Ricorso  della  Provincia  autonoma  di   Trento   (cod.   fisc.
00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro
tempore, previa deliberazione della  Giunta  provinciale  8  febbraio
2013,  n.  220  (doc.  1),  e  delibera  di  ratifica  del  Consiglio
provinciale 19 febbraio 2013, n. 3 (doc. 2), rappresentata e  difesa,
come da procura speciale n. rep. 27853 del 26 febbraio 2013 (doc. 3),
rogata  dal  dott.  Tommaso  Sussarellu,  Ufficiale   rogante   della
Provincia,  dall'avv.   prof.   Giandomenico   Falcon   (cod.   fisc.
FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.
PDRNCL56R01G428C) dell'Avvocatura  della  Provincia  di  Trento,  con
domicilio   eletto   presso   l'avv.   Luigi   Manzi   (cod.    fisc.
MNZLGU34E15H501Y) di Roma in via Confalonieri, n.5, Roma; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma
25, lett. b), n. 4, e comma 28; comma 118; comma 132; se ed in quanto
riferibili alle Province autonome, commi 138;  141;  142;  143;  146;
380, in particolare lett. b), f), h) e i); 448; 455; 456;  457;  459;
da 461 a 465 della legge 24 dicembre 2012, n. 228,  Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2013), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  302  del
29 dicembre 2012 suppl. ord. n. 212/L; 
    Per violazione: 
        degli articoli 75, 79, 103, 104 e 107 del  d.P.R.  31  agosto
1972, n. 670 (Statuto speciale); 
        del titolo VI dello Statuto speciale,  in  particolare  degli
articoli 79, 80 e 81; 
        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in particolare
degli articoli 9, 10, 10-bis, 17, 18 e 19, e del  d.P.R.  20  gennaio
1973, n. 115; 
        dell'articolo 9, n. 10)  e  dell'articolo  16  dello  Statuto
speciale nonche' delle relative  norme  di  attuazione  (decreto  del
Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474); 
        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare
dell'articolo 2), e dell'articolo 8 del d.P.R. 19 novembre  1987,  n.
526; 
        degli articoli 117, 118, 119  e  120  della  Costituzione  in
combinato disposto con l'articolo 10 della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3; 
        del principio di leale collaborazione, 
nei modi e peri profili di seguito illustrati. 
 
                           Fatto e diritto 
 
Premessa. 
    Il presente ricorso si riferisce  ad  alcune  disposizioni  della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2013). 
    Tale  legge,  conformemente  alla  sua   natura,   ha   contenuto
eterogeneo,  e  contenuto   eterogeneo   hanno   anche   le   diverse
disposizioni qui impugnate. 
    E'  risultato  percio'  preferibile  evitare  una   illustrazione
generale in fatto,  e  trattare  invece  direttamente  delle  singole
disposizioni impugnate, esponendo in relazione a ciascuna di esse sia
il contenuto che le censure e gli argomenti in diritto. 
    Alcune delle disposizioni qui impugnate sono certamente destinate
ad applicarsi alla ricorrente Provincia, in quanto esse espressamente
includono le Province autonome di Trento e di Bolzano  tra  i  propri
destinatari. 
    In  altri  casi  l'intenzione  del  legislatore  di  riferire  le
discipline contestate alla ricorrente Provincia non e' certa, ed anzi
e' possibile intenderle nel senso che esse non si applichino ad essa.
Infatti, la legge n. 228/2012 contiene  all'art.  l,  comma  554  una
clausola di  salvaguardia  cosi  formulata:  "le  regioni  a  statuto
speciale e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  attuano  le
disposizioni di cui alla presente legge  nelle  forme  stabilite  dai
rispettivi  statuti  di  autonomia  e   dalle   relative   norme   di
attuazione". 
    La ricorrente Provincia ritiene che tale  clausola  debba  essere
intesa nel senso di un generale rinvio al meccanismo delle  norme  di
attuazione  -  quale  meccanismo  generale  previsto  dagli   Statuti
speciali - e ad eventuali  meccanismi  differenziati  previsti  dalle
stesse norme di attuazione per specifici ambiti. 
    Tuttavia, ne' la particolare  formulazione  della  clausola  (con
l'assegnazione alle stesse Regioni speciali e province autonome di un
compito attuativo),  ne'  il  contenuto  delle  singole  disposizioni
impugnate consentono di escludere che esse intendano applicarsi - sia
pure indirettamente - anche in provincia di Trento.  Cio'  giustifica
la loro contestazione con il presente ricorso;  qualora,  invece,  si
dovesse condividere che il comma 554 escluda  l'applicabilita'  delle
norme impugnate in provincia di Trento, senza  porre  per  il  futuro
vincoli di contenuto alle  norme  di  attuazione  dello  statuto,  le
ragioni di  doglianza  verrebbero  meno,  in  relazione  a  tutte  le
disposizioni che non si  riferiscono  espressamente  alla  ricorrente
Provincia. 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 25, lett. b),  n.
4 e comma 28. 
    L'art. 1, comma 25, lett. b), n. 4 modifica l'art. 37, comma  10,
d.l. n. 98/2011. 
    La modifica  consiste  nell'aggiunta,  alla  fine,  del  seguente
periodo:  «Il  maggior  gettito  derivante  dall'applicazione   delle
disposizioni di cui al comma 6, lettera s),  e'  versato  all'entrata
del  bilancio  dello  Stato  per  essere  riassegnato  al  pertinente
capitolo dello stato di  previsione  del  Ministero  dell'economia  e
delle  finanze,  alimentato  con  le  modalita'  di  cui  al  periodo
precedente, per la realizzazione di interventi urgenti in materia  di
giustizia amministrativa». 
    L'art. 37, comma 6, lett. s) ridetermina il contributo  unificato
per i giudizi amministrativi. 
    A sua volta, l'art.  1,  comma  28  stabilisce  che  "il  maggior
gettito derivante dall'applicazione dei commi 25, lettera a), e 27 e'
versato all'entrata del bilancio dello Stato per  essere  riassegnato
al capitolo di cui all'articolo 37, comma 10,  secondo  periodo,  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98,...  introdotto  dal  comma  25,
lettera b), numero 4), del presente articolo". 
    Il maggior gettito di cui al comma 25, lett. a), e' sempre quello
derivante  dall'aumento  del  contributo  unificato  per  i   giudizi
amministrativi, perche' tale disposizione modifica l'art.  37,  comma
6, lett. s) d.l. 98/2011. 
    Il comma 27 dispone che "il contributo di  cui  all'articolo  13,
comma 6-bis, del testo unico di cui al decreto del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,  come  da  ultimo  modificato  dal
comma 25, lettera a), del presente articolo, e' aumentato della meta'
per i giudizi di impugnazione": anche l'art. 13, comma 6-bis,  d.P.R.
115/2002 riguarda "il contributo unificato  per  i  ricorsi  proposti
davanti ai Tribunali  amministrativi  regionali  e  al  Consiglio  di
Stato". 
    Dunque, entrambe le norme impugnate riservano al bilancio statale
il maggior gettito derivante dall'aumento  del  contributo  unificato
per i giudizi amministrativi, con lo scopo di effettuare  "interventi
urgenti in materia di giustizia amministrativa". Ed entrambe  violano
l'art. 75 dello Statuto. 
    Infatti, l'art. 75  dello  Statuto  speciale  dispone  che  "sono
attribuite  alle  province  le  seguenti  quote  del  gettito   delle
sottoindicate entrate tributarie dello Stato, percette nei rispettivi
territori provinciali:... g) i nove decimi di tutte le altre  entrate
tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,  comunque   denominate,
inclusa l'imposta locale sui  redditi,  ad  eccezione  di  quelle  di
spettanza regionale o di altri enti pubblici". 
    La natura "erariale" del contributo unificato e' pacifica: v.  la
sent. di codesta Corte 73/2005, punto 3 del Diritto. 
    Dunque, il maggior gettito del contributo unificato  -  riservato
allo Stato dalle norme  impugnate  -  rientra  evidentemente  tra  le
"entrate  tributarie  erariali,   dirette   o   indirette,   comunque
denominate", di cui all'art. 75, comma l, lett.  g),  St.  In  questi
termini, i nove decimi  di  esso  spettano  alla  Provincia.  Percio'
l'art. 1, comma 25, lett. b), n. 4 e comma 28 sono costituzionalmente
illegittimi. 
    La fondatezza della censura sopra  esposta  non  potrebbe  essere
contestata facendo valere la clausola di possibile riserva all'erario
statale prevista dalle norme di attuazione di cui al d.lgs. 268/1992. 
    Per quanto qui rileva, infatti, l'art. 9 di tale decreto  dispone
che  "il  gettito  derivante   da   maggiorazioni   di   aliquote   o
dall'istituzione di  nuovi  tributi,  se  destinato  per  legge,  per
finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma
1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai  sensi  dell'art.
81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di  carattere  non
continuativo che non rientrano  nelle  materie  di  competenza  della
regione o delle province, ivi comprese quelle  relative  a  calamita'
naturali, e' riservato  allo  Stato,  purche'  risulti  temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi  quantificabile";  si  aggiunge  poi  che  "fuori  dei  casi
contemplati nel presente articolo si applica  quanto  disposto  dagli
articoli 10 e 10-bis". 
    Per una piu' completa comprensione di  questa  clausola  conviene
ricordare che l'art. 10 regolava la "quota variabile" di cui all'art.
78 dello Statuto, quota che e' stata  soppressa  dall'art.  1,  comma
107, della legge n. 191 del 2009 (comma emanato  ai  sensi  dell'art.
104 dello Statuto di autonomia),  come  parte  del  contributo  delle
Province autonome al conseguimento degli obbiettivi di perequazione e
di stabilita'. In relazione ad essa il comma 6 dell'art. 10 stabiliva
che "una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito  tributario,
escludendo  comunque   gli   incrementi   derivanti   dall'evoluzione
tendenziale, spettante  alle  province  autonome  e  derivante  dalle
manovre  correttive  di  finanza  pubblica   previste   dalla   legge
finanziaria e dai relativi  provvedimenti  collegati,  nonche'  dagli
altri provvedimenti legislativi aventi le medesime  finalita'  e  non
considerati  ai  fini  della  determinazione  dell'accordo   relativo
all'esercizio finanziario precedente, da  valutarsi  al  netto  delle
eventuali   previsioni   di   riduzione   di   gettito    conseguenti
all'applicazione  di   norme   connesse,   puo'   essere   destinata,
limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al  raggiungimento
degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica  previsti  dai
precedenti provvedimenti". 
    A sua volta, l'art. 10-bis dispone che "entro la data di  cui  al
comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo  e
il presidente della giunta regionale che individua: a)  la  quota  da
destinare al bilancio dello Stato del gettito tributario derivante da
maggiorazioni di aliquote di  tributi  o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi, se destinato per legge alla copertura, ai sensi dell'art. 81
della Costituzione,  delle  spese  di  cui  all'art.  9,  qualora  il
predetto  gettito  non  risulti  distintamente   contabilizzato   nel
bilancio dello Stato, ovvero temporalmente delimitato; b) l'eventuale
quota delle spese derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali
delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione
medesima, in relazione alle disposizioni di cui al comma 6  dell'art.
10, da determinarsi nei limiti del previsto  incremento  del  gettito
tributario derivante dalle manovre correttive  di  finanza  pubblica,
nonche' tenuto conto della quota di cui alla lettera a)". 
    In altre parole,  sin  da  prima  della  modifica  dello  Statuto
concordata nel 2009 tra lo Stato e la Regione e le Province  autonome
(e  tradotta  -  a  termini  dell'art.  104  dello  Statuto  -  nelle
pertinenti disposizioni della legge n. 191 del 2009), solo attraverso
lo strumento  dell'accordo  possono  essere  riservate  risorse  allo
Stato, secondo le disposizioni degli artt. 10 e 10-bis  dello  stesso
d.lgs. n. 268/1992 , al di fuori  dei  rigorosi  presupposti  per  la
riserva all'erario di cui all'art. 9 del d.lgs. 268/1992. 
    Ad avviso della ricorrente Provincia  risulta  evidente  che,  in
relazione al contributo unificato, non sussistono i  requisiti  posti
dall'art. 9 d.lgs. 268/1992 per la riserva  all'erario  del  "gettito
derivante da maggiorazioni di aliquote o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi". 
    Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di  codesta
Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede,  per  la
legittimita'  della  riserva  statale,  che:  a)  detta  riserva  sia
giustificata da «finalita' diverse  da  quelle  di  cui  al  comma  6
dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso
d.lgs. n. 268 del 1992,  e  cioe'  da  finalita'  diverse  tanto  dal
«raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio   della   finanza
pubblica» (art.  10,  comma  6)  quanto  dalla  copertura  di  «spese
derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali   delegate   alla
regione» (art. 10-bis,  comma  1,  lettera  b);  b)  il  gettito  sia
destinato per legge «alla copertura,  ai  sensi  dell'art.  81  della
Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle
province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»;  e)  il
gettito  sia  «temporalmente   delimitato,   nonche'   contabilizzato
distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»". 
    Ora, l'art. 1, comma 25, lett. b), n. 4 e comma 28 non  prevedono
una limitazione temporale ne' del maggior gettito ne'  della  riserva
di esso al bilancio statale e, inoltre,  non  prevedono  la  separata
contabilizzazione, per cui non consentono di  quantificare  l'entita'
della riserva. Inoltre, le spese cui e' destinato il maggior  gettito
sono specifiche ma non risulta il loro carattere "non  continuativo":
non e' assicurato, infatti, che gli "interventi urgenti in materia di
giustizia amministrativa" siano temporanei. 
