Ricorso della Regione Autonoma della Sardegna (cod. fisc. 80002870923) con sede legale in 09123 Cagliari, Viale Trento n. 69, in persona del Presidente pro tempore dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto, dagli avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc. LDDTZN52T59B354Q, fax 0706062418, posta elettronica certificata tledda@pec.regione.sardegna.it) e prof. Massimo Luciani (cod. fisc. LCNMSM52L23H501G; fax 0690236029; posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), elettivamente domiciliata presso lo Studio del secondo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio n. 9, contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 118, 131, 132, 138, 141, 142, 143, 145, 146, 299, 380, 387, 454, 456, 457, 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465, 466 e 554, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2012, suppl. ord. n. 212, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilita' 2013). F a t t o 1. - La legge 24 dicembre 2012, n. 228, pubbl. nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2012, suppl. ord. n. 212, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilita' 2013), si compone di un unico articolo, del quale fanno parte 561 commi. Detta legge, nel dettare le disposizioni di bilancio per il triennio 2013-2015, ha disciplinato una vasta pluralita' di oggetti, tra i quali - per citare solo alcuni aspetti di quanto qui interessa direttamente - i contributi di finanza pubblica a carico delle Regioni (commi 118 e 132); la destinazione delle somme recuperate all'evasione fiscale (comma 299); l'imposta municipale propria - IMU (comma 380); il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (comma 387) la modifica del tributo sui servizi la disciplina del patto di stabilita' interno (commi 448-472); la previsione di diretta applicabilita' della legge medesima alle Regioni a statuto speciale (comma 554); etc. Alla realizzazione della complessiva manovra di finanza pubblica varata con la legge n. 228 del 2012 sono state chiamate anche le autonomie territoriali, ma per alcuni significativi profili in forme e con contenuti del tutto illegittimi. Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni della ricorrente, sono, nelle parti indicate in epigrafe e che appresso meglio si identificheranno, le disposizioni di cui ai commi 118, 131, 132, 138, 141, 142, 143, 145, 146, 299, 380, 387, 454, 456, 457, 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465, 466 e 554 dell'art. 1. Esse debbono essere pertanto dichiarate costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di D i r i t t o Premessa. In via del tutto preliminare, al fine di agevolare lo svolgimento delle ulteriori argomentazioni senza dover tediare codesta Ecc.ma Corte costituzionale con inutili ripetizioni, si osserva che varra' di qui in avanti la precisazione che gli articoli della Costituzione che riconoscono attribuzioni costituzionali alle Regioni ordinarie sono richiamati ai sensi dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, che estende alle Regioni a statuto speciale le disposizioni di maggior favore previste per le Regioni ordinarie nelle more della revisione dei loro statuti. In tutte queste occasioni, pertanto, detta previsione di rango costituzionale deve intendersi richiamata, essa pure, quale parametro. 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 118, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. L'art. 1, comma 118, della legge n. 228 del 2012 prevede che «all'articolo 16, comma 3, quarto periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dopo le parole: "degli importi" sono inserite le seguenti: "incrementati di 500 milioni di euro annui"». Per comodita' d'esposizione, giova riportare il contenuto dell'intero art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 (segnalando le modifiche qui in oggetto con il carattere grassetto): «Con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo del concorso complessivo di cui al primo periodo del presente comma e' annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, sulla base di apposito accordo sancito tra le medesime autonomie speciali in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno. In caso di mancato accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'accantonamento e' effettuato, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da emanare entro il 15 febbraio di ciascun anno, in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal SIOPE. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al citato articolo 27, gli obiettivi del patto di stabilita' interno delle predette autonomie speciali sono rideterminati tenendo conto degli importi incrementati di 500 milioni di euro annui derivanti dalle predette procedure». Si deve altresi' segnalare che la ricorrente ha gia' impugnato l'art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, nella formulazione risultante a seguito di conversione in legge n. 135 del 2012, lamentando la violazione del principio di leale collaborazione, degli artt. 117 e 119 Cost. e degli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto. Il ricorso, rubricato al n. 160 del Reg. Ric. 2012, e' al momento pendente. La disposizione qui in esame, nell'aumentare di ulteriori 500 milioni di euro annui la «rideterminazione» del patto di stabilita' interno in conseguenza del contributo di finanza pubblica previsto nell'art. 16, comma 3, primo periodo, del d.l. n. 95 del 2012, produce una pluralita' di effetti, in ragione dei quali la riconente non puo' esimersi dal richiedere un nuovo intervento di codesta Ecc.ma Corte costituzionale. In primo luogo, infatti, il legislatore statale ha inteso confermare un illegittimo meccanismo di contributo regionale alla finanza pubblica, che e' lesivo dell'autonomia finanziaria regionale. In secondo luogo, il legislatore ha aggravato, per una cifra assai elevata il pregiudizio economico derivante alle Regioni autonome dal contributo di finanza pubblica previsto dall'art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012. Infine, lo Stato ha previsto che detto maggior pregiudizio fosse scontato direttamente irrigidendo i limiti del patto di stabilita' regionale. Come appresso si confida di dimostrare, questo elemento comporta un danno ed una lesione delle attribuzioni d'autonomia della ricorrente ancor piu' gravi e odiosi. Cio' considerato, di seguito si ripropongono, con le dovute precisazioni e modificazioni, le censure gia' prospettate avverso l'art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012. 