Ricorso  della  regione  Friuli-Venezia  Giulia  (codice  fiscale
80014930327; partita IVA  00526040324),  in  persona  del  presidente
della giunta regionale pro tempore dott. Renzo Tondo, autorizzato con
deliberazione della giunta regionale n.  261  del  20  febbraio  2013
(doc. 1), rappresentata e difesa - come  da  procura  a  margine  del
presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon  (codice  fiscale
FLCGDM45C06L736E) di Padova, con  domicilio  eletto  in  Roma  presso
l'ufficio di rappresentanza della regione, in piazza Colonna n. 355; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   Ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
118; comma 132; commi 138, 141, 142, 143, 146; commi 380 e 383; commi
454, 456, 457, 459 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di stabilita' 2013), pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale  n.
302 del  29  dicembre  2012,  supplemento  ordinario  n.  212/L,  per
violazione: 
    della statuto speciale adottato con legge costituzionale n. 1 del
1963; 
    degli  articoli  3,  97,  116,  117,  118,  119   e   134   della
Costituzione; 
    delle  norme  di  attuazione  (decreto   del   Presidente   della
Repubblica n. 902/1975, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
114/1965, decreto legislativo n. 9/1997); 
    della legge n. 220/2010; 
    del principio dell'accordo in materia finanziaria e del principio
di leale  collaborazione,  per  i  profili  e  nei  modi  di  seguito
illustrati. 
 
                           Fatto e diritto 
 
Premessa. 
    Il presente ricorso si riferisce  ad  alcune  disposizioni  della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2013). 
    Tale  legge,  conformemente  alla  sua   natura,   ha   contenuto
eterogeneo,  e  contenuto   eterogeneo   hanno   anche   le   diverse
disposizioni qui impugnate. 
    E'  risultato  percio'  preferibile  evitare  una   illustrazione
generale in fatto,  e  trattare  invece  direttamente  delle  singole
disposizioni impugnate, esponendo in relazione a ciascuna di esse sia
il contenuto che le censure e gli argomenti in diritto. 
    Alcune delle disposizioni qui impugnate sono certamente destinate
ad applicarsi alla regione Friuli-Venezia  Giulia,  o  in  quanto  si
riferiscono  alle  regioni  a  statuto  speciale   in   generale,   o
addirittura espressamente indicano  come  specifico  destinatario  la
ricorrente regione. 
    In  altri  casi  l'intenzione  del  legislatore  di  riferire  le
discipline contestate alla ricorrente regione non e' certa,  ed  anzi
e' possibile intenderle nel senso che esse non si applichino ad essa.
Infatti, la legge n. 228/2012 contiene all'art.  1,  comma  554,  una
clausola di salvaguardia  cosi'  formulata:  «le  regioni  a  statuto
speciale e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  attuano  le
disposizioni di cui alla presente legge  nelle  forme  stabilite  dai
rispettivi  statuti  di  autonomia  e   dalle   relative   norme   di
attuazione». 
    La ricorrente regione ritiene  che  tale  clausola  debba  essere
intesa nel senso di un generale rinvio al meccanismo delle  norme  di
attuazione  -  quale  meccanismo  generale  previsto  dagli   statuti
speciali - e ad eventuali  meccanismi  differenziati  previsti  dalle
stesse norme di attuazione per specifici ambiti. 
    Tuttavia, ne' la particolare  formulazione  della  clausola  (con
l'assegnazione alle stesse regioni speciali e province autonome di un
compito attuativo),  ne'  il  contenuto  delle  singole  disposizioni
impugnate consentono di escludere che esse intendano applicarsi - sia
pure indirettamente - anche in questa  regione.  Cio'  giustifica  la
loro contestazione con  il  presente  ricorso;  qualora,  invece,  si
dovesse condividere che il comma 554 escluda  l'applicabilita'  delle
norme impugnate nelle regioni speciali, senza  porre  per  il  futuro
vincoli di contenuto alle  norme  di  attuazione  dello  statuto,  le
ragioni  di  doglianza  verrebbero  meno  in  relazione  a  tutte  le
disposizioni che non si riferiscono espressamente  ne'  alle  regioni
speciali ne' in particolare alla regione Friuli-Venezia Giulia. 
    La regione desidera  comunque  premettere  alla  esposizione  dei
singoli motivi di ricorso che  -  se  anche  alcune  delle  impugnate
disposizioni  non  fossero  ad  essa  riferibili  -  la  continua   e
progressiva sottrazione di  risorse  al  suo  bilancio  ed  alle  sue
capacita' di spesa, operata con le diverse manovre con  ritmo  sempre
accelerato, ha ormai raggiunto e superato il livello di  guardia,  il
livello oltre il quale e' a rischio il finanziamento  delle  funzioni
di base. 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 118. 
    Il comma 118 modifica l'art. 16,  comma  3,  quarto  periodo  del
decreto-legge n. 95/2012. L'art. 16, comma 3, stabilisce ora che «con
le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n.  42,
le regioni a statuto speciale e le  province  autonome  di  Trento  e
Bolzano assicurano un concorso alla finanza  pubblica  per  l'importo
complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1200  milioni  di
euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e  1.575
milioni di euro a decorrere dall'anno 2015» (primo periodo). Inoltre,
si prevede che, fino «all'emanazione delle norme di attuazione di cui
al predetto art. 27, l'importo del concorso  complessivo  di  cui  al
primo periodo del presente comma e' annualmente accantonato, a valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, sulla  base  di
apposito accordo sancito tra le medesime autonomie speciali  in  sede
di Conferenza» Stato-regioni «e recepito con  decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio  di  ciascun  anno»
(secondo  periodo,  modificato  dall'art.  1,  comma  469,  legge  n.
228/2012); ma, in  caso  di  mancato  accordo,  «l'accantonamento  e'
effettuato, con decreto del Ministero dell'economia e  delle  finanze
da emanare entro il 15 febbraio di ciascun anno, in proporzione  alle
spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno  2011,  dal
SIOPE» (terzo periodo, modificato dall'art. 1, comma  469,  legge  n.
228/2012). 
    Ancora, si prevede inoltre che, fino «all'emanazione delle  norme
di attuazione ..., gli obiettivi  del  patto  di  stabilita'  interno
delle predette autonomie speciali sono  rideterminati  tenendo  conto
degli importi incrementati di 500 milioni  di  euro  annui  derivanti
dalle predette procedure» (quarto periodo, come modificato  dall'art.
1, comma 118, legge n. 228/2012). 
    Dunque, la norma impugnata  aumenta  di  500  milioni  annui  gli
obiettivi del patto di stabilita' interno delle regioni  speciali  e,
in sostanza, anche la misura del concorso delle stesse  regioni  alla
finanza pubblica, previsto dal primo periodo dell'art. 16, comma 3. 
    Questa  regione  ha  gia'   impugnato   l'art.   16,   comma   3,
decreto-legge n. 95/2012 con il ricorso n. 159/2012.  Per  l'art.  1,
comma 118, si possono dunque richiamare le argomentazioni  svolte  in
quella sede: 
      «Siamo,  dunque,  di  fronte   ad   una   ulteriore   rilevante
sottrazione di risorse alle  regioni  speciali,  che  si  aggiunge  a
quelle previste dall'art. 14, decreto-legge n. 78/2010, dall'art. 20,
comma  5,  decreto-legge  n.   98/2011,   dall'art.   1,   comma   8,
decreto-legge n. 138/2011 (come sintetizzati e ripartiti dal comma 10
dell'art. 32 della legge n. 183 del 2011) e dall'art.  28,  comma  3,
decreto-legge n. 201/2011. 
    Come  le  precedenti,  essa  e'  disposta   su   base   meramente
potestativa, come se le norme statutarie che definiscono  la  finanza
della regione Friuli-Venezia Giulia  non  avessero  alcun  valore,  o
fossero liberamente disponibili da parte del legislatore statale. 
    Infatti, la sottrazione di risorse qui contestata non  ha  alcuna
base statutaria. Al  contrario,  le  disposizioni  dello  statuto,  a
partire dal fondamentale art. 49, sono  rivolte  ad  assicurare  alla
regione le finanze necessarie all'esercizio  delle  funzioni:  ed  e'
chiaro che la devoluzione statutaria di  importanti  percentuali  dei
tributi riscossi nella regione non avrebbe alcun senso, se poi  fosse
consentito alla legge ordinaria dello Stato di  riportare  all'erario
tali risorse, per di piu' con determinazione unilaterale e  meramente
potestativa. La ricorrente regione ha potuto far valere con  successo
la garanzia di  cui  all'art.  49,  ad  esempio,  nella  controversia
definita con la sentenza n. 74/2009. 
    Inoltre, lo Stato ha gia' definito (con la legge n.  220/2010)  i
modi in cui la regione Friuli-Venezia Giulia concorre al  risanamento
della finanza pubblica, con norme che  hanno  recepito  l'accordo  di
Roma del 29 ottobre 2010: si rinvia, su cio', al punto 2. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: vedasi le  sentenze
nn.  82/2007,  353/2004,  39/1984,  98/2000,   133/2010.   L'"obbligo
generale di partecipazione di tutte le regioni, ivi comprese quelle a
statuto speciale, all'azione di risanamento della finanza pubblica" -
puntualizza la Corte con  la  sentenza  n.  82/2007  -  "deve  essere
contemperato e  coordinato  con  la  speciale  autonomia  in  materia
finanziaria di cui godono le predette  regioni,  in  forza  dei  loro
statuti. In tale prospettiva, come questa Corte ha avuto occasione di
affermare, la previsione normativa del  metodo  dell'accordo  tra  le
regioni a statuto speciale  e  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, per la  determinazione  delle  spese  correnti  e  in  conto
capitale,  nonche'  dei   relativi   pagamenti,   deve   considerarsi
un'espressione  della   descritta   autonomia   finanziaria   e   del
contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei  limiti
alla spesa imposti dal cosiddetto ʽpatto di stabilitaʼ  (sentenza  n.
353 del 2004)". 
    Questo principio, sul  piano  della  legislazione  ordinaria,  ha
trovato fino ad ora varie concretizzazioni. E' sufficiente richiamare
qui, per la sua portata sistematica, l'art. 27, legge n. 42/2009, che
rimette  alle  norme  di  attuazione  statutaria  la  attuazione  dei
principi del c.d. federalismo fiscale (tra i quali vi e' il  rispetto
del patto di stabilita' e dei vincoli  finanziari  europei),  tenendo
"conto della dimensione della finanza delle [...] regioni e  province
autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva,  delle  funzioni
da esse effettivamente esercitate  e  dei  relativi  oneri  ...".  Le
stesse misure particolari dei ricordati commi 152 e 156 dell'art.  1,
legge n. 220/2010, specificamente concernenti l'apporto della regione
Friuli-Venezia Giulia al risanamento delle  finanze  pubbliche,  sono
state oggetto di confronto e discussione tra Governo e regione. 
    Con il principio costituzionale di collaborazione si  pongono  in
contrasto le disposizioni  impugnate.  L'art.  16,  comma  3,  deroga
unilateralmente  all'accordo  di   Roma   del   2010,   fra   l'altro
penalizzando irragionevolmente quelle regioni speciali che nel 2009 e
nel 2010 avevano gia' concordato il loro  contributo  al  risanamento
finanziario, privandosi di notevoli risorse, rispetto  a  quelle  che
non hanno mai assunto simili impegni. 
    Le  risorse   spettanti   alla   regione   non   possono   essere
semplicemente "acquisite"  dallo  Stato,  mentre  la  regione  stessa
concorre al risanamento della finanza pubblica nei modi  direttamente
previsti dalla legge n. 220/2010. Si tratta di  un  regime  speciale,
che  non  puo'  essere  alterato  unilateralmente   dal   legislatore
ordinario. 
    Di fronte a tale violazioni  dei  parametri  costituzionali,  non
varrebbe certo  obiettare  che  tutte  le  autonomie  territoriali  -
regioni  speciali  comprese  -   sono   soggette   ai   principi   di
coordinamento  della  finanza  pubblica,  inevitabilmente  fissati  a
livello nazionale, anche in adempimento di obblighi europei (sentenza
n. 82/2007); che la attribuzione di quote fisse di  tributi  erariali
puo' condurre ad un incremento delle risorse regionali,  in  funzione
di manovre tributarie statali, senza che vi sia necessita' - da parte
della regione - di  nuove  risorse  per  nuove  funzioni,  o  per  un
migliore assolvimento di compiti precedenti (ma le entrate potrebbero
anche diminuire, per l'andamento negativo del ciclo  economico  ...);
che lo stesso art. 49 statuto, nel  momento  in  cui  riconosce  alla
regione autonomia finanziaria, aggiunge subito che essa si svolge (si
deve  svolgere)  "in  armonia  con  i  principi  della   solidarieta'
nazionale". 
    Infatti, la  considerazione  di  tali  valori  deve  essa  stessa
manifestarsi  mediante   strumenti   costituzionalmente   ammissibili
nell'ordinamento. 
    Cosi', anzitutto, le stesse  norme  di  attuazione  statutaria  -
radicate  direttamente  nel  principio  di   solidarieta'   nazionale
(sentenza n. 75/1967) - consentono di eccettuare  dalla  attribuzione
alla regione le nuove entrate tributarie statali il cui  gettito  sia
destinato con apposite  leggi  alla  copertura  di  oneri  diretti  a
soddisfare particolari finalita'  contingenti  o  continuative  dello
Stato, specificate nelle leggi medesime, a termini  dell'art.  4  del
decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n.  114.  Ma
la legittimita' costituzionale  della  riserva  e'  subordinata  alla
corretta  destinazione  di  tali  risorse   in   base   alla   citata
disposizione: il che nel caso presente non avviene. 
    Inoltre,  le  stesse  disposizioni  statutarie  sulla   autonomia
finanziaria (art. 49 compreso) possono sempre essere modificate (come
varie volte e' gia' accaduto)  senza  ricorrere  alla  revisione  con
legge costituzionale, purche' vi sia il coinvolgimento della  regione
(art. 63, comma 5, statuto). 
    Non puo' ingannare, in questo come negli altri  casi,  il  rinvio
alle  norme  di   attuazione   dello   statuto.   In   primo   luogo,
l'accantonamento previsto in attesa delle norme di attuazione e' gia'
autonomamente lesivo, traducendosi in diretta violazione dell'art. 49
statuto, e in  una  sottrazione  delle  risorse  disponibili  per  la
regione.  La  riduzione  delle  risorse  e'  operata  direttamente  e
unilateralmente dal legislatore statale, in contrasto con lo  statuto
e con il principio consensuale che domina  i  rapporti  tra  Stato  e
regioni speciali in materia finanziaria  (vedasi  le  sentenze  sopra
citate). 
    In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione,  l'art.
