa derivare dal nuovo controllo obblighi di regolarizzazione e sanzioni (v. i commi 7, 11 e 12). In altre parole, l'art. 1 del decreto-legge n. 174 istituisce un controllo che non ha affatto carattere collaborativo, non e' finalizzato a portare determinate situazioni nella consapevolezza della Regione, affinche' questa istituisca i rimedi che autonomamente individua, ma e' un controllo dal cui esercizio derivano effetti giuridici vincolanti e, in ipotesi di non attuazione delle correzioni cosi' divenute obbligatorie, specifiche misure sanzionatorie. In altre e sintetiche parole, e' un controllo dal quale deriva una precisa limitazione giuridica dell'autonomia costituzionale della Regione, e che esprime un potere di supremazia dello Stato. Sembra evidente che un simile controllo non puo' essere introdotto senza un preciso fondamento nello Statuto o nelle sue norme di attuazione, emanate secondo l'apposito procedimento. Essendo il nuovo controllo del tutto privo di quel carattere collaborativo che la Corte ha talora sottolineato nella propria giurisprudenza, per far salvi determinati controlli sulle Regioni o sugli enti locali, risulta evidente l'illegittimita' costituzionale della sua introduzione, ed allo stesso modo della statuizione dell'obbligo della Regione di adeguare ad esso il proprio ordinamento. In subordine, la disposizione impugnata e' illegittima e lesiva delle prerogative costituzionali della Regione non solo in quanto stabilisce l'obbligo di adeguamento, ma anche in quanto - ove pure l'adeguamento fosse dovuto - non dispone che tale adeguamento dell'ordinamento regionale avvenga con le modalita' prescritte dallo Statuto speciale, cioe' tramite le norme di attuazione o con le procedure prescritte per le modifiche dello Statuto. Come visto, il decreto legislativo n. 125/2003, dunque, ha dettato un'organica disciplina dei controlli che la Corte dei conti puo' svolgere nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia. L'integrazione di tale disciplina non puo' avvenire che con ulteriori norme di attuazione, emanate con l'apposita procedura in commissione paritetica, e non unilateralmente, ad opera del legislatore statale. Infatti, le norme di attuazione sono una fonte dotata di competenza separata e riservata rispetto alle altre fonti primarie statali, per cui ad esse non si puo' derogare con atti aventi valore di legge ordinaria (v., ad es., sentt. 341/2009, 51/2006, 341/2001, 237/1983, 180/1980). Dunque, le forme di controllo contemplate dall'art. 1 decreto-legge n. 174/2012, se pure fossero ammesse dallo Statuto (e dalla Costituzione) potrebbero essere introdotte solo modificando le norme di attuazione. Inoltre, se pure rinviasse alle norme di attuazione, l'art. 1, co. 16, sarebbe illegittimo in quanto rivolto a vincolarle sia in termini di contenuto sostanziale (cioe' l'adeguamento di cui si e' detto), sia in quanto pone anche un termine che risulterebbe illegittimo, dato che le procedure di concertazione che portano alle norme di attuazione non possono essere sottoposte ad un termine dal legislatore ordinario. Ad avviso della ricorrente Regione e' pacifico che le norme dell'art. 1 decreto-legge n. 174/2012 riguardano la materia dei rapporti Stato-Regione e, in particolare, la materia dei controlli, e dunque il livello fondamentale di autonomia ad esse riconosciuto. In particolare, percio', e' da escludere che l'ambito di intervento possa essere ricondotto ad un concetto ampio di coordinamento della finanza pubblica: sembra evidente, infatti, che tale coordinamento (il quale, si ricordi, in relazione alle autonomie speciali si configura come un compito statale da attivare nelle materie di competenza regionale attraverso i meccanismi interni del riparto di competenza in tali materie, e non come un separato ambito materiale di competenza attribuito allo Stato) si deve svolgere all'interno dei dati istituzionali di base, cosi' come configurati dallo Statuto e dalle norme di attuazione. In ogni modo, le conclusioni sopra esposte non muterebbero persino qualora si volesse estendere l'ambito del coordinamento fino ad includervi l'alterazione delle basilari regole del rapporto intersoggettivo tra Stato e Regione speciale. Infatti e' pacifico che anche la disciplina dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali e' tipicamente oggetto di norme statutarie o di attuazione statutaria o comunque concertate: si veda il Titolo IV e l'art. 65, co. 5, dello Statuto e l'art. 27 legge n. 42/2009. La giurisprudenza costituzionale ha piu' volte riconosciuto che i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali sono dominati dal principio dell'accordo (v. le sentenze n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e n. 133 del 2010) e, anche di recente, ha ribadito che il coordinamento della finanza pubblica per le Regioni speciali e' stato assegnato alla competenza delle norme di attuazione dall'art. 27, commi 1 e 3, legge n. 42/2009 (v. sentt. n. 193/2012 e n. 118/2012). In particolare, dalla sent. n. 193/2012 risulta che l'art. 27 legge n. 42/09 «possiede una portata generale ed esclude - ove non sia espressamente disposto in senso contrario per casi specifici da una norma successiva - che le previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica possano essere ritenute applicabili alle Regioni a statuto speciale al di fuori delle particolari procedure previste dai rispettivi statuti». La sent. n. 118/2012 ha confermato che «l'accordo e' lo strumento, ormai consolidato (in quanto gia' presente nella legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica» e poi confermato da tutte le disposizioni che si sono occupate successivamente della materia) per conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata». Infine, l'art. 1, co. 16, e' ulteriormente illegittimo nella parte in cui prevede l'adeguamento «alle disposizioni del presente articolo» anziche' ai principi risultanti dall'art. 1 decreto-legge n. 174/2012. Infatti, persino se i controlli della Corte dei conti sulla Regione non fossero considerati materia rientrante nella competenza delle norme di attuazione ma fossero ricondotti al coordinamento della finanza pubblica (materia di competenza concorrente), non potrebbe ammettersi un vincolo della Regione alle «disposizioni» dell'art. 1. Ne' potrebbe eccepirsi che la Regione non puo' dettare norme di dettaglio in relazione ai controlli della Corte dei conti sulla stessa Regione: la necessita' di una normativa completa verrebbe solo a confermare che essa dev'essere concordata in sede di norme di attuazione, non potendo essere adottata dal legislatore statale nell'esercizio della competenza concorrente in materia di coordinamento finanziario. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, co. 1, lett. a), n. 1, e lett. e). L'art. 1-bis, co. 1, lett. a) e lett e) del decreto-legge n. 174/2012 modifica l'art. 1 decreto legislativo n. 149/2011, relativo alla Relazione di fine legislatura regionale. In base all'art. 13 decreto legislativo n. 149/2011, «la decorrenza e le modalita' di applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonche' nei confronti degli enti locali ubicati nelle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome, sono stabilite, in conformita' con i relativi statuti, con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni». Pero', «qualora entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo non risultino concluse le procedure di cui al primo periodo, sino al completamento delle procedure medesime, le disposizioni di cui al presente decreto trovano immediata e diretta applicazione nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano». Il fatto che le nuove norme siano state inserite nel corpo del decreto legislativo n. 149/2011 rende possibile ipotizzare che esse divengano - alla condizione ora detta - direttamente applicabili a questa Regione, e per questa ipotesi, esse vengono qui contestate, per le ragioni di seguito esposte. Qualora, invece, fosse ritenuta «prevalente» la