1.1. - Il contributo richiesto alle Regioni, tra le quali e' la ricorrente, dall'art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, ora ulteriormente incrementato dalla disposizione che qui si censura nella forma dell'ulteriore limitazione di spesa connessa al patto di stabilita', non e' straordinario o limitato nel tempo, ma cresce fino a toccare l'enorme somma di «1,575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015» (e quindi di li' in avanti senza limiti temporali), cui si sommano gli ulteriori 500 milioni di euro previsti dal comma qui in esame, anch'essi dovuti dalle autonomie speciali a tempo indeterminato. Se questo e', come e', vero, il comma 118 dell'art. 1 del d.l. n. 95 del 2012, nell'aggravare un contributo posto a carico delle Regioni speciali di ulteriori 500 milioni di euro, viola i principi che codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricavato dal testo costituzionale a presidio dei rapporti finanziari tra Stato e Regione. Nella sent. n. 82 del 2007 e' stato affermato che le «limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» possono darsi solamente «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale». La disposizione in esame, invece, non pone vincoli transitori, ma definitivi. Nella recentissima sent. n. 193 del 2012, poi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricordato di essersi «espressa sulla non incompatibilita' con la Costituzione delle misure disposte con l'art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 2010, sul presupposto - richiesto dalla propria costante giurisprudenza - che possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che "si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi" (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)». Poiche' il comma 118 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 aumenta di ulteriori 500 milioni di euro il contributo gia' previsto a carico delle Regioni dall'art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 per un periodo di tempo indeterminato, e' violato anche l'art. 117, comma 3, Cost., in quanto il legislatore, determinando un obbligo finanziario temporalmente indefinito per la Regione, ha esorbitato dalla propria competenza concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica». La disposizione in commento, per le stesse ragioni, viola gli artt. 7 dello Statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna. Violato e' anche l'art. 119, comma 4, Cost., in quanto il contributo richiesto dallo Stato, che si somma a quello gia' richiesto in via originaria dall'art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, impedisce, di fatto, alla Regione di provvedere all'integrale finanziamento delle funzioni pubbliche di cui e' titolare in ragione della Costituzione, dello Statuto e della legge in generale. Per la stessa ragione, sono violati gli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, in quanto il nuovo maggior contributo di finanza pubblica disposto dal comma in esame, che si aggiunge a quello gia' indicato dal d.l. n. 95 del 2012, impedisce di fatto alla Regione di esercitare la potesta' amministrativa che, in forza del c.d. «principio del parallelismo» dettato dall'art. 6 dello Statuto, le spetta nelle materie di sua competenza, elencate - appunto - negli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto. 1.2. - Si deve poi considerare che, al di la' dell'ulteriore sacrifico sul piano della spesa e del patto di stabilita' imposto dalla novellazione qui contestata, il nuovo maggior contributo di finanza pubblica previsto dal comma in esame in capo viene garantito allo Stato attraverso un meccanismo di accantonamento delle risorse «a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali», che e' particolarmente odioso per la Regione Sardegna (si ricordi qui e in avanti che il comma in questione prevede che si debbano seguire le forme - di maggior garanzia per le autonomie speciali - previste dalla legge n. 42 del 2009, ma a quasi quattro anni dall'approvazione di detta legge, le procedure ivi previste sono ancora rimaste lettera morta). Come e' noto a codesta Ecc.ma Corte costituzionale (si v. le sentt. n. 99 e 118 del 2012, nonche' il pendente ricorso rubricato al Reg. Conti. Enti n. 9/2012), la Regione ancora attende (ormai da due anni e nove mesi) che lo Stato dia completa e corretta esecuzione al nuovo regime di compartecipazione alle entrate erariali previsto dall'art. 8 dello Statuto, come riformato dall'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006. Il fatto che lo Stato, inadempiente ai doveri cui si e' autovincolato con la riforma dello Statuto, oggi confermi le pretese illegittime gia' avanzate con il d.l. n. 95 del 2012 rende ancor piu' evidenti i vizi ora contestati. 1.2.1. - Ai sensi del novellato art. 8 dello Statuto, invero, le entrate della Regione Sardegna derivano «a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici». 