49 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art. 63  statuto,
e non in sede di attuazione. Inoltre, l'art. 16, comma  3,  determina
(illegittimamente)  un  vincolo  di  contenuto  per   le   norme   di
attuazione,  per  cui  il  rinvio  alla  fonte  "concertata"   appare
fittizio. 
    In definitiva, come detto, l'art. 16, comma 3, viola  l'art.  63,
comma 5, statuto (che richiede il coinvolgimento della regione per la
modifica delle norme  del  titolo  IV  dello  statuto)  e  l'art.  65
statuto,  perche'  una  fonte  primaria  pretende  di  vincolare   il
contenuto delle norme di attuazione. 
    Ancora, l'art. 16, comma 3,  viola  l'art.  49  statuto,  perche'
diminuisce   l'importo   spettante   alla   regione   a   titolo   di
compartecipazioni, in base alla suddetta  norma  statutaria.  Infine,
per  le  ragioni  gia'  viste,  e'  violato  il  principio  di  leale
collaborazione. 
    E' vero che la sentenza n. 193/2012 ha  fatto  salvi  l'art.  20,
commi  4  e  5,  decreto-legge  n.  98/2011  e  l'art.  1,  comma  8,
decreto-legge n. 138/2011 (dichiarando illegittimo solo il  carattere
non  temporaneo  dei  tagli)  ma  e'  arrivata  a  tale   conclusione
semplicemente richiamando la sentenza n. 148/2012 (che aveva respinto
la  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  14,  commi  1  e  2,
decreto-legge n. 78/2010 sollevata da una regione ordinaria), senza -
dunque - esaminare la peculiare situazione,  sopra  descritta,  della
regione Friuli-Venezia  Giulia.  Inoltre,  l'art.  16,  comma  3,  si
traduce in concreto sia in una diminuzione della capacita'  di  spesa
della regione (come chiarisce del  resto  il  comma  4  dello  stesso
articolo) che in una correlativa diminuzione delle entrate statutarie
ad  essa  spettanti.  Diversamente  e'  accaduto   per   l'art.   14,
decreto-legge n. 78/2010 e per l'art. 20, decreto-legge n. 98/2011  e
l'art. 1, decreto-legge n. 138/2011, che hanno determinato unicamente
limiti  alla  capacita'  di  spesa  regionale,  ferma  restando  ogni
prerogativa d'entrata. 
    E' poi,  ulteriormente  e  specificamente  illegittimo  e  lesivo
l'art. 16,  comma  3,  la'  dove  prevede  il  criterio  del  riparto
dell'accantonamento ("in proporzione alle spese sostenute per consumi
intermedi desunte,  per  l'anno  2011,  dal  SIOPE").  Infatti,  tale
criterio non risulta in alcun  modo  pariteticamente  concordato  tra
Stato e regioni speciali, in contrasto con il  principio  consensuale
di cui sopra, oggi stabilito espressamente nell'art.  1,  comma  132,
legge n. 220/2010 per la determinazione del patto  di  stabilita'  (e
comunque sempre seguito  nelle  precedenti  leggi  finanziarie  dello
Stato). 
    Da ultimo, e ferme restando le censure fino ad  ora  esposte,  la
disposizione di cui al comma 3 e' autonomamente altresi'  illegittima
nella parte in cui dispone un concorso  che  "a  decorrere  dall'anno
2015" si protrae a tempo indeterminato. 
    In effetti, anche nei casi in cui codesta Corte costituzionale ha
ammesso la legittimita' di speciali contribuzioni verso lo Stato,  e'
pur sempre rimasto  fermo  che  tali  contribuzioni  si  correlano  a
situazioni temporalmente definite, e non possono divenire  il  regime
permanente dei rapporti finanziari (vedasi in particolare sentenza n.
193/2012). Di qui la  palese  illegittimita'  anche  in  relazione  a
questo specifico profilo. 
    La mancanza di base  statutaria  del  contributo  richiesto  alla
regione e' base sufficiente  per  la  richiesta  di  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata. 
    Per tuziorismo, la ricorrente  regione  fa  valere  in  subordine
anche le seguenti considerazioni. 
    Violato e' in primo luogo l'art. 116, comma 1,  Cost.,  il  quale
riconosce alle regioni speciali forme  e  condizioni  particolari  di
autonomia, che non possono non  riguardare  -  data  la  formulazione
della disposizione - anche  la  autonomia  finanziaria  (sentenza  n.
82/2007). 
    L'art. 16, comma 3, lede la disposizione in quanto  riserva  alle
regioni  speciali  -  e,  per  quanto  interessa  qui,  alla  regione
Friuli-Venezia Giulia - un trattamento deteriore  rispetto  a  quanto
vale per le regioni ordinarie (vedasi  l'entita'  dei  tagli  di  cui
all'art. 16, comma 2, e all'art. 16, comma 3). 
    L  'irragionevolezza  del  trattamento  deteriore   si   apprezza
considerando che  queste  differenziazioni  operano  in  un  contesto
normativo stabile, quanto alle funzioni, per  le  regioni  ordinarie,
mentre   e'   aumentato   il   concorso   specifico   della   regione
Friuli-Venezia   Giulia   al   conseguimento   degli   obiettivi   di
perequazione e di  solidarieta'  e  all'assolvimento  degli  obblighi
derivanti dall'ordinamento europeo e dal patto di stabilita' interno.
Si rammenta qui il comma 152 dell'art. 1 della  legge  di  stabilita'
per il 2011 (legge  n.  220/2010),  secondo  cui  "nel  rispetto  dei
principi indicati nella legge 5  maggio  2009,  n.  42,  a  decorrere
dall'anno   2011,   la   regione   autonoma   Friuli-Venezia   Giulia
contribuisce all'attuazione del federalismo fiscale, nella misura  di
370 milioni di euro annui, mediante: a) il pagamento di una somma  in
favore dello Stato; b) ovvero la rinuncia alle  assegnazioni  statali
derivanti dalle leggi di settore, individuate nell'ambito del  tavolo
di confronto di cui all'art. 27, comma 7, della citata  legge  n.  42
del  2009;  c)  ovvero  l'attribuzione  di  funzioni   amministrative
attualmente esercitate dallo Stato, individuate mediante accordo  tra
il Governo e la regione, con oneri a carico  della  regione.  Con  le
modalita' previste dagli articoli 10  e  65  dello  statuto  speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale
31 gennaio 1963, n. 1, lo Stato e la regione definiscono le  funzioni
da attribuire". 
    Il trattamento gravoso riservato alle autonomie speciali,  e  tra
esse alla ricorrente regione, non puo' essere giustificato sulla base
della considerazione della relativa maggiore ampiezza - rispetto alle
regioni ordinarie - delle risorse ad esse  riservate.  Tale  maggiore
ampiezza infatti e'  il  frutto  delle  valutazioni  dell'ordinamento
costituzionale dello  Stato,  e  non  puo'  essere  alterata  se  non
seguendo le vie costituzionalmente prescritte: le quali,  del  resto,
esistono. 
    E' poi da evidenziare che, anche  se  la  autonomia  finanziaria,
intesa come disponibilita' di risorse sufficienti  ad  esercitare  le
proprie attribuzioni costituzionali e  come  effettiva  capacita'  di
spesa, va valutata nel complesso,  e  che  "contenimenti"  transitori
delle spese non sono necessariamente incostituzionali (secondo quanto
risulta ad esempio, in ordine  ai  vincoli  derivanti  dal  patto  di
stabilita', dalla sentenza n. 284/2009), tuttavia, se  non  si  vuole
privare l'art. 119 Cost. e, per il Friuli-Venezia Giulia,  l'art.  48
statuto,   della   capacita'   di    fungere    da    parametri    di
costituzionalita',  occorre  riconoscere  che  singoli  provvedimenti
normativi (gli unici contro i quali - ex art. 127 Cost. - la  regione
puo' reagire, ed entro termini tassativi) possano essere sindacati e,
se  del  caso,  censurati,  anche  alla   luce   di   altri   singoli
provvedimenti, l'insieme dei quali si dimostra lesivo  dell'autonomia
finanziaria regionale. 
    Nel caso, la regione si trova nella condizione di  affermare  che
l'ulteriore "taglio" di risorse, in una con le riduzioni della  legge
n. 220/2010, determina la incostituzionalita' dell'art. 16, comma  3,
anche in quanto impone riduzioni  consistenti  alla  spesa,  tali  da
pregiudicare  l'assolvimento  delle  funzioni   pubbliche   ad   essa
attribuite, in violazione dell'art. 119 Cost. (vedasi soprattutto  il
principio di corrispondenza tra risorse e funzioni di cui al comma 4:
"Le  risorse  derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi  precedenti
consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle
regioni  di  finanziare  integralmente  le  funzioni  pubbliche  loro
attribuite") e dell'art. 48 statuto. 
    Le  misure  di  stabilizzazione   finanziaria   che   non   siano
quantificate in  stretta  relazione  ai  fabbisogni  di  spesa  della
regione, anche a  fronte  della  variabilita'  del  gettito  ad  essa
attribuito, pregiudicano la possibilita' che la stessa sia  in  grado
di finanziare il complesso delle proprie funzioni e, in  particolare,
riesca ad assicurare sul  proprio  territorio  la  soddisfazione  dei
livelli base delle prestazioni inerenti a diritti fondamentali  della
persona demandati alla sua cura. 
    A  parere  della  regione,  tale  vizio  rileva  gia'  sul  piano
astratto, per il  solo  fatto  che  lo  Stato  omette  ogni  tipo  di
valutazione nel merito del fabbisogno di spesa. 
    Secondo la regione, al contrario, tale indagine costituirebbe  il
necessario presupposto per operare contenimenti finanziari  anche  di
natura  temporanea  nell'ambito  del  coordinamento   della   finanza
pubblica, dovendo questi essere espressi sulla quota di  risorse  che
eccedono   il   livello   di   fabbisogno   di   spesa    considerato
incomprimibile. 
    Diversamente  accade  agli  enti  finanziati  con   trasferimenti
statali, la' dove lo Stato  compie  una  valutazione  di  adeguatezza
all'atto del trasferimento delle risorse ovvero della quantificazione
dell'aliquota di spettanza. 
    La  quantificazione  del  livello  di   fabbisogno   strettamente
necessario, in tale contesto, non costituirebbe a  ben  vedere  parte
del tema di prova  richiesto  alla  regione  che  ricorre  contro  il
provvedimento di contenimento, bensi' un presupposto strutturale  del
contenimento stesso che  condiziona  esplicitamente  la  legittimita'
della misura. 
    Non sono, dunque, legittime misure di contenimento  che  riducono
la capacita' di spesa della regione e la sua  autonomia  di  entrata,
senza  alcuna  considerazione  dei  livelli  di   spesa   minimi   da
finanziare. 
    E' da sottolineare che dal 2011  al  2014  la  contrazione  della
spesa imposta alla regione  e'  aumentata  del  422,9%  e  quella  di
entrata del 388,9%. Nel 2014 la regione avra' circa il 17,69% in meno
di risorse disponibili per impegni di spesa rispetto a quelle su  cui
poteva contare nel 2010. 
    Anche  letto  alla   luce   dell'art.   3   della   Costituzione,
l'incremento annuo e  il  valore  assoluto  dei  tagli  imposti  alla
regione e' del tutto irragionevole». 
    Per le stesse ragioni e' illegittirno l'art. 1, comma 118. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 132. 
    Premesso che  l'art.  1,  comma  131,  della  legge  n.  228/2012
modifica le misure in materia sanitaria gia' previste  dall'art.  15,
comma 13, decreto-legge n. 95/2012, determinando «una riduzione della
spesa per acquisto di beni e servizi», il comma 132  stabilisce  che,
«in funzione delle disposizioni recate dal comma 131 e  dal  presente
comma, il livello del fabbisogno del Servizio sanitario  nazionale  e
del correlato finanziamento, come rideterminato dall'art.  15,  comma
22, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ...  e'  ridotto  di  600
milioni di euro per  l'anno  2013  e  di  1.000  milioni  di  euro  a
decorrere dall'anno 2014».  Stabilisce  altresi'  che  le  regioni  a
statuto speciale e le province autonome di Trento e  di  Bolzano,  ad
esclusione della regione siciliana, «assicurano il concorso di cui al
presente comma mediante le  procedure  previste  dall'art.  27  della
legge 5 maggio 2009, n. 42», e  che,  inoltre,  fino  «all'emanazione
delle norme di attuazione di cui al citato art. 27 della legge n.  42
del 2009, l'importo del concorso alla  manovra  di  cui  al  presente
comma  e'  annualmente  accantonato,  a   valere   sulle   quote   di
compartecipazione ai tributi erariali». 
    Dunque, il comma 132 regola il concorso  delle  regioni  speciali
alla riduzione del livello  del  fabbisogno  del  Servizio  sanitario
nazionale  e  del  correlato  finanziamento.  L'art.  15,  comma  22,
decreto-legge n. 95/2012 gia' aveva ridotto il livello del fabbisogno
del Servizio sanitario nazionale e aveva regolato il  concorso  delle
regioni speciali con  una  disciplina  (contenuta  negli  ultimi  due
periodi del comma 22) uguale a quella di cui all'art. 1,  comma  132,
legge n. 228/2012, che  gia'  e'  stata  impugnata  dalla  ricorrente
regione con il ricorso n. 159/2012. 
    Data l'identita' della disposizione, anche  la  nuova  disciplina
risulta illegittima per le medesime ragioni svolte  nel  gia'  citato
ricorso n. 159/2012, che si possono qui richiamare.  Vanno  premesse,
pero', alcune considerazioni generali. 
    Lo statuto speciale del Friuli-Venezia  Giulia  attribuisce  alla
regione potesta' legislativa concorrente  in  materia  di  «igiene  e
sanita', assistenza sanitaria ed ospedaliera» (art. 5, n. 16),  e  la
corrispondente potesta' amministrativa (art. 8 statuto). A tali norme
e'  stata  data  attuazione  con  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n.  869/1966  e  con  gli  articoli  8  e  9  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 902/1975. 
    La competenza della regione in materia di sanita' si e'  ampliata
a seguito della riforma del titolo V, in quanto ad essa si estende la
competenza di cui all'art. 117, comma 3, Cost., che, secondo  codesta
Corte, e'  «assai  piu'  ampia»  di  quella  prevista  dallo  statuto
(sentenze nn. 240/2007, 162/2007 e 181/2006). 
    Tuttavia, l'autonomia  della  regione  Friuli-Venezia  Giulia  in
campo sanitario ha ormai da piu' di 15 anni una caratteristica che la
differenzia radicalmente dalla condizione delle regioni ordinarie. 