    Pare chiara, dunque, l'illegittimita' delle norme impugnate,  per
violazione dell'art. 75, lett. g), dello  Statuto  speciale  e  degli
arti. 9, 10 e 10-bis d.lgs. 268/1992. 
    Si puo'  qui  ricordare  che  la  sent.  142/2012  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 21, d.l. 98/2011,
"nella parte in cui dispone che sia integralmente versato al bilancio
dello  Stato  il  gettito  dell'addizionale  erariale   sulla   tassa
automobilistica provinciale percetto nei rispettivi  territori  delle
Province autonome di Trento e di Bolzano e non attribuisce a ciascuna
di tali Province autonome i nove decimi di detto gettito". 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 118. 
    Il comma 118 modifica l'art. 16, comma 3, quarto periodo del d.l.
95/2012. 
    L'art. 16,  comma  3,  stabilisce  ora  che,  "con  le  procedure
previste dall'articolo 27 della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,  le
Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano
assicurano  un  concorso  alla   finanza   pubblica   per   l'importo
complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni  di
euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e  1.575
milioni di euro a decorrere dall'anno 2015" (primo periodo). Inoltre,
si prevede che fino "all'emanazione delle norme di attuazione di  cui
al predetto articolo 27, l'importo del concorso complessivo di cui al
primo periodo del presente comma e' annualmente accantonato, a valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, sulla  base  di
apposito accordo sancito tra le medesime autonomie speciali  in  sede
di Conferenza" Stato-Regioni "e recepito con  decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio  di  ciascun  anno"
(secondo periodo, modificato dall'art. 1, comma 469, legge 228/2012);
ma in caso di mancato accordo, "l'accantonamento e'  effettuato,  con
decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da emanare  entro
il 15 febbraio di ciascun anno, in proporzione alle  spese  sostenute
per consumi intermedi desunte, per l'anno  2011,  dal  SIOPE"  (terzo
periodo, modificato dall'art. 1, comma 469, legge 228/2012). 
    Ancora, si prevede inoltre che fino "all'emanazione  delle  norme
di attuazione..., gli obiettivi del patto di stabilita' interno delle
predette autonomie speciali sono rideterminati  tenendo  conto  degli
importi incrementati di 500 milioni di  euro  annui  derivanti  dalle
predette procedure" (quarto periodo,  come  modificato  dall'art.  1,
comma 118, legge n. 228/2012). 
    Dunque, la norma impugnata  aumenta  di  500  milioni  annui  gli
obiettivi del patto di stabilita' interno delle Regioni  speciali  e,
in sostanza, anche la misura del concorso delle stesse  Regioni  alla
finanza pubblica, previsto dal primo periodo dell'art. 16, comma 3. 
    Questa Provincia ha gia'  impugnato  l'art.  16,  comma  3,  d.l.
95/2012 con il ricorso n. 156/2012.  Per  l'art.  1,  comma  118,  si
possono dunque richiamare le argomentazioni svolte in quella sede: 
    "Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore rilevante  sottrazione
di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a  quelle  previsti
dall'art. 14 d.l. 78/2010,  dall'art.  20,  comma  5,  d.l.  98/2011,
dall'art. 1, comma 8, d.l. 138/2011 (come  sintetizzati  e  ripartiti
dal comma 10 dell'art. 32 della legge n. 183 del  2011)  e  dall'art.
28, comma 3, d.l. 201/2011. Come le precedenti, essa e'  disposta  su
base  meramente  potestativa,  come  se  le  norme   statutarie   che
definiscono  la  finanza  della  Provincia  autonoma  di  Trento  non
avessero alcun valore, o fossero liberamente disponibili da parte del
legislatore statale. 
    Infatti, la sottrazione di risorse qui contestata non  ha  alcuna
base statutaria. Al  contrario,  le  disposizioni  dello  Statuto,  a
partire dal fondamentale art. 75, sono  rivolte  ad  assicurare  alla
Provincia le finanze necessarie all'esercizio delle funzioni:  ed  e'
chiaro che la devoluzione statutaria di  importanti  percentuali  dei
tributi riscossi nella provincia non  avrebbe  alcun  senso,  se  poi
fosse consentito  alla  legge  ordinaria  dello  Stato  di  riportare
all'erario tali risorse, per di piu' con determinazione unilaterale e
meramente potestativa. 
    Per di piu', come gia' ricordato,  l'art.  79  dello  Statuto  di
autonomia disciplina ormai in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le
regole secondo le  quali  le  Province  assolvono  gli  "obblighi  di
carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario,  dal  patto
di stabilita' interno e dalle altre  misure  di  coordinamento  della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" (comma  1):  e  -
come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa - tali regole  "possono
essere  modificate   esclusivamente   con   la   procedura   prevista
dall'articolo 104", mentre "fino alla  loro  eventuale  modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma 1" (comma 2). Ed il comma 4 ribadisce che  "le  disposizioni
statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e  di
solidarieta'... non trovano applicazione con riferimento alla regione
e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal
presente articolo". 
    Con le disposizioni statutarie sopra ricordate  l'impugnato  art.
16, comma 3, si pone in insanabile conflitto.  Le  risorse  spettanti
alla Provincia non possono  essere  semplicemente  "acquisite"  dallo
Stato, mentre la  Provincia  stessa  concorre  al  risanamento  della
finanza pubblica  nei  modi  direttamente  previsti  dall'art.  79  o
comunque in quelli regolati dall'art. 79 (v. il comma 3).  Si  tratta
di un regime speciale, che non puo' essere  alterato  unilateralmente
dal legislatore ordinario. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto  nella  giurisprudenza  costituzionale:  v.  le   sentt.
82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. 
    Non puo' ingannare, in questo come negli altri  casi,  il  rinvio
alle  norme  di   attuazione   dello   Statuto.   In   primo   luogo,
l'accantonamento previsto in attesa delle norme di attuazione e' gia'
autonomamente lesivo, traducendosi in diretta violazione dell'art. 75
St. e in una sottrazione delle risorse disponibili per la  Provincia,
al di fuori  delle  regole  di  coordinamento  finanziario  stabilite
dall'art. 79 (v. anche argomenti esposti sopra). La  riduzione  delle
risorse e' operata direttamente  e  unilateralmente  dal  legislatore
statale, in contrasto con lo Statuto e con il  principio  consensuale
che domina i  rapporti  tra  Stato  e  Regioni  speciali  in  materia
finanziaria (v. le semi. sopra citate). 
    In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione,  l'art.
79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art.  104  St.  e
non in sede di attuazione.  In  terzo  luogo,  l'art.  16,  comma  3,
determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme  di
attuazione,  per  cui  il  rinvio  alla  fonte  "concertata"   appare
fittizio. 
    In definitiva, come detto, l'art. 16, comma 3,  viola  l'art.  79
St., comma 1, 2, e 4,  primo  periodo,  perche'  i  modi  in  cui  la
Provincia concorre  al  raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso  art.  79  o  vanno
concordati tra Stato e Provincia, sempre in base all'art. 79. 
    Corrispondentemente, e'  violato  l'art.  104,  che  richiede  il
consenso della Provincia per la modifica delle norme  del  Titolo  VI
dello Statuto. 
    Inoltre, e' violato l'art. 107 St., perche'  una  fonte  primaria
pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione. 
    Ancora,  l'art.  16,  comma  3,  viola  l'art.  75  St.,  perche'
diminuisce  l'importo  spettante   alla   Provincia   a   titolo   di
compartecipazioni, in base alla suddetta norma statutaria. 
    E', poi, ulteriormente  e  specificamente  illegittimo  e  lesivo
l'art. 16,  comma  3,  la'  dove  prevede  il  criterio  del  riparto
dell'accantonamento ("in proporzione alle spese sostenute per consumi
intermedi desunte,  per  l'anno  2011,  dal  SlOPE").  Infatti,  tale
criterio non risulta in alcun  modo  pariteticamente  concordato  tra
Stato e Regioni speciali, in contrasto con il  principio  consensuale
di cui sopra, oggi stabilito espressamente nello Statuto speciale per
la determinazione del patto di stabilita' (e comunque sempre  seguito
nelle precedenti leggi finanziarie dello Stato). 
    Da ultimo, e ferme restando le censure fino ad  ora  esposte,  la
disposizione di cui al comma 3 e' autonomamente altresi'  illegittima
nella parte in cui dispone un concorso  che  "a  decorrere  dall'anno
2015" si protrae a tempo indeterminato. 
    In effetti, anche nei casi in cui - peraltro  sul  fondamento  di
basi giuridiche che non  possono  essere  applicate  alla  ricorrente
Provincia - codesta Corte costituzionale ha ammesso  la  legittimita'
di speciali contribuzioni verso lo Stato, e' pur sempre rimasto fermo
che  tali  contribuzioni  si  correlano  a  situazioni  temporalmente
definite, e non possono divenire il regime  permanente  dei  rapporti
finanziari (v. in particolare  sent.  193/2012).  Di  qui  la  palese
illegittimita' anche in relazione a questo specifico profilo". Per le
stesse ragioni e' illegittimo l'art. 1, comma 118. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 132. 
    Premesso che l'art. 1, comma 131, della legge  228/2012  modifica
le misure in materia sanitaria gia' previste dall'art. 15, comma  13,
d.l. 95/2012, determinando "una riduzione della spesa per acquisto di
beni e servizi", il comma 132  stabilisce  che,  "in  funzione  delle
disposizioni recate dal comma 131 e dal presente  comma,  il  livello
del fabbisogno del  Servizio  sanitario  nazionale  e  del  correlato
finanziamento, come rideterminato dall'articolo  15,  comma  22,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,...e' ridotto di  600  milioni  di
euro per l'anno 2013 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dall'anno
2014". Stabilisce altresi' che le regioni a  statuto  speciale  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano, ad esclusione della Regione
siciliana, "assicurano il concorso di cui al presente comma  mediante
le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009,  n.
42" e che, inoltre,fino "all'emanazione delle norme di attuazione  di
cui al citato articolo 27 della legge n. 42 del 2009,  l'importo  del
concorso alla  manovra  di  cui  al  presente  comma  e'  annualmente
accantonato, a valere sulle quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali" 
    Dunque, il comma 132 regola il concorso  delle  Regioni  speciali
alla riduzione del livello  del  fabbisogno  del  Servizio  sanitario
nazionale e del correlato finanziamento. L'art. 15,  comma  22,  d.l.
95/2012 gia' aveva ridotto il livello del fabbisogno del SSN e  aveva
regolato il  concorso  delle  Regioni  speciali  con  una  disciplina
(contenuta negli ultimi due periodi del comma 22), uguale a quella di
cui all'art.  1,  comma  132,  legge  228/2012,  che  gia'  e'  stata
impugnata dalla ricorrente Provincia con il ricorso 156/2012. 
    Data l'identita' della disposizione, anche  la  nuova  disciplina
risulta illegittima per le medesime ragioni svolte  nel  gia'  citato
ricorso 156/2012, che si  possono  qui  richiamare.  Vanno  premesse,
pero', alcune considerazioni generali. 
    Lo Statuto speciale  del  Trentino-Alto  Adige  attribuisce  alle
Province autonome potesta'  legislativa  concorrente  in  materia  di
igiene e sanita', ivi compresa l'assistenza sanitaria ed ospedaliera,
e la corrispondente potesta' amministrativa (art. 9, n. 10),  e  art.
16) St.). Tali norme statutarie sono state attuate ed  integrate  con
il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di  attuazione  dello  statuto
per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanita')  e
con il d.P.R. 26 gennaio 1980, n.  197  (Norme  di  attuazione  dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti  integrazioni
alle norme di attuazione in materia di igiene e sanita' approvate con
d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474). 
    La competenza della Provincia di Trento in materia di sanita'  si
e' ampliata a seguito della riforma del Titolo V, in quanto  ad  essa
si estende la competenza di cui all'art. 117, comma  3,  Cost.,  che,
secondo codesta Corte, e' "assai piu' ampia" di quella prevista dallo
Statuto (sentt. 240/2007, 162/2007 e 181/2006). 
    Tuttavia,  l'autonomia  della  Provincia  di  Trento   in   campo
sanitario ha ormai da quasi due decenni  una  caratteristica  che  la
differenzia radicalmente dalla condizione  delle  Regioni  ordinarie.
Infatti, in relazione all'assetto statutario delle  competenze  sopra
descritto e quale concorso delle Province  autonome  al  riequilibrio
della finanza pubblica nazionale, gia' l'articolo 34, comma 3,  della
legge 23 dicembre 1994, n. 724, ha disposto che le Province  autonome
di Trento e di  Bolzano  provvedono  al  finanziamento  del  Servizio
sanitario nazionale nei rispettivi territori, senza alcun  apporto  a
carico del bilancio  dello  Stato,  utilizzando  prioritariamente  le
entrate derivanti dai  contributi  sanitari  e  dalle  altre  imposte
sostitutive e, ad integrazione, le risorse dei propri bilanci. 
    Del resto, questa specifica disposizione in tema di finanziamento
del servizio sanitario e' parte del piu' ampio sistema dell'autonomia
finanziaria provinciale. 