clausola di salvaguardia di cui all'art. 11-bis decreto-legge n. 174/2012 (secondo cui «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui al presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione»), la censura non avrebbe ragione di essere. L'art. 1-bis, co. 1, lett. a), n. 1 modifica nel modo seguente l'art. 1, co. 2, decreto legislativo n. 149/2011: «La relazione di fine legislatura, redatta dal servizio bilancio e finanze della regione e dall'organo di vertice dell'amministrazione regionale, e' sottoscritta dal Presidente della Giunta regionale non oltre il novantesimo giorno antecedente la data di scadenza della legislatura [...]». La nuova norma introduce la prescrizione che la relazione di fine legislatura sia redatta «dal servizio bilancio e finanze della regione e dall'organo di vertice dell'amministrazione regionale»: in tal modo, la norma impugnata lede l'autonomia organizzativa della Regione, in quanto la legge statale non puo' individuare direttamente l'organo regionale competente a svolgere una certa funzione, perche' il riparto «interno» della competenza fra gli organi regionali spetta alla Regione stessa, nei limiti di quanto risulta dallo Statuto speciale. Cio' e' stato ribadito anche di recente, dalla sent. n. 293/2012: «La Corte ha gia' concluso per l'illegittimita' di norme statali che provvedevano a indicare specificamente l'organo regionale titolare della funzione amministrativa, trattandosi di "normativa di dettaglio attinente all'organizzazione interna della Regione" (sentenza n. 387 del 2007; inoltre, sentenze n. 22 del 2012 e n. 95 del 2008)» (v. anche la sent. 407/1989). L'autonomia organizzativa della Regione e' prevista dall'art. 4, n. 1, dello Statuto speciale, che attribuisce alla Regione potesta' legislativa primaria in materia di «ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione». Peraltro, codesta Corte ha ritenuto che tale materia rientri ora nell'art. 117, co. 4, Cost., in virtu' della clausola di cui all'art. 10 legge cost. n. 3/2001 (v. le sentt. 95/2008 e 274/2003). In entrambi i casi e' evidente l'illegittimita' delle dirette individuazioni statali. L'art. 1-bis, co. 1, lett. e) sostituisce l'art. 1, co. 6, decreto legislativo n. 149/2011, nel modo seguente: «In caso di mancato adempimento dell'obbligo di redazione e di pubblicazione, nel sito istituzionale dell'ente, della relazione di fine legislatura, al Presidente della Giunta regionale e, qualora non abbiano predisposto la relazione, al responsabile del servizio bilancio e finanze della regione e all'organo di vertice dell'amministrazione regionale e' ridotto della meta', con riferimento alle successive tre mensilita', rispettivamente, l'importo dell'indennita' di mandato e degli emolumenti. Il Presidente della regione e', inoltre, tenuto a dare notizia della mancata pubblicazione della relazione, motivandone le ragioni, nella pagina principale del sito istituzionale dell'ente». La disposizione previgente stabiliva che «in caso di mancato adempimento dell'obbligo di redazione della relazione di fine legislatura il Presidente della Giunta regionale e' tenuto a darne notizia, motivandone le ragioni, nella pagina principale del sito istituzionale dell'ente». Dunque, il decreto-legge n. 174/2012 ha introdotto una sanzione pecuniaria, a carico di determinati organi regionali, per il caso di «mancato adempimento dell'obbligo di redazione e di pubblicazione... della relazione di fine legislatura». Tale disposizione presenta motivi di illegittimita' costituzionale che riguardano le situazioni soggettive dei soggetti interessati, nella completa assenza di una procedura di accertamento del verificarsi dei presupposti della sanzione, e di verifica giurisdizionale di tale accertamento, con violazione degli articoli 97, 24 e 113 della Costituzione. Ma data l'interferenza con la funzionalita' degli organi regionali anche la Regione e' legittimata a far valere la lesione, almeno in relazione al difetto di una procedura contraddittoria di accertamento. Per quanto riguarda gli aspetti piu' propriamente organizzativi, la norma riguarda lo status dell'organo regionale di vertice, che e' rimesso all'autonomia delle stesse Regioni, nel caso della ricorrente Regione attraverso la c.d. legge statutaria di cui all'art. 12 dello Statuto. Le sanzioni statali avverso gli organi regionali di vertice sono stabilite dall'art. 22 dello Statuto. Ove potessero essere integrate in via attuativi, dovrebbero esserlo con lo strumento delle norme di attuazione previste dall'art. 65, e non costituiscono materia di legislazione ordinaria. A cio' si aggiunge che secondo l'art. 41 Statuto la disciplina dell'indennita' del Presidente della Regione e' rimessa alla legge regionale. Per quanto riguarda il responsabile del servizio bilancio e finanze della regione, la materia di riferimento appare l'«organizzazione interna», materia di potesta' regionale piena. La disposizione impugnata e' affetta in primo luogo dallo stesso vizio lamentato in relazione alla lett. a), dal momento che l'imputazione di una responsabilita' presuppone evidentemente l'individuazione dell'organo responsabile, il che non spetta allo Stato per le ragioni sopra esposte e piu' volte riconosciute da codesta ecc.ma Corte costituzionale. Quanto sopra esposto rende evidente che lo Stato non puo', con norma direttamente operativa, intromettersi nell'organizzazione costituzionale e nell'organizzazione amministrativa della Regione. Se pure si ritenesse che le disposizioni impugnate abbiano finalita' di «coordinamento della finanza pubblica», sembra evidente che la legislazione statale dovrebbe esprimersi mediante la posizione di un principio fondamentale, che le Regioni dovrebbero poi attuare e sviluppare mediante la propria autonomia legislativa, e non attraverso una disposizione dettagliata ed immediatamente operante: cio' sia per il carattere concorrente della competenza statale, limitata dunque ai principi fondamentali, sia per l'interferenza nell'organizzazione propria della Regione. Da cio' deriva la violazione dell'art. 4, n. 1, e dell'art. 12 dello Statuto, nonche' dell'autonomia finanziaria della Regione, come configurata dal Titolo IV dello Statuto (v. soprattutto l'art. 48: «La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarieta' nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»); inoltre, qualora siano ritenuti - in relazione ai rispettivi ambiti - piu' favorevoli ex art. 10 legge cost. n. 3/2001, si deduce qui la violazione dell'art. 117, co. 3 e 4, Cost., nella parte in cui attribuiscono alla Regione competenza concorrente e piena in materia, rispettivamente, di coordinamento della finanza pubblica e di organizzazione regionale. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis, comma 4. L'art. 1-bis, co. 4, decreto-legge n. 174/2012 modifica l'art. 5 decreto legislativo n. 149/2011 nel modo seguente: "Il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato puo' attivare verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile, ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, anche nei confronti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; c) anomale modalita' di gestione dei servizi per conto di terzi; c-bis) aumento non giustificato delle spese in favore dei gruppi consiliari e degli organi istituzionali. Le verifiche di cui all'alinea sono attivate anche attraverso le rilevazioni SIOPE, rispetto agli indicatori di cui alle lettere a), b) e c), e le rilevazioni del Ministero dell'interno, per gli enti locali, e del Dipartimento per gli' affari regionali, il turismo e lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, rispetto all'indicatore di cui alla lettera c-bis). 