1.2.2. - E' appena il caso di rievocare la vicenda che - come e' ben noto a codesta Ecc.ma Corte costituzionale - ha condotto all'approvazione del novellato testo statutario, ora riportato. La riforma dell'art. 8 dello Statuto, invero, si rese necessaria per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione complessiva della realta' economico-finanziaria territoriale e nazionale. Di questo e' testimonianza il carteggio intervenuto tra il Ragioniere Generale dello Stato e la medesima Regione tra l'agosto e il settembre del 2005, relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per le finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. Con nota del 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, il Ragioniere Generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva una determinazione annuale in merito, una proposta di quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A. «nell'attesa che si proceda alla revisione dell'ordinamento finanziario che consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a quota fissa», e che tale proposta era stata predisposta «abbandonando [...] il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel tempo la progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento di garanzia previsto dallo Statuto, che mirava a consentire il tempestivo adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione». Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere Generale rappresentava che «il gettito IRPEF regionale [...] registra una crescita, nell'arco temporale considerato [1991-2003], pari all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale». E' proprio in considerazione della palese insufficienza (esplicitamente riconosciuta dallo Stato) del quadro finanziario delle entrate regionali che si e' addivenuti alla seconda modifica dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e' gia' detto, nel 2006, con la quale - fra l'altro - si e' aggiunto il canale di finanziamento relativo ai «sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici» e - per l'appunto in coerenza con i rilievi sopra riportati - si e' introdotta la quota fissa di compartecipazione all'I.V.A. maturata nella Regione Sardegna (v., rispettivamente, lettere m) e f) dell'art. 8, comma 1, nella formulazione vigente). Risulta dunque per tabulas, sia dalla posizione assunta dallo Stato nell'interlocuzione con la Regione, sia (e soprattutto) dal contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il regime delle entrate regionali e' stato modificato al fine permettere alla Sardegna di assolvere ai propri compiti istituzionali, in considerazione delle condizioni fattuali e normative maturate nel tempo (in particolare, dell'accollo alla Regione di alcune funzioni supplementari, come tutte quelle in materia di sanita', di trasporti e di continuita' territoriale). Orbene: non solo, allo stato, e nonostante le puntuali affermazioni di codesta Ecc.ma Corte nelle sentenze n. 99 e 112 del 2012, il nuovo regime statutario non ha ancora avuto compiuta esecuzione, ma si pretende anche, adesso, di sottrarre alla Regione Sardegna ulteriori risorse e capacita' di spesa, quando lo stesso Stato - come si e' visto - ha riconosciuto la necessita' di assegnarne di supplementari. Il che, si ripete, determina la violazione dell'art. 8 dello Statuto, ma si risolve anche in violazione (in combinato) del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., per l'evidente contraddittorieta' degli interventi normativi succedutisi nel tempo. 1.3. - Non basta. Come gia' si accennava, l'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 16 del d.l. n. 95 del 2012 (quello esplicitamente interpolato dalla novella recata dall'art. 1, comma 118, della legge n. 228 del 2012 qui impugnata), prevede che il contributo di finanza pubblica imposto alle Regioni comporti che «gli obiettivi del patto di stabilita' interno delle [...] autonomie speciali sono rideterminati tenendo conto degli importi incrementati di 500 milioni di euro annui derivanti dalle predette procedure». Tanto produce un ulteriore effetto lesivo in danno della ricorrente. La Regione Autonoma della Sardegna, infatti, non e' solo in attesa di una compiuta esecuzione, da parte dello Stato, della riforma dell'art. 8 dello Statuto, ma sta subendo l'ingiustificata opposizione, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, all'innalzamento del tetto degli impegni e dei pagamenti valido ai sensi del patto di stabilita' e crescita. Si tratta di una questione ben nota a codesta Ecc.ma Corte costituzionale, che ha scrutinato la vicenda nella sent. n. 118 del 2012 (e che dovra' su di essa ulteriormente pronunciarsi, a seguito del ricorso proposto dall'odierna ricorrente avverso la legge n. 182 del 2012, rubricata al n. 196 del Reg. Ric. 2012). In quel caso la Regione Sardegna, ricorrente oggi come allora, si doleva del rifiuto del MEF di aderire alla proposta di patto di stabilita' formulata dalla Regione ai sensi dell'art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010, nella quale si richiedeva un (parziale e prudenziale) innalzamento degli impegni e dei pagamenti permessi nel regime di patto di stabilita', in ragione dell'innalzamento del livello delle entrate derivante dal nuovo regime delle entrate regionali previsto dall'art. 8 dello Statuto. Codesta Ecc.ma Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, affermando che il MEF non aveva inteso «sottrarsi all'accordo attraverso una controproposta chiusa al successivo confronto con la Regione, che possa intendersi come "imposizione" o presa di posizione in senso preclusivo al raggiungimento di un atto consensuale», sicche' «il mancato perfezionamento dell'accordo» sarebbe stato «del tutto fisiologico, perche' transitorio e rimesso all'ulteriore confronto tra le parti». Tale rilievo - lo si permetta di dire - suonava anche come un monito allo Stato, in quanto nella cit. sent. n. 118 del 2012 codesto Ecc.mo Collegio si e' anche e soprattutto premurato di individuare quali debbano essere i termini del patto di stabilita' tra Stato e Regione Sardegna: «il contenuto dell'accordo deve essere compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilita', della cui salvaguardia anche le Regioni a statuto speciale devono farsi carico e contemporaneamente deve essere conforme e congruente con le norme statutarie della Regione, ed in particolare con l'art. 8 dello statuto modificato - per effetto del meccanismo normativa introdotto dall'art. 54 dello statuto stesso - dall'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 [...]