    Il quadro statutario in materia finanziaria si caratterizza,  tra
l'altro, per la previsione  espressa  di  una  disposizione  volta  a
disciplinare in modo completo i termini e le modalita'  del  concorso
della Regione  e  delle  Province  autonome  al  conseguimento  degli
obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' all'assolvimento
degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale (articolo 79, comma 1,  St.).  Tali  misure  "possono  essere
modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104
e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono  il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1". 
    L'art. 79, comma 3, stabilisce che, "al  fine  di  assicurare  il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da  conseguire  in  ciascun  periodo".  Fermi  restando  gli
obiettivi complessivi di  finanza  pubblica,  "spetta  alle  province
stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti
locali,  ai  propri  enti  e  organismi  strumentali,  alle   aziende
sanitarie...", e "non si applicano le misure adottate per le  regioni
e per gli altri enti nel restante territorio nazionale". Le  province
"vigilano sul raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da
parte degli enti di cui al presente comma ed esercitano sugli  stessi
il controllo successivo sulla gestione dando notizia degli esiti alla
competente sezione della Corte dei conti". Anche il comma 4 ribadisce
che "le disposizioni statali relative all'attuazione degli  obiettivi
di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso
sostituite da quanto previsto dal presente  articolo".  Tenuto  conto
della speciale autonomia finanziaria della Provincia, sia nel settore
sanitario che in generale,  lo  Stato  non  puo'  limitare  le  spese
provinciali in campo  sanitario.  Poiche',  come  sopra  esposto,  le
Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al  finanziamento
del Servizio sanitario  nazionale  nei  rispettivi  territori,  senza
alcun apporto a carico del bilancio dello Stato, ne  deriva  che  "lo
Stato, quando non concorre al finanziamento  della  spesa  sanitaria,
neppure ha titolo per dettare  norme  di  coordinamento  finanziario"
(sentenze n. 341 del 2009 e n. 133 del 2010). Inoltre, le limitazioni
sarebbero incongrue anche  se  commisurate  alla  generale  autonomia
finanziaria provinciale,  quale  definita  dalle  disposizioni  sopra
illustrate del Titolo VI dello Statuto. Da esse,  ed  in  particolare
dalla disciplina di cui all'art. 79 St. e dal principio dell'accordo,
che domina il regime dei rapporti finanziari tra  Stato  e  autonomie
speciali (Corte costituzionale, sentenze n. 82 del 2007, n.  353  del
2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e n. 133 del 2010), risulta  che
la Provincia non e' soggetta alle misure di coordinamento finanziario
relative alle Regioni ordinarie, ma a quelle stabilite a priori dallo
Statuto ed a quelle ulteriori concordate con lo Stato. 
    In  definitiva,  e'  illegittima  l'assimilazione  alle   Regioni
ordinarie della Provincia di Trento, che finanza con proprie  risorse
il SSN ed e' dotata di uno speciale regime per quel che  riguarda  il
concorso agli obiettivi  di  finanza  pubblica,  regime  che  prevede
espressamente, tra l'altro, il potere della Provincia di  "provvedere
alle  funzioni  di  coordinamento  con  riferimento...  alle  aziende
sanitarie" (art. 79, comma 3, statuto). 
    Premesso cio', valgono anche avverso l'art. 1, comma  132,  della
legge 228/2012 le seguenti argomentazioni, gia'  svolte  nel  ricorso
156/2012 contro l'art. 15, comma 22, d.l. 95/2012: 
        "Dunque,  nella  disciplina  cosi'  stabilita  le  norme   di
razionalizzazione della spesa contenute nell'art. 15 costituiscono la
premessa  di  un  minor  fabbisogno  e  di   un   minore   "correlato
finanziamento", cioe' di una minore dimensione  del  Fondo  sanitario
nazionale: che poi si traduce, ovviamente, in un minor  trasferimento
di risorse dallo Stato alle Regioni che partecipano di tale fondo. 
    Sin qui il meccanismo e' logico. 
    Non si puo' dire ugualmente della applicazione delle disposizioni
sopra descritte alle autonomie speciali nelle quali la sanita'  e'  a
carico della Regione stessa: come accade appunto per la Provincia  di
Trento. 
    In esse non esiste un  separato  finanziamento  per  il  servizio
sanitario, che e' invece finanziato  con  il  bilancio  generale.  La
Provincia, che finanzia in proprio  il  servizio,  rivendica  -  come
esposto ai punti precedenti - di non  essere  soggetta  alle  forzose
riduzioni dei livelli delle prestazioni sopra descritti. Ma ove  tali
riduzioni si verificassero - e con esse un minore livello di spesa  -
si tratterebbe  pur  sempre  di  una  minore  incidenza  della  spesa
sanitaria  sull'autonomo   bilancio   complessivo   della   Provincia
autonoma, come definito dalle entrate che lo Statuto  attribuisce  ad
essa e dalle spese necessarie o opportune. 
    Nel meccanismo ideato dalle  norme  qui  contestate,  invece,  la
violazione dell'autonomia  della  Provincia  nella  organizzazione  e
gestione del servizio sanitario, con la forzosa  riduzione  dei  suoi
livelli, si traduce addirittura  in  una  forzosa  acquisizione  allo
Stato delle risorse che  lo  statuto  di  autonomia  garantisce  alla
Provincia autonoma. Tale, e non altro, e' infatti il significato  del
passaggio di risorse  da  tali  autonomie  speciali  allo  Stato.  La
lesione si raddoppia: alla violazione dell'autonomia  nelle  funzioni
si somma l'illegittima sottrazione di risorse. 
    E' dunque costituzionalmente illegittimo - per diretta violazione
dell'art.  75  dello  statuto  -  il   principio   stesso   di   tale
acquisizione, infatti l'art. 75 St. attribuisce alle  Province  quote
del gettito di determinate entrate tributarie della Stato,  percepite
nei rispettivi territori provinciali, e poi "nove decimi di tutte  le
altre entrate tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,  comunque
denominate" (comma  1,  lett.  g),  affinche'  queste  vengano  spese
nell'esercizio  delle  funzioni  e  competenze  costituzionali  della
Provincia stessa, e non affinche' lo Stato ne possa  disporre  a  suo
piacimento.  In  pratica,  il  comma  22  determina   un   contributo
straordinario permanente, a carico della  Provincia,  al  risanamento
della finanza pubblica statale. 
    Inoltre, e' violato anche l'art. 79 St., in quanto si dispone  un
concorso della Provincia al risanamento della finanza statale, al  di
la' di quanto previsto dalla noi statutaria, che  definisce  in  modo
esaustivo gli strumenti con cui la Provincia conce agli obiettivi  di
finanza pubblica, come gia' esposto ai punti 1 e 2. 
    Ancora, le norme del comma 22 alterano unilateralmente  l'assetto
dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia di Trento, violando  il
principio dell'accordo domina tali rapporti (anche su cio' v. i punti
1 e 2) e gli artt. 103 e 104 dello Statuto che regolano la  procedura
di revisione dello Statuto e la particolare procedure modifica  delle
norme finanziarie di esso. 
    [...] 
    Il quomodo del concorso e' definito nei modi previsti dal  quarto
e quinto periodo quarto periodo effettua  un  rinvio  alle  norme  di
attuazione  dello  statuto,  mentre  il  quinto  prevede  che,   fino
all'emanazione di esse, lo Stato trattenga ogni  anno,  si  quote  di
compartecipazione  ai  tributi  erariali  previste   dallo   Statuto,
l'importo  concorso  della  Provincia  alla  riduzione  della   spesa
sanitaria. 
    Ora, il rinvio alle  norme  di  attuazione  (quarto  periodo)  e'
comunque illegittimo, quanto l'art. 79 e' modificabile  solo  con  la
procedura di cui all'art. 104  St.  e  non  in  sede  di  attuazione.
Inoltre, la norma in questione determina  (illegittimamente)  vincolo
di contenuto per le norme di attuazione, per cui il rinvio alla fonte
"concertata" appare fittizio e contrasta con l'art. 107 St. 
    Infine,  la  previsione   dell'accantonamento   di   un   importo
imprecisato su tali quote autonomamente viola l'art. 75, dato che  le
somme da esso garantite alla Provincia vengono indebitamente ridotte.
Esso viola altresi' l'art. 2, comma 108, legge 191/2009 (approvato ai
sensi dell'art. 104 St.: v. l'art. 2,  comma  106,  legge  191/2009),
che, nel dare attuazione all'art. 75 St., ha stabilito che "le  quote
dei  proventi   erariali   spettanti   alla   regione   Trentino-Alto
Adige/Südtirol e alle province autonome di Trento e di Boa  ai  sensi
degli articoli 69, 70 e  75"  dello  Statuto,  "a  decorrere  dal  1°
gennaio 2011, sono riversate dalla struttura di gestione  individuata
dall'articolo 22 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per i
tributi oggetto di versamento unificato e  di  compensazione,  e  dai
soggetti a cui affluiscono, per gli altri tributi, direttamente  alla
regione e alle province autonome sul conto infruttifero, intestato ai
medesimi enti, istituito presso la tesoreria provinciale dello Stato,
nei modi e nei tempi da definire con apposito  decreto  del  Ministro
dell'economia e delle finanze, adottato previa intesa con la  regione
e le province autonome". 
    Sono  dunque  lesivi  e  costituzionalmente  illegittimi  sia  il
principio stesso del trasferimento di risorse provinciali allo Stato,
sia le modalita' applicative, nei termini sopra esposti". 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 138, nella  parte
in cui introduce i nuovi commi 1-ter e 1-quater dell'art. 12 del d.l.
98/2011. 
    L'art. 1, comma 138, aggiunge diversi  commi  nell'art.  12  d.l.
98/2011, tra i quali rilevano qui commi 1-ter e 1-quater. 
    Il comma 1-ter dispone che "a decorrere dal l ° gennaio  2014  al
fine di pervenire a risparmi di spesa  ulteriori  rispetto  a  quelli
previsti dal patto di stabilita' interno, gli enti territoriali e gli
enti  del  Servizio  sanitario  nazionale  effettuano  operazioni  di
acquisto di immobili solo ove  ne  siano  comprovate  documentalmente
l'indispensabilita' e l'indilazionabilita' attestate dal responsabile
del procedimento. La congruita' del prezzo e' attestata  dall'Agenzia
del demanio, previo rimborso delle spese. Delle  predette  operazioni
e' data preventiva notizia, con l'indicazione del soggetto  alienante
e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell'ente". 
    Tale norma, qualora fosse ritenuta applicabile a questa Provincia
autonoma  e  agli  enti  locali  trentini,   sarebbe   lesiva   delle
prerogative costituzionali provinciali sono diversi profili. 
    In primo luogo, si tratta  di  una  norma  che  interviene  nella
materia del coordinamento della finanza pubblica ma non ha  carattere
di principio  fondamentale,  in  quanto  e'  una  norma  dettagliata,
direttamente applicabile, che limita una voce  puntuale  di  spesa  e
pone un vincolo  non  temporaneo.  Essa,  dunque,  viola  l'autonomia
finanziaria  della  Provincia  (Titolo  VI  dello  Statuto  e  d.lgs.
268/1992) e l'art. 117, comma 3, Cost. (se ritenuto piu' favorevole),
che prevede la competenza concorrente  in  materia  di  coordinamento
della finanza pubblica.  E'  opportuno  ricordare  che  "spetta  alla
regione e alle province emanare  norme  in  materia  di  bilanci,  di
rendiconti, di amministrazione del patrimonio e  di  contratti  della
regione e delle province medesime e degli enti  da  esse  dipendenti"
(art. 16 d.lgs. 268/1992) e che "le province disciplinano con legge i
criteri  per  assicurare  un  equilibrato  sviluppo   della   finanza
comunale, ivi compresi  i  limiti  all'assunzione  di  personale,  le
modalita' di ricorso  all'indebitamento,  nonche'  le  procedure  per
l'attivita' contrattuale" (art. 17, comma 3, d.lgs. 268/1992). 
    Inoltre, il nuovo art. 12, comma 1-ter,  d.l.  98/2011,  dettando
norme  direttamente  applicabili  in  una   materia   di   competenza
provinciale, viola l'art. 2 d.lgs. 266/1992, che stabilisce un regime
di separazione tra fonti statali e fonti provinciali nella materie di
competenza  provinciale.  L'obbligo  di  mero  adeguamento,  previsto
dall'art. 2 d.lgs. 266/1992,  e'  ribadito  -  per  le  leggi  aventi
finalita' di coordinamento  della  finanza  pubblica  che  concretano
limiti statutari - dall'art. 79,  comma  4,  secondo  periodo,  dello
Statuto speciale. 
    Ancora, il vincolo a  far  attestare  la  congruita'  del  prezzo
dall'Agenzia del demanio, "previo rimborso  delle  spese"  viola  sia
l'autonomia amministrativa che l'autonomia  finanziaria  provinciale.
Quanto alla prima, risulta in particolare violato l'art. 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992, che vieta l'assunzione da parte statale di  funzioni
amministrative  locali,  nelle  materie  di  competenza  provinciale.
Inoltre,  le  scelte  dell'amministrazione  provinciale  o  dell'ente
provinciale sarebbero condizionate da un organo statale,  realizzando
cosi' una forma di controllo di merito anomala  e  non  prevista  ne'
dallo Statuto ne' dalla Costituzione. 
    Quanto all'autonomia finanziaria, risulta evidentemente incongruo
che il legislatore statale obblighi la provincia a  corrispondere  un
rimborso per una prestazione che essa sarebbe costretta a richiedere,
pur avendo gli uffici provinciali piena  competenza  e  capacita'  in
materia, in quanto titolari della competenza, tra l'altro, in materia
di espropriazioni. 