1-bis. Qualora siano evidenziati squilibri finanziari, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, rispetto agli indicatori di cui al comma 1, lettere a), b) e c), e le rilevazioni del Ministero dell'interno, per gli enti locali, e del Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, rispetto all'indicatore di cui al comma l, lettera c-bis), il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ne da' immediata comunicazione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti competente per territorio». Conviene ricordare che il SIOPE e' il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, che e' un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche; esso nasce dalla collaborazione tra la Ragioneria Generale dello Stato, la Banca d'Italia e 1' ISTAT, in attuazione dall'art. 28 della legge n. 289/2002, ed e' disciplinato dall'art. 14, commi 6-11, della legge n. 196 del 2009. Dunque, l'art. 1-bis decreto-legge n. 174/2012 rende applicabili anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale verifiche ministeriali «sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile, ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196». Quest'ultima disposizione stabilisce quanto segue: «in relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, utilizzando anche i dati di cui al comma 1 dell'art. 13, il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato provvede a:... d) effettuare, tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica, verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. I referti delle verifiche, ancorche' effettuate su richiesta delle amministrazioni, sono documenti accessibili nei limiti e con le modalita' previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. In ogni caso, per gli enti territoriali i predetti servizi effettuano verifiche volte a rilevare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e procedono altresi' alle verifiche richieste dal Ministro competente all'avvio della procedura di cui all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. I referti delle verifiche di cui al terzo periodo sono inviati alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica affinche' possa valutare l'opportunita' di attivare il procedimento denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza» di cui all'art. 18 della legge 5 maggio 2009, n. 42, come modificato dall'art. 51, comma 3, della presente legge». Si pone in primo luogo un problema interpretativo. Infatti, l'art. 14, co. 1, lett. d) legge n. 196/2009, richiamato dalla nuova disposizione, prevede «verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano». In questi termini, dopo la modifica apportata dall'art. 1-bis, co. 4, la situazione normativa risultante appare contraddittoria: infatti, l'art. 5, co. 1, decreto legislativo n. 149/2011 prevede ora verifiche «ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, anche nei confronti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano», ma l'art. 14, co. 1, lett. d) legge n. 196/2009 - che e' richiamato come tale, non modificato ne' abrogato - prevede, come detto, che tali verifiche non si svolgano in relazione alle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Dunque, la normativa statale e' internamente contraddittoria ed irrazionale, con conseguente illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. E' da ricordare che le Regioni sono legittimate ad invocare anche i parametri estranei al Titolo V, quando le norme statali che li violano attengono a materie regionali, cosi' condizionando in modo illegittimo lo svolgimento dell'autonomia regionale (v., da ultimo, le sentt. 311/2012, 200/2012, 199/2012, 80/2012, 22/2012). Nel presente caso, l'art. 1-bis, co. 4, attiene all'organizzazione regionale o, comunque, ai rapporti Stato-Regione o al coordinamento della finanza pubblica: in tutti i casi, e' chiaro che si tratta di norme che incidono direttamente sull'autonomia regionale. A parte la contraddittorieta', l'art. 1-bis, co. 4, risulta comunque illegittimo. Infatti, esso introduce, al di fuori di quanto previsto dallo Statuto e dalle norme di attuazione, un ulteriore controllo da parte del Governo sulla «regolarita' della gestione amministrativo-contabile» delle Regioni, un controllo che puo' condurre all'attivazione di specifici procedimenti, quale quello previsto dall'art. 18 della legge n. 42 del 2009: esso, pertanto, e' illegittimo per le ragioni gia' esposte nel punto 1, con l'aggravante che, in questo caso, il controllo e' svolto dal Ministero e non da un organo imparziale quale la Corte dei conti. E' anche da sottolineare che altre possibili conseguenze del controllo restano incerte, in quanto il nuovo art. 5, co. 1-bis, decreto legislativo n. 149/2011 non precisa a che fini il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato comunica alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti gli squilibri finanziari eventualmente accertati. Si noti che la consapevolezza dell'autonomia costituzionale delle regioni e delle Province autonome era esattamente la ragione per la quale l'art. 14, co. 1, lett. d) legge n. 196/2009 aveva stabilito l'inapplicabilita' ad esse dei controlli in questione. Non si trattava - allora - di una mera scelta di politica legislativa, ma di rispetto della Costituzione; e non si tratta ora di un mutamento di politica legislativa, ma della violazione della Costituzione, che allora era stata rispettata. Che si tratti di materia di competenza regionale non si puo' dubitare, in base all'art. 4, n. 1, Statuto. Tale competenza e' stata esercitata da ultimo con la Legge regionale 8 agosto 2007, n. 21, Norme in materia di programmazione finanziaria e di contabilita' regionale, che disciplina anche il controllo di regolarita' contabile. L'art. 1-bis, co. 4, dunque, viene ora anche ad interferire con il sistema autonomo delle regole contabili di questa Regione, violando l'art. 4, n. 1, dello Statuto (o l'art. 117, co. 4, Cost., se ritenuto piu' favorevole). 4) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 2, comma 4. L'art. 2 decreto-legge n. 174/2012 e' rubricato «Riduzione dei costi della politica nelle regioni». Alla presente impugnazione sembra opportuno premettere che la Regione Friuli-Venezia Giulia certo non disconosce la esigenza di ridurre i «costi della politica», ma al contrario e' di una tale riduzione attrice convinta, tanto che lo scorso 22 gennaio la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva un disegno di legge costituzionale di iniziativa del Consiglio regionale, mediante il quale lo Statuto speciale viene modificato, riducendo il numero dei consiglieri (v. Atto Camera n. 5148-B). Inoltre, con la recente legge regionale 29 ottobre 2012, n. 21 si sono ridotte le spese di funzionamento dei gruppi consiliari, e' stato previsto che siano assoggettate al controllo di un collegio di revisori dei conti, e che se ne dia pubblicita' nel sito istituzionale del Consiglio regionale. Se dunque essa contesta - in quanto fossero ad essa applicabili - le disposizioni dell'art. 2, cio' non e' per perseguire un indirizzo diverso, ma perche' ritiene che anche l'indirizzo piu' condivisibile nel merito vada perseguito, da parte dello Stato, senza alterare gli equilibri che nella Costituzione regolano i compiti, i poteri e le liberta' rispettive dello Stato e delle comunita' locali, e delle Regioni in particolare. Cio' premesso, l'art. 2 stabilisce al comma 1 che «ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, a decorrere dal 2013 una quota pari all'80 per cento dei trasferimenti erariali a favore delle regioni, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e al trasporto pubblico locale, e' erogata a condizione che la regione, con le modalita' previste dal proprio ordinamento, entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto qualora occorra procedere a modifiche statutarie», abbia adottato una nutrita serie di provvedimenti, indicati nelle lettere che seguono e concernenti, riassuntivamente: a) la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori regionali entro il massimo stabilito dallo Stato, la correlazione fra trattamento economico dei consiglieri e partecipazione ai lavori del Consiglio nonche' la istituzione del collegio dei revisori dei conti; b) il contenimento delle