    Infatti, in relazione  all'assetto  statutario  delle  competenze
sopra descritto e quale concorso della regione Friuli-Venezia  Giulia
al riequilibrio della finanza pubblica nazionale, si deve  rammentare
che «a decorrere dal 1997 sono soppresse le quote del Fondo sanitario
nazionale a carico del bilancio dello Stato a  favore  della  regione
Friuli-Venezia Giulia che provvede al  finanziamento  dell'assistenza
sanitaria con i proventi dei contributi sanitari e  con  risorse  del
proprio bilancio» (art. 1, comma 144, legge n. 662/1996).  Lo  Stato,
dunque, non puo' limitare direttamente una voce di  spesa  delle  ASL
del Friuli-Venezia Giulia, dato che il finanziamento di queste  e'  a
carico del bilancio regionale (si veda la sentenza n.  341/09,  punto
6: lo Stato non ha «ha titolo  per  dettare  norme  di  coordinamento
finanziario che definiscano le modalita' di contenimento di una spesa
sanitaria che e' interamente sostenuta dalla  provincia  autonoma  di
Trento» (alla  cui  situazione,  sotto  questo  profilo,  corrisponde
quella della ricorrente regione; vedasi anche sentenza  n.  133/2010,
punto 3). 
    Del resto, questa specifica disposizione in tema di finanziamento
del servizio sanitario e' parte del piu' ampio sistema dell'autonomia
finanziaria regionale. 
    In attuazione di un accordo stipulato tra  regione  e  Stato,  la
legge n. 220/2010 ha statuito che, «per gli  esercizi  2011,  2012  e
2013, le regioni a statuto  speciale  ...  concordano,  entro  il  31
dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia  e
delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in  conto
capitale, nonche'  dei  relativi  pagamenti,  in  considerazione  del
rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131»
(comma 132). 
    In base al comma 152, «a decorrere  dall'anno  2011,  la  regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  contribuisce   all'attuazione   del
federalismo fiscale, nella misura  di  370  milioni  di  euro  annui,
mediante: a) il pagamento di una somma  in  favore  dello  Stato;  b)
ovvero la rinuncia alle assegnazioni statali derivanti dalle leggi di
settore, individuate nell'ambito  del  tavolo  di  confronto  di  cui
all'art. 27, comma 7, della citata legge n. 42 del  2009;  c)  ovvero
l'attribuzione  di  funzioni  amministrative  attualmente  esercitate
dallo Stato,  individuate  mediante  accordo  tra  il  Governo  e  la
regione, con oneri a carico della regione». 
    Il  comma  154  dispone  quanto  segue:  «la   regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia, gli enti locali del territorio, i suoi enti  e
organismi strumentali, le  aziende  sanitarie  e  gli  altri  enti  e
organismi il cui funzionamento e' finanziato dalla  regione  medesima
in via ordinaria e prevalente costituiscono  nel  loro  complesso  il
«sistema regionale integrato». Gli obiettivi  sui  saldi  di  finanza
pubblica complessivamente concordati tra lo Stato e la  regione  sono
realizzati attraverso il  sistema  regionale  integrato.  La  regione
risponde  nei  confronti  dello  Stato  del  mancato  rispetto  degli
obiettivi di cui al periodo precedente. Le disposizioni previste  dal
presente  comma  si  applicarlo  successivamente   all'adozione   del
bilancio   consolidato   previsto   dalle    disposizioni    relative
all'armonizzazione dei bilanci». 
    In base al comma 155,  «a  decorrere  dall'esercizio  finanziario
2011, l'accordo annuale relativo al patto di stabilita' interno della
regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  e'  costruito  considerando
complesso delle spese filiali, al netto delle concessioni di crediti,
valutate prendendo a riferimento le corrispondenti spese  considerate
nell'accordo per l'esercizio precedente. L'obiettivo  e'  determinato
tenendo conto distintamente dell'andamento  tendenziale  della  spesa
sanitaria regionale, in coerenza con quello nazionale. In  attuazione
di quanto previsto dall'art. 17, comma 1, lettera c), della  legge  5
maggio 2009, n. 42, in merito agli obiettivi  sui  saldi  di  finanza
pubblica, spetta alla regione individuare, con riferimento agli  enti
locali costituenti il sistema regionale integrato, gli obiettivi  per
ciascun ente  e  le  modalita'  necessarie  al  raggiungimento  degli
obiettivi complessivi di volta in volta concordati con lo  Stato  per
il periodo di riferimento, compreso il sistema sanzionatorio. Qualora
la regione non provveda ad individuare le predette modalita' entro il
31 maggio, si applicano le disposizioni previste a livello nazionale.
Salvo quanto previsto dal periodo precedente, le disposizioni statali
relative al patto di stabilita' interno non trovano applicazione  con
riferimento  agli  enti  locali  costituenti  il  sistema   regionale
integrato». 
    Infine, in base al comma 156, «la regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia  garantisce  un  effetto  positivo  sull'indebitamento  netto,
ulteriore rispetto a quello previsto dalla legislazione vigente,  ...
di 150 milioni di euro nel 2011, di 200 milioni di euro nel 2012,  di
250 milioni di euro nel 2013, di 300 milioni di euro nel 2014, di 350
milioni di euro nel 2015, di 340 milioni di euro  nel  2016,  di  350
milioni di euro annui dal 2017 al 2030 e di 370 milioni di euro annui
a decorrere dal 2031». 
    Da tali norme risulta che lo  Stato  -  nel  quadro  dei  vincoli
finanziari che esso concorda con la regione (vedasi l'art.  1,  comma
132, legge n. 220/2010) -  deve  lasciare  a  questa  il  compito  di
regolare i rispettivi obblighi finanziari propri e  dei  propri  enti
strumentali. 
    Ne' varrebbe replicare  che  anche  le  regioni  speciali  devono
concorrere al risanamento della finanza pubblica. Infatti,  lo  Stato
ha gia' definito - con le norme appena  citate,  che  hanno  recepito
l'accordo di Roma del 29 ottobre 2010 - i  modi  in  cui  la  regione
Friuli-Venezia Giulia concorre al risanamento della finanza pubblica. 
    Puo' essere  anche  utile  ricordare  che  codesta  stessa  Corte
costituzionale  ha  pronunciato  sentenze  recenti  nelle  quali   ha
stabilito che altre regioni ad autonomia speciale non  sono  soggette
ai vincoli finanziari posti da atti legislativi statali,  sulla  base
di norme ed argomenti che ben si adattano anche alla situazione della
regione Friuli-Venezia Giulia. 
    Cosi' le  sentenze  nn.  215/2012,  151/2012  e  173/2012,  hanno
stabilito che i vincoli di cui al decreto-legge  n.  78/2010  non  si
applicano alla regione Valle d'Aosta dopo la  gia'  citata  legge  n.
220/2010, dato che  essa  concorre  all'assolvimento  degli  obblighi
finanziari nei modi previsti dalla stessa legge  n.  220/2010.  Nella
decisione ha assunto particolare rilievo l'art. 1, comma  132,  legge
n. 220/2010 (secondo cui «per gli esercizi  2011,  2012  e  2013,  le
regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige  e
le province autonome di Trenta e di Bolzano, concordano, entro il  31
dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia  e
delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in  conto
capitale, nonche'  dei  relativi  pagamenti,  in  considerazione  del
rispettivo concorso alla manovra,  determinato  ai  sensi  del  comma
131»), che vale sia per la Valle d'Aosta sia  per  il  Friuli-Venezia
Giulia. 
    Ed il comma 136, poi, dispone che «le regioni a statuto  speciale
e  le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  concorrono  al
riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai
commi 132, 133 e 134, anche con  misure  finalizzate  a  produrre  un
risparmio  per  il  bilancio  dello  Stato,   mediante   l'assunzione
dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione,  con  le
modalita' stabilite dai rispettivi statuti, di  specifiche  norme  di
attuazione statutaria». 
    Tenuto conto della speciale autonomia finanziaria della  regione,
sia nel settore sanitario che in generale, la legge  ordinaria  dello
Stato non puo'  limitare  le  spese  regionali  in  campo  sanitario.
Poiche',  come  sopra  esposto,  la  regione  Friuli-Venezia   Giulia
provvede al  finanziamento  del  Servizio  sanitario  nei  rispettivi
territori, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato,  ne
deriva che «lo Stato, quando  non  concorre  al  finanziamento  della
spesa sanitaria, neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento
finanziario» (sentenze n. 341 del 2009 e n. 133 del 2010). 
    Inoltre, le limitazioni sarebbero incongrue anche se  commisurate
alla generale autonomia finanziaria regionale, quale  definita  dalle
disposizioni sopra  illustrate  e  dal  principio  dell'accordo,  che
domina il regime  dei  rapporti  finanziari  tra  Stato  e  autonomie
speciali (Corte costituzionale, sentenze n. 82 del 2007, n.  353  del
2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e n.  133  del  2010):  da  tali
norme e principi risulta che lo Stato deve concordare con la  regione
gli obiettivi relativi ai saldi di finanza  pubblica,  mentre  spetta
alla regione il potere di  coordinamento  finanziario  sulle  proprie
ASL. 
    In  definitiva,  e'  illegittima  l'assimilazione  della  regione
Friuli-Venezia Giulia alle regioni ordinarie, dato che essa  finanzia
con proprie risorse il Servizio sanitario nazionale ed e'  dotata  di
uno speciale regime per quel che riguarda il concorso agli  obiettivi
di finanza pubblica, regime che prevede espressamente,  tra  l'altro,
il potere della regione di raggiungere gli obiettivi  concordati  con
lo Stato «attraverso il sistema regionale integrato» (art.  1,  comma
154, legge n. 220/2010), cioe' anche attraverso le ASL. 
    Premesso cio', valgono anche avverso l'art. 1, comma  132,  della
legge n. 228/2012 le seguenti argomentazioni, gia' svolte nel ricorso
n. 159/2012 contro l'art. 15, comma 22, decreto-legge n. 95/2012: 
      «Dunque,  nella  disciplina  cosi'  stabilita   le   norme   di
razionalizzazione della spesa contenute nell'art. 15 costituiscono la
premessa  di  un  minor  fabbisogno  e  di   un   minore   "correlato
finanziamento", cioe' di una minore dimensione  del  Fondo  sanitario
nazionale: che poi si traduce, ovviamente, in un minor  trasferimento
di risorse dallo Stato alle regioni che partecipano di tale fondo. 
    Sin qui il meccanismo e' logico. 
    Non si puo' dire ugualmente della applicazione delle disposizioni
sopra descritte alle autonomie speciali nelle quali la sanita'  e'  a
carico della regione stessa:  come  accade  appunto  per  la  regione
Friuli-Venezia Giulia. 
    In esse non esiste un  separato  finanziamento  per  il  servizio
sanitario, che e' invece finanziato  con  il  bilancio  generale.  La
regione, che finanzia  in  proprio  il  servizio,  rivendica  -  come
esposto ai punti precedenti - di non  essere  soggetta  alle  forzose
riduzioni dei livelli delle prestazioni sopra descritti. Ma ove  tali
riduzioni si verificassero - e con esse un minore livello di spesa  -
si tratterebbe  pur  sempre  di  una  minore  incidenza  della  spesa
sanitaria sull'autonomo  bilancio  complessivo  della  regione,  come
definito dalle entrate che lo statuto attribuisce  ad  essa  e  dalle
spese necessarie o opportune. 
    Nel meccanismo ideato dalle  norme  qui  contestate,  invece,  la
violazione  dell'autonomia  della  regione  nella  organizzazione   e
gestione del servizio sanitario, con la forzosa  riduzione  dei  suoi
livelli, si traduce addirittura  in  una  forzosa  acquisizione  allo
Stato delle risorse che  lo  statuto  di  autonomia  garantisce  alla
regione Friuli-Venezia Giulia. Tale,  e  non  altro,  e'  infatti  il
significato del passaggio di risorse da tali autonomie speciali  allo
Stato. La lesione si raddoppia: alla violazione dell'autonomia  nelle
funzioni si somma l'illegittima sottrazione  di  risorse.  E'  dunque
costituzionalmente illegittimo - per diretta violazione dell'art.  49
dello statuto e del principio di leale collaborazione - il  principio
stesso di tale acquisizione. Infatti l'art. 49  statuto,  attribuisce
alla regione quote del  gettito  di  determinate  entrate  tributarie
dello Stato, percepite nel rispettivo  territorio,  affinche'  queste
vengano   spese   nell'esercizio   delle   funzioni   e    competenze
costituzionali della regione stessa, e  non  affinche'  lo  Stato  ne
possa disporre a suo piacimento. In pratica, il  comma  22  determina
unilateralmente un  contributo  straordinario  permanente,  a  carico
della regione, al risanamento della finanza pubblica statale. 
    E' opportuno ricordare che la sentenza n. 133/2010 ha  annullato,
per violazione del principio  di  leale  collaborazione,  l'art.  22,
comma 3, decreto-legge n. 78/2009, nella parte in  cui  si  applicava
alla Valle d'Aosta e alle province autonome, in  quanto  "l'art.  22,
commi  2  e  3,  incide  ...  in  modo   unilaterale   sull'autonomia
finanziaria di entrambe le ricorrenti, imponendo  loro  di  riversare
nel bilancio dello Stato le somme ricavate dalle economie sulla spesa
farmaceutica. La specialita' dell'autonomia finanziaria delle  stesse
ricorrenti sarebbe vanificata se fosse  possibile  variare  l'assetto
dei  rapporti  finanziari  con  lo  Stato  con  una  semplice   legge
ordinaria, in assenza di un accordo bilaterale che la preceda". 
    In effetti,  le  norme  del  comma  22  alterano  unilateralmente
l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e regione  Friuli-Venezia
Giulia, violando il principio dell'accordo che domina  tali  rapporti
(anche su cio' vedasi sopra) e l'art. 63, commi 1 e 5, dello statuto,
che regolano la procedura di revisione dello statuto e la particolare
procedura di modifica delle norme finanziarie di esso. 
    Inoltre, lo Stato ha gia' definito (con la legge n.  220/2010)  i
modi in cui la regione Friuli-Venezia Giulia concorre al  risanamento
della finanza pubblica, con norme che  hanno  recepito  l'accordo  di
Roma del 29 ottobre 2010: si rinvia, su cio',  al  punto  precedente.
[...] 
    Il quomodo del concorso e' definito nei modi previsti dal  quarto
e quinto periodo: il quarto periodo effettua un rinvio alle norme  di
attuazione  dello  statuto,  mentre  il  quinto  prevede  che,   fino
all'emanazione di esse, lo Stato trattenga ogni anno, sulle quote  di
compartecipazione  ai  tributi  erariali  previste   dallo   statuto,
l'importo del  concorso  della  regione  Friuli-Venezia  Giulia  alla
riduzione della spesa sanitaria. 