    Infine,  ricordato  che   la   Provincia   non   partecipa   alla
ripartizione del Fondo sanitario nazionale,  la  norma  in  questione
viola l'art. 79 dello  Statuto,  che  regola  in  modo  esaustivo  le
modalita' di concorso della Provincia al  risanamento  della  finanza
pubblica e le  procedure  di  definizione  del  patto  di  stabilita'
interno, precisando che "le misure di cui al comma 1  possono  essere
modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104
e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono  il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2), che,
"al  fine  di  assicurare  il  concorso  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica, la  regione  e  le  province  concordano  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze  gli  obblighi  relativi  al  patto  di
stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire
in ciascun periodo", che "spetta alle province stabilire gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di
coordinamento con riferimento agli enti  locali,  ai  propri  enti  e
organismi strumentali, alle aziende  sanitarie,[...]",  che  "non  si
applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti  nel
restante territorio nazionale"  (comma  3)  e  che  "le  disposizioni
statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e  di
solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal  patto
di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento  alla
regione e alle province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto
previsto dal presente articolo" (comma 4). 
    Il nuovo art. 12, comma 1-quater, d.l. 98/2011 statuisce che "per
l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato  della   pubblica   amministrazione,   come   individuate
dall'ISTAT [...], non possono acquistare immobili  a  titolo  oneroso
ne' stipulare contratti di locazione passiva salvo che si  tratti  di
rinnovi  di  contratti,  ovvero  la  locazione  sia   stipulata   per
acquisire, a condizioni piu' vantaggiose, la disponibilita' di locali
in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare  ad  avere
la disponibilita' di immobili venduti[...]". 
    Anche tale norma, qualora fosse applicabile alla Provincia e agli
enti locali trentini, sarebbe illegittima  per  le  medesime  ragioni
illustrate  con  riferimento  all'art.  12,  comma   1-ter,   poiche'
anch'essa e' una norma dettagliata  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, direttamente applicabile. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 141, 142,  143  e
146. 
    L'art. 1, comma 141,  legge  228/2012  stabilisce  quanto  segue:
"ferme restando le misure di contenimento della spesa  gia'  previste
dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014 le amministrazioni
pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato  della  pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) [...] non possono effettuare  spese  di  ammontare
superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media  negli  anni
2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, salvo  che  l'acquisto
sia funzionale alla riduzione delle spese  connesse  alla  conduzione
degli immobili. In tal caso il collegio  dei  revisori  dei  conti  o
l'ufficio centrale di bilancio verifica  preventivamente  i  risparmi
realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa derivante
dall'attuazione del presente  comma.  La  violazione  della  presente
disposizione   e'   valutabile   ai   fini   della    responsabilita'
amministrativa e disciplinare dei dirigenti". 
    Il comma 142, dal canto suo,  dispone  che  "le  somme  derivanti
dalle  riduzioni  di  spesa  di  cui  al  comma  141   sono   versate
annualmente, entro il 30 giugno di ciascun anno, dagli enti  e  dalle
amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito  capitolo
dell'entrata del bilancio dello  Stato.  Il  presente  comma  non  si
applica agli enti e agli  organismi  vigilati  dalle  regioni,  dalle
province autonome di Trenta e di Bolzano e dagli enti locali". 
    In base al comma 143, "ferme restando le misure  di  contenimento
della spesa gia' previste dalle  disposizioni  vigenti,  a  decorrere
dalla data di entrata in vigore della presente legge  e  fino  al  31
dicembre 2014, le amministrazioni pubbliche di cui al comma  141  non
possono acquistare autovetture ne'  possono  stipulare  contratti  di
locazione finanziaria aventi  ad  oggetto  autovetture.  Le  relative
procedure di acquisto iniziate a decorrere dal 9  ottobre  2012  sono
revocate". 
    Il comma 144 precisa che "le disposizioni dei commi da 141 a  143
non si applicano per gli acquisti  effettuati  per  le  esigenze  del
Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per i servizi istituzionali  di
tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi  sociali
e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza". 
    Il comma 145 dispone che "per le regioni l'applicazione dei commi
da 141 a 144 costituisce condizione per l'erogazione da  parte  dello
Stato dei trasferimenti erariali di cui all'articolo 2, comma 1,  del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174". 
    Infine, il comma 146 stabilisce che "le amministrazioni pubbliche
individuate ai  sensi  dell'articolo  1,  comma  2,  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196,[...] possono conferire incarichi di consulenza
in  materia  informatica  solo  in  casi  eccezionali,  adeguatamente
motivati, in  cui  occorra  provvedere  alla  soluzione  di  problemi
specifici connessi  al  funzionamento  dei  sistemi  informatici.  La
violazione della disposizione di cui al presente comma e'  valutabile
ai fini  della  responsabilita'  amministrativa  e  disciplinare  dei
dirigenti". 
    I commi 141, 143 e 146 sono norme  dettagliate  di  coordinamento
finanziario, che limitano voci ultra-minute  di  spesa  (acquisto  di
mobili e arredi, compravendite e contratti di  locazione  finanziaria
aventi ad oggetto autovetture, consulenze in materia informatica). Si
tratta di norme direttamente applicabili e, nel caso del  comma  146,
non  temporanee  (mentre  i  commi  141  e  143  fissano  un   limite
temporale). Dunque, qualora tali norme fossero  ritenute  applicabili
alla Provincia e agli enti locali trentini (nonostante la clausola di
salvaguardia  di  cui  all'art.  1,  comma   554),   esse   sarebbero
illegittime per le ragioni illustrate sopra con riferimento al  comma
138, che si intendono qui richiamate. 
    Quanto al comma 142, esso  "non  si  applica  agli  enti  e  agli
organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e
di Bolzano e dagli enti locali" e, quindi, si puo'  ritenere  che,  a
maggior ragione, esso  non  dovrebbe  applicarsi  alla  Provincia  di
Trento e agli enti locali trentini (tenendo  conto  anche  del  comma
554). Esso dovrebbe intendersi dunque nel  senso  che  -  essendo  la
Provincia autonoma gia' tutelata dalla clausola di salvaguardia - non
vi era bisogno per essa di specificare la non applicazione. 
    Nel caso in cui, invece, esso sia inteso come rivolto anche  alle
Province autonome e agli enti locali situati nel loro territorio,  si
dovrebbe censurare l'obbligo di versare  "le  somme  derivanti  dalle
riduzioni di spesa di  cui  al  comma  141...  ad  apposito  capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato", in quanto esso si tradurrebbe
in un  ulteriore  contributo  a  carico  dei  bilanci  provinciali  e
comunali. La previsione di tale contributo da parte  della  Provincia
violerebbe, da un lato, l'art. 75  Statuto,  in  quanto  parte  delle
risorse affluite alla Provincia  in  base  a  tale  norma  statutaria
sarebbe unilateralmente avocata dal legislatore  statale;  dall'altro
l'art. 79 St., che regola in modo compiuto i modi in cui la Provincia
concorre  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  ed  il   principio
dell'accordo in materia finanziaria (si possono qui richiamare  anche
gli argomenti illustrati nel punto 2 del presente ricorso). 
    In relazione agli  enti  locali,  la  previsione  del  contributo
violerebbe, da un lato, l'autonomia finanziaria degli enti  locali  e
la competenza della Provincia in materia di finanza  locale  (v.  gli
artt. 80 e 81 dello Statuto e l'art. 17 d.lgs. 268/1992),  dall'altro
l'art. 79, comma 3, dello Statuto,  che  attribuisce  alla  Provincia
poteri di coordinamento della finanza pubblica in relazione agli enti
locali. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 380. 
    A) Premessa.  La  disciplina  dell'Imu  e  la  sottrazione  delle
risorse al sistema locale. Illegittimita' costituzionale delle  lett.
b), f), h) e i). 
    Il comma 380 detta  diverse  norme  "al  fine  di  assicurare  la
spettanza ai Comuni del gettito dell'imposta municipale  propria,  di
cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201,[...]
per gli anni  2013  e  2014".  Si  tratta,  in  altre  parole,  della
disciplina e soprattutto della destinazione dell'IMU. 
    Converra' ricordare che  l'art.  13  d.l.  201/2011  ha  regolato
l'Anticipazione   sperimentale   dell'imposta   municipale   propria,
stabilendo  (comma  1)  che  l'istituzione  di   tale   imposta   "e'
anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall'anno  2012,  ed  e'
applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014  in
base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14  marzo  2011,  n.
23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono",  e  che
conseguentemente, "l'applicazione a  regime  dell'imposta  municipale
propria e' fissata al 2015". 
    Il riferimento a "tutti i comuni  del  territorio  nazionale"  ha
indotto a ritenere che  l'art.  13  intenda  applicarsi  anche  nella
regione Trentino-Alto Adige, ed in relazione alla relativa disciplina
la Provincia autonoma di Trento ha introdotto il ricorso  n.  34/2012
tuttora pendente. 
    Quanto al contenuto della disciplina, l'art. 8, comma  1,  d.lgs.
23/2011, richiamato dall'art.  13,  comma  1,  del  d.l.  201/11  ora
citato, stabilisce che l'imposta municipale propria  istituita  dallo
stesso  articolo  "sostituisce,  per   la   componente   immobiliare,
l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali
dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non  locati,
e l'imposta comunale sugli immobili". 
    Dunque, l'Imu e'  venuta  a  sostituire  -  oltre  all'ICI,  gia'
destinata ai Comuni - imposte destinate alla Provincia:  o  per  nove
decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili  non
locati  (art.  75  Statuto)  o  interamente,  come   le   addizionali
provinciale e comunale relative ai redditi  fondiari  degli  immobili
non locati: va infatti ricordato che,  in  base  all'art.  80,  comma
1-ter,  St.,  le  addizionali  altrimenti  comunali   spettano   alla
Provincia,  nel   quadro   della   sua   complessiva   competenza   e
responsabilita' in materia di finanza locale prevista  dall'art.  80,
comma 1, St. 
    Ora, se lo Stato si fosse limitato a rinunciare, in favore  della
finanza comunale, a determinati tributi,  non  vi  sarebbe  nulla  da
eccepire. Ma se, come avviene nel vigente disegno normativo dell'IMU,
il reddito dell'imposta "municipale" viene assegnato allo  Stato,  ne
risulta una violazione dello Statuto, che  determina  un  complessivo
impoverimento del sistema  locale:  dietro  la  "municipalizzazione",
infatti, vi e' sempre l'imposta erariale, soltanto che il suo gettito
viene sottratto alla Provincia  autonoma,  con  evidente  sostanziale
violazione dell'art. 75 dello Statuto. 
    Cio' e' avvenuto con le disposizioni dell'art. 13  d.l.  201/2011
(che percio', come detto, e' stato impugnato da questa Provincia))  e
accade ora con le disposizioni dell'art.  1,  comma  380,  del  quale
tocca ora esaminare il contenuto specifico. 
    La lett. a) - che non e' qui impugnata  -  sopprime  "la  riserva
allo  Stato  di  cui  al  comma  11  del  citato  articolo   13   del
decreto-legge n. 201 del 2011". Il comma 11 riservava "allo Stato  la
quota di imposta pari alla meta'  dell'importo  calcolato  applicando
alla  base  imponibile  di   tutti   gli   immobili,   ad   eccezione
dell'abitazione principale e delle relative pertinenze..., l'aliquota
di base". 
    La lett. b) istituisce, "nello stato di previsione del  Ministero
dell'interno, il Fondo di solidarieta' comunale che e' alimentato con
una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza  dei  comuni,
di cui al citato articolo 13  del  decreto-legge  n.  201  del  2011,
definita con decreto del Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  su
proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto  con
il  Ministro  dell'interno,  previo  accordo  da  sancire  presso  la
Conferenza Stato-Citta' ed autonomie locali, da emanare entro  il  30
aprile 2013 per l'anno 2013 ed entro il 31 dicembre 2013  per  l'anno
2014", E' stabilito che in caso "di mancato accordo, il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei Ministri e' comunque emanato entro i  15
giorni successivi". L'ammontare iniziale "del predetto Fondo e' pari,
per l'anno 2013, a 4.717,9 milioni di euro  e,  per  l'anno  2014,  a
4.145,9 milioni di euro". Corrispondentemente, "nei predetti esercizi
e' versata all'entrata del bilancio statale una quota di pari importo
dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni". 
    Dal comma 382 risulta che il dispone che il Fondo di solidarieta'
comunale e' ripartito tra i comuni delle Regioni a statuto  ordinario
e i comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna. 
    La  lett.  f)  riserva  "allo  Stato  il   gettito   dell'imposta
municipale propria di cui all'articolo 13 del citato decreto-legge n.
201 del 2011, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati
nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per
cento". 
    La lett. h) abroga l'art. 13, comma 11, d.l. 201/2011 e l'art. 2,
commi 3 e 7, d.l. 23/2011; inoltre, precisa che "per gli anni 2013  e
2014 non operano i commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9 del medesimo articolo 2" e
che "il comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201  del  2011
continua   ad   applicarsi   nei   soli   territori   delle   regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle  Province  autonome  di
Trento e Bolzano". 
    Infine, la lett. i) stabilisce che  "gli  importi  relativi  alle
lettere a), c), e) ed  possono  essere  modificati  a  seguito  della
verifica del gettito dell'imposta municipale propria riscontrato  per
il 2012,  da  effettuarsi  ai  sensi  del  comma  3  dell'articolo  5
dell'Accordo del 1° marzo 2012 presso la Conferenza  Stato  citta'  e
autonomie locali". 