indennita' dei consiglieri e degli assessori regionali entro «l'importo riconosciuto dalla regione piu' virtuosa»; c) il contenimento entro lo stesso importo dell'assegno di fine mandato dei consiglieri; d) il divieto di cumulo di emolumenti derivanti dalle cariche di Presidente della Regione, di presidente del consiglio regionale, di assessore o di consigliere; e) la gratuita' della partecipazione dei consiglieri ai lavori delle commissioni permanenti e speciali; f) la pubblicita' e la trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo; g) la utilizzazione dei contributi regionali ai gruppi consiliari, il cui ammontare e' da contenere entro la meta' dell'importo riconosciuto dalla «regione piu' virtuosa»; h) le spese per il personale dei gruppi; i) la «riduzione dei costi degli apparati amministrativi» (art. 6 decreto-legge n. 78/2010), stringenti limitazioni alle assunzioni di personale pubblico in generale (art. 9, comma 28, decreto-legge n. 78/2010), la riduzione degli organi collegiali degli enti e organismi strumentali (art. 22, commi 2-4, decreto-legge n. 201/2011), limitazioni ai compensi di amministratori e dipendenti di societa' pubbliche (23-bis, commi 5-bis e 5-ter, decreto-legge n. 201/2011), «il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali» (art. 23-ter decreto-legge n. 201/2012); la rinegoziazione dei contratti di locazione passiva (art. 3, commi 4, 5, 6, decreto-legge n. 95/2012), il rapporto tra numero di dipendenti pubblici e superficie dei locali utilizzati (art. 3, comma 9, decreto-legge n. 95/2012), lo scioglimento delle societa' strumentali (art. 4 decreto-legge n. 95/2012), la «riduzione delle spese delle pubbliche amministrazioni» (art. 5 decreto-legge n. 95/2012), la riduzione degli oneri finanziari in misura non inferiore al 20 per cento relativi a enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma secondo, lett. p), Cost. o funzioni amministrative spettanti a comuni, province, e citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118 Cost. (art. 9, comma 1, decreto-legge n. 95/2012); l) un sistema informativo con dati relativi al finanziamento dei gruppi politici; m) il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali (nell'immediato, e in attesa della riforma del sistema, l'art. 2, comma 1, prevede che i trattamenti pensionistici o vitalizi del Presidente della regione, di consigliere o di assessore possano essere corrisposti sono a chi ha compiuto sessantasei anni di eta' e ha ricoperto la carica per un periodo non inferiore a dieci anni); n) la esclusione dai vitalizi di chi e' stato condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione. Il comma 2 dello stesso art. 2 aggiunge che «ferme restando le riduzioni di cui al comma 1, alinea, in caso di mancato adeguamento alle disposizioni di cui al comma 1 entro i termini ivi previsti, a decorrere dal 1° gennaio 2013 i trasferimenti erariali a favore della regione inadempiente sono ridotti per un importo corrispondente alla meta' delle somme da essa destinate per l'esercizio 2013 al trattamento economico complessivo spettante ai membri del consiglio regionale e ai membri della giunta regionale». Considerati nel loro tenore letterale, i commi 1 e 2 non appaiono stabilire un vero obbligo in capo alle Regioni, ma «soltanto» un onere, una «condizione» da osservare al fine di ottenere i trasferimenti erariali nella misura intera. In realta', pero', si deve parlare non di un onere, ma di un vero e proprio obbligo. Che la realizzazione delle «condizioni» sia obbligatoria risulta infatti senza equivoci dal successivo comma 5, a tenore del quale «qualora le regioni non adeguino i loro ordinamenti entro i termini di cui al comma 1 ovvero entro quelli di cui al comma 3, alla regione inadempiente e' assegnato, ai sensi dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, il termine di novanta giorni per provvedervi. Il mancato rispetto di tale ulteriore termine e' considerato grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126, primo comma, della Costituzione»: violazione di legge che conduce allo scioglimento sanzionatorio del Consiglio regionale. Ne risulta che al mancato adeguamento (di cio' si tratta piu' che di reale violazione) ai vincoli di cui al comma 1 conseguono sia le sanzioni economiche di cui ai commi l e 2, sia la sanzione «organica» di cui al comma 5. Il comma 1 dell'art. 2 decreto-legge n. 174/2012, coordinato con i commi 2 e 5, pone dunque obblighi a carico delle Regioni: si tratta di obblighi eterogenei, dei quali peraltro solo alcuni possono essere ragionevolmente ricondotti ai «costi della politica»; e l'inadempimento anche di uno solo di tali obblighi implica due «sanzioni» di tipo finanziario, la seconda delle quali e' commisurata ad una specifica voce di spesa regionale, e la sanzione organica di cui si e' detto. Non puo' sfuggire la gravita' di tali disposizioni. Da una parte, eccettuati i fondi relativi alle spese per due grandi servizi pubblici (il servizio sanitario ed i servizi di trasporto) il finanziamento delle Regioni verrebbe ridotto ad un livello tale da rendere chiaramente impossibile l'esercizio delle proprie funzioni: non potendosi pensare di provvedervi con meno del 20% di quello che oggi richiedono. Dall'altra, lo scioglimento degli organi lede - oltre alle situazioni soggettive dei titolari, che non vengono in rilievo nel presente giudizio - sia obbiettivamente l'interesse della Regione alla continuita' della propria azione e della propria organizzazione. La Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene che l'art. 2 possa essere interpretato nel senso che i commi 1 e 2 non riguardino direttamente le Autonomie speciali. Infatti, il comma 4 stabilisce che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione» (enfasi aggiunta). La disposizione e' da intendere, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, nel duplice senso che le misure e i provvedimenti considerati dal comma 1 vincolano la Regione se e nella misura in cui siano nella sua «disponibilita'» e non contrastino con lo Statuto speciale e con la normativa di attuazione, e che alla Regione speciale non sono applicabili le «sanzioni» della riduzione dei trasferimenti erariali (ne' quella prevista dal comma 1, ne' quella stabilita dal comma 2). Il comma 5, poi, qualificando sempre lo stesso inadempimento regionale quale grave violazione di legge «ai sensi dell'art. 126, primo comma, della Costituzione» richiama la norma che vale per le sole Regioni ordinarie, mentre la materia, per il Friuli-Venezia Giulia, e' regolata dall'art. 22 Statuto. Infine - ma non si tratta certo dell'argomento minore - la finanza della Regioni speciali, ed in particolare quella della Regione Friuli-Venezia Giulia, non si basa su un sistema di meri «trasferimenti erariali», ma si basa sulla spettanza costituzionale di una percentuale di tributi, precisati dall'art. 49 dello Statuto (tra i quali, come ben noto, dei sei decimi del gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, dei quattro decimi e mezzo del gettito dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e degli otto decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto). Sembra dunque evidente che il riferimento dell'art. 2, comma 1, ai trasferimenti erariali e' rivolto al tipico sistema di finanziamento proprio delle Regioni a statuto ordinario. La presente impugnazione viene dunque proposta - data la rilevanza anche finanziaria della questione, per una necessaria cautela tuzioristica della Regione nel proteggere gli interessi che fanno da ultimo capo alla propria comunita'. La clausola di salvezza si riferisce, letteralmente, al solo comma 1, e non anche al comma 2, che pure prevede una distinta ed aggiuntiva sanzione per la violazione degli stessi obblighi elencati al comma 1; la statuizione del dovere di adeguamento, sia pure compatibilmente, rimane ambiguo. D'altro lato, il comma 2, al quale testualmente non fa riferimento la clausola di salvaguardia, afferma che rimangono «ferme [...] le riduzioni di cui al comma 1, alinea». Ora, per l'ipotesi che da tali difetti redazionali si volesse dedurre una possibile applicazione delle disposizioni indicate alla Regione Friuli-Venezia Giulia e' prospettata in via subordinata la presente impugnazione. Non vi e' dubbio, infatti, che l'intero meccanismo di cui all'art. 2, commi 1, 2, sarebbe costituzionalmente illegittimo, ove applicato ad essa. La Regione impugna conseguentemente l'art. 2, commi l e 2, decreto-legge n. 174/2012, nella parte in cui stabilissero la riduzione dei trasferimenti erariali anche nei confronti del Friuli-Venezia Giulia, nonche' il comma 4 dello stesso art. 2, nella parte in cui non prevede che anche alle prescrizioni del comma 2 la Regione e' tenuta ad adeguarsi solo compatibilmente con lo Statuto e con le norme di attuazione, e nella parte in cui non prevede che ad essa non si applicano le riduzioni dei trasferimenti erariali. Per l'ipotesi e le parti indicate, i commi 1 e 2 dell'art. 2, sono incostituzionali per lesione dell'autonomia finanziaria della Regione e per violazione dell'art. 3 Cost., in quanto irragionevoli. L'art. 48 Statuto riconosce che «la Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarieta' nazionale»; per l'art. 49 «spettano alla regione» quote fisse di entrate tributarie erariali riscosse nella Regione; e la disponibilita' di adeguate risorse finanziarie e' strumentale non solo all'esercizio delle funzioni costituzionali della Regione, ma anche all'azione delle Province e dei Comuni, ai quali la Regione, sulla base dell'art. 54 Statuto, assegna quote delle proprie entrate per consentire loro il «raggiungimento delle finalita'» e l'«esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi». Lo Stato ha competenza in materia di coordinamento finanziario, ma essa deve essere esercitata sia nel rispetto delle norme e dei principi costituzionali generali, sia delle particolari regole dettate per la Regione Friuli-Venezia Giulia. Tra queste ultime rilevano qui i commi 152 ss. della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilita' 2011), i quali sono stati approvati sulla base di un accordo con la Regione, anche agli effetti dell'art. 63, comma 5, Statuto, che consente di variare lo Statuto medesimo, per la parte relativa all'ordinamento finanziario, «con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita la Regione». Con queste disposizioni e' in contrasto la riduzione dei trasferimenti disposta dall'impugnato comma 1 dell'art. 2 decreto-legge n. 174/2012, nonostante esso si autoqualifichi come norma dettata «ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica». La lesione degli artt. 48 e 49 Statuto sarebbe addirittura macroscopica, se nei «trasferimenti erariali a favore delle regioni» che vengono decurtati dell'80% si dovessero includere le quote delle entrate tributarie erariali elencate in questa ultima disposizione statutaria. Esse sono attribuite alla Regione immediatamente dalla fonte costituzionale, e lo Stato non ha alcun titolo per disporne, ne' in base alla Costituzione ne' in base allo Statuto, ne' in base alla normativa di attuazione, nemmeno per finalita' di tipo sanzionatorio. In altri termini, lo Stato - esercitando i propri poteri legislativi sulle diverse materie - potra' determinare conseguenze finanziarie di vario genere a carico della Regione, ma non puo' certo modificare i meccanismi di finanziamento regionale statutariamente previsti, o imporre alla Regione decurtazioni o obblighi di riversamento, o condizionamenti di varia natura. Fondamentale in proposito e' la sentenza n. 74 del 2009, con la quale la Corte ha annullato una disposizione statale la quale fissava un tetto fisso all'ammontare di una quota di tributo erariale spettante alla Regione sulla base dell'art. 49 Statuto, e condizionava la attribuzione dei maggiori introiti derivanti dalla applicazione al gettito del tributo della percentuale indicata in Statuto all'eventuale trasferimento alla Regione di ulteriori funzioni e compiti, che sarebbero quindi risultati finanziati - per unilaterale decisione statale - con i proventi della quota tributaria erariale (in tema v. anche la sent. n. 133/2010). La sanzione della riduzione dei trasferimenti lede l'autonomia finanziaria regionale anche se la base di calcolo non comprendesse le quote di tributi erariali di cui all'art. 49 Statuto. Come ricordato, rilevano qui le particolari norme della legge n. 220/2010. Il comma 152 prevede che «nel rispetto dei principi indicati nella legge 5 maggio 2009, n. 42, a decorrere dall'anno 2011, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia contribuisce all'attuazione del federalismo fiscale, nella misura di 370 milioni di euro annui, mediante: a) il pagamento di una somma in favore dello Stato; b) ovvero la rinuncia alle assegnazioni statali derivanti dalle leggi di settore, individuate nell'ambito del tavolo di confronto di cui all'art. 27, comma 7, della citata legge n. 42 del 2009; c) ovvero l'attribuzione di funzioni amministrative attualmente esercitate dallo Stato, individuate mediante accordo tra il Governo e la regione, con oneri a carico della regione [...].» La utilizzazione delle «assegnazioni statali derivanti dalle leggi di settore» (pur non determinate in misura fissa dalla legge n. 220) rappresenta una delle modalita' attraverso le quali la Regione concorre al «conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario»; l'uso di tali assegnazioni a fini di risanamento finanziario nazionale e' soggetto ad accordo tra Regione e Governo, ed esse non possono di conseguenza essere unilateralmente utilizzate dallo Stato a fini sanzionatori. Le norme impugnate sono testualmente dettate «ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica». Ma il richiamo alla potesta' legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, lungi dall'escludere la violazione dell'autonomia finanziaria regionale, fa emergere un ulteriore motivo di incostituzionalita'. Come evidenziato, alla decurtazione va indubbiamente riconosciuto carattere sanzionatorio, e la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte riconosciuto che leggi di coordinamento della finanza pubblica possono stabilire sanzioni (in senso lato) a carico degli enti che non adempiono agli obblighi legittimamente imposti. Da un lato, pero', tali sanzioni non possono mai porsi in contrasto con quanto espressamente risultante dallo Statuto o dalla normativa di attuazione: come sarebbe se la sanzione incidesse sulle quote dei tributi di cui all'art. 49, o sulla destinazione dei finanziamenti quale risultante dalla legge n. 220/2010. D'altro lato, tra vincoli sostanziali e misure sanzionatorie (o anche premiali) deve sussistere una correlazione diretta e ragionevole. La giurisprudenza sul punto e' consolidata (v. ad es. la sent. 190/2008, punto 6, di annullamento di talune «sanzioni» imposte alle Regioni e non coerenti con l'obbligo sostanziale rimasto inadempiuto), ed e' stata arricchita anche di recente. Rilevante in proposito e' la sentenza n. 8 del 2013, con la quale la Corte ha ritenuto non incostituzionale la norma secondo cui l'adeguamento ai principi di liberalizzazione delle attivita' economiche, da parte di Regioni ed enti locali, costituisce elemento di valutazione della «virtuosita'» degli enti stessi, alla quale si connettono conseguenze di ordine finanziario. La Corte ha evidenziato e sottolineato un collegamento tra «liberalizzazioni» (concetto del quale peraltro e' puntualizzato il significato di «razionalizzazione della regolazione», che «mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l'utilita' sociale e con gli altri principi costituzionali»), crescita economica, e partecipazione degli enti locali al risanamento delle finanze pubbliche (punto 5.2); e ha ritenuto non irragionevole che la Regione o l'ente locale, il quale - attraverso il proprio comportamento - non concorra allo scopo comune della sollecitazione dell'economia, sia chiamato a sottostare a piu' stringenti