    Ora, il rinvio alle  norme  di  attuazione  (quarto  periodo)  e'
comunque illegittimo, in  quanto  la  norma  in  questione  determina
(illegittimamente)  un  vincolo  di  contenuto  per   le   norme   di
attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare fittizio
e contrasta con l'art. 65 statuto. 
    Infine,  la  previsione   dell'accantonamento   di   un   importo
imprecisato su tali quote autonomamente viola l'art. 49 statuto, dato
che le somme da esso garantite  alla  regione  vengono  indebitamente
ridotte. 
    Sono  dunque  lesivi  e  costituzionalmente  illegittimi  sia  il
principio stesso del trasferimento di risorse regionali  allo  Stato,
sia le modalita' applicative, nei termini sopra esposti». 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 138, nella  parte
in cui introduce i nuovi commi 1-ter  e  1-quater  dell'art.  12  del
decreto-legge n. 98/2011. 
    L'art.  1,  comma  138,  aggiunge  diversi  commi  nell'art.  12,
decreto-legge n. 98/2011, tra i quali rilevano qui i  commi  1-ter  e
1-quater. 
    Il comma 1-ter dispone che «a decorrere dal 1°  gennaio  2014  al
fine di pervenire a risparmi di spesa  ulteriori  rispetto  a  quelli
previsti dal patto di stabilita' interno, gli enti territoriali e gli
enti  del  Servizio  sanitario  nazionale  effettuano  operazioni  di
acquisto di immobili solo ove  ne  siano  comprovate  documentalmente
l'indispensabilita' e l'indilazionabilita' attestate dal responsabile
del procedimento. La congruita' del prezzo e' attestata  dall'Agenzia
del demanio, previo rimborso delle spese. Delle  predette  operazioni
e' data preventiva notizia, con l'indicazione del soggetto  alienante
e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell'ente». 
    Tale norma, qualora fosse ritenuta applicabile a questa  regione,
alle sue ASL e agli enti locali del suo  territorio,  sarebbe  lesiva
delle prerogative costituzionali regionali sotto diversi profili.  In
primo luogo, si tratta di una norma che interviene nella materia  del
coordinamento della finanza pubblica ma non ha carattere di principio
fondamentale,  in  quanto  e'  una  norma  dettagliata,  direttamente
applicabile, che limita una voce puntuale di spesa e pone un  vincolo
non temporaneo. Essa, dunque,  viola  l'autonomia  finanziaria  della
regione (titolo IV dello  statuto  e  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 114/1965) e l'art. 117, comma  3,  Cost.  (se  ritenuto
piu' favorevole), che prevede la competenza concorrente in materia di
coordinamento della finanza pubblica. 
    Essa viola anche l'autonomia organizzativa della regione (art. 4,
n. 1,  statuto,  o  art.  117,  comma  4,  Cost.,  se  ritenuto  piu'
favorevole) e la competenza regionale in materia di  finanza  locale,
risultante dall'art. 4, n. 1-bis  statuto,  e  dall'art.  9,  decreto
legislativo  n.  9/1997,  in  base  al  quale  «spetta  alla  regione
disciplinare  la  finanza   locale,   l'ordinamento   finanziario   e
contabile, l'amministrazione del patrimonio e i contratti degli  enti
locali»; inoltre, «la regione finanzia gli enti locali  con  oneri  a
carico del proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3». 
    Inoltre, la norma in questione viola la legge n. 220/2010  ed  il
gia' citato principio dell'accordo in materia finanziaria, in  quanto
la legge n. 220/2010, adottata sulla base di un accordo tra  Stato  e
regione Friuli-Venezia Giulia, regola in modo esaustivo le  modalita'
di concorso della regione al risanamento della finanza pubblica e  le
procedure  di  definizione  del  patto  di  stabilita'   interno,   e
attribuisce poteri  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  alla
regione in relazione alle ASL e agli enti locali,  che  costituiscono
il «sistema regionale integrato» (art. 1, comma 154 e 155: vedasi  il
punto 2; e'  da  ricordare  che  ricordato  che  questa  regione  non
partecipa alla ripartizione del Fondo sanitario nazionale). 
    Anche di  recente,  codesta  ecc.ma  Corte  ha  ribadito  che  il
coordinamento della finanza pubblica per le regioni speciali e' stato
assegnato alla competenza delle norme  di  attuazione  dall'art.  27,
commi 1 e 3,  legge  n.  42/2009  (vedasi  sentenze  nn.  193/2012  e
118/2012). In particolare, dalla sentenza  n.  193/2012  risulta  che
l'art. 27, legge n. 42/2009 «possiede una portata generale ed esclude
- ove non sia espressamente disposto  in  senso  contrario  per  casi
specifici da una norma successiva - che le previsioni finalizzate  al
contenimento della spesa pubblica possano essere ritenute applicabili
alle regioni  a  statuto  speciale  al  di  fuori  delle  particolari
procedure previste dai rispettivi statuti». La sentenza  n.  118/2012
ha confermato che «l'accordo e' lo strumento, ormai  consolidato  (in
quanto gia' presente nella legge 27 dicembre 1997,  n.  449,  recante
«Misure  per  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica»  e   poi
confermato  da  tutte  le   disposizioni   che   si   sono   occupate
successivamente della materia) per  conciliare  e  regolare  in  modo
negoziato il doveroso concorso delle regioni a statuto speciale  alla
manovra  di  finanza  pubblica  e  la  tutela  della  loro  autonomia
finanziaria, costituzionalmente rafforzata». 
    Ancora, il vincolo a  far  attestare  la  congruita'  del  prezzo
dall'Agenzia del demanio, «previo rimborso  delle  spese»  viola  sia
l'autonomia amministrativa  che  l'autonomia  finanziaria  regionale.
Quanto  alla  prima,  le  scelte  dell'amministrazione  regionale   o
dell'ente regionale sarebbero  condizionate  da  un  organo  statale,
realizzando cosi' una forma di controllo  di  merito  anomala  e  non
prevista ne' dallo statuto ne' dalla Costituzione. 
    Quanto all'autonomia finanziaria, risulta evidentemente incongruo
che il legislatore statale obblighi la  regione  a  corrispondere  un
rimborso per una prestazione che essa sarebbe costretta a richiedere,
pur avendo gli uffici  regionali  piena  competenza  e  capacita'  in
materia, in quanto titolari della competenza, tra l'altro, in materia
di espropriazioni. 
    Il nuovo  art.  12,  comma  1-quater,  decreto-legge  n.  98/2011
statuisce che «per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche  inserite
nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione,  come
individuate dall'ISTAT  [...],  non  possono  acquistare  immobili  a
titolo oneroso ne' stipulare contratti di locazione passiva salvo che
si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia  stipulata
per acquisire, a condizioni piu' vantaggiose,  la  disponibilita'  di
locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare  ad
avere la disponibilita' di immobili venduti. [...]». 
    Anche tale norma, qualora fosse applicabile alla regione  e  agli
enti locali del suo territorio, sarebbe illegittima per  le  medesime
ragioni illustrate con riferimento all'art. 12, comma 1-ter,  poiche'
anch'essa e' una norma dettagliata  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, direttamente applicabile. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 141, 142,  143  e
146. 
    L'art. 1, comma 141, legge n. 228/2012 stabilisce quanto segue: 
        «ferme restando le misure di contenimento  della  spesa  gia'
previste dalle vigenti  disposizioni,  negli  anni  2013  e  2014  le
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) [...] non possono effettuare spese di
ammontare superiore al 20 per cento della spesa  sostenuta  in  media
negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi,  salvo  che
l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle  spese  connesse  alla
conduzione degli immobili. In tal caso il collegio dei  revisori  dei
conti o l'Ufficio centrale di  bilancio  verifica  preventivamente  i
risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla minore  spesa
derivante dall'attuazione del presente  comma.  La  violazione  della
presente disposizione e' valutabile  ai  fini  della  responsabilita'
amministrativa e disciplinare dei dirigenti». 
    Il comma 142, dal canto suo,  dispone  che  «le  somme  derivanti
dalle  riduzioni  di  spesa  di  cui  al  comma  141   sono   versate
annualmente, entro il 30 giugno di ciascun anno, dagli enti  e  dalle
amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito  capitolo
dell'entrata del bilancio dello  Stato.  Il  presente  comma  non  si
applica agli enti e agli  organismi  vigilati  dalle  regioni,  dalle
province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali». 
    In base al comma 143, «ferme restando le misure  di  contenimento
della spesa gia' previste dalle  disposizioni  vigenti,  a  decorrere
dalla data di entrata in vigore della presente legge  e  fino  al  31
dicembre 2014, le amministrazioni pubbliche di cui al comma  141  non
possono acquistare autovetture ne'  possono  stipulare  contratti  di
locazione finanziaria aventi  ad  oggetto  autovetture.  Le  relative
procedure di acquisto iniziate a decorrere dal 9  ottobre  2012  sono
revocate». 
    Il comma 144 precisa che «le disposizioni dei commi da 141 a  143
non si applicano per gli acquisti  effettuati  per  le  esigenze  del
Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per i servizi istituzionali  di
tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi  sociali
e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza». 
    Il comma 145 dispone che «per le regioni l'applicazione dei commi
da 141 a 144 costituisce condizione per l'erogazione da  parte  dello
Stato dei trasferimenti erariali di cui  all'art.  2,  comma  1,  del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174». 
    Infine, il comma 146 stabilisce che «le amministrazioni pubbliche
individuate ai sensi dell'art. 1, comma 2, della  legge  31  dicembre
2009, n. 196, [...] possono  conferire  incarichi  di  consulenza  in
materia informatica solo in casi eccezionali, adeguatamente motivati,
in cui  occorra  provvedere  alla  soluzione  di  problemi  specifici
connessi al funzionamento  dei  sistemi  informatici.  La  violazione
della disposizione di cui al presente comma  e'  valutabile  ai  fini
della responsabilita' amministrativa e disciplinare dei dirigenti». 
    I commi 141, 143 e 146 sono norme  dettagliate  di  coordinamento
finanziario, che limitano voci ultra-minute  di  spesa  (acquisto  di
mobili e arredi, compravendite e contratti di  locazione  finanziaria
aventi ad oggetto autovetture, consulenze in materia informatica). Si
tratta di norme direttamente applicabili e, nel caso del  comma  146,
non  temporanee  (mentre  i  commi  141  e  143  fissano  un   limite
temporale). Dunque, qualora tali norme fossero  ritenute  applicabili
alla regione e agli enti locali del  suo  territorio  (nonostante  la
clausola  di  salvaguardia  di  cui  all'art.  1,  comma  554),  esse
sarebbero illegittime per le ragioni sopra illustrate con riferimento
al comma 138, che si intendono qui richiamate. 
    Quanto al comma 142, esso  «non  si  applica  agli  enti  e  agli
organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e
di Bolzano e dagli enti locali» e, quindi, si puo'  ritenere  che,  a
maggior  ragione,  esso  non   dovrebbe   applicarsi   alla   regione
Friuli-Venezia Giulia e agli enti locali del suo territorio  (tenendo
conto anche del comma 554). Esso dovrebbe intendersi dunque nel senso
che - essendo le regioni speciali gia'  tutelate  dalla  clausola  di
salvaguardia - non vi era bisogno per  esse  di  specificare  la  non
applicazione. 
    Nel caso in cui, invece, esso sia inteso  come  rivolto  anche  a
questa regione e agli enti locali  situati  nel  suo  territorio,  si
dovrebbe censurare l'obbligo di versare  «le  somme  derivanti  dalle
riduzioni di spesa di cui al  comma  141  ...  ad  apposito  capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato», in quanto esso si tradurrebbe
in un ulteriore contributo a carico dei bilanci della regione e degli
enti locali. La previsione di tale contributo da parte della  regione
violerebbe, da un lato, l'art. 49  statuto,  in  quanto  parte  delle
risorse affluite alla regione in base a tale norma statutaria sarebbe
unilateralmente  avocata  dal  legislatore  statale;  dall'altro   la
succitata legge n. 220/2010, che regola in modo compiuto  i  modi  in
cui la regione concorre agli obiettivi di  finanza  pubblica,  ed  il
principio dell'accordo in materia finanziaria (su questi  profili  si
puo' rinviare anche agli argomenti illustrati nei punti  1  e  2  del
presente ricorso). Inoltre, sarebbe violata l'autonomia regionale  di
spesa in quanto il comma 142 verrebbe ad  impedire  alla  regione  di
utilizzare liberamente le  risorse  frutto  dei  risparmi  per  altri
scopi, da essa individuati  nell'esercizio  della  propria  autonomia
organizzativa e delle proprie competenze di settore (articoli 4  e  5
statuto, e art. 117, commi 3 e 4, Cost.). 
    In relazione agli  enti  locali,  la  previsione  del  contributo
violerebbe l'autonomia finanziaria degli enti locali e la  competenza
della regione in materia di  finanza  locale  (vedasi  l'art.  4,  n.
1-bis, dello statuto e l'art.  9,  decreto  legislativo  n.  9/1997),
perche' le risorse risparmiate, che erano affluite agli  enti  locali
dalla regione, non tornerebbero alla regione o  non  sarebbero  spese
nell'ambito della propria autonomia dagli enti locali  ma  dovrebbero
essere versate al bilancio statale. Cio' rappresenta anche violazione
del principio di ragionevolezza, con evidente ripercussione  di  tale
vizio sulla competenza  regionale,  dato  che  si  verte  in  materia
regionale e si tratta di risorse regionali. 
    Inoltre, il comma 142 violerebbe l'art. 1, commi 154 e 155, legge
n. 220/2010, che attribuiscono alla regione poteri  di  coordinamento
della finanza pubblica in relazione agli enti  locali  e  sono  norme
definite di comune accordo, sulla base del principio consensuale  che
- nell'ambito del quadro statutario - domina  i  rapporti  finanziari
tra Stato e regioni speciali. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 380. 
A) Premessa. La disciplina dell'IMU e la sottrazione delle risorse al
sistema locale. Illegittimita' costituzionale delle lettere  b),  f),
h) e i). 
    Il comma 380 detta  diverse  norme  «al  fine  di  assicurare  la
spettanza ai comuni del gettito dell'imposta municipale  propria,  di
cui all'art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, [...]  per
gli anni 2013 e 2014». Si tratta, in altre parole, della disciplina e
soprattutto della destinazione dell'IMU. 
    Converra' ricordare che l'art. 13, decreto-legge n.  201/2011  ha
regolato   l'anticipazione   sperimentale   dell'imposta   municipale
propria, stabilendo (comma 1) che l'istituzione di tale  imposta  «e'
anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall'anno  2012,  ed  e'
applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014  in
base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14  marzo  2011,  n.
23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono»,  e  che
conseguentemente, «l'applicazione a  regime  dell'imposta  municipale
propria e' fissata al 2015». 