    Cosi' descritti i contenuti dell'art. 1, comma 380,  occorre  ora
esaminare in quali parti essi incidano sull'autonomia finanziaria. 
    Non e' chiaro se riguardi il territorio provinciale il "Fondo  di
solidarieta'  comunale"  alimentato  "con  una   quota   dell'imposta
municipale propria, di spettanza dei comuni", di cui alla  lett.  b),
Infatti, dato che dal comma 382 risulta che esso viene ripartito  "ai
comuni delle Regioni a statuto ordinario ed ai comuni  della  Regione
Siciliana e della Regione Sardegna", si deve supporre, che  esso  non
sia alimentato  con  l'imposta  spettante  ai  comuni  delle  Regioni
escluse dal riparto, tra le quali la Provincia di  Trento.  Tuttavia,
il succitato comma 380, lett. b), non stabilisce espressamente  cio':
percio', esso deve venire qui impugnato in via  cautelativa,  per  il
caso in cui la disposizione dovesse intendersi nel senso che anche  i
comuni  trentini  debbano  contribuire  al  Fondo   di   solidarieta'
comunale. 
    Riguarda invece sicuramente la Provincia  di  Trento  ed  i  suoi
comuni la disposizione di cui alla lett. f) riserva  "allo  Stato  il
gettito dell'imposta municipale propria di cui  all'articolo  13  del
citato decreto-legge n. 201 del 2011, derivante dagli immobili ad uso
produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota
standard dello 0,76 per  cento".  Ad  avviso  della  Provincia,  tale
riserva e' illegittima per le ragioni che di seguito  si  esporranno.
Poiche' gli importi di cui (tra l'altro) alla lett. f) possono essere
modificati ai sensi della lett. i), anche questa e' impugnata. 
    Inoltre, secondo la lett. h) "il comma 17  dell'articolo  13  del
decreto-legge n.  201  del  2011  continua  ad  applicarsi  nei  soli
territori delle regioni Eriuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle
Province autonome di Trento e Bolzano". 
    Si tratta  della  disposizione  secondo  la  quale  lo  Stato  si
appropria di' tutto il maggior gettito, cioe' ogni importo  eccedente
le entrate che affluivano ai comuni della provincia di Trento in base
alle norme previgenti: e lo fa acquisendo tali fondi dalla Provincia.
Infatti, il comma 17, terzo periodo,  dispone  -  in  relazione  alle
autonomie speciali competenti in materia di finanza locale - che "con
le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009,  n.
42, le regioni Friuli-Venezia Giulia  e  Valle  d'Aosta,  nonche'  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il  recupero  al
bilancio statale del predetto  maggior  gettito  stimato  dei  comuni
ricadenti nel proprio territorio". Ed il quarto periodo precisa  che,
"fino all'emanazione delle norme di attuazione  di  cui  allo  stesso
articolo 27, a valere sulle quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali, e' accantonato un importo pari al maggior  gettito  stimato
di cui al precedente periodo". Il quinto periodo, infine, prevede che
"l'importo  complessivo  della  riduzione  del  recupero  di  cui  al
presente comma e' pari per l'anno 2012 a 1.627 milioni di  euro,  per
l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro  e  per  l'anno  2014  a  2.162
milioni di euro". E sembra da ritenere  che  al  di  la'  dell'oscuro
riferimento  alla  "riduzione  del  recupero"  -  i  numeri  indicati
rappresentino  la  quantificazione  del  "recupero"  a  carico  delle
autonomie speciali. 
    Tale disposizione e' gia' stata  contestata  con  il  ricorso  n.
34/2012, e per le corrispondenti ragioni deve essere impugnata  anche
con il presente ricorso. 
    In sintesi, del comma 380 sono qui impugnati: la lett. b) in  via
cautelativa; la lett. f) e - in quanto collegata ad essa -  la  lett.
i); la lett. h), in quanto  confermativa  del  regime  del  comma  17
dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011. 
    Tutte le norme impugnate determinano una attribuzione allo  Stato
- o in via diretta attraverso la riserva di cui alla lettera f), o in
via indiretta attraverso i meccanismi del Fondo  di  solidarieta'  di
cui alla lettera b), qualora non si accolga  l'interpretazione  sopra
prospettata - di risorse devolute al sistema finanziario locale.  Nel
caso del Fondo di solidarieta', le risorse "tornano"  ai  comuni,  ma
non a quelli trentini, per cui resta fermo  che  la  lett.  b)  -  se
intesa in senso lesivo - determinerebbe una  sottrazione  di  risorse
che spettano al sistema trentino in base allo Statuto e alle norme di
attuazione. Inoltre, ove il Fondo di  solidarieta'  fosse  alimentato
dalle risorse dei Comuni trentini,  sarebbe  illegittima  l'omissione
della partecipazione della  Provincia  di  Trento  all'accordo  sulla
dimensione della contribuzione, in quanto lesiva  sia  dell'autonomia
finanziaria provinciale sia della competenza istituzionale in materia
di finanza locale; e sarebbe illegittimo altresi' il  meccanismo  che
prevede che in caso di mancato accordo il decreto sia emanato nei  15
giorni  successivi,  senza  alcun  meccanismo  di  composizione   del
dissenso,  dato  che  cio'  rende  il   raggiungimento   dell'accordo
meramente potestativo da parte dello Stato,  come  e'  stato  sancito
anche da codesta Corte costituzionale con le sentenze n.  179/2012  e
n. 121 del 2010. 
    Infine, come  visto,  la  lett.  h)  tiene  ferma  l'applicazione
dell'art. 13, comma 17, d.l. 201/2011 nella provincia di Trento. 
    In  relazione  alla  Provincia  di  Trento,  dunque,   la   nuova
disciplina conserva le caratteristiche  e  il  contenuto  sostanziale
della  precedente,  gia'  impugnata.  Lo  Stato   ha   provveduto   a
ristrutturare le imposte "immobiliari"  e  a  rideterminare  le  basi
imponibili, ma - nel periodo 2013-2014 - i maggiori incassi derivanti
da questa operazione sono interamente destinati allo Stato, il  quale
in parte li riceve direttamente dai contribuenti in base alla riserva
di cui al comma 380, lett. f), in parte li riceve dalla Provincia con
i meccanismi di "recupero" o "accantonamento"  di  cui  all'art.  13,
comma 17, d.l. 201/2011, e in parte  dai  comuni  (per  il  Fondo  di
solidarieta' di cui alla lett. b, ove questa risultasse applicabile). 
    Come gia' accennato, l'Imu  sostituisce  -  oltre  all'ICI,  gia'
destinata ai Comuni - imposte destinate alla Provincia in  base  allo
Statuto: o per nove decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari
degli immobili non locati (art. 75 Statuto) o  interamente,  come  le
addizionali provinciale e comunale relative ai redditi fondiari degli
immobili non locati: va infatti ricordato che, in base  all'art.  80,
comma 1-ter, St., le addizionali altrimenti  comunali  spettano  alla
Provincia,  nel   quadro   della   sua   complessiva   competenza   e
responsabilita' in materia di finanza locale prevista  dall'art.  80,
comma 1, St. e dall'art. 81, comma 2, St. ("Allo scopo di adeguare le
finanze dei comuni al raggiungimento delle finalita' e  all'esercizio
delle funzioni stabilite dalle leggi, le  province  di  Trento  e  di
Bolzano corrispondono ai comuni stessi idonei  mezzi  finanziari,  da
concordare  fra  il  Presidente  della  relativa  Provincia  ed   una
rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni"). 
    In questi termini, attraverso una nominalistica  comunalizzazione
dei tributi immobiliari si realizza il transito delle  corrispondenti
risorse dal bilancio provinciale al  bilancio  statale,  per  effetto
delle norme di cui alle lett. b), f) e h). La  Provincia,  che  prima
"integrava" la finanza locale avvalendosi delle predette risorse, ora
ne e' priva ma dovra' comunque far fronte alle necessita' finanziarie
dei comuni (art.  81,  comma  2,  St.),  e  dovrebbe  contestualmente
versare allo Stato proprie  risorse  in  misura  corrispondente  alle
maggiori entrate dei Comuni, o comunque in  misura  corrispondente  a
quella a priori determinata dall'art. 13, comma 17, d.l. 201/2011. 
    In un sistema  nel  quale  la  Provincia  ha  la  responsabilita'
complessiva della finanza locale,  la  sottrazione  ai  comuni  delle
risorse  derivanti  dalle  imposte  ad  essi  destinate   costituisce
contemporaneamente    una    lesione    dell'autonomia    finanziaria
provinciale: in questi termini, la devoluzione di parte dell'Imu allo
Stato viola lo Statuto (artt.  80  e  81)  anche  in  relazione  alle
risorse sostitutive dell'Ici,  cioe'  dell'imposta  che  affluiva  ai
comuni. 
    Dunque, le lett. b), f) e h) (e la collegata lett. i) violano gli
artt. 75, 80, comma 1 e comma 1-ter, e 81, comma  2,  St.  in  quanto
attribuiscono allo Stato risorse che  spettano  alla  Provincia  (per
nove decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili
non locati - art.  75  St.  -  o  interamente,  come  le  addizionali
provinciale e comunale relative ai redditi fondiari: art.  80,  comma
1-ter, St.) o  che  rappresentano  una  componente  essenziale  della
finanza comunale, con ripercussioni sulla responsabilita' provinciale
in materia (art. 81, comma 2, St.). 
    Inoltre, la lett. f) e la lett. h) violano l'articolo 79 St., che
definisce in modo completo i termini  e  le  modalita'  del  concorso
delle Province autonome e degli enti locali trentini al conseguimento
degli  obiettivi  di  perequazione   e   di   solidarieta',   nonche'
all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario   posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale. Infatti,  la  devoluzione  di  parte  dell'Imu  al
bilancio statale rappresenta una misura di concorso al raggiungimento
degli obiettivi finanziari dello Stato (su  cio'  v.  amplius  infra,
punto C). 
    Le norme in questione violano anche gli artt. 9, 10 e 10-bis  del
d.lgs. 268/1992, perche' riservano allo Stato parte del  gettito  Imu
in  assenza  dei  presupposti  previsti  dalle  succitate  norme   di
attuazione (su cio' v. amplius infra, punto B). 
    Infine,  tutte  le   norme   impugnate   violano   il   principio
dell'accordo che regola i rapporti fra Stato e  Regioni  speciali  in
materia finanziaria (Corte costituzionale, sentenze n. 82  del  2007,
n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000). In particolare  per
questa Provincia la Corte costituzionale (sentenza n. 133  del  2010)
ha ribadito che i rapporti finanziari  tra  lo  Stato  e  la  Regione
Trentino-Alto Adige e le  Province  autonome  sono  regolati  secondo
procedure paritetiche garantite a norma degli articoli 103, 104 e 107
dello Statuto speciale. 
8) Specifica illegittimita' costituzionale del comma 380, lett. f)  e
lett. i). 
    Come sopra esposto, il comma 380, lett. f) riserva "allo Stato il
gettito dell'imposta municipale propria..., derivante dagli  immobili
ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D,  calcolato  ad
aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma  6,  primo
periodo, del citato articolo 13". In base al comma 380, lett. g),  "i
comuni possono aumentare sino  a  0,3  punti  percentuali  l'aliquota
standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma  6,  primo  periodo
del citato articolo 13 del decreto-legge n.  201  del  2011  per  gli
immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D". 
    Dunque, l'Imu derivante  dagli  immobili  produttivi  e'  versata
direttamente allo Stato, che regola anche la possibilita' dei  comuni
di aumentare l'aliquota. 
    L'art. 75 dello Statuto speciale  dispone  che  "sono  attribuite
alle province le  seguenti  quote  del  gettito  delle  sottoindicate
entrate tributarie dello Stato,  percette  nei  rispettivi  territori
provinciali:... g) i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie
erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l'imposta
locale sui redditi, ad eccezione di quelle di spettanza  regionale  o
di altri enti pubblici". 
    Dunque, la quota di Imu  riservata  allo  Stato  dalla  lett.  f)
rientra tra le "entrate tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,
comunque denominate", di cui all'art. 75,  comma  1,  lett.  g),  St.
Infatti, il senso della disposizione statutaria e' esattamente quello
di riservare al sistema locale i nove  decimi  di  tutte  le  entrate
tributarie destinate in via generale allo Stato. 
    In questi termini, i nove decimi  di  essa  sono  destinati  alla
Provincia, ai sensi dell'art. 75 Statuto: ma la lett. f)  contraddice
tale destinazione, e la clausola di salvaguardia di cui al comma  554
non e' in grado di garantire un'applicazione della lett. f)  conforme
a Statuto. 
    Percio' la lett. f) si pone in contrasto con l'art. 75, comma  l,
lett. g) dello Statuto. 
    La fondatezza della censura sopra  esposta  non  potrebbe  essere
contestata facendo valere la clausola di possibile riserva all'erario
statale prevista dalle norme di attuazione di cui al d.lgs. 268/1992. 
    Per quanto qui rileva, infatti, l'art. 9 di tale decreto  dispone
che  "il  gettito  derivante   da   maggiorazioni   di   aliquote   o
dall'istituzione di  nuovi  tributi,  se  destinato  per  legge,  per
finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma
1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai  sensi  dell'art.