vincoli del patto di stabilita': «introdurre un regime finanziario piu' favorevole per le Regioni che sviluppano adeguate politiche di crescita economica costituisce [...] una misura premiale non incoerente rispetto alle politiche economiche che si intendono, in tal modo, incentivare» (punto 5.3). Nel comma 1 dell'art. 2 decreto-legge n. 174 questa correlazione non c'e'. La riduzione dei trasferimenti e' connessa ad una serie assolutamente eterogenea di misure sostanziali (attinenti ora al trattamento economico del personale politico in senso stretto, ora alla organizzazione dei servizi degli organi di vertice della Regione, ora al personale regionale e agli enti strumentali, cui e' affidata la generalita' dei compiti amministratici, ora agli edifici in cui i dipendenti lavorano...); talune delle misure non hanno poi nemmeno un significato finanziario: tale e' il caso delle norme sulla pubblicita' delle spese dei gruppi consiliari, o della situazione patrimoniale dei titolari di cariche elettive e di governo, o sulla esclusione dal vitalizio di chi sia stato condannato per determinati reati. La irragionevolezza del taglio del finanziamento risulta anche da cio', che si tratta di una decurtazione in misura fissa, quale che sia il numero delle «condizioni» che la Regione non ha realizzato. Il comma 2 dell'art. 2, oltre che tenere ferma la riduzione del comma precedente, prevede che «in caso di mancato adeguamento alle disposizioni di cui al comma 1 entro i termini ivi previsti, a decorrere dal l° gennaio 2013 i trasferimenti erariali a favore della regione inadempiente sono ridotti per un importo corrispondente alla meta' delle somme da essa destinate per l'esercizio 2013 al trattamento economico complessivo spettante ai membri del consiglio regionale e ai membri della giunta regionale». Si evidenzia che il presupposto della sanzione non e' il mancato adeguamento a quanto stabilito dalla norma statale circa il trattamento economico complessivo dei consiglieri e degli assessori; il presupposto e' il medesimo del comma 1, fungendo il trattamento economico riconosciuto in concreto dalla Regione solo come misura dalla sanzione aggiuntiva. Anche tale misura non ha dunque alcun collegamento con un vincolo sostanziale, e il comma 2 dell'art. 2, nella parte relativa alla previsione della sanzione, si rivela incostituzionale per le medesime ragioni illustrate con riferimento al comma 1. Come ricordato, l'art. 2, comma 4, stabilisce che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Balzano provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione». La disposizione, se intesa nel senso di far salvi lo Statuto speciale e le norme di attuazione solo agli effetti del comma 1, e non anche del comma 2, e' incostituzionale per violazione dell'art. 116 Cost., e dell'art. 65 Statuto. Basti considerare che molte delle «condizioni» prese in considerazione dal comma 1, e richiamate dal comma 2, richiedono, per la loro attuazione, modifiche statutarie. Ad esempio, la prescrizione della lett. a) circa il numero massimo di consiglieri regionali (pari a 30 per le Regioni con popolazione fino a due milioni di abitanti, come e' la ricorrente) si pone in contrasto con l'art. 13, comma 2, Statuto, per cui il «numero dei consiglieri regionali e' determinato in ragione di uno ogni 20.000 abitanti o frazioni superiori a 10.000 abitanti» (e in contrasto e' pure con l'art. 13 Statuto, nel testo risultante dalla gia' citata legge costituzionale di riforma approvata il 22 gennaio 2013, secondo cui a partire dalle prossime imminenti elezioni regionali «il numero dei consiglieri regionali e' determinato in ragione di uno ogni 25.000 abitanti o frazioni superiori a 10.000 abitanti»). La norma sul numero degli assessori collide con l'art. 12 Statuto, il quale rimette ad una specifica fonte regionale (c.d. «legge statutaria»), approvata seguendo un particolare iter, la determinazione della «forma di governo» della Regione; e con la riserva dell'art. 12 Statuto contrastano pure le norme di cui alle lettere f), g), h), l). Quanto alle indennita' spettanti ai titolari e ai componenti degli organi di vertice della Regione, rilevano sia l'art. 19 Statuto, per cui «al Presidente del Consiglio regionale e' attribuita, con legge regionale, una indennita' di carica./ Agli altri membri del Consiglio regionale e' attribuita, con legge regionale, una indennita' di presenza per i giorni di seduta dell'Assemblea e delle Commissioni», che l'art. 41, il quale dispone che «al Presidente della Regione ed agli assessori e' attribuita con legge regionale una indennita' di carica». Ora, le modifiche costituzionali non possono certo essere imposte da una fonte di rango legislativo ordinario. La Corte ha recentemente stabilito che «l'adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome ai parametri di cui all'art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011 richiede [...] la modifica di fonti di rango costituzionale. A tali fonti una legge ordinaria non puo' imporre limiti e condizioni» (sent. n. 198/2012, punto 5). Se questo vale nel caso in cui all'adeguamento la legge ordinaria colleghi misure premiali, a maggior ragione vale nel caso in cui il mancato adeguamento sia considerato alla stregua di inadempimento da sanzionare. Subordinatamente al mancato accoglimento dell'interpretazione adeguatrice sopra accolta, l'art. 2, comma 4, e' inoltre incostituzionale nella parte in cui non prevede che alla Regione Friuli-Venezia Giulia non si applicano le riduzioni dei trasferimenti erariali. Il taglio dei trasferimenti, in quanto riconducibile alla norma del comma 4, si espone evidentemente alle medesime censure argomentate sopra con riferimento ai commi 1 e 2, e in relazione ai medesimi parametri. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lett. e). L'art. 3 decreto-legge n. 174/2012 modifica numerose disposizioni del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. La lettera e) del primo comma sostituisce l'art. 148 e aggiunge l'art. 148-bis: in larga parte i due nuovi articoli hanno ad oggetto ulteriori poteri di controllo della Corte dei conti sulla gestione degli enti locali. Eccentrico rispetto a tali previsioni e' il comma 2 del nuovo art. 148, il quale dispone che «il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato puo' attivare verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile, ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; c) anomale modalita' di gestione dei servizi per conto di terzi; d) aumento non giustificato di spesa degli organi politici istituzionali». Il richiamato art. 14, comma 1, lett. d), legge n. 196/2009 stabilisce che il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato provvede a effettuare, tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica, verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Balzano: il riferimento ad esso nulla aggiunge al potere di verifica autonomamente previsto dal nuovo art. 148 decreto legislativo n. 267/2000. Il novellato art. 148, comma 2, incide sulla materia dell'«ordinamento degli enti locali», che l'art. 4, n. 1-bis, Statuto attribuisce alla competenza legislativa primaria della Regione. La materia statutaria e' stata specificata mediante il decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), del quale rilevano qui gli artt. 3, 4, 6, e 9. L'art. 3 della citata norma di attuazione affida alla Regione «tutte le attribuzioni amministrative concernenti gli enti locali precedentemente esercitate da organi centrali o periferici dello Stato comprese quelle di intervento sostitutivo»; l'art. 6 stabilisce che «la regione, con proprie leggi, determina la natura e la disciplina dei controlli nei confronti degli enti locali»; l'art. 9, comma 1, riconosce che «spetta alla regione disciplinare la finanza locale, l'ordinamento finanziario e contabile, l'amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti locali». Con questi parametri si pone in contrasto il comma 2 dell'art. 148: istituisce un concreto potere amministrativo di controllo sugli enti locali, nel settore dell'ordinamento finanziario e contabile, e lo affida ad una amministrazione dello Stato. L'art. 4, decreto legislativo n. 9/1997 indica le «Funzioni amministrative riservate allo Stato»: «l. Restano di competenza degli organi dello Stato le funzioni in materia di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, di lotta alla criminalita' organizzata, nonche' quelle in materia di protezione civile esercitate nell'interesse nazionale. 