    Il riferimento a «tutti i comuni  del  territorio  nazionale»  ha
indotto a ritenere che  l'art.  13  intenda  applicarsi  anche  nella
regione  Friuli-Venezia  Giulia,  ed  in  relazione   alla   relativa
disciplina questa regione ha introdotto il ricorso n. 50/2012 tuttora
pendente. Quanto al contenuto della disciplina, l'art.  8,  comma  1,
decreto legislativo n. 23/2011, richiamato dall'art. 13, comma 1, del
decreto-legge  n.  201/2011  ora  citato,  stabilisce  che  l'imposta
municipale propria istituita dallo stesso articolo «sostituisce,  per
la  componente  immobiliare,  l'imposta  sul  reddito  delle  persone
fisiche e le relative addizionali  dovute  in  relazione  ai  redditi
fondiari relativi ai beni non  locati,  e  l'imposta  comunale  sugli
immobili». 
    Dunque, l'IMU sostituisce -  oltre  all'ICI,  gia'  destinata  ai
comuni - imposte destinate alla  regione:  o  per  sei  decimi,  come
l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili non locati  (art.
49 statuto) o interamente, come le addizionali regionale  e  comunale
relative ai redditi fondiari degli immobili non locati  e  l'ICI:  va
infatti ricordato che, in base all'art. 51,  comma  2,  statuto,  «il
gettito relativo a tributi propri e a compartecipazioni e addizionali
su tributi erariali che le leggi dello Stato attribuiscano agli  enti
locali spetta alla regione  con  riferimento  agli  enti  locali  del
proprio territorio, ferma restando la neutralita' finanziaria per  il
bilancio dello Stato». Del resto, la regione e' competente in materia
di finanza locale, ai sensi degli articoli  4,  n.  1-bis,  51  e  54
statuto, e 9 decreto legislativo n. 9/1997. 
    Ora, se lo Stato si fosse limitato a rinunciare, in favore  della
finanza comunale, a determinati tributi,  non  vi  sarebbe  nulla  da
eccepire. Ma se, come avviene nel vigente disegno normativo dell'IMU,
il reddito dell'imposta «municipale» viene assegnato allo  Stato,  ne
risulta una violazione dello statuto, che  determina  un  complessivo
impoverimento del sistema  locale:  dietro  la  «municipalizzazione»,
infatti, vi e' sempre l'imposta erariale, soltanto che il suo gettito
viene sottratto alla regione,  con  evidente  sostanziale  violazione
degli articoli 49 e 51 dello statuto. 
    Cio' e' avvenuto con le disposizioni dell'art. 13,  decreto-legge
n. 201/2011 (che percio', come detto, e' stato  impugnato  da  questa
regione) e accade ora con le disposizioni dell'art. 1, comma 380, del
quale tocca ora esaminare il contenuto specifico. 
    La lettera a) - che non e' qui impugnata - sopprime  «la  riserva
allo Stato di cui al comma 11 del citato art. 13 del decreto-legge n.
201 del 2011». Il comma 11 riservava «allo Stato la quota di  imposta
pari  alla  meta'  dell'importo  calcolato   applicando   alla   base
imponibile  di  tutti  gli  immobili,  ad  eccezione  dell'abitazione
principale e delle relative pertinenze ..., l'aliquota di base». 
    La  lettera  b)  istituisce,  «nello  stato  di  previsione   del
Ministero dell'interno, il Fondo  di  solidarieta'  comunale  che  e'
alimentato  con  una  quota  dell'imposta  municipale   propria,   di
spettanza dei comuni, di cui al citato art. 13 del  decreto-legge  n.
201 del 2011, definita con decreto del Presidente del  Consiglio  dei
Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze,  di
concerto con il Ministro  dell'interno,  previo  accordo  da  sancire
presso la Conferenza Stato-citta' ed  autonomie  locali,  da  emanare
entro il 30 aprile 2013 per l'anno 2013 ed entro il 31 dicembre  2013
per l'anno 2014». E' stabilito che in caso «di  mancato  accordo,  il
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e' comunque emanato
entro  i  quindici  giorni  successivi».  L'ammontare  iniziale  «del
predetto Fondo e' pari, per l'anno 2013, a 4.717,9 milioni di euro e,
per l'anno 2014, a 4.145,9  milioni  di  euro».  Corrispondentemente,
«nei predetti esercizi e' versata all'entrata  del  bilancio  statale
una  quota  di  pari  importo  dell'imposta  municipale  propria,  di
spettanza dei comuni». 
    Dal comma 382 risulta che il dispone che il Fondo di solidarieta'
comunale e' ripartito tra i comuni delle regioni a statuto  ordinario
e i comuni della regione Siciliana e della regione Sardegna. 
    La  lettera  f)  riserva  «allo  Stato  il  gettito  dell'imposta
municipale propria di cui all'art. 13 del citato decreto-legge n. 201
del 2011, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel
gruppo catastale D, calcolato ad aliquota  standard  dello  0,76  per
cento». 
    La lettera h)  abroga  l'art.  13,  comma  11,  decreto-legge  n.
201/2011 e l'art. 2, commi 3 e 7, decreto-legge n. 23/2011;  inoltre,
precisa che «per gli anni 2013 e 2014 non operano i commi 1, 2, 4, 5,
8 e 9 del medesimo art. 2» e  che  «il  comma  17  dell'art.  13  del
decreto-legge n.  201  del  2011  continua  ad  applicarsi  nei  soli
territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle
province autonome di Trento e Bolzano». 
    Infine, la lettera i) stabilisce che «gli importi  relativi  alle
lettere a), c), e) ed f) possono essere modificati  a  seguito  della
verifica del gettito dell'imposta municipale propria riscontrato  per
il 2012, da effettuarsi ai sensi del comma 3 dell'art. 5 dell'accordo
del 1° marzo 2012 presso la  Conferenza  Stato,  citta'  e  autonomie
locali». 
    Cosi' descritti i contenuti dell'art. 1, comma 380,  occorre  ora
esaminare in quali parti essi incidano sull'autonomia finanziaria. 
    Non e' chiaro se riguardi il  territorio  di  questa  regione  il
«Fondo  di  solidarieta'  comunale»   alimentato   «con   una   quota
dell'imposta municipale propria, di spettanza  dei  comuni»,  di  cui
alla lettera b). Infatti, dato che dal comma  382  risulta  che  esso
viene ripartito «ai comuni delle regioni a statuto  ordinario  ed  ai
comuni della regione Siciliana e della  regione  Sardegna»,  si  deve
supporre, che esso non sia  alimentato  con  l'imposta  spettante  ai
comuni delle regioni escluse dal riparto, tra  le  quali  la  regione
Friuli-Venezia Giulia. Tuttavia, il succitato comma 380, lettera  b),
non stabilisce espressamente cio':  percio',  esso  deve  venire  qui
impugnato in via cautelativa, per il  caso  in  cui  la  disposizione
dovesse intendersi nel senso che  anche  i  comuni  trentini  debbano
contribuire al Fondo di solidarieta' comunale. 
    Riguarda invece sicuramente la regione Friuli-Venezia Giulia ed i
suoi comuni la disposizione di cui alla lettera f), che riserva «allo
Stato il gettito dell'imposta municipale propria di cui  all'art.  13
del citato decreto-legge n. 201 del 2011, derivante dagli immobili ad
uso produttivo classificati nel  gruppo  catastale  D,  calcolato  ad
aliquota standard dello 0,76 per cento».  Ad  avviso  della  regione,
tale riserva  e'  illegittima  per  le  ragioni  che  di  seguito  si
esporranno. Poiche' gli importi di cui (tra l'altro) alla lettera  f)
possono essere modificati ai sensi della lettera i), anche questa  e'
impugnata. 
    Inoltre, secondo la lettera h) «il  comma  17  dell'art.  13  del
decreto-legge n.  201  del  2011  continua  ad  applicarsi  nei  soli
territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle
province autonome di Trento e Bolzano». 
    Si tratta  della  disposizione  secondo  la  quale  lo  Stato  si
appropria di tutto il maggior gettito, cioe' ogni  importo  eccedente
le entrate che affluivano  ai  comuni  della  regione  Friuli-Venezia
Giulia in base alle norme previgenti: e lo fa acquisendo  tali  fondi
dalla regione. Infatti, il comma 17,  terzo  periodo,  dispone  -  in
relazione alle autonomie speciali competenti in  materia  di  finanza
locale - che «con le procedure previste dall'art. 27  della  legge  5
maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta,
nonche' le province autonome di Trento e di  Bolzano,  assicurano  il
recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei
comuni ricadenti  nel  proprio  territorio».  Ed  il  quarto  periodo
precisa che, «fino all'emanazione delle norme di  attuazione  di  cui
allo stesso art. 27, a valere sulle  quote  di  compartecipazione  ai
tributi erariali, e' accantonato un importo pari al  maggior  gettito
stimato di cui al precedente periodo».  Il  quinto  periodo,  infine,
prevede che «l'importo complessivo della riduzione  del  recupero  di
cui al presente comma e' pari per l'anno  2012  a  1.627  milioni  di
euro, per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro e per l'anno  2014  a
2.162 milioni di euro».  E  sembra  da  ritenere  che  -  al  di  la'
dell'oscuro riferimento alla «riduzione  del  recupero»  -  i  numeri
indicati rappresentino la quantificazione  del  «recupero»  a  carico
delle autonomie speciali. 
    Tale disposizione e' gia' stata  contestata  con  il  ricorso  n.
50/2012, e per le corrispondenti ragioni deve essere impugnata  anche
con il presente ricorso. 
    In sintesi, del comma 380 sono qui impugnati: la  lettera  b)  in
via cautelativa; la lettera f) e - in quanto collegata ad essa  -  la
lettera i); la lettera h), in  quanto  confermativa  del  regime  del
comma 17 dell'art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011. 
    Tutte le norme impugnate determinano una attribuzione allo  Stato
- o in via diretta attraverso la riserva di cui alla lettera f), o in
via indiretta attraverso i meccanismi del Fondo  di  solidarieta'  di
cui alla lettera b), qualora non si accolga  l'interpretazione  sopra
prospettata - di risorse devolute al sistema finanziario locale.  Nel
caso del Fondo di solidarieta', le risorse «tornano»  ai  comuni,  ma
non a quelli del Friuli-Venezia Giulia, per cui resta  fermo  che  la
lettera  b)  -  se  intesa  in  senso  lesivo  -  determinerebbe  una
sottrazione di risorse che spettano al sistema regionale in base allo
statuto e  alle  norme  di  attuazione.  Inoltre,  ove  il  Fondo  di
solidarieta'  fosse  alimentato  dalle   risorse   dei   comuni   del
Friuli-Venezia  Giulia,   sarebbe   illegittima   l'omissione   della
partecipazione  della  regione  all'accordo  sulla  dimensione  della
contribuzione,  in  quanto  lesiva  sia  dell'autonomia   finanziaria
regionale sia della competenza istituzionale in  materia  di  finanza
locale; e sarebbe illegittimo altresi' il meccanismo che prevede  che
in caso di mancato accordo il decreto sia emanato nei quindici giorni
successivi, senza alcun meccanismo di composizione del dissenso, dato
che cio' rende il raggiungimento dell'accordo  meramente  potestativo
da parte dello Stato, come e' stato sancito anche  da  codesta  Corte
costituzionale con le sentenze nn. 121/2010 e 179/2012. 
    Infine, come visto, la  lettera  h)  tiene  ferma  l'applicazione
dell'art. 13, comma 17, decreto-legge n. 201/2011 in questa regione. 
    In relazione alla regione Friuli-Venezia Giulia, dunque, la nuova
disciplina conserva le caratteristiche  e  il  contenuto  sostanziale
della  precedente,  gia'  impugnata.  Lo  Stato   ha   provveduto   a
ristrutturare le imposte «immobiliari»  e  a  rideterminare  le  basi
imponibili, ma - nel periodo 2013-2014 - i maggiori incassi derivanti
da questa operazione sono interamente destinati allo Stato, il  quale
in parte li riceve direttamente dai contribuenti in base alla riserva
di cui al comma 380, lettera f), in parte li riceve dalla regione con
i meccanismi di «recupero» o «accantonamento»  di  cui  all'art.  13,
comma 17, decreto-legge n. 201/2011, e in parte dai  comuni  (per  il
Fondo di solidarieta' di cui alla lettera b), ove  questa  risultasse
applicabile). 
    Come gia' accennato, l'IMU  sostituisce  -  oltre  all'ICI,  gia'
destinata ai comuni - imposte destinate alla  regione  in  base  allo
statuto: o per sei decimi, come l'Irpef relativa ai redditi  fondiari
degli immobili non locati (art. 49 statuto) o  interamente,  come  le
addizionali regionale e comunale relative ai redditi  fondiari  degli
immobili non locati e l'ICI (dopo la modifica dell'art.  51  statuto,
operata dalla legge n. 220/2010): va infatti ricordato che,  in  base
all'art. 51, comma 2, statuto, gettito relativo a tributi propri e  a
compartecipazioni e addizionali su  tributi  erariali  che  le  leggi
dello Stato attribuiscano agli enti locali spetta  alla  regione  con
riferimento agli enti locali del proprio territorio,  ferma  restando
la neutralita' finanziaria per il bilancio dello Stato».  Del  resto,
la regione e' competente in materia di finanza locale, ai sensi degli
articoli 4, n. 1-bis, 51 e 54 statuto, («Allo scopo  di  adeguare  le
finanze delle province e dei comuni al raggiungimento delle finalita'
ed all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi,  il  consiglio
regionale puo' assegnare ad essi annualmente una quota delle  entrate
della regione») e 9, decreto  legislativo  n.  9/1997  («Spetta  alla
regione disciplinare la finanza locale, l'ordinamento  finanziario  e
contabile, l'amministrazione del patrimonio e i contratti degli  enti
locali. La regione finanzia gli enti locali con oneri  a  carico  del
proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3»). 
    In questi termini, attraverso una nominalistica  comunalizzazione
dei tributi immobiliari si realizza il transito delle  corrispondenti
risorse dal bilancio regionale al bilancio statale, per effetto delle
norme di cui alle  lettere  b),  f)  e  h).  La  regione,  che  prima
«integrava» la finanza locale avvalendosi delle predette risorse, ora
ne e' priva ma dovra' comunque far fronte alle necessita' finanziarie
dei  comuni,  in  base  alle  norme   appena   citate,   e   dovrebbe
contestualmente  versare  allo  Stato  proprie  risorse   in   misura
corrispondente alle maggiori entrate dei comuni, o comunque in misura
corrispondente a quella a priori determinata dall'art. 13, comma  17,
decreto-legge n. 201/2011. 