81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di  carattere  non
continuativo che non rientrano  nelle  materie  di  competenza  della
regione o delle province, ivi comprese quelle  relative  a  calamita'
naturali, e' riservato  allo  Stato,  purche'  risulti  temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi  quantificabile";  si  aggiunge  poi  che  "fuori  dei  casi
contemplati nel presente articolo si applica  quanto  disposto  dagli
articoli 10 e 10-bis". 
    Per una piu' completa comprensione di  questa  clausola  conviene
ricordare che l'art. 10 regolava la "quota variabile" di cui all'art.
78 dello Statuto, quota che e' stata  soppressa  dall'art.  1,  comma
107, della legge n. 191 del 2009 (comma emanato  ai  sensi  dell'art.
104 dello Statuto di autonomia),  come  parte  del  contributo  delle
Province autonome al conseguimento degli obbiettivi di perequazione e
di stabilita'. In relazione ad essa il comma 6 dell'art. 10 stabiliva
che "una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito  tributario,
escludendo  comunque   gli   incrementi   derivanti   dall'evoluzione
tendenziale, spettante  alle  province  autonome  e  derivante  dalle
manovre  correttive  di  finanza  pubblica   previste   dalla   legge
finanziaria e dai relativi  provvedimenti  collegati,  nonche'  dagli
altri provvedimenti legislativi aventi le medesime  finalita'  e  non
considerati  ai  fini  della  determinazione  dell'accordo   relativo
all'esercizio finanziario precedente, da  valutarsi  al  netto  delle
eventuali   previsioni   di   riduzione   di   gettito    conseguenti
all'applicazione  di   norme   connesse,   puo'   essere   destinata,
limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al  raggiungimento
degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica  previsti  dai
precedenti provvedimenti". 
    A sua volta, l'art. 10-bis dispone che "entro la data di  cui  al
comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo  e
il presidente della giunta regionale che individua: a)  la  quota  da
destinare al bilancio dello Stato del gettito tributario derivante da
maggiorazioni di aliquote di  tributi  o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi, se destinato per legge alla copertura, ai sensi dell'art. 81
della Costituzione,  delle  spese  di  cui  all'art.  9,  qualora  il
predetto  gettito  non  risulti  distintamente   contabilizzato   nel
bilancio dello Stato, ovvero temporalmente delimitato; b) l'eventuale
quota delle spese derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali
delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione
medesima, in relazione alle disposizioni di cui al comma 6  dell'art.
10, da determinarsi nei limiti del previsto  incremento  del  gettito
tributario derivante dalle manovre correttive  di  finanza  pubblica,
nonche' tenuto conto della quota di cui alla lettera a)". 
    In altre parole,  sin  da  prima  della  modifica  dello  Statuto
concordata nel 2009 tra lo Stato e la Regione e le Province  autonome
(e  tradotta  -  a  termini  dell'art.  104  dello  Statuto  -  nelle
pertinenti disposizioni della legge n. 191 del 2009) solo  attraverso
lo strumento  dell'accordo  possono  essere  riservate  risorse  allo
Stato, secondo le disposizioni degli artt. 10 e 10-bis  dello  stesso
d.lgs. n. 268/1992, al di  fuori  dei  rigorosi  presupposti  per  la
riserva all'erario di cui all'art. 9 del d.lgs. 268/1992. 
    Ad avviso della ricorrente  Provincia  risulta  evidente  che  in
relazione alla quota erariale dell'Imu  non  sussistono  i  requisiti
posti dall'art. 9 d.lgs.  268/1992  per  la  riserva  all'erario  del
"gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di
nuovi tributi". 
    Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di  codesta
Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede,  per  la
legittimita'  della  riserva  statale,  che:  a)  detta  riserva  sia
giustificata da «finalita' diverse  da  quelle  di  cui  al  comma  6
dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso
d.lgs. n. 268 del 1992,  e  cioe'  da  finalita'  diverse  tanto  dal
«raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio   della   finanza
pubblica» (art.  10,  comma  6)  quanto  dalla  copertura  di  «spese
derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali   delegate   alla
regione» (art. 10-bis,  comma  1,  lettera  b);  b)  il  gettito  sia
destinato per legge «alla copertura,  ai  sensi  dell'art.  81  della
Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle
province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»;  e)  il
gettito  sia  «temporalmente   delimitato,   nonche'   contabilizzato
distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»". 
    Ora, il  comma  380,  lett.  f)  non  contiene  alcuna  specifica
destinazione, ne' alcuna ulteriore particolare disposizione che possa
riferirsi all'applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n.  268  del  1992:
sicche' da questo punto di vista  e'  chiara  l'illegittimita'  della
riserva. 
    La lett. i), secondo la quale "gli importi relativi alle  lettere
a), c), e) ed f) possono essere modificati a seguito  della  verifica
del gettito dell'imposta municipale propria riscontrato per il  2012,
da effettuarsi ai sensi del comma 3 dell'articolo 5 dell'Accordo  del
1° marzo 2012 presso la Conferenza Stato citta' e autonomie  locali",
e' del tutto incomprensibile in relazione alle lett.  a)  ed  e),  le
quali si limitano a sopprimere riserve o fondi. 
    Qui interessa comunque quanto essa dispone in collegamento con la
lett. f): cosi' disponendo, infatti, essa rende del tutto incerto  il
contenuto della disposizione,  con  violazione  del  principio  della
certezza del diritto. Inoltre l'illegittimita' della  stessa  riserva
di cui alla lett. f),  sopra  illustrata,  comporta  l'illegittimita'
anche della facolta' di cui alla lett. i). 
    C) Specifica illegittimita' costituzionale del comma  380,  lett.
h). 
    Come visto, il comma 380, lett. h) stabilisce che  "il  comma  17
dell'articolo 13 del  decreto-legge  n.  201  del  2011  continua  ad
applicarsi nei soli territori delle regioni Friuli-Venezia  Giulia  e
Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano".  L'art.
13, comma 17, terzo periodo prevede che "con  le  procedure  previste
dall'articolo 27 della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,  le  regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le  Province  autonome
di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero  al  bilancio  statale
del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio
territorio". Il quarto periodo  aggiunge  che,  "fino  all'emanazione
delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo  27,  a  valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e'  accantonato
un importo pari al maggior  gettito  stimato  di  cui  al  precedente
periodo". In base al quinto  periodo,  "l'importo  complessivo  della
riduzione del recupero di cui al presente comma e'  pari  per  l'anno
2012 a 1.627 milioni di curo, per l'anno 2013 a  1.762,4  milioni  di
euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro". 
    Come detto, tali  norme  sono  state  impugnate  con  il  ricorso
34/2012. 
    Dunque, lo  Stato  non  solo  trattiene  direttamente  una  parte
dell'Imu come entrata erariale (in base alla lett.  f),  ma  vorrebbe
incamerare dalla Provincia anche tutto l'importo eccedente le entrate
che affluivano ai comuni in base alle norme previgenti. Si noti che -
come gia' rilevato con il ricorso 34/2011 - il comma 17 e'  formulato
in modo tale da poter essere inteso nel senso che l'importo  Imu  non
debba essere confrontato con l'importo 2011 dei tributi sostituiti ma
solo con l'importo dei  tributi  comunali  sostituiti  (cioe',  l'Ici
2011).  Se  cosi  fosse,  il  taglio  delle  risorse  assumerebbe  un
carattere del tutto particolare rispetto alla Provincia di Trento (ed
ovviamente a  quella  di  Bolzano).  Infatti,  delle  tre  componenti
sostituite  dall'Imu  (cioe'  l'Irpef   fondiaria,   le   addizionali
provinciali e comunali e l'ICI), soltanto l'ICI  era  precedentemente
destinata direttamente ai comuni, mentre  sia  le  risorse  derivanti
dall'Irpef  fondiaria  che   quelle   derivanti   dalle   addizionali
pervenivano  poi  ai  comuni  per  il   tramite   del   finanziamento
provinciale. Ne risulta che - concentrata la fiscalita' nell'Imu - il
"maggior  gettito  stimato  dei   comuni"   della   Provincia   sara'
particolarmente elevato, comprendendo anche il  gettito  dei  tributi
che prima costituivano entrate della Provincia. Se  cosi'  fosse,  la
Provincia e i suoi enti locali risulterebbero depauperati: 
        dei  nove  decimi   dell'Irpef   sui   redditi   immobiliari,
soppressi; 
        delle  addizionali  provinciale  e  comunale  precedentemente
previste (la seconda era  incassata  dalla  Provincia  in  luogo  dei
comuni); 
    Inoltre, il comma 17 potrebbe essere interpretato anche nel senso
che dal gettito precedente sia esclusa  la  somma  che  perveniva  ai
comuni (tramite le Province autonome) ai sensi dell'art. 1, comma  4,
d.l. 98/2008, che aveva previsto un fondo  sostituivo  delle  entrate
comunali  relative  all'ICI  sull'abitazione  principale  (norma  ora
abrogata dall'art. 13, comma 14, lett. a), del d.l. n. 201 del 2011).
Se cosi' fosse, ne risulterebbe un ulteriore rilevante depauperamento
del sistema provinciale. 
    Il terzo e quarto periodo del comma 17 violano l'art.  75  St.  e
gli artt. 9 e 10 d.lgs. 268/1992 perche' pretendono di  avocare  allo
Stato  risorse  di  spettanza  provinciale,  al  di  fuori  dei  casi
previsti. 
    Cio' e' vero sia nel caso in cui  si  ritenga  che  il  comma  17
produca  l'effetto  di  avocare  allo  Stato  le  risorse  che  prima
spettavano alla Provincia a  titolo  di  compartecipazione  all'Irpef
fondiaria (art. 75 St.) e di addizionali provinciale e comunale (art.
80, comma 1-ter), sia nel caso in cui si  ritenga  che  la  Provincia
dovrebbe assicurare il recupero allo Stato del maggior gettito con le
proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce  l'effetto  di
"far tornare" nelle casse statali risorse spettanti alla Provincia  e
ad essa affluite in attuazione delle regole finanziarie  poste  dallo
Statuto e dalle norme di attuazione (comma 17, terzo periodo). 
    Inoltre, essi violano  l'art.  79  St.  perche'  l'avocazione  e'
disposta con il  fine  del  concorso  al  risanamento  della  finanza
pubblica, mentre la norma statutaria configura un sistema completo di
concorso delle Province  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  non
derogabile se  non  con  le  modalita'  previste  dallo  Statuto.  In
particolare, l'art. 79, comma 1, fissa gli strumenti con i  quali  le
Province concorrono "al conseguimento degli obiettivi di perequazione
e di solidarieta' e all'esercizio dei  diritti  e  dei  doveri  dagli
stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,   dal   patto   di
stabilita' interno  e  dalle  altre  misure  di  coordinamento  della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale", ed  il  comma  2
precisa che "le misure di cui al comma 1  possono  essere  modificate
esclusivamente con la procedura prevista  dall'articolo  104  e  fino
alla loro eventuale  modificazione  costituiscono  il  concorso  agli
obiettivi di finanza  pubblica  di  cui  al  comma  1".  Il  comma  3
stabilisce che, "al fine di assicurare il concorso agli obiettivi  di
finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro
dell'economia e delle finanze  gli  obblighi  relativi  al  patto  di
stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire
in  ciascun  periodo",  e  attribuisce  alle   Province   poteri   di
coordinamento della finanza pubblica in relazione agli  enti  locali,
precisando che "non si applicano le misure adottate per le regioni  e
per gli altri enti nel restante  territorio  nazionale".  Infine,  il
comma 4 dispone che "le disposizioni statali relative  all'attuazione
degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno,
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente
articolo". 
    Ancora, il terzo e quarto periodo del comma 17 violano gli  artt.
103, 104 e 107 St., proprio perche' pretendono di derogare agli artt.
75 e 79 St. e al d.lgs. 268/1992 con una fonte primaria "ordinaria". 
    L'art. 107 St. e'  violato  anche  perche'  il  comma  17,  terzo
periodo, pretende di vincolare  unilateralmente  il  contenuto  delle
norme di attuazione. 
    Una menzione separata e specifica richiede  l'illegittimita'  del
quarto periodo del comma 17 che  prevede  lo  "accantonamento"  delle
quote di compartecipazione previste dall'art. 75 Statuto. 
    Va  rilevato,  infatti,  che  tale   "accantonamento"   contrasta
anch'esso frontalmente con l'art. 75 dello  Statuto  e  con  l'intero
sistema finanziario della Provincia da esso istituito. 
    E' evidente, infatti, che le risorse che lo Statuto prevede  come
entrate  provinciali  sono  cosi'  stabilite  perche'  esse   vengano
utilizzate dalla Provincia per  lo  svolgimento  delle  sue  funzioni
costituzionali, e non perche' esse vengano "accantonate".  L'istituto
dell'accantonamento  non  ha  nel  sistema  statutario   cittadinanza
alcuna. 
    Inoltre, l'illegittimita' del  trasferimento  previsto  determina
anche l'illegittimita' dell'accantonamento disposto nella prospettiva
del trasferimento. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 448. 
    Il comma 448 dispone  che,  "ai  fini  della  tutela  dell'unita'
economica della Repubblica, le regioni  e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano concorrono alla realizzazione degli obiettivi  di
finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui ai  commi  da
449 a 472, che costituiscono principi fondamentali  di  coordinamento
della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117,  terzo  comma,  e
119, secondo comma, della Costituzione". 