2. Resta altresi' di competenza degli organi dello Stato il controllo sui servizi dello stato civile, anagrafe, leva militare, servizio elettorale, nonche' servizi di statistica limitatamente alle funzioni proprie dell'Istituto nazionale di statistica.» Sembra evidente che il potere statale di controllo di cui al nuovo art. 148, comma 2, non trova alcun fondamento nelle riserve allo Stato contemplate dalla norma di attuazione statutaria. La disposizione impugnata affida dunque allo Stato funzioni di controllo che in base alle norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 9/1997 spettano alla Regione. La violazione delle norme di attuazione determina la violazione indiretta dell'art. 65 Statuto, che tale fonte istituisce. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 1, 2 e 3. L'art. 6 e' inserito nel Titolo II, Province e comuni, e si intitola Sviluppo degli strumenti di controllo della gestione finalizzati all'applicazione della revisione della spesa presso gli enti locali e ruolo della Corte dei conti. Il comma l dispone che, «per lo svolgimento di analisi sulla spesa pubblica effettuata dagli enti locali, il Commissario per la revisione della spesa previsto dall'art. 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52,... si avvale dei Servizi ispettivi di Finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato ai quali sono affidate analisi su campione relative alla razionalizzazione, efficienza ed economicita' dell'organizzazione e sulla sostenibilita' dei bilanci». Il comma 2 precisa che le analisi di cui al comma 1 sono svolte ai sensi del gia' citato art. 14, co. 1, lett. d) legge n. 196/2009, «sulla base di modelli di accertamento concordati dalla Ragioneria generale dello Stato con il Commissario di cui al comma 1 e deliberati dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti». Gli esiti «dell'attivita' ispettiva sono comunicati al predetto Commissario..., alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti e alla Sezione delle autonomie». I commi 1 e 2 non sono applicabili alle Regioni e alle Province autonome: cio' si ricava dalla loro collocazione nel Titolo II, dedicato a Province e comuni, dal fatto che l'epigrafe ed il comma 1 dell'art. 6 menzionano solo gli «enti locali», dal richiamo all'art. 14, co. 1, lett. d) legge n. 196/2009 (che prevede «verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano») e dal richiamo all'art. 2 decreto-legge n. 52/2012, che non e' destinato alle Regioni (v. i commi 2 e 5). Ugualmente, i commi 1 e 2 - di per se' - non sono applicabili agli enti locali della Regione, in virtu' della clausola di salvaguardia di cui all'art. 11-bis decreto-legge n. 174/2012 (peraltro piu' avanti impugnata, per particolari profili). Il comma 3 dell'art. 6, pero', stabilisce che «la Sezione delle autonomie della Corte dei conti definisce, sentite le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, le metodologie necessarie per lo svolgimento dei controlli per la verifica dell'attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali» (enfasi aggiunta), e che le Sezioni regionali «effettuano i controlli in base alle metodologie suddette anche tenendo conto degli esiti dell'attivita' ispettiva e, in presenza di criticita' della gestione, assegnano alle amministrazioni interessate un termine, non superiore a trenta giorni, per l'adozione delle necessarie misure correttive dirette a rimuovere le criticita' gestionali evidenziate e vigilano sull'attuazione delle misure correttive adottate». Dunque, il controllo in questione non e' meramente collaborativo in quanto si puo' tradurre nell'obbligo di adottare specifiche misure, a loro volta soggette a controllo. Cosi' essendo la disposizione, occorre chiarire che cosa significhi l'espressione «sentite le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano». Ove essa fosse soltanto un modo inusuale di indicare il parere della Conferenza Stato-Regioni, il comma 3 non inciderebbe sul significato sopra attribuito al complesso delle disposizioni dei primi tre commi dell'art. 6, e la ricorrente Regione non avrebbe ragioni di doglianza. Tuttavia, la predetta espressione, ed in particolare il riferimento espresso alle regioni, potrebbe indicare che lo Stato intenda rivolgere i controlli di cui allo stesso comma 3 anche agli enti locali della Regione Friuli-Venezia Giulia. E, dato il collegamento tra il controllo di cui al comma 3 e l'attivita' ispettiva» di cui ai commi 1 e 2 (il comma 3 stabilisce che «le Sezioni regionali effettuano i controlli in base alle metodologie suddette anche tenendo conto degli esiti dell'attivita' ispettiva», e di «attivita' ispettiva» si parla anche nel comma 2), ne risulterebbe che anche i commi 1 e 2 potrebbero essere intesi come rivolti agli enti locali della Regione. In questo caso, i primi tre commi dell'art. 6 sarebbero illegittimi nella parte in cui attribuiscono ai Servizi ispettivi di Finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato e alle sezioni regionali della Corte dei conti, in relazione agli enti locali della Regione, poteri di controllo al di la' di quanto consentito dallo Statuto e dalle norme di attuazione. Si consideri che non solo la ricorrente Regione ha potesta' legislativa primaria in materia di «ordinamento degli enti locali e di finanza locale ai sensi dell'art. 4, n. 1-bis), dello Statuto e dell'art. 9 decreto legislativo n. 9/1997, ma che, specificamente, in base all'art. 60 dello Statuto «il controllo sugli atti degli Enti locali e' esercitato da organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato»; l'art. 33, co. 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 902/1975 prevede che la Corte dei conti eserciti sugli enti locali solo il controllo di gestione in senso stretto. Inoltre, l'art. 1, co. 154, legge n. 220/2010 (basata su un espresso accordo, secondo il principio che domina i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali) ha statuito che «la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, gli enti locali del territorio, i suoi enti e organismi strumentali, le aziende sanitarie e gli altri enti e organismi il cui funzionamento e' finanziato dalla regione medesima in via ordinaria e prevalente costituiscono nel loro complesso il "sistema regionale integrato"», che «gli obiettivi sui saldi di finanza pubblica complessivamente concordati tra lo Stato e la regione sono realizzati attraverso il sistema regionale integrato» e che «la regione risponde nei confronti dello Stato del mancato rispetto degli obiettivi di cui al periodo precedente». Inoltre, dal comma 155 risulta che «spetta alla regione individuare, con riferimento agli enti locali costituenti il sistema regionale integrato, gli obiettivi per ciascun ente e le modalita' necessarie al raggiungimento degli obiettivi complessivi di volta in volta concordati con lo Stato per il periodo di riferimento, compreso il sistema sanzionatorio», e che e' la regione che trasmette al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, relativamente a ciascun ente locale, gli elementi informativi riguardanti le risultanze, espresse in termini di competenza mista, occorrenti per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica. E' dunque evidente che, ove applicabile agli enti locali della Regione, le disposizioni impugnate sarebbero illegittime per violazione del complesso di regole statutarie ed attuative ora ricordato. Per quanto riguarda specificamente il controllo attribuito ai Servizi