. Quest'ultimo ha rideterminato e quantificato le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della Regione autonoma Sardegna», sicche' «ne consegue che "l'equilibrio del bilancio" [...] non potra' che realizzarsi all'interno dello spazio finanziario delimitato, in modo compensativo, dalle maggiori risorse regionali risultanti dalla entrata in vigore dell'art. 8 dello statuto (con decorrenza dal 1° gennaio 2010 per effetto dell'art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006) e dalla riduzione della spesa conseguente alla applicazione del patto di stabilita' 2011», in quanto «il principio inderogabile dell'equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell'entrata». Nonostante la chiarissima ricostruzione dei contenuti (lo si deve sottolineare: non meri criteri o direttive per le parti contraenti, ma veri contenuti) del patto di stabilita', lo Stato non ha inteso fare proprio l'insegnamento della Corte, tanto che nel 2011 non vi e' stato alcun accordo sul patto di stabilita' e che ancora nel 2012 il MEF ha nuovamente negato il proprio assenso all'innalzamento dei livelli degli impegni e dei pagamenti ai fini del patto di stabilita'. Infatti, con Nota 17 luglio 2012, prot. n. 0054891, il Ragioniere Generale dello Stato, «pur comprendendo le esigenze di codesta Regione di trasfondere sulla propria potenzialita' di spesa la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario», affermava che la richiesta di un innalzamento del livello di spesa per il patto necessiterebbe «di un intervento legislativo volto ad individuare la corrispondente compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto», sicche', «in assenza di una disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore di codesta Regione» si osservava che, «a livello tecnico, non sussist[o]no margini per un ampliamento del tetto dei pagamenti». La Regione ha impugnato la predetta Nota dinanzi al TAR della Sardegna (R. Ric. n. 914/2012), lamentando, in estrema sintesi, il fatto che lo Stato ha espressamente disatteso le statuizioni dell'Ecc.ma Corte costituzionale, negando l'assenso al doveroso innalzamento del livello delle spese ai fini del patto di stabilita' (e solo con esplicito diniego di acquiescenza la Regione, per evitare la paralisi, ha conseguito una intesa tecnica con il Ministero con la Nota 26 novembre 2012, prot. n. 7982). In altri termini, mentre prima della sent. n. 118 del 2012 vi poteva essere qualche elemento controvertibile circa gli effetti della riforma dell'art. 8 dello Statuto sul patto di stabilita', codesto Ecc.mo Collegio ha definitivamente chiarito le questioni controverse, sicche' il MEF dovrebbe semplicemente attenersi a tali indicazioni (cosa che non e' avvenuta). Tutto cio' considerato, gli effetti della novella recata dall'art. 1, comma 118, della legge n. 228 del 2012 sono a piu' forte ragione pregiudizievoli e illegittimi per la Regione perche' determinano un sacrifico per la finanza regionale in violazione dell'autonomia finanziaria regionale (artt. 7 dello Statuto e 119 Cost.) e della competenza regionale nella materia «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, comma 3, Cost.), decurtando di una maggiore e ulteriore somma il livello delle spese ammesse ai fini del patto di stabilita'. Poiche', pero', il livello massimo delle spese ammesse dal patto di stabilita' ancora attende di essere aumentato in ragione della riforma dell'art. 8 dello Statuto, un'ulteriore diminuzione del livello delle spese si traduce necessariamente e immediatamente nella violazione del medesimo art. 8 dello Statuto. La violazione dell'art. 8 dello Statuto e l'ulteriore illegittimo abbassamento del livello delle spese permesse alla ricorrente secondo il meccanismo del patto di stabilita', abbassamento intervenuto senza che il patto fosse stato adeguato alle nuove maggiori entrate previste dall'art. 8 dello Statuto, si risolve anche in una ulteriore lesione dell'autonomia finanziaria della Regione, con contestuale violazione degli artt. 7 dello Statuto e 117 e 119 Cost., che tale autonomia tutelano, anche nella forma della competenza legislativa concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica» (che risulta azzerata dalla disposizione censurata, che irragionevolmente aumenta il sacrificio per la Regione Sardegna, in assenza di qualunque valido presupposto). La violazione dell'art. 8 dello Statuto, come gia' rilevato, si apprezza anche in combinato disposto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.: e' assolutamente irragionevole opporre alla Regione Sardegna ulteriori e gravosi limiti alla capacita' di spesa derivante dal meccanismo del patto di stabilita' prima che lo stesso livello delle spese assentite dal patto di stabilita' sia stato adeguato alla nuova formulazione dell'art. 8 dello Statuto. Per le stesse ragioni, come gia' si diceva, sono violati gli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, in quanto la Regione, in ragione dell'abbassamento del livello delle spese, sara' ulteriormente impossibilitata a svolgere le funzioni pubbliche assegnatele da detti parametri statutari. 