    Il comma 448 mira ad  assimilare  la  Provincia  di  Trento  alle
Regioni ordinarie e alle altre Regioni speciali, assoggettandola alle
disposizioni dettate dalla legge 228/2012  in  materia  di  patto  di
stabilita'. 
    Si e' gia' visto, pero' (v. il punto 6, lett. C), che  l'art.  79
dello Statuto, introdotto a  seguito  di  esplicito  accordo  con  lo
Stato,  concluso  ai  sensi  dell'art.  104  dello  stesso   Statuto,
disciplina in modo specifico la posizione delle Province autonome  di
Trento e di Bolzano e regola in modo completo le modalita' con cui le
Province autonome concorrono  al  conseguimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica, precisando in modo espresso che "le misure  di  cui
al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la  procedura
prevista dall'articolo 104 e fino alla loro  eventuale  modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma 1", che "non si applicano le misure adottate per le  regioni
e per gli altri enti nel restante territorio nazionale" (comma  3)  e
che "le disposizioni statali relative all'attuazione degli  obiettivi
di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo" (comma 4). 
    Il comma 448 si pone in chiaro e netto contrasto  con  l'art.  79
St. 
    Il  legislatore  ordinario  non  puo'  alterare   unilateralmente
l'assetto  dei  rapporti  in  materia  finanziaria  disegnato   dallo
Statuto, assimilando la posizione delle Province autonome -  regolate
da disciplina speciale - a quella delle Regioni ordinarie. Del resto,
tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni  speciali
e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella
giurisprudenza  costituzionale:  v.  le  sentt.  82/2007,   353/2004,
39/1984, 98/2000, 133/2010. 
    Inoltre, il comma 448 viola l'art. 2 d.lgs. 266/1992,  in  quanto
esso presuppone la diretta  applicabilita'  delle  norme  richiamate,
mentre il d.lgs. 266/1992 esclude la diretta applicazione delle norme
statali in materia provinciale (come il coordinamento  della  finanza
pubblica). L'esistenza di un mero dovere di  adeguamento  alle  leggi
statali aventi finalita' di coordinamento della finanza  pubblica  e'
ribadita dallo stesso art. 79, comma 4, dello Statuto  speciale:  "La
regione e le province  provvedono  alle  finalita'  di  coordinamento
della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche   disposizioni
legislative  dello  Stato,  adeguando  la  propria  legislazione   ai
principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5". 
    Ne' il comma 448 potrebbe fondarsi sul riferimento  alla  "tutela
dell'unita'  economica  della  Repubblica",  che  evoca   il   potere
sostitutivo di cui all'art. 120 Cost.: basti dire che, per le materie
statutarie (il  coordinamento  della  finanza  pubblica  era  materia
concorrente gia' nel sistema  statutario),  restano  fermi  i  poteri
sostitutivi  previsti  dalle  norme  di  attuazione  (art.  8  d.P.R.
526/1987), come chiarito da codesta Corte nella sent. 236/2004. 
    D'altronde, il rinvio generico  fatto  ai  commi  da  449  a  472
risulta chiaramente incongruo, se si analizza il loro contenuto. 
    In particolare, i commi da 449 a 453 si  rivolgono  espressamente
alle sole Regioni ordinarie  e  l'estensione  dei  vincoli  che  esse
pongono alle autonomie speciali  in  quanto  "costituiscono  principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica" contraddice  il
regime specifico di cui tali autonomie - e in ogni caso la ricorrente
Provincia  -  godono  secondo  lo  Statuto.  Il  comma  454   esclude
espressamente la regione Trentino-Alto Adige e le  province  autonome
di Trento e di Bolzano dal proprio ambito di applicazione. Invece,  i
commi da 455 a 457, 459, nonche' da 461 a 465 si  rivolgono  anche  o
solo alla Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e alle 
    Province autonome di Trento e di Bolzano, e  sono  specificamente
impugnati nei punti che seguono. 
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 455 e 456. 
    Il comma 455 dispone che, "al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione Trentino-Alto  Adige  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano concordano con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni  dal  2013  al
2016, il saldo  programmatico  calcolato  in  termini  di  competenza
mista, determinato aumentando il saldo  programmatico  dell'esercizio
2011: a) degli importi indicati per il  2013  nella  tabella  di  cui
all'articolo 32, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n.  183;  b)
del contributo previsto dall'articolo 28, comma 3, del  decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201... come rideterminato dall'articolo 35, comma
4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1,...  e  dall'articolo  4,
comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16...; c) degli  importi
indicati nel decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,
relativi  al  2013,  2014,  2015  e  2016,  emanato   in   attuazione
dell'articolo 16, comma  3,  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.
95,...;  d)  degli  ulteriori  contributi  disposti  a  carico  delle
autonomie speciali". A tale fine, "entro il 31 marzo di ciascun anno,
il presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo al  Ministro
dell'economia e delle finanze". 
    Il comma 456 stabilisce che, "in caso di mancato accordo  di  cui
ai commi 454 e 455 entro il 31 luglio,... gli obiettivi della regione
Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di  Bolzano
sono determinati  applicando  agli  obiettivi  definiti  nell'accordo
relativo al 2011 i contributi previsti dal comma 455". 
    Dunque, il comma 455 prevede in teoria l'accordo tra la Provincia
ed il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  per  il  patto  di
stabilita', ma in realta' stabilisce  unilateralmente  che  il  saldo
programmatico  e'  "determinato  aumentando  il  saldo  programmatico
dell'esercizio 2011" dei contributi  previsti  da  alcune  leggi.  Il
comma  456  conferma  il  carattere  illusorio  della  determinazione
concordata del patto, in quanto rende facoltativo l'accordo. 
    I commi 455 e 456 violano, in primo luogo, l'art.  79,  comma  3,
primo periodo dello Statuto (secondo il quale "al fine di  assicurare
il concorso agli obiettivi di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le
province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli
obblighi relativi al patto di stabilita' interno con  riferimento  ai
saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo"), che assicura la
natura pattizia della regolazione degli obblighi relativi al patto di
stabilita' interno. 
    Inoltre,  essi  violano  il  principio  dell'accordo  in  materia
finanziaria, risultante dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze
n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e  n.
133 del 2010). 
    Ancora, le norme  sono  affette  da  irragionevolezza  in  quanto
internamente contraddittorie, perche' da un lato prevedono un accordo
e, dall'altro, lo vanificano tramite una definizione aprioristica del
suo contenuto. I commi 455 e 456 contraddicono anche il comma 458, in
base al quale "l'attuazione dei commi 454,  455  e  457  avviene  nel
rispetto degli statuti delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle
province autonome di Trento e di Bolzano e delle  relative  norme  di
attuazione". La Provincia e' legittimata a far valere il principio di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) perche' le norme impugnate rientrano in
materia provinciale (coordinamento della finanza pubblica) e incidono
sull'autonomia finanziaria della Provincia. 
    Il comma 456, in particolare, ha  per  effetto  la  vanificazione
della  previsione  di  un'intesa  di  natura  forte  con  lo   Stato,
prevedendo  che  al  "mancato  accordo"   segua   la   determinazione
unilaterale (predefinita dalla  legge)  degli  obiettivi  finanziari.
Cio' implica violazione del principio di leale collaborazione, che si
declina nell'art. 79, comma  3,  primo  periodo  e  nelle  norme  che
richiedono il consenso della Provincia per la disciplina dei rapporti
finanziari con lo Stato (artt. 104 e 107 Statuto speciale). 
    Il legislatore statale non puo' prevedere che la possibilita'  di
una decisione unilaterale scatti semplicemente "in  caso  di  mancato
accordo", dato che  cio'  "vanifica  la  previsione  dell'intesa,  in
quanto  attribuisce  ad  una  delle  parti  'un   ruolo   preminente,
incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata  [...]  dalla
paritaria codeterminazione dell'atto"' (sent.  121/2010);  e'  invece
necessario, come messo in luce dalla  giurisprudenza  costituzionale,
che il legislatore preveda meccanismi paritetici volti a superare  il
dissenso (sent. 383/2005). 
    Ma il punto decisivo e' che comunque - come sopra  esposto  -  di
fronte al  vincolo  posto  dall'art.  79,  comma  3,  dello  Statuto,
liberamente  e  volontariamente  posto  dallo  Stato  ad  un  livello
superiore a quello della  legislazione  ordinaria,  tale  legislatore
ordinario non puo' neppure esso stabilire una propria disciplina  per
il caso di mancato accordo. Per esercitare un potere  unilaterale  lo
Stato deve utilizzare una  fonte  di  rango  pari  o  superiore  allo
Statuto speciale, secondo le regole proprie delle sue diverse  parti.
E non occorre ricordare che lo Statuto speciale e'  esso  stesso  una
fonte statale, in parte di livello costituzionale,  in  parte  -  con
riferimento al Titolo VI - di livello subcostituzionale, ma  comunque
superiore alla legge ordinaria. 
9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 457. 
    Il comma 457 stabilisce che "le regioni a statuto speciale  e  le
province autonome di Trento  e  di  Bolzano  che  esercitano  in  via
esclusiva le funzioni in materia di finanza locale  definiscono,  per
gli enti locali dei rispettivi territori, nell'ambito  degli  accordi
di cui ai commi 454 e  455,  le  modalita'  attuative  del  patto  di
stabilita' interno mediante l'esercizio delle competenze alle  stesse
attribuite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme
di  attuazione  e   fermo   restando   l'obiettivo   complessivamente
determinato in applicazione dell'articolo 31 della legge 12  novembre
2011, n. 183". Inoltre, il comma 457 dispone che, "in caso di mancato
accordo, si applicano, per gli enti locali di cui al presente  comma,
le disposizioni previste in materia di patto  di  stabilita'  interno
per gli enti locali del restante territorio nazionale". 
    Anche tale disposizione risulta  illegittima,  come  puo'  essere
evidenziato sotto tre profili. 
    In primo luogo, essa prevede che la Provincia definisca il  patto
di stabilita' per gli enti locali "nell'ambito degli accordi  ci  cui
ai commi 454 e 455",  il  che  non  e'  conforme  allo  Statuto:  ne'
all'art. 79, comma 3 (secondo  il  quale  spetta  alla  Provincia  il
potere di "stabilire gli obblighi relativi  al  patto  di  stabilita'
interno e provvedere alle funzioni di coordinamento  con  riferimento
agli enti locali"), ne' agli artt. 80 e 81 (che prevedono la potesta'
legislativa concorrente in materia di finanza locale e  un  principio
di accordo con  i  comuni);  inoltre  e'  violato  l'art.  17  d.lgs.
268/1992 (che affida alla legge provinciale "i criteri per assicurare
un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti
all'assunzione   di    personale,    le    modalita'    di    ricorso
all'indebitamento,   nonche'    le    procedure    per    l'attivita'
contrattuale"). Sono tali disposizioni - e non gli "accordi di cui ai
commi 454 e 455 - a definire il quadro entro  il  quale  le  Province
definiscono il patto di stabilita' per i rispettivi enti locali. 
    Inoltre,  l'illegittimita'  del  comma  455  (il  comma  454  non
riguarda la ricorrente Provincia) si riverbera in  via  derivata  sul
comma 457. 
    Si noti che la Provincia di Trento esercita da  anni  la  propria
competenza in materia di finanza locale sulla base dell'art.  3  l.p.
36/1993, che - correttamente  e  legittimamente  attuando  le  citate
disposizioni - precisa  che  "in  sede  di  definizione  dell'accordo
previsto dall'articolo 81  dello  Statuto  speciale  sono  stabilite,
oltre alla quantita'  delle  risorse  finanziarie  da  trasferire  ai
comuni e agli altri enti locali, le misure necessarie a garantire  il
coordinamento  della  finanza  comunale  e  quella  provinciale,  con
particolare riferimento alle misure previste dalla legge  finanziaria
per  il  perseguimento  degli  obiettivi  della  finanza  provinciale
correlati al patto di stabilita' interno". 
    Inoltre, il comma  457  assoggetta  anche  gli  enti  locali  del
territorio della Provincia autonoma allo "obiettivo  complessivamente
determinato in applicazione dell'articolo 31" per gli enti locali del
restante territorio nazionale. 
    Ma cio' si pone in primo luogo in contrasto con  la  gia'  citata
clausola di salvaguardia di cui al comma 458: contrasto che - data la
puntualita' della disposizione impugnata - non  sembra  possa  essere
superato in via di interpretazione del comma 457. 
    Inoltre cio' si pone in contrasto con l'art. 79,  comma  3,  St.,
che  attribuisce  alle  Province,  "fermi  restando   gli   obiettivi
complessivi  di  finanza  pubblica",  il  potere  di  "stabilire  gli
obblighi relativi al patto di stabilita' interno  e  provvedere  alle
funzioni di coordinamento con  riferimento  agli  enti  locali".  Ne'
l'obiettivo complessivo del patto di stabilita'  relativo  agli  enti
locali delle regioni ordinarie (art. 31 legge  183/2011),  richiamato
nel comma 457, puo' essere confuso o identificato con gli  "obiettivi
complessivi di finanza pubblica" di cui all'art. 79,  comma  3,  St.,
che attengono ai  limiti  definiti  consensualmente  per  il  sistema
provinciale. 