ispettivi di Finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato, se riferibile anche agli enti locali del Friuli-Venezia Giulia, esso si pone in contrasto anche con gli artt. 3, 4, 6, e 9 delle norme di attuazione del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9, esattamente per gli stessi motivi che si sono indicati sopra, in relazione all'impugnativa dell'art. 3 decreto-legge n. 174/2012, nella parte in cui introduce il nuovo art. 148, comma 2, decreto legislativo n. 267/2000. Si ribadisce poi che il controllo di cui all'art. 6, co. 3, non ha carattere meramente collaborativo, dato che le sezioni regionali, «in presenza di criticita' della gestione, assegnano alle amministrazioni interessate un termine, non superiore a trenta giorni, per l'adozione delle necessarie misure correttive dirette a rimuovere le criticita' gestionali evidenziate e vigilano sull'attuazione delle misure correttive adottate». In definitiva, l'applicazione agli enti locali della Regione sarebbe illegittima sia in quanto non si tratta di controlli collaborativi, ma di controlli che esprimono un potere statale di supremazia sugli enti locali, non previsto ne' ammesso dallo Statuto e dalle norme di attuazione, sia in quanto, in precisa e palese contraddizione con lo Statuto e le norme di attuazione, istituiscono un potere di controllo sugli enti locali parallelo e concorrente rispetto a quello che e' espressamente attribuito alla Regione. Mentre il comma 1 parla di «enti locali», il comma 3 riferisce i controlli ivi regolati agli «enti territoriali» in generale. La ricorrente Regione ritiene che diversi elementi conducano ad escludere che il comma 3 sia rivolto anche alle Regioni (ordinarie e speciali): il titolo dell'art. 6, la sua collocazione nel Titolo II del decreto-legge, il collegamento tra i controlli di cui al comma 3 con l'«attivita' ispettiva» di cui ai commi 1 e 2 (senz'altro destinata solo agli enti locali, come gia' visto). Dunque, le Regioni - eventualmente, come sopra accennato, mediante la Conferenza Stato-Regioni - sono «sentite» solo in quanto dotate di competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e non in quanto destinatarie dei controlli. Cionondimeno, l'uso dell'espressione «enti territoriali» consente un'interpretazione diversa e, percio', a scopo cautelativo qui si impugnano i commi 1, 2 e 3 dell'art. 6 nel caso in cui si ritenga che il comma 3 e, conseguenzialmente, i commi 1 e 2 siano rivolti anche alle Regioni speciali. In tal caso, i commi 1 e 2 sarebbero illegittimi per le ragioni gia' esposte nel punto 3 (art. 1-bis, co. 4) ed il comma 3 per le ragioni gia' esposte nel punto 1. Infatti, i commi 1 e 2 dell'art. 6 presentano elementi in comune con l'art. 1-bis, co. 4, decreto-legge n. 174/2012 (il rinvio all'art. 14, co. 1, lett. d) legge n. 196/2009 e l'attribuzione della vigilanza ai Servizi ispettivi di finanza pubblica), per cui si possono estendere ad essi le censure avanzate in relazione all'art. 1-bis, co. 4: a) previsione di un ulteriore controllo al di fuori di quanto previsto dallo Statuto e dalle norme di attuazione, controllo svolto da organi ministeriali e non da un organo imparziale quale la Corte dei conti; b) violazione della potesta' legislativa primaria della Regione in materia di organizzazione interna, che comprende la potesta' di regolare il bilancio regionale e le verifiche contabili; c) irragionevolezza per contraddittorieta', dato che - nell'interpretazione qui ipotizzata - l'art. 6, commi 1 e 2, si applicherebbe alle Regioni richiamando l'art. 14, co. 1, lett. d) legge n. 196/2009, che non e' destinato alle Regioni. Per le argomentazioni si rinvia al punto 2 del ricorso. L'art. 6, co. 3, decreto-legge n. 174/2012, nell'interpretazione qui prospettata a titolo cautelativo, introdurrebbe un ulteriore controllo della Corte dei conti sulla Regione, controllo non avente carattere meramente collaborativo (come visto): percio' esso risulterebbe illegittimo per violazione dello Statuto e del decreto del Presidente della Repubblica n. 902 del 1975, che regolano in modo completo i controlli statali sulla Regione, e per violazione della speciale autonomia finanziaria della Regione, quale configurata dal Titolo IV e dall'art. 63, co. 5, dello Statuto, dall'art. 27 legge n. 42/2009 e dal principio dell'accordo che regola i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali: su entrambi i punti v. gli argomenti svolti nel punto 1 del presente ricorso. 7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11-bis, nella parte in cui si riferisce alle «disposizioni» anziche' ai «principi» ed alle sole «forme» anziche' «ai limiti e alle forme». L'art. 11-bis riguarda specificamente le Regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e di Bolzano. Al comma 1 ed unico esso dispone che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui al presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione». Si tratta di una disposizione introdotta in sede di conversione, con il palese intento di introdurre una clausola di salvaguardia in relazione alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome, nelle quali l'introduzione di regole corrispondenti a quelle che il decreto pone per le Regioni ordinarie deve conseguire ad una verifica delle regole statutarie e seguire le forme previste dallo statuto per la definizione dei rapporti tra esse e lo Stato. Ovviamente la Regione Friuli-Venezia Giulia non contesta tale disposizione, nella parte in cui essa esclude che l'attuazione delle regole poste dal decreto-legge n. 174 avvenga per essa in via diretta. Tuttavia, essa ritiene che - forse per la fretta della stesura di un decreto la cui conversione era ormai urgente a causa delle vicende politiche che contestualmente si svolgevano, e che hanno portato alla convocazione anticipata delle elezioni parlamentari - la stesura abbia tradito tale intento. In particolare, essa ritiene che prima ancora del richiamo alle «forme» stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione vi dovesse essere un richiamo ai limiti che essi pongono a tale introduzione; ed in relazione a cio' essa ritiene che non ci si dovesse riferire genericamente alle disposizioni del decreto, ma piuttosto ai principi che esse esprimono. Si noti che nello stesso decreto n. 174 si trova, una disposizione di salvaguardia che esprime tali concetti, in relazione alla Riduzione dei costi della politica prevista dall'art. 2, che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione» (comma 4). Dunque, la clausola di salvaguardia, o di compatibilita' rispetto alle autonomie speciali di cui all'art. 11-bis va in termini costituzionalmente corretti riformulata come segue: «Alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano i principi derivanti dalle disposizioni di cui al presente decreto si applicano nei limiti e nelle forme stabiliti dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione». Al contrario, rinviare genericamente a tutte le disposizioni, senza neppure riferirsi ai limiti che la loro applicazione alle autonomie speciali incontra, significa in definitiva porre in dubbio la differenziazione degli ambiti di autonomia, che e' la ragione stessa dell'introduzione della disposizione, in violazione delle disposizioni costituzionali e statutarie che presidiano tale autonomia: l'art. 116, comma primo, Cost. e in particolare - quanto allo Statuto - l'art. 4, n. 1 e n. 1-bis (in relazione alla potesta' primaria in materia di ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione, nonche' di ordinamento degli enti locali), l'art. 12 (sulla forma di governo regionale e sulla fonte competente a determinarla), l'art. 13 (sul numero dei consiglieri regionali), l'art. 19 (sulle indennita' di carica dei componenti del Consiglio), l'art. 41 (sulle indennita' del Presidente della Regione e degli assessori), il Titolo IV (in relazione all'autonomia finanziaria), nonche' l'art. 65, che prevede la speciale procedura per l'attuazione dello statuto.