    Anche volendo prescindere dalla destinazione alla  regione  anche
dei tributi comunali propri (dopo la modifica dell'art.  51  statuto,
operata dalla legge n. 220/2010), in un sistema nel quale la  regione
ha  la  responsabilita'  complessiva   della   finanza   locale,   la
sottrazione ai comuni delle risorse derivanti dalle imposte  ad  essi
destinate costituisce contemporaneamente una  lesione  dell'autonomia
finanziaria regionale: in questi termini,  la  devoluzione  di  parte
dell'IMU allo Stato viola lo statuto (articoli 4, n. 1-bis, 51 e  54)
e l'art. 9, decreto legislativo n. 9/1997  anche  in  relazione  alle
risorse sostitutive dell'ICI,  cioe'  dell'imposta  che  affluiva  ai
comuni. 
    Dunque, le lettere b), f) e h) (e la collegata lettera i) violano
gli articoli 4, n. 1-bis, 49, 51, comma 2, 54 statuto,  e  l'art.  9,
decreto legislativo n. 9/1997  in  quanto  attribuiscono  allo  Stato
risorse che spettano alla  regione  (per  sei  decimi,  come  l'Irpef
relativa ai redditi fondiari degli immobili  non  locati  -  art.  49
statuto - o interamente, come le addizionali provinciale  e  comunale
relative ai redditi fondiari:  art.  51,  comma  2,  statuto)  o  che
rappresentano una componente essenziale della finanza  comunale,  con
ripercussioni sulla responsabilita' regionale  in  materia  (art.  54
statuto, e art. 9, decreto legislativo n. 9/1997). 
    Inoltre, la lettera f) e la lettera h) violano  anche  l'art.  4,
decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965 e l'art. 6, comma
2, decreto legislativo n. 8/1997, perche' riservano allo Stato  parte
del gettito IMU in assenza dei presupposti previsti  dalle  succitate
norme di attuazione (su cio' vedasi amplius infra, punto B). 
    Ancora, le norme impugnate violano il principio  di  «neutralita'
finanziaria» (riconosciuto dallo stesso legislatore statale  all'art.
1,  comma  159,  legge  n.  220/2010,  cui  deve  attribuirsi  valore
interpretativo dello statuto: «Qualora con i decreti  legislativi  di
attuazione della legge 5 maggio 2009,  n.  42,  siano  istituite  sul
territorio nazionale nuove  forme  di  imposizione,  in  sostituzione
totale o parziale di  tributi  vigenti,  con  le  procedure  previste
dall'art. 27  della  medesima  legge  n.  42  del  2009,  e'  rivisto
l'ordinamento  finanziario  della  regione  autonoma   Friuli-Venezia
Giulia al fine di assicurare la neutralita' finanziaria dei  predetti
decreti nei confronti dei vari livelli di governo»), in  quanto  esse
regolano un nuovo tributo, sostituendolo a tributi preesistenti,  con
il risultato di spostare risorse dal sistema regionale allo Stato. 
    La lettera h) e la lettera h) violano poi il principio di parita'
di trattamento tra regioni e tra comuni delle diverse regioni (art. 3
Cost.), perche' solo i comuni del Friuli-Venezia Giulia (e  di  altre
due regioni speciali)  non  beneficiano  del  Fondo  di  solidarieta'
(lettera b) e solo il maggior gettito ad essi destinato viene avocato
allo Stato (lettera h): la regione e' legittimata  ad  invocare  tale
parametro dato che la discriminazione colpisce essa ed i comuni della
cui finanza e' responsabile. 
    Infine,  tutte  le   norme   impugnate   violano   il   principio
dell'accordo che regola i rapporti fra Stato e  regioni  speciali  in
materia finanziaria (Corte  costituzionale,  sentenze  nn.  133/2010,
74/2009,  82/2007,  353/2004,  39/1984,  98/2000).  In  effetti,   e'
chiaramente illegittimo che lo Stato, con una fonte avente valore  di
legge  ordinaria  unilateralmente  adottata,  alteri  in  modo  cosi'
rilevante l'assetto dei rapporti  finanziari  tra  Stato  e  regione,
laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto  in  questa
materia. 
B) Specifica illegittimita' costituzionale del comma 380, lettera  f)
e lettera i). 
    Come sopra esposto, il comma 380, lettera f) riserva «allo  Stato
il gettito  dell'imposta  municipale  propria  ...,  derivante  dagli
immobili ad uso  produttivo  classificati  nel  gruppo  catastale  D,
calcolato ad aliquota standard dello 0,76  per  cento,  prevista  dal
comma 6, primo periodo, del citato art. 13». In base  al  comma  380,
lettera g), «i comuni possono aumentare sino a 0,3 punti  percentuali
l'aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo
periodo del citato art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 per  gli
immobili ad uso produttivo  classificati  nel  gruppo  catastale  D».
Dunque,  l'IMU  derivante  dagli  immobili  produttivi   e'   versata
direttamente allo Stato, che regola anche la possibilita' dei  comuni
di aumentare l'aliquota. L'art. 49 dello statuto speciale dispone che
«spettano alla regione le seguenti quote  fisse  delle  sottoindicate
entrate tributarie erariali riscosse  nel  territorio  della  regione
stessa: 1) sei decimi del  gettito  dell'imposta  sul  reddito  delle
persone fisiche». L'art. 51, comma 2, come gia' visto, stabilisce che
«il gettito  relativo  a  tributi  propri  e  a  compartecipazioni  e
addizionali  su  tributi  erariali   che   le   leggi   dello   Stato
attribuiscano agli enti locali spetta alla  regione  con  riferimento
agli enti locali del proprio territorio». 
    Dunque, alla regione spettano i 6/10 dell'Irpef e le  addizionali
Irpef (regionale e comunali). L'art. 13,  decreto-legge  n.  201/2011
sostituisce  l'IMU  a  tali  imposte  (per  la  quota  fondiaria)  ma
l'operazione si rivela  elusiva,  fittizia,  perche'  il  comma  380,
lettera f) in parte riporta le somme in  questione  allo  Stato.  Non
basta, pero', un semplice  cambio  di  «etichetta»  del  tributo  per
eludere il sistema statutario. La lettera viola gli articoli  49,  n.
1, e 51, comma 2, perche' avoca allo Stato risorse riscosse a  titolo
di tributo erariale e che  sostanzialmente  corrispondono  a  tributi
spettanti alla regione (pro quota o interamente). 
    Qualora, invece, si volesse  valorizzare  lo  status  di  tributo
locale dell'IMU, allora la lettera f) violerebbe l'art. 51, comma  2,
la' dove dispone che «il gettito relativo a tributi propri ... che le
leggi dello Stato attribuiscano agli enti locali spetta alla  regione
con riferimento agli enti locali del proprio territorio». L'IMU e' un
tributo attribuito agli enti locali ma la lettera  f)  riserva  parte
del gettito allo Stato, in contrasto con l'art. 51, comma 2, statuto. 
    Ne' varrebbe replicare che, in base all'art. 4, comma 1,  decreto
del Presidente della Repubblica n. 114/1965, a  certe  condizioni  e'
ammessa la riserva all'erario del «gettito derivante da maggiorazioni
di aliquote o da altre modificazioni in ordine  ai  tributi  devoluti
alla regione». 
    Tali condizioni, infatti, non ricorrono nella norma di  cui  alla
lettera f). 
    Infatti, i requisiti sono: a) la  destinazione  per  legge  «alla
copertura di nuove specifiche spese di  carattere  non  continuativo,
che non rientrano nelle materie  di  competenza  della  regione,  ivi
comprese quelle relative a calamita' naturali»; b)  la  delimitazione
temporale del gettito; c) la contabilizzazione distinta nel  bilancio
statale e la quantificabilita'. 
    Ora, ad avviso della regione ricorrente risulta evidente  che  e'
assente il primo requisito sopra indicato, in quanto  la  lettera  f)
non destina le maggiori entrate a «nuove specifiche spese»: nel  caso
in questione, infatti, ne' si tratta di «spese»,  ne'  le  situazioni
alle quali si vuole far fronte sono «nuove» ne' «specifiche»  (vedasi
sul punto la sentenza n. 182/2010). Non  puo'  essere  dubbio  che  i
requisiti posti dall'art. 4, comma 1, decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 114/1965, sono requisiti essenziali,  il  cui  rispetto
non puo' essere legittimamente pretermesso. 
    Escluso che la lettera f) possa trovare  fondamento  nell'art.  4
decreto del Presidente della Repubblica  n.  114/1965,  e'  anche  da
escludere che esso possa ricondursi  all'art.  6,  comma  2,  decreto
legislativo  n.  8/1997,  in  base  al   quale,   «nelle   more   del
completamento del processo di trasferimento e di delega  di  funzioni
dallo Stato alla regione,  qualora  la  quota  delle  spese  relative
all'esercizio delle funzioni delegate eventualmente  a  carico  della
regione ai sensi dell'art.  4,  comma  2,  lettera  b)  [decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  114/1965],  fosse  insufficiente  al
raggiungimento degli obiettivi di risanamento della finanza pubblica,
una quota del previsto incremento del  gettito  tributario  spettante
alla regione - ad esclusione in ogni caso degli incrementi  derivanti
dall'evoluzione tendenziale ed al netto delle eventuali previsioni di
riduzioni di gettito - derivante dalle manovre correttive di  finanza
pubblica  previste   dalla   legge   finanziaria   e   dai   relativi
provvedimenti   collegati,   nonche'   dagli   altri    provvedimenti
legislativi aventi le medesime finalita',  non  considerati  ai  fini
della determinazione dell'accordo relativo all'esercizio  finanziario
precedente, puo' essere destinata al raggiungimento  degli  obiettivi
di  riequilibrio  della  finanza  pubblica  previsti   dai   predetti
provvedimenti, tenuto conto  altresi'  delle  spese  a  carico  della
regione per funzioni trasferite in  data  successiva  al  1°  gennaio
1997». 
    Ad  avviso  della  ricorrente  regione  questa   norma   non   e'
applicabile alla disciplina qui contestata, in  quanto  essa  non  ha
portata  generale  ma  opera  in  relazione  allo  specifico  accordo
annuale, tra Governo e regione, che  determinava  «l'eventuale  quota
che rimane a carico del bilancio  della  regione  -  per  l'esercizio
oggetto dell'accordo - delle  spese  derivanti  dall'esercizio  delle
funzioni statali delegate alla medesima, in  relazione  alle  manovre
correttive di finanza pubblica previste dalla legge finanziaria e dai
relativi provvedimenti collegati, nonche' dagli  altri  provvedimenti
legislativi aventi le medesime finalita', da determinarsi nei  limiti
del  previsto  incremento  del  gettito  tributario  derivante  dalle
manovre  medesime,  ad  esclusione  in  ogni  caso  degli  incrementi
derivanti dall'evoluzione tendenziale ed  al  netto  delle  eventuali
previsioni di riduzione del gettito» (art. 4, comma  2,  lettera  b),
decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965). 
    In ogni modo, anche qualora la disposizione di  cui  all'art.  6,
comma 2, decreto legislativo n. 8/1997 fosse ritenuta applicabile, la
lettera f) non vi corrisponderebbe per l'unilateralita' della riserva
(essendo chiaro che l'art. 6, comma 2, presuppone  l'accordo:  vedasi
anche  l'art.  6,  comma   3).   Dunque,   nella   denegata   ipotesi
dell'applicabilita' dell'art. 6,  comma  2,  decreto  legislativo  n.
8/1997, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare l'accordo  con  la
regione, non potendo unilateralmente alterare le  regole  statutarie.
La lettera f), dunque, violerebbe pur sempre il  principio  di  leale
collaborazione e, in particolare, il principio consensuale che domina
le relazioni finanziarie fra lo Stato e le regioni  speciali  (vedasi
le sentenze  nn.  82/2007,  353/2004,  39/1984,  98/2000,  74/2009  e
133/2010). 
    In effetti, e' chiaramente illegittimo  che  lo  Stato,  con  una
fonte  primaria  unilateralmente  adottata,  alteri  in  modo   cosi'
rilevante l'assetto dei rapporti  finanziari  tra  Stato  e  regione,
laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto  in  questa
materia. Inoltre, ed in subordine alla  totale  illegittimita'  della
riserva allo Stato, la lettera f) sarebbe comunque illegittima  nella
parte in cui individua  la  quota  statale  con  riferimento  ad  una
particolare categoria di immobili, cioe' agli  immobili  «produttivi»
(gruppo catastale D), determinando forti sperequazioni tra  comuni  a
seconda della tipologia di immobili  in  essi  presente,  ne'  vi  e'
alcuna plausibile  ragione  per  una  simile  differenziazione.  Cio'
rappresenta violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)
e produce gravi effetti negativi sui bilanci di taluni comuni, specie
di medio-piccole dimensioni, in contrasto con il  principio  di  buon
andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.); a  tali  effetti  non
rimedia  il  Fondo  di  solidarieta',  dai   quali   i   comuni   del
Friuli-Venezia  Giulia  sono  esclusi,  con   ovvia   necessita'   di
intervento perequativo della regione. La regione e' legittimata a far
valere tali parametri perche' la norma rientra in  materia  regionale
(finanza locale). 
    La lettera i), secondo la quale gli importi relativi alle lettere
a), c), e) ed f) possono essere modificati a seguito  della  verifica
del gettito dell'imposta municipale propria riscontrato per il  2012,
da effettuarsi ai sensi del comma 3 dell'art. 5 dell'accordo  del  1°
marzo 2012 presso la Conferenza Stato, citta' e autonomie locali», e'
del tutto incomprensibile in relazione alle  lettere  a)  ed  e),  le
quali si limitano a sopprimere riserve o fondi. 
    Qui interessa comunque quanto essa dispone in collegamento con la
lettera f): cosi' disponendo, infatti, essa rende del  tutto  incerto
il contenuto della disposizione, con violazione del  principio  della
certezza del diritto (che questa regione e' legittimata a  denunciare
dato  che  la  norma   rientra   in   materia   regionale).   Inoltre
l'illegittimita' della stessa riserva di cui alla lettera  f),  sopra
illustrata, comporta l'illegittimita' anche  della  facolta'  di  cui
alla lettera i). 
C) Specifica illegittimita' costituzionale del comma 380, lettera h). 
    Come visto, il comma 380, lettera h), stabilisce che «il comma 17
dell'art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 continua ad applicarsi
nei soli  territori  delle  regioni  Friuli-Venezia  Giulia  e  Valle
d'Aosta e delle province autonome di Trento e  Bolzano».  L'art.  13,
comma 17, terzo  periodo  prevede  che  «con  le  procedure  previste
dall'art.  27  della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,   le   regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le  province  autonome
di Trento e di Balzano, assicurano il recupero  al  bilancio  statale
del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio
territorio». Il quarto periodo  aggiunge  che,  «fino  all'emanazione
delle norme di attuazione di cui allo stesso art. 27, a valere  sulle
quote di compartecipazione ai tributi  erariali,  e'  accantonato  un
importo  pari  al  maggior  gettito  stimato  di  cui  al  precedente
periodo». In base al quinto  periodo,  «l'importo  complessivo  della
riduzione del recupero di cui al presente comma e'  pari  per  l'anno
2012 a 1.627 milioni di euro, per l'anno 2013 a  1.762,4  milioni  di
euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro». 