1.4. - Per mero tuziorismo, e' opportuno precisare, sul punto (ma, per economia processuale, a valere anche per le necessarie occasioni in cui detto parametro sara' qui invocato), che la violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia puo' e deve essere censurata sebbene l'art. 8 di tale Statuto sia stato modificato con legge ordinaria, ai sensi del successivo art. 54. La qualita' di parametri dei giudizi di legittimita' costituzionale, invero, deve essere riconosciuta anche alle disposizioni del Titolo III dello Statuto speciale della Sardegna che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo, possono essere modificate con legge ordinaria, previo parere della Regione. Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e' stato definito un processo di «decostituzionalizzazione» (come codesta Ecc.ma Corte ha affermato nella sent. n. 70 del 1987), costituiscono pur sempre precetti che il legislatore statale deve rispettare, in quanto il procedimento di modificazione della norma statutaria e' comunque «assistito da una garanzia del tutto peculiare a favore della Regione sarda», sicche' la legge statale non puo' derogare la norma in questione, ma puo' solo modificarla con lo speciale procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi' ancora la cit. sent. n. 70 del 1987, cui adde le pur meno dirette affermazioni della sent. n. 215 del 1996). 1.5. - Infine, gli artt. 117 e 119 Cost. e 7 e 8 dello Statuto sono violati anche sotto il profilo del principio di leale collaborazione. La giurisprudenza costituzionale ha ben messo in evidenza che «il metodo dell'accordo, introdotto per la prima volta dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), seguito dall'art. 28, comma 15, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), e riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate, dalla legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000), fino alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), deve essere tendenzialmente preferito ad altri» metodi di regolazione della spesa delle Regioni a statuto speciale, «dato che "la necessita' di un accordo tra lo Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi"» (sent. n. 82 del 2007). Questo perche' «l'accordo e' lo strumento, ormai consolidato (in quanto gia' presente nella legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante "Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica" e poi confermato da tutte le disposizioni che si sono occupate successivamente della materia) per conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata (ex plurimis sentenza n. 353 del 2004)» (sent. n. 118 del 2012). Ebbene, in questo caso lo Stato ha impedito che il metodo dell'accordo potesse funzionare correttamente. Si deve ricordare quanto gia' osservato nel ricorso pendente dinanzi codesta Corte costituzionale e rubricato al n. 196 del Reg. Ric. 2012, e cioe' che il Ministero dell'economia e delle finanze, in sede di negoziazione del patto di stabilita', avrebbe potuto e dovuto tenere conto delle nuove disponibilita' finanziarie della Regione Sardegna, connesse alla riforma dell'art. 8 dello Statuto. Nondimeno, poiche' tale tesi e' stata respinta proprio dallo Stato, che ha ritenuto necessaria un'intermediazione legislativa, a tanto si sarebbe dovuto procedere in questa sede, disegnando un quadro normativo generale idoneo alla applicazione coerente del metodo dell'accordo. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 131 e 132, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Anche i commi 131 e 132 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 recano disposizioni che innovano le previsioni del d.l. n. 95 del 2012, o attraverso una specifica novellazione del testo (comma 131) o attraverso ulteriori aggravamenti della condizione della finanza regionale (comma 132). L'art. 1, comma 131, della legge n. 228 del 2012 prevede che «Al fine di razionalizzare le risorse in ambito sanitario e di conseguire una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi, anche al fine di garantire il rispetto degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, al comma 13 dell'articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135: a) alla lettera a), dopo le parole: "dalla data di entrata in vigore del presente decreto" sono inserite le seguenti: "e del 10 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2013 e" ed e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza con specifico riferimento alle esigenze di inclusione sociale, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario di cui alla presente lettera adottando misure alternative, purche' assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario"; b) alla lettera f), le parole: "al valore del 4,9 per cento e, a decorrere dal 2014, al valore del 4,8 per cento" sono sostituite dalle seguenti; "al valore del 4,8 per cento e, a decorrere dal 2014, al valore del 4,4 per cento"». Per comodita' d'esposizione conviene riportare le lettere a) e f) del comma 13 dell'art. 15 del d.l. n. 95 del 2012, novellate dal comma 131 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 (le modifiche al testo originario sono evidenziate con caratteri in «grassetto»): «al fine di razionalizzare le risorse in ambito sanitario e di conseguire una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi: a) [...] gli importi e le connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, con esclusione degli acquisti dei farmaci, stipulati da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, sono ridotti del 5 per cento a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e del 10 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2013 e per tutta la durata