    Infine, il comma 457 e' illegittimo  anche  la'  dove  regola  la
fattispecie del mancato accordo, stabilendo che in  caso  di  mancato
accordo si applichino le regole stabilite per  gli  enti  locali  del
restante  territorio   nazionale:   disposizione   che   frontalmente
contrasta con l'espressa previsione dell'art. 79,  comma  3,  secondo
cui "non si applicano le misure adottate per le  regioni  e  per  gli
altri enti nel restante territorio nazionale".  Inoltre,  valgono  le
medesime ragioni  gia'  illustrate  a  proposito  dell'analoga  nonna
contenuta nel comma  456,  che  sia  consentito  qui  di  richiamare.
Ancora, la diretta applicazione agli enti locali della  provincia  di
norme statali contraddice l'esclusiva responsabilita' della Provincia
per il coordinamento finanziario degli enti locali (art. 79, comma 3,
secondo  periodo,   dello   Statuto),   la   competenza   legislativa
provinciale in materia di finanza locale (artt. 80 e 81  St.  e  art.
17, comma 3, d.lgs. 268/1992), e l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992,
che subordina la diretta applicazione di sopravvenute  norme  statali
all'accertamento da parte di codesta ecc.ma Corte costituzionale  del
mancato adeguamento della legislazione provinciale. 
10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 459. 
    Il comma 459 dispone che "le regioni  a  statuto  speciale  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano concorrono  al  riequilibrio
della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai  commi  454,
455 e 457, anche con misure finalizzate a produrre un  risparmio  per
il bilancio dello  Stato,  mediante  l'assunzione  dell'esercizio  di
funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite
dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria;
tali norme di attuazione  precisano  le  modalita'  e  l'entita'  dei
risparmi per il bilancio dello Stato da ottenere in modo permanente o
comunque per annualita' definite". 
    Anche tale disposizione  eccede  la  competenza  del  legislatore
ordinario.  Infatti,  la  fattispecie  dell'assunzione  di   funzioni
statali e' anch'essa disciplinata  dall'art.  79  dello  Statuto,  il
quale dispone che "le province concorrono...  all'assolvimento  degli
obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario,
dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento
della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale:...  c)  con
il concorso  finanziario  ulteriore  al  riequilibrio  della  finanza
pubblica mediante l'assunzione di  oneri  relativi  all'esercizio  di
funzioni statali, anche delegate, definite d'intesa con il  Ministero
dell'economia e  delle  finanze,  nonche'  con  il  finanziamento  di
iniziative e di progetti, relativi  anche  ai  territori  confinanti,
complessivamente in misura  pari  a  100  milioni  di  curo  annui  a
decorrere dall'anno 2010 per ciascuna  provincia".  Nel  comma  2  si
aggiunge che "le misure di cui al comma 1 possono  essere  modificate
esclusivamente con la procedura prevista  dall'articolo  104  e  fino
alla loro eventuale  modificazione  costituiscono  il  concorso  agli
obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1". 
    Poiche'  e'  pacifico  che  il  legislatore  ordinario  non  puo'
sovrapporsi alla speciale disciplina dettata dallo  Statuto,  se  non
con la procedura di cui all'art. 104 St., ne risulta  in  modo  piano
l'illegittimita' della disposizione impugnata. 
    Il comma 459 viola anche l'art.  107  St.,  perche'  pretende  di
vincolare,  in  parte,  il  contenuto  delle  norme   di   attuazione
statutaria. 
11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 461-465. 
    I commi da 461 a 465 prevedono le  condizioni  per  l'adempimento
del patto di stabilita',  i  casi  di  inadempimento  e  le  relative
sanzioni, anche in relazione alla Provincia di Trento. 
    Il comma 461 dispone che, "ai fini della  verifica  del  rispetto
degli obiettivi del patto di stabilita' interno, ciascuna  regione  e
provincia autonoma e' tenuta ad inviare, entro il termine  perentorio
del 31  marzo  dell'anno  successivo  a  quello  di  riferimento,  ai
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  -   Dipartimento   della
Ragioneria generale dello Stato una certificazione, sottoscritta  dal
rappresentante legale e dal responsabile  del  servizio  finanziario,
secondo i prospetti e con le modalita' definite dal decreto di cui al
comma 460".  La  disposizione  prosegue  statuendo  che  "la  mancata
trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del  31
marzo costituisce inadempimento al patto di stabilita' interno";  nel
caso "in cui la certificazione, sebbene trasmessa in ritardo, attesti
il rispetto del patto, si  applicano  le  sole  disposizioni  di  cui
all'articolo 7, comma  1,  lettera  d),  del  decreto  legislativo  6
settembre 2011, n. 149". 
    Il comma 462 stabilisce quanto segue: 
        "In caso di mancato rispetto del patto di stabilita'  interno
la Regione o la Provincia autonoma inadempiente, nell'anno successivo
a quello dell'inadempienza: a) e' tenuta a  versare  all'entrata  del
bilancio statale, entro sessanta giorni dal termine stabilito per  la
trasmissione della certificazione relativa al rispetto del  patto  di
stabilita' interno, l'importo corrispondente alla differenza  tra  il
risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato.  Per
gli enti per i quali il patto di stabilita' interno  e'  riferito  al
livello della spesa, si assume quale  differenza  il  maggiore  degli
scostamenti registrati in termini di cassa o di competenza. Dal 2013,
per gli enti per i quali il patto di stabilita' interno  e'  riferito
al livello della spesa, si assume quale differenza il maggiore  degli
scostamenti registrati in termini di competenza eurocompatibile o  di
competenza finanziaria. In caso di mancato versamento si procede, nei
sessanta giorni successivi, al recupero di detto scostamento a valere
sulle giacenze  depositate  nei  conti  aperti  presso  la  tesoreria
statale. Trascorso inutilmente il termine perentorio stabilito  dalla
normativa vigente per la trasmissione della certificazione  da  parte
dell'ente territoriale, si procede al blocco  di  qualsiasi  prelievo
dai conti della tesoreria statale sino a quando la certificazione non
viene acquisita[...]; b) non puo' impegnare spese correnti, al  netto
delle spese per la sanita', in misura superiore  all'importo  annuale
minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio; c)
non puo' ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; i mutui  e
i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni  creditizie
e finanziarie per il finanziamento degli investimenti  devono  essere
corredati da apposita attestazione da cui  risulti  il  conseguimento
degli  obiettivi  del  patto  di  stabilita'   interno   per   l'anno
precedente. L'istituto finanziatore o l'intermediario finanziario non
puo' procedere al finanziamento o a]  collocamento  del  prestito  in
assenza  della  predetta  attestazione;  d)  non  puo'  procedere  ad
assunzioni  di  personale  a  qualsiasi  titolo,   con   qualsivoglia
tipologia contrattuale, ivi compresi  i  rapporti  di  collaborazione
coordinata  e  continuativa  e   di   somministrazione,   anche   con
riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E' fatto altresi'
divieto di stipulare contratti di servizio che  si  configurino  come
elusivi della presente disposizione; e) e' tenuta a rideterminare  le
indennita' di funzione ed i gettoni di presenza del Presidente e  dei
componenti della Giunta con una riduzione del 30 per  cento  rispetto
all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010". 
    Il comma 463 dispone che "le regioni e le  province  autonome  di
Trento  e  di  Bolzano  che  si  trovano  nelle  condizioni  indicate
dall'ultimo periodo dell'articolo 7, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 149, si  considerano  adempienti  al
patto  di  stabilita'  interno  se,  nell'anno  successivo:  a)   non
impegnano spese correnti, al netto delle spese  per  la  sanita',  in
misura  superiore  all'importo  annuale  minimo  dei   corrispondenti
impegni   effettuati   nell'ultimo   triennio;   b)   non   ricorrono
all'indebitamento  per  gli  investimenti;  c)   non   procedono   ad
assunzioni di personale a qualsiasi titolo con qualsivoglia tipologia
contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata  e
continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi
di stabilizzazione in atto"; dispone ancora che "e' fatto,  altresi',
divieto di stipulare contratti di servizio che  si  configurino  come
elusivi  della  presente  disposizione",  che   "a   tal   fine,   il
rappresentante legale e  il  responsabile  del  servizio  finanziario
certificano trimestralmente il rispetto delle condizioni di cui  alle
lettere a)  e  b)  e  di  cui  alla  presente  lettera",  e  che  "la
certificazione e' trasmessa,  entro  i  dieci  giorni  successivi  al
termine di ciascun trimestre,  al  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze - Dipartimento della Ragioneria generale  dello  Stato";  che
"in caso di mancata trasmissione della certificazione, le regioni  si
considerano inadempienti al patto di stabilita' interno", e  che  "lo
stato di inadempienza e le sanzioni previste, ivi compresa quella  di
cui all'articolo 7, comma 1, lettera a), del  decreto  legislativo  6
settembre 2011, n. 149, hanno effetto decorso il  termine  perentorio
previsto per l'invio della certificazione". 
    In base al comma 464, "alle regioni e alle province  autonome  di
Trento e di  Bolzano,  per  le  quali  la  violazione  del  patto  di
stabilita' interno sia accertata successivamente all'anno seguente  a
quello cui  la  violazione  si  riferisce,  si  applicano,  nell'anno
successivo a quello in cui e' stato accertato il mancato rispetto del
patto di stabilita' interno, le sanzioni di cui  al  comma  462";  e'
inoltre disposto che "in tali casi, la comunicazione della violazione
del patto e' effettuata al Ministero dell'economia e delle finanze  -
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato  entro  30  giorni
dall'accertamento della violazione da parte degli uffici dell'ente". 
    Infine, in base al comma 465 "i contratti di servizio e gli altri
atti posti in essere dalle  regioni  e  dalle  province  autonome  di
Trento e di Bolzano che si configurano elusivi delle regole del patto
di stabilita' interno sono nulli". 
    Ad avviso della ricorrente Provincia anche tali disposizioni sono
illegittime per violazione dell'art. 79 St., che pone le  regole  per
la definizione del  patto  di  stabilita',  precisando  che  "non  si
applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti  nel
restante territorio nazionale" (comma 3) e  in  particolare  che  "le
disposizioni  statali  relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di
perequazione e di solidarieta', nonche' al  rispetto  degli  obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo" (comma 4). 
    E' evidente, nella disposizione concordata dell'art. 79  Statuto,
l'intento di creare una disciplina del patto di stabilita' completa e
completamente   sostitutiva   della   normativa   statale   ordinaria
concernente  il  patto  di  stabilita',  codificando  la   permanente
specialita',     sotto     questo     profilo,     della      Regione
Trentino-Alto/Südtirol. 
    Ugualmente, e' evidente che le disposizioni  qui  impugnate  sono
"relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di  perequazione  e   di
solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal  patto
di stabilita' interno" e che dunque esse  "non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province" e sono  "sostituite  da
quanto previsto dal presente articolo": in questo caso come "in  ogni
caso", secondo l'espressa previsione dell'art. 79 Statuto. 
    E'  dunque  illegittima,   nelle   impugnate   disposizioni,   la
previsione che esse si applichino alla ricorrente Provincia. 
    Posto il quadro statutario,  il  legislatore  statale  ordinario,
infatti, non puo' definire unilateralmente le condizioni  perche'  la
Provincia sia considerata  adempiente  al  patto  di  stabilita',  le
fattispecie di inadempimento e le sanzioni, in  violazione  del  gia'
illustrato principio consensuale che domina i rapporti finanziari fra
Stato e Regioni speciali e degli  artt.  103,  104  e  107  St,,  che
richiedono o il procedimento di revisione costituzionale  o  comunque
un procedimento concertato per la modifica o attuazione del Titolo VI
dello Statuto. 
    Nel  caso  in  cui  le  norme  succitate  fossero   intese   come
applicabili anche in relazione agli obblighi concernenti il patto  di
stabilita' degli enti locali, esse violerebbero l'art. 79,  comma  4,
dello Statuto (sopra citato) e l'art. 79, comma 3, in base  al  quale
spetta alle Province stabilire gli  obblighi  relativi  al  patto  di
stabilita' interno e provvedere alle funzioni  di  coordinamento  con
riferimento agli enti locali, mentre  "non  si  applicano  le  misure
adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante  territorio
nazionale"; inoltre, viene stabilito che "le  province  vigilano  sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli
enti di cui al presente comma". 
    Inoltre,  sarebbero  violati  gli  artt.  80  e   81   St.,   che
garantiscono competenza  legislativa  alle  Province  in  materia  di
finanza  locale,  e  l'art.  17,  comma  3,  d.lgs.   268/1992,   che
attribuisce alle Province il potere  di  disciplinare  "con  legge  i
criteri  per  assicurare  un  equilibrato  sviluppo   della   finanza
comunale, ivi compresi  i  limiti  all'assunzione  di  personale,  le
modalita' di ricorso  all'indebitamento,  nonche'  le  procedure  per
l'attivita' contrattuale". 
    Tale potesta' legislativa e' stata attuata con la  l.p.  36/1993,
il cui art. 3 - come visto - dispone  che  "in  sede  di  definizione
dell'accordo previsto dall'articolo 81 dello  Statuto  speciale  sono
stabilite... le misure necessarie a garantire il coordinamento  della
finanza comunale e quella provinciale,  con  particolare  riferimento
alle misure previste dalla legge  finanziaria  per  il  perseguimento
degli obiettivi della  finanza  provinciale  correlati  al  patto  di
stabilita' interno". 
    Le norme in questione,  dunque,  pretendono  di  sovrapporsi  con
diretta applicabilita' ad una disciplina gia' vigente  in  provincia,
con conseguente violazione dell'art. 2 d.lgs. 266/1992.