    Come detto, tali norme sono state impugnate  con  il  ricorso  n.
50/2012. 
    Dunque, lo  Stato  non  solo  trattiene  direttamente  una  parte
dell'IMU come entrata erariale (in base alla lettera f), ma  vorrebbe
incamerare dalla regione anche tutto l'importo eccedente  le  entrate
che affluivano ai comuni in base alle norme previgenti. Si noti che -
come gia' rilevato con il  ricorso  n.  50/2012  -  il  comma  17  e'
formulato in modo tale da poter essere inteso nel senso che l'importo
IMU 2012 non debba essere confrontato con l'importo 2011 dei  tributi
sostituiti ma solo con l'importo dei tributi sostituiti percepiti dai
comuni (cioe', l'ICI 2011). Se cosi' fosse, il taglio  delle  risorse
assumerebbe un carattere del tutto particolare rispetto alla  regione
Friuli-Venezia  Giulia.  Infatti,  delle  tre  componenti  sostituite
dall'IMU  (cioe'  l'Irpef  fondiaria,  le  addizionali  regionale   e
comunali e l'ICI), l'ICI era  precedentemente  riscossa  direttamente
dai comuni (anche  se  destinata  alla  regione,  dopo  le  modifiche
apportate all'art. 51 statuto, dalla legge n. 220/2010),  mentre  sia
le risorse derivanti dall'Irpef fondiaria che quelle derivanti  dalle
addizionali spettavano alla regione. Ne risulta che - concentrata  la
fiscalita' - il «maggior gettito stimato dei  comuni»  della  regione
sara' particolarmente elevato,  comprendendo  anche  il  gettito  dei
tributi che prima costituivano entrate della regione. 
    Se cosi' fosse, la regione e i suoi  enti  locali  risulterebbero
depauperati: 
    dei sei decimi dell'Irpef sui redditi immobiliari, soppressi; 
    delle addizionali regionale e comunale  precedentemente  previste
(la seconda era destinata alla regione in luogo dei comuni). 
    Inoltre, il comma 17 potrebbe essere interpretato anche nel senso
che dal gettito precedente sia esclusa  la  somma  che  perveniva  ai
comuni  (tramite  la  regione)  ai  sensi  dell'art.  1,   comma   4,
decreto-legge n. 98/2008, che  aveva  previsto  un  fondo  sostituivo
delle entrate comunali relative  all'ICI  sull'abitazione  principale
(norma  ora  abrogata  dall'art.  13,  comma  14,  lettera  a),   del
decreto-legge n. 201 del 2011). Se cosi' fosse,  ne  risulterebbe  un
ulteriore rilevante depauperamento del sistema regionale. Gia' questa
incertezza delle disposizioni  e'  irragionevole  (art.  3  Cost.)  e
rappresenta una lesione dell'autonomia finanziaria  della  regione  e
dei  comuni,  perche'  si  riflette  in  incertezza   sulle   risorse
disponibili e in impossibilita' di un'adeguata  programmazione  nelle
diverse materie. 
    Il terzo e quarto periodo del comma 17 violano l'art. 49 statuto,
e gli articoli 4, decreto del Presidente della Repubblica n. 114/1965
e 6, comma 2, decreto legislativo n. 8/1997,  perche'  pretendono  di
avocare allo Stato risorse di spettanza regionale, al  di  fuori  dei
casi previsti. 
    Cio' e' vero sia nel caso in cui  si  ritenga  che  il  comma  17
produca  l'effetto  di  avocare  allo  Stato  le  risorse  che  prima
spettavano alla  regione  a  titolo  di  compartecipazione  all'Irpef
fondiaria (art. 49 statuto,) e di addizionali  regionale  e  comunale
(art. 51, comma 2, statuto,), sia nel caso in cui si ritenga  che  la
regione dovrebbe  assicurare  il  recupero  allo  Stato  del  maggior
gettito con le proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce
l'effetto di «far tornare» nelle casse statali risorse spettanti alla
regione e ad essa affluite in  attuazione  delle  regole  finanziarie
poste dallo statuto e dalle norme  di  attuazione  (comma  17,  terzo
periodo). 
    Ancora, il terzo e  quarto  periodo  del  comma  17  violano  gli
articoli 63 e 65 statuto, proprio perche' pretendono di derogare agli
articoli  49  e  51  statuto,  e  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 114/1965 con una fonte primaria «ordinaria». 
    L'art. 65 statuto e' violato anche perche'  il  comma  17,  terzo
periodo, pretende di vincolare  unilateralmente  il  contenuto  delle
norme di attuazione. 
    * Inoltre, il comma 17, terzo e quarto periodo, viola l'autonomia
finanziaria regionale (assicurata dagli articoli 48 e 49  statuto,  e
dall'art. 119, commi 1, 2, e 4, Cost.) in quanto produce l'effetto di
infliggere  un  nuovo,  rilevante  «taglio»  di  risorse  al  sistema
regionale. 
    Le norme in questione producono  l'effetto  di  «espropriare»  la
regione e gli  enti  locali  delle  risorse  corrispondenti  ai  6/10
dell'Irpef fondiaria, alle  addizionali  regionale  e  comunali  e  a
quelle  che  l'art.  1  decreto-legge  n.  93/2008   (ora   abrogato)
attribuiva ai comuni (tramite la regione) per compensare  l'esenzione
lei sulla prima casa. Si tratta di una quota rilevante di risorse, la
cui eliminazione si aggiunge ai tagli gia'  operati  con  l'art.  14,
decreto-legge n.  78/2010,  l'art.  20,  comma  5,  decreto-legge  n.
98/2011, l'art. 1, comma 8, decreto-legge n.  138/2011  e  l'art.  1,
comma 156, primo periodo, della legge n. 220/2010. 
    Le risorse  «avocate»  dalle  norme  qui  impugnate  (soprattutto
quelle compensative dell'ICI  sulla  prima  casa)  erano  dirette  al
finanziamento delle «funzioni normali» dei comuni, per  cui  la  loro
sottrazione produce gravi squilibri e incide sulla finanza  regionale
(vedasi l'art. 54 statuto, e l'art. 9 decreto legislativo n. 9/1997).
Lo Stato non puo' revocare quote cosi'  rilevanti  di  risorse  senza
alcuna  compensazione.  Il  gia'  citato  principio  di  «neutralita'
finanziaria» (art. 1, comma 159,  legge  n.  220/2010)  e'  stravolto
dalle  norme  qui  impugnate,  che   regolano   un   nuovo   tributo,
sostituendolo a tributi preesistenti, con il  risultato  di  spostare
risorse dal sistema regionale allo Stato. 
    E' anche violato il principio consensuale che domina  i  rapporti
finanziari tra Stato e  regioni  speciali  (vedasi  le  sentenza  nn.
82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010), perche' lo  Stato  ha
proceduto a sovvertire l'assetto della finanza regionale  e  comunale
del tutto unilateralmente, anzi violando le norme (come il  succitato
principio di  neutralita'  finanziaria)  concordate  con  la  regione
(l'art. 1, comma 159, legge  n.  220/2010  recepisce  l'art.  11  del
protocollo di intesa Tondo-Tremanti). 
    Infine, e' da sottolineare  che  le  norme  impugnate  colpiscono
essenzialmente le regioni speciali, sia perche' solo esse  dispongono
delle compartecipazioni e delle addizionali  locali,  sia  perche'  i
comuni  delle  regioni  ordinarie  non  perdono  la   «compensazione»
dell'ICI sulla prima casa (che e' confluita nel fondo sperimentale di
riequilibrio). Di qui la violazione  dell'art.  3  Cost.,  con  ovvie
ripercussioni sull'autonomia finanziaria della regione e  degli  enti
locali situati nel suo territorio. 
    Una menzione separata e specifica richiede  l'illegittimita'  del
quarto periodo del comma 17 che  prevede  lo  «accantonamento»  delle
quote di compartecipazione previste dall'art. 49 statuto. 
    Va  rilevato,  infatti,  che  tale   «accantonamento»   contrasta
anch'esso frontalmente con l'art. 49 dello  statuto  e  con  l'intero
sistema finanziario della regione da  esso  istituito.  E'  evidente,
infatti, che le risorse che lo statuto prevede come entrate regionali
sono cosi' stabilite perche' esse vengano  utilizzate  dalla  regione
per lo svolgimento delle sue funzioni costituzionali, e  non  perche'
esse vengano «accantonate». L'istituto dell'accantonamento non ha nel
sistema statutario cittadinanza alcuna. 
    Inoltre, l'illegittimita' del  trasferimento  previsto  determina
anche l'illegittimita' dell'accantonamento disposto nella prospettiva
del trasferimento. 
    Specifica illegittimita' colpisce poi il quinto periodo del comma
17, che stabilisce in un ammontare fisso e determinato l'importo  del
«recupero», stimandolo a priori con  criteri  del  tutto  oscuri.  Si
tratta di una norma irragionevole, che prevede un importo fisso senza
contemplare alcun meccanismo di conguaglio  o  rimborso  in  caso  di
inesattezza.   L'irragionevolezza,    naturalmente,    si    riflette
sull'autonomia finanziaria della regione,  tenuta  ad  assicurare  il
«recupero». 
    Inoltre e'  violato  il  gia'  citato  principio  consensuale  in
materia di finanza delle regioni speciali, perche' la  norma  avrebbe
dovuto  prevedere  una  determinazione  concordata  dell'importo   in
questione. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 383. 
    Il comma 383 stabilisce che «la verifica del gettito dell'imposta
municipale propria dell'anno 2012, di cui al comma 6-bis dell'art.  9
del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  ...  avviene  utilizzando
anche  i  dati  relativi  alle  aliquote  e  ai  regimi   agevolativi
deliberati dai singoli comuni e raccolti  dall'IFEL  nell'ambito  dei
propri compiti istituzionali sulla base di una metodologia concordata
con Ministero dell'economia e delle finanze». 
    Il richiamato art. 9,  comma  6-bis,  decreto-legge  n.  174/2012
dispone che, «a  seguito  della  verifica  del  gettito  dell'imposta
municipale propria dell'anno 2012, da effettuare  entro  il  mese  di
febbraio 2013, si provvede all'eventuale conseguente regolazione  dei
rapporti finanziari tra  lo  Stato  e  i  comuni,  nell'ambito  delle
dotazioni del fondo sperimentale di riequilibrio e dei  trasferimenti
erariali previste a legislazione vigente». 
    Il comma 383, dunque, ridetermina ex post le modalita' di calcolo
del maggior gettito IMU, che l'art. 13, comma  17,  decreto-legge  n.
201/2011 riserva allo  Stato.  Mentre  quest'ultima  disposizione  fa
riferimento al «gettito stimato ad aliquota di base»,  il  comma  383
prevede di utilizzare «anche i  dati  relativi  alle  aliquote  e  ai
regimi agevolativi deliberati dai singoli comuni». 
    Pur non essendo del tutto chiaro quale risultato differenziale si
ottenga, nelle specifiche situazioni, dal mutato merito  di  calcolo,
risulta  evidente  che  -  ove   esso   si   traducesse   in   minori
disponibilita' rispetto a quelle derivanti dal  precedente  metodo  -
cio'   si   tradurrebbe   in   una   incolpevole   ma   irrimediabile
compromissione  del  bilancio  degli  enti  interessati.  E'   dunque
illegittimo  modificare  in  peius,   a   fine   2012,   una   regola
(quantificazione del gettito in base all'aliquota base) che e'  stata
il principio di riferimento che ha guidato la formazione dei  bilanci
comunali dello scorso anno. Lo Stato non puo' modificare a posteriori
e  unilateralmente  regole  gia'   prese   a   riferimento   per   la
programmazione delle politiche locali e gia' impegnate  nella  spesa.
Facendolo, il comma 383 viola il principio di certezza e  l'autonomia
finanziaria degli enti  locali  e,  di  conseguenza,  della  regione,
competente in materia di finanza locale. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 448. 
    Il comma 454 dispone che, «al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, le regioni a statuto speciale, escluse
la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e  di
Bolzano, concordano, con il Ministro dell'economia e  delle  finanze,
per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016, l'obiettivo in  termini  di
competenza finanziaria e di competenza  eurocompatibile,  determinato
riducendo il complesso delle spese finali in  termini  di  competenza
eurocompatibile risultante dal  consuntivo  2011:  a)  degli  importi
indicati per il 2013 nella tabella di  cui  all'art.  32,  comma  10,
della legge 12 novembre 2011, n.  183;  b)  del  contributo  previsto
dall'art. 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ...
come rideterminato  dall'art.  35,  comma  4,  del  decreto-legge  24
gennaio 2012, n. 1, ... e dall'art. 4, comma 11, del decreto-legge  2
marzo 2012, n. 16, ...; c) degli importi  indicati  nel  decreto  del
Ministero dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014, 2015
e  2016,  emanato  in  attuazione  dell'art.   16,   comma   3,   del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 ...; d) degli ulteriori contributi
disposti a carico delle autonomie speciali». Inoltre,  il  comma  454
stabilisce che  «il  complesso  delle  spese  finali  in  termini  di
competenza finanziaria di  ciascuna  autonomia  speciale  di  cui  al
presente comma non puo' essere superiore, per ciascuno degli anni dal
2013 al 2016, all'obiettivo di competenza eurocompatibile determinato
per il corrispondente esercizio ai sensi del presente comma».  A  tal
fine, «entro il 31  marzo  di  ogni  anno,  il  presidente  dell'ente
trasmette la proposta di accordo al Ministro  dell'economia  e  delle
finanze». 
    Il comma 456 stabilisce che, «in caso di mancato accordo  di  cui
ai commi 454 e 455 entro il 31 luglio, gli  obiettivi  delle  regioni
Sardegna,  Sicilia,  Friuli-Venezia  Giulia  e  Valle  d'Aosta   sono
determinati sulla base dei dati trasmessi, ai sensi dell'art. 19-bis,
comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009,  n.  135,  ...  ridotti
degli importi previsti dal comma 454». 
    Dunque, il comma 454 prevede in teoria l'accordo tra  la  regione
ed il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  per  il  patto  di
stabilita', ma in realta' stabilisce  unilateralmente  che  il  saldo
programmatico e' «determinato  riducendo  il  complesso  delle  spese
finali  in  termini  di  competenza  eurocompatibile  risultante  dal
consuntivo 2011» degli importi previsti da alcune leggi. Il comma 456
conferma il carattere illusorio della determinazione  concordata  del
patto, in quanto rende facoltativo l'accordo. 