dei contratti medesimi; tale riduzione per la fornitura di dispositivi medici opera fino al 31 dicembre 2012. Al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza con specifico riferimento alle esigenze di inclusione sociale, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono comunque conseguire l'obiettivo economico-finanziario di cui alla presente lettera adottando misure alternative, purche' assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario; [...] f) il tetto di spesa per l'acquisto di dispositivi medici, di cui all'articolo 17, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n, 98 [...] e' rideterminato, per l'anno 2013 al valore del 4,8 per cento e, a decorrere dal 2014, al valore del 4,4 per cento». Come si vede, il comma 131 prevede ulteriori previsioni di contenimento della spesa sanitaria, le quali sono immediatamente vincolanti (per lo meno nel totale del risparmio conseguito) anche per le Regioni speciali. Dette riduzioni di spesa sono alla base della riduzione del fabbisogno sanitario previsto al successivo comma 132: «In funzione delle disposizioni recate dal comma 131 e dal presente comma, il livello del fabbisogno del Servizio sanitario nazionale e del correlato finanziamento, come rideterminato dall'articolo 15, comma 22, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 [...] e' ridotto di 600 milioni di euro per l'anno 2013 e di 1.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, ad esclusione della Regione siciliana, assicurano il concorso di cui al presente comma mediante le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al citato articolo 27 della legge n. 42 del 2009, l'importo del concorso alla manovra di cui al presente comma e' annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali». Lo Stato, dunque, non solo ha previsto una forma di contenimento della spesa pubblica che impone tagli alle Regioni, ma ha anche previsto che i risparmi di spesa si traducano in un vantaggio diretto per l'erario, attraverso trattenute sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali che spettano alle Regioni speciali. Tanto, pero', comporta la lesione delle attribuzioni della ricorrente. 2.1. - Per comprendere le ragioni per le quali la disposizione in commento appare particolarmente lesiva delle attribuzioni della ricorrente si deve premettere che l'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria per il 2007) ha stabilito che «dall'anno 2007 la regione Sardegna provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato». Cio' vuol dire che il legislatore, con la disposizione in esame, non ha tanto disciplinato la spesa statale per la salute pubblica nel territorio sardo, ma ha direttamente posto un onere su un capitolo di spesa che ormai e' gestito e finanziato autonomamente dalla Regione Sardegna. In altri termini, la Regione Sardegna, che e' stata onerata dal 2006 del finanziamento della spesa sanitaria regionale, sara' costretta a stornare una quota parte di questo finanziamento per utilizzarlo come contributo di finanza pubblica, con evidente compromissione del diritto alla salute dei suoi cittadini, in una con quella delle sue attribuzioni costituzionali. Se cio' e', come e', vero, ne deriva che lo Stato ha esorbitato dalla propria competenza concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica» ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., e ha conseguentemente violato la competenza regionale nella stessa materia, contestualmente ledendo l'autonomia finanziaria della Regione tutelata dagli artt. 7 dello Statuto e 119 Cost. A questo proposito, si deve ricordare che codesta Ecc.ma Corte costituzionale si e' pronunciata in un caso analogo gia' con la sent. n. 133 del 2010. In tale caso si controverteva della legittimita' costituzionale dell'art. 22, commi 2 e 3, del d.l. n. 78 del 2009: «La predetta norma, nel prevedere l'istituzione di un fondo con dotazione di 800 milioni di euro - "destinato ad interventi relativi al settore sanitario" ed alimentato con le economie di spese derivanti, tra l'altro, dall'applicazione del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 [...] - dispone che "in sede di stipula del Patto per la salute e' determinata la quota che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano riversano all'entrata del bilancio dello Stato per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale"» (cosi' e' riassunta la questione nel Ritenuto in fatto della menzionata sent. n. 133 del 2010). Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, a quel proposito, rilevo' che «lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, "neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario" (sentenza n. 341 del 2009)». Similmente nel caso giudicato con sent. n. 341 del 2009, si controverteva della legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 14, del d.l. n. 112 del 2008, ove si prevedeva che «siano ridotti del 20 per cento, rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008 e a decorrere dalla data di conferimento o rinnovo degli incarichi, i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori generali, ai direttori sanitari, ai direttori amministrativi, ed i compensi spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e degli istituti zooprofilattici». Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, rilevato che «le risorse provenienti dalla riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle strutture sanitarie, prevista dalla disciplina impugnata» sarebbero state poi utilizzate per consentire che le «Regioni stesse concorr[essero] con lo Stato alla copertura dei relativi oneri» e considerato che la Provincia autonoma di Trento (ricorrente in quella vicenda) «provvede interamente al finanziamento del proprio servizio sanitario provinciale, "senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato" (art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994)», ha affermato che «In tale diverso e peculiare contesto, l'applicazione alla Provincia autonoma di Trento del comma 14 dell'art. 61 non risponderebbe alla funzione che la misura in questione assolve per le altre Regioni. Dal momento che lo Stato non concorre al finanziamento del servizio sanitario provinciale, ne' quindi contribuisce a cofinanziare una eventuale abolizione o riduzione del ticket in favore degli utenti dello stesso, esso neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalita' di contenimento di una spesa sanitaria che e' interamente sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento». Tanto, e' evidente, deve valere anche nel caso qui in esame. 2.2. - Valgono, poi, anche per il presente comma i vizi gia' elencati in relazione al precedente comma 118. Il legislatore statale non si e' limitato a prevedere forme (gia' di per se' illegittime) di contenimento della spesa sanitaria, ma, anche in questo caso, ha imposto un ulteriore contributo aggiuntivo agli obiettivi di finanza pubblica a carico del bilancio regionale, senza delimitare il periodo di questo particolare sforzo finanziario cosi' fissato (che, infatti, sara' massimo «a decorrere dal 2014»). Pertanto anche il comma 132 qui censurato e' palesemente lesivo dell'autonomia finanziaria costituzionalmente riconosciuta alla ricorrente, perche' impone la partecipazione ad un nuovo onere di finanza pubblica per un periodo di tempo indeterminato. Per questa ragione: - e' violato l'art. 117, comma 3, Cost., in quanto il legislatore, determinando un obbligo finanziario indefinito nel tempo per la Regione, ha esorbitato dalla propria competenza concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica», contestualmente operando un vulnus alla speculare competenza regionale; - sono violati gli artt. 7 dello Statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna; - e' violato l'art. 119, comma 4, Cost., in quanto il contributo richiesto dallo Stato impedisce, di fatto, alla Regione di provvedere all'integrale finanziamento delle funzioni pubbliche di cui e' titolare in ragione della Costituzione, dello Statuto e della legge in generale; - sono violati gli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, in quanto l'accantonamento delle somme ivi previste relativamente alla quota di compartecipazione alle entrate erariali prevista dall'art. 8 dello Statuto impedisce di fatto alla Regione di esercitare le funzioni pubbliche nelle materie di sua competenza; - e', infine, violato, in combinato disposto con questi parametri, anche l'art. 3 Cost., per l'evidente irragionevolezza di una scelta normativa che pretende di imporre un sacrificio su un settore interamente amministrato e finanziato dalla Regione. 2.3. - Si e' gia' accennato al fatto che la previsione di contenimento della spesa sanitaria per la Regione Sardegna, che finanzia in via autonoma il servizio sanitario regionale, si risolve in un contributo di finanza pubblica allo Stato, che trattiene all'erario una somma equivalente, scomputandola dalle quote di compartecipazione alle entrate erariali previste dallo Statuto. In questo modo, pero', lo Stato ha di bel nuovo violato l'art. 8 dello Statuto, perche' il contributo alla finanza pubblica e' fatto valere direttamente sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo Stato, come si e' detto sub 1.2., non abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto, dall'art. 8. La violazione dell'art. 8 si apprezza, di nuovo, anche in combinato disposto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, per il motivo che e' assolutamente irragionevole disporre una ulteriore compressione dell'autonomia finanziaria della Regione senza aver portato a compimento la riforma della finanza regionale di cui al novellato art. 8 dello Statuto. La violazione dell'art. 8 dello Statuto, poi, si riverbera nella generale lesione dell'autonomia finanziaria della Regione, tutelata dagli artt. 7 dello Statuto e 119 Cost., come pure nella lesione della competenza regionale nella materia «coordinamento della finanza pubblica», di cui all'art. 117 Cost. Infine, come gia' si e' detto, la lesione dell'autonomia finanziaria della Regione ne compromette la capacita' di svolgimento delle funzioni pubbliche assegnatele dalla Costituzione, dallo Statuto e dalla legge, con violazione degli artt. 3, 4, 5 e 6 dello Statuto, che elencano dette funzioni pubbliche e assegnano alla Regione la potesta' amministrativa in merito. 3. - Illegittimita' dell'art. 1, comma 138, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. L'art. 1, comma 138, della legge n. 228 del 2012 introduce nuovi limiti di spesa per gli enti territoriali e per gli enti del Servizio sanitario nazionale, inserendo ulteriori commi all'art. 12 del d.l. n. 98 del 2011. Conviene riportare la previsione in oggetto: «all'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: [...] 