    In questi termini, i commi 454 e 456  violano,  in  primo  luogo,
l'art. 1, comma 155, legge n. 220/2010, che e' norma  adottata  sulla
base di un accordo  tra  Stato  e  regione  Friuli-Venezia  Giulia  e
codifica, in  relazione  al  patto  di  stabilita',  il  gia'  citato
principio consensuale che domina i rapporti finanziari  tra  Stato  e
regioni speciali (sentenze n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del
1984, n. 98 del 2000 e n. 133 del 2010), stabilendo che, «a decorrere
dall'esercizio finanziario 2011, l'accordo annuale relativo al  patto
di stabilita' interno della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e'
costruito considerando il complesso  delle  spese  finali,  al  netto
delle concessioni di crediti, valutate  prendendo  a  riferimento  le
corrispondenti  spese  considerate   nell'accordo   per   l'esercizio
precedente». 
    E'  da  ricordare  che,  in  base  alla  sentenza  n.   118/2012,
«l'accordo  e'  lo  strumento,  ormai  consolidato  (in  quanto  gia'
presente nella legge 27 dicembre 1997, n. 449, ... e  poi  confermato
da tutte le disposizioni che si sono occupate  successivamente  della
materia) per conciliare e regolare  in  modo  negoziato  il  doveroso
concorso delle regioni a statuto speciale  alla  manovra  di  finanza
pubblica   e   la   tutela   della   loro   autonomia    finanziaria,
costituzionalmente  rafforzata  (ex  plurimis  sentenza  n.  353  del
2004)». La Corte ha sottolineato che «nel solco di  questo  indirizzo
normativo l'art. 1, comma 132,  della  legge  n.  220  del  2010,  ha
stabilito che per gli esercizi  2011,  2012  e  2013,  le  regioni  a
statuto  speciale,  escluse  la  regione  Trentino-Alto  Adige  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano, concordano con il  Ministro
dell'economia e delle finanze le  concrete  modalita'  attuative  del
patto di stabilita' e del concorso alla manovra di finanza pubblica». 
    Inoltre, la  sentenza  n.  3/2013  (punto  7.3  del  diritto)  ha
annullato una norma legislativa di questa regione, per violazione del
principio di leale collaborazione,  in  quanto  contrastava  con  una
norma della legge n. 220/2010, adottata in recezione  del  Protocollo
d'intesa firmato a Roma il 29 ottobre 2010. E'  poi  da  sottolineare
che, mentre l'art. 1, comma 155, legge n. 220/2010  considerava  come
punto di partenza per il patto di stabilita'  le  «spese  considerate
nell'accordo per l'esercizio precedente», il comma 454 fa riferimento
al  «complesso  delle  spese  finali   in   termini   di   competenza
eurocompatibile risultante dal consuntivo  2011»,  cioe'  alle  spese
effettivamente sostenute anziche' a quelle  sostenibili  nei  termini
dell'accordo. Il tetto di competenza eurocompatibile per il  2013  e'
pertanto piu'  basso  di  quasi  600  milioni  di  euro  rispetto  al
previgente   tetto   di   cassa   2013,   il   tutto    anteriormente
all'applicazione delle manovre statali previste per gli anni  2013  e
seguenti: il che rende  il  limite  reale  ancora  inferiore,  ed  in
termini assai rilevanti. 
    Infatti,  per  un  effetto  cumulato  delle   manovre   e   della
ridefinizione della  base  di  partenza,  la  regione  Friuli-Venezia
Giulia si trovera' a dover osservare  nell'anno  2013  un  limite  ai
propri impegni di spesa di 1,4 miliardi inferiore rispetto  al  tetto
2011, con un'incidenza percentuale del 23,55%. 
    L'entita' della riduzione comporta il gravissimo rischio, per non
dire  la  certezza,  che  sia  compromesso  l'esercizio  di  funzioni
fondamentali esercitate dalla regione e  risulti  -  secondo  calcoli
oggettivi effettuati dai competenti uffici regionali -  insostenibile
qualora  rapportato   alle   grandezze   rappresentate   dai   dovuti
trasferimenti al sistema sanitario, alle  autonomie  locali  ed  alle
spese obbligatorie cui far fronte. Tale  distorsione  e'  determinata
dalla utilizzazione quale base di partenza delle risultanze finali di
un esercizio finanziario, scelto in base a criteri non esplicitati  e
senza tenere in considerazione alcuna  le  peculiarita'  che  possono
aver segnato  l'andamento  della  spesa  e  non  averne  permesso  il
perfezionamento,  talora  anche  per  importi  rilevanti   e   magari
dipendenti dalla stessa  dinamica  dei  trasferimenti  statali.  Cio'
conduce alla grottesca conclusione  che  l'essersi  mantenuti  al  di
sotto dei  tetti  di  spesa  per  l'anno  2011  abbia  indotto  delle
conseguenti ben piu' serie di  quelle  che  avrebbe  comportato,  nel
medesimo esercizio, l'inosservanza del patto per sforamento dei tetti
in  questione.  Le  spese  effettivamente   sostenute   sono   spesso
condizionate da eventi specificamente  ascrivibili  all'esercizio  di
riferimento, che non e' congruo possano condizionare l'accordo  degli
esercizi successivi. 
    Il comma 454 e' dunque irragionevole (con violazione dell'art.  3
Cost.) e viola altresi' l'autonomia finanziaria  regionale  (art.  48
ss. statuto, e art. 119 Cost.) ed il principio di corrispondenza  tra
funzioni regionali e risorse (art. 119, comma 4, Cost.). 
    Un ulteriore aspetto di irragionevolezza insito nell'aprioristica
applicazione delle risultanze di un esercizio quale base di  partenza
per l'obiettivo del patto di stabilita' e'  rappresentato  dal  fatto
che la minore spesa puo' essere  stata  determinata,  anche  solo  in
parte, dalla decisione  di  avvalersi  di  una  specifica  previsione
statale (precisamente l'art. 1, comma 138, legge n. 220/2010, secondo
il quale «a decorrere dall'anno 2011, le regioni, escluse la  regione
Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento  e  di  Bolzano,
possono  autorizzare  gli  enti  locali  del  proprio  territorio   a
peggiorare il loro saldo  programmatico  attraverso  un  aumento  dei
pagamenti in conto capitale e contestualmente e per lo stesso importo
procedono a  rideterminare  il  proprio  obiettivo  programmatico  in
termini di cassa o di competenza»),  che  consente  alle  regioni  di
abbassare volontariamente i propri obiettivi di  spesa,  al  fine  di
cedere spazi finanziari agli enti locali del proprio territorio,  per
un  importo  definito  annualmente  e   con   esclusivo   riferimento
all'esercizio in corso. 
    Quindi   una   riduzione   della   spesa,   autonomamente   -   e
provvisoriamente - determinata da una regione per sopperire  a  gravi
esigenze di spesa dei propri enti  locali,  viene  fatta  propria  ed
incamerata dallo Stato senza alcuna disamina della ratio  sottostante
e delle conseguenze. 
    Ancora, le norme  sono  affette  da  irragionevolezza  in  quanto
internamente contraddittorie, perche' da un lato prevedono un accordo
e, dall'altro, lo vanificano tramite una definizione aprioristica del
suo contenuto. I commi 454 e 456 contraddicono anche il comma 458, in
base al quale «l'attuazione dei commi 454,  455  e  457  avviene  nel
rispetto degli statuti delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle
province autonome di Trento e di Bolzano e delle  relative  norme  di
attuazione». La regione e' legittimata a far valere il  principio  di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) perche' le norme impugnate rientrano in
materia regionale (coordinamento della finanza pubblica)  e  incidono
sull'autonomia finanziaria della regione. 
    Il comma 456, in particolare, ha  per  effetto  la  vanificazione
della  previsione  di  un'intesa  di  natura  forte  con  lo   Stato,
prevedendo  che  al  «mancato  accordo»   segua   la   determinazione
unilaterale (predefinita dalla  legge)  degli  obiettivi  finanziari.
Cio' implica violazione del principio di leale collaborazione, che si
declina nell'art. 1, comma 155, legge n. 220/2010 e nelle  norme  che
richiedono il consenso della regione per la disciplina  dei  rapporti
finanziari  con  lo  Stato  (articoli  63,  comma  5,  e  65  statuto
speciale). 
    Il legislatore statale non puo' prevedere che la possibilita'  di
una decisione unilaterale scatti semplicemente «in  caso  di  mancato
accordo», dato che  cio'  «vanifica  la  previsione  dell'intesa,  in
quanto  attribuisce  ad  una  delle  parti  "un   ruolo   preminente,
incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata  [...]  dalla
paritaria codeterminazione  dell'atto"  (sentenza  n.  121/2010);  e'
invece  necessario,  come  messo   in   luce   dalla   giurisprudenza
costituzionale, che  il  legislatore  preveda  meccanismi  paritetici
volti a superare il dissenso (sentenza n. 383/2005). 
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 457. 
    Il comma 457 stabilisce che «le regioni a statuto speciale  e  le
province autonome di Trento  e  di  Bolzano  che  esercitano  in  via
esclusiva le funzioni in materia di finanza locale  definiscono,  per
gli enti locali dei rispettivi territori, nell'ambito  degli  accordi
di cui ai commi 454 e  455,  le  modalita'  attuative  del  patto  di
stabilita' interno mediante l'esercizio delle competenze alle  stesse
attribuite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme
di  attuazione  e   fermo   restando   l'obiettivo   complessivamente
determinato in applicazione dell'art.  31  della  legge  12  novembre
2011, n. 183». Inoltre, il comma 457 dispone che, «in caso di mancato
accordo, si applicano, per gli enti locali di cui al presente  comma,
le disposizioni previste in materia di patto  di  stabilita'  interno
per gli enti locali del restante territorio nazionale». 
    Anche tale disposizione risulta  illegittima,  come  puo'  essere
evidenziato sotto tre profili. 
    In primo luogo, essa prevede che la regione definisca il patto di
stabilita' per gli enti locali «nell'ambito degli accordi di  cui  ai
commi 454 e 455», il che non e' conforme allo statuto (articoli 4, n.
1-bis, 51 e 54) e all'art. 9,  decreto  legislativo  n.  9/1997,  che
attribuiscono competenza alla regione in materia di  finanza  locale.
Inoltre e' violato l'art. 1, commi 154 e 155, legge n. 220/2010 (che,
come visto supra,  e'  fonte  «rinforzata»)  che  attribuiscono  alla
regione poteri di coordinamento finanziario  sugli  enti  locali;  in
particolare, il comma 155 dispone che, «in merito agli obiettivi  sui
saldi di finanza  pubblica,  spetta  alla  regione  individuare,  con
riferimento  agli  enti  locali  costituenti  il  sistema   regionale
integrato, gli obiettivi per ciascun ente e le  modalita'  necessarie
al raggiungimento degli  obiettivi  complessivi  di  volta  in  volta
concordati con lo Stato per il periodo di  riferimento,  compreso  il
sistema sanzionatorio». Sono tali disposizioni - e non  gli  «accordi
di cui ai commi 454 e 455 - a definire il quadro entro  il  quale  la
regione definisce il  patto  di  stabilita'  per  i  rispettivi  enti
locali». 
    Inoltre,  l'illegittimita'  del  comma  454  (il  comma  455  non
riguarda la ricorrente regione) si  riverbera  in  via  derivata  sul
comma 457. 
    Inoltre, il comma  457  assoggetta  anche  gli  enti  locali  del
territorio della regione allo «obiettivo complessivamente determinato
in applicazione dell'art.  31»  per  gli  enti  locali  del  restante
territorio nazionale. 
    Ma cio' si pone in primo luogo in contrasto con  la  gia'  citata
clausola di salvaguardia di cui al comma 458: contrasto che - data la
puntualita' della disposizione impugnata - non  sembra  possa  essere
superato in via di interpretazione del comma 457. 
    Inoltre cio' si pone in contrasto con i succitati commi 154 e 155
dell'art. 1, legge n. 220/2010, che attribuiscono alla regione poteri
di coordinamento finanziario sugli enti locali, in  attuazione  della
competenza regionale in materia di finanza  locale  (articoli  4,  n.
1-bis, 51 e 54 statuto, e art. 9, decreto legislativo n. 9/1997).  Il
comma 155, oltre a stabilire che, «in merito agli obiettivi sui saldi
di finanza pubblica, spetta alla regione individuare, con riferimento
agli enti locali costituenti  il  sistema  regionale  integrato,  gli
obiettivi  per  ciascun   ente   e   le   modalita'   necessarie   al
raggiungimento  degli  obiettivi  complessivi  di  volta   in   volta
concordati con lo Stato per il periodo di riferimento», dispone  che,
salvo il caso di inerzia regionale, «le disposizioni statali relative
al  patto  di  stabilita'  interno  non  trovano   applicazione   con
riferimento  agli  enti  locali  costituenti  il  sistema   regionale
integrato». 
    Infine, il comma 457 e' illegittimo  anche  la'  dove  regola  la
fattispecie del mancato accordo, stabilendo che in  caso  di  mancato
accordo si applichino le regole stabilite per  gli  enti  locali  del
restante territorio  nazionale.  Valgono  le  medesime  ragioni  gia'
illustrate a proposito dell'analoga norma contenuta  nel  comma  456,
che sia consentito qui di richiamare. Ancora, la diretta applicazione
agli  enti  locali   di   norme   statali   contraddice   l'esclusiva
responsabilita' della regione per il coordinamento finanziario  degli
enti locali (articoli 4, n. 1-bis, 51 e 54 statuto, art.  9,  decreto
legislativo n. 9/1997 e art. 1, commi 154 e 155, legge n. 220/2010). 
9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 459. 
    Il comma 459 dispone che «le regioni  a  statuto  speciale  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano concorrono  al  riequilibrio
della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai  commi  454,
455 e 457, anche con misure finalizzate a produrre un  risparmio  per
il bilancio dello  Stato,  mediante  l'assunzione  dell'esercizio  di
funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite
dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria;
tali norme di attuazione  precisano  le  modalita'  e  l'entita'  dei
risparmi per il bilancio dello Stato da ottenere in modo permanente o
comunque per annualita' definite». 
    Tale disposizione viola l'autonomia finanziaria  regionale  (art.
48 ss. statuto), e in particolare il principio di corrispondenza  tra
funzioni e risorse (art. 119,  comma  4  Cost.),  in  quanto  prevede
l'assunzione -  da  parte  regionale  -  dell'esercizio  di  funzioni
statali senza un corrispondente trasferimento di risorse. 
    Il comma 459 viola anche l'art. 65 statuto, perche'  pretende  di
vincolare,  in  parte,  il  contenuto  delle  norme   di   attuazione
statutaria.