1-ter. A decorrere dal 1° gennaio 2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilita' interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l'indispensabilita' e l'indilazionabilita' attestate dal responsabile del procedimento. La congruita' del prezzo e' attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni e' data preventiva notizia, con l'indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell'ente. 1-quater. Per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, nonche' le autorita' indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso ne' stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni piu' vantaggiose, la disponibilita' di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilita' di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. [...]». La novella all'art. 12 del d.l. n. 98 del 2011 si indirizza: - agli «enti territoriali», tra cui sono le Regioni, ivi comprese le speciali; - agli «enti del Servizio sanitario nazionale», tra cui sono ricomprese le aziende del servizio sanitario regionale sardo, finanziate esclusivamente dalla Regione Sardegna ai sensi dell'art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006; - alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196», tra cui sono anche le Regioni, le province, i comuni, le Comunita' montane, le unioni di comuni (cfr. il Comunicato dell'ISTAT recante «Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita' e di finanza pubblica)», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 227 del 28 settembre 2012. Cio' considerato, la disposizione in esame e' illegittima perche' esorbita dalla competenza legislativa concorrente dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica» e, di conseguenza, non solo lede la rispettiva competenza regionale, ma lede anche l'autonomia finanziaria della Regione, tutelata dagli artt. 7 e 8 dello Statuto e le attribuzioni legislative dalla ricorrente in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione» e «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». 3.1. - E' principio fermo nella giurisprudenza costituzionale che «il legislatore statale puo', con una disciplina di principio, legittimamente "imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti" (da ultimo, sentenza n. 182 del 2011). Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa" (sentenza n. 182 del 2011, nonche' sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007). Lo Stato, quindi, puo' agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali e, al contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti delle Regioni "a condizione di permettere l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale" (sentenza n. 182 del 2011). In caso contrario, la norma statale non puo' essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), a prescindere dall'auto-qualificazione operata dal legislatore (sentenza n. 237 del 2009)» (cosi' la recente sent. n. 139 del 2012). Nel caso in questione, pero', la realta' e' ben altra. La piana lettura delle disposizioni impugnate «rende evidente la impossibilita' di ricondurre la disposizione censurata ad un esercizio del potere legislativo di determinazione di principi fondamentali, nel rispetto del tipo di legislazione concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 della Costituzione», perche' le disposizioni normative «sono tutte assai particolareggiate ed anche in parte tra loro eterogenee» e «non possono non applicarsi integralmente, senza spazi per adeguamento alcuno, anche a Regioni e Province autonome», sicche', «quand'anche la norma impugnata venga collocata nell'area del coordinamento della finanza pubblica, e' palese che il legislatore statale, vincolando Regioni e Province autonome all'adozione di misure analitiche e di dettaglio, ne ha compresso illegittimamente l'autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di formulare i soli principi fondamentali della materia» (cosi', in modo particolarmente efficace tra le tante, la sent. n. 159 del 2008). In particolare, lo Stato non ha fissato un limite di spesa, ma impedisce in via generale l'acquisto e la locazione di immobili agli Enti sopra menzionate, senza che la Regione possa in alcun modo rimodulare in via autonoma un qualsivoglia principio generale di risparmio pubblico. Di conseguenza, l'art. 1, comma 138, della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui aggiunge i commi 1-ter e 1-quater all'art. 12 del d.l. n. 98 del 2011, viola l'art. 117, comma 3, Cost., perche' esorbita dalla competenza statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», impingendo nella corrispettiva competenza regionale. Per ragioni analoghe sono violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto e l'art. 119 Cost., che tutelano l'autonomia finanziaria della ricorrente. Gli artt. 7 e 8 dello Statuto e gli artt. 117 e 119 Cost. sono violati anche in combinato disposto con l'art. 3, comma 1, lettere a) e b), dello Statuto, che assegnano alla Regione competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione» e «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». Dalle disposizioni statutarie e costituzionali ora invocate, infatti, deriva anche la competenza esclusiva della Regione nella materia «finanza locale». Come codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato nella sent. n. 275 del 2007, infatti, «la competenza statale concorrente in materia di finanza pubblica regionale e locale, sancita dall'art. 119, secondo comma, Cost. e, per la Regione sarda, dall'art. 7 dello statuto speciale [...] esplica la sua efficacia anche nella materia della finanza locale, la quale, per la Regione sarda, e' devoluta alla competenza legislativa esclusiva della Regione in forza dell'art. 3, lettera b), del relativo statuto speciale». Detta competenza e' violata perche' il legislatore ha imposto agli enti territoriali e locali della Sardegna oneri relativi allo svolgimento della loro attivita' che, come gia' detto, non si possono tradurre in un principio generale di risparmio, ma sono e rimangono previsioni di estremo dettaglio che solo la Regione, nell'esercizio delle suddette competenze, poteva adottare. 3.2. - Particolarmente lesiva delle attribuzioni della ricorrente e' la previsione che, per l'acquisto degli immobili, «la congruita' del prezzo e' attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese». In questo modo, infatti, lo Stato impone alla Regione e agli enti territoriali e locali sardi di ammettere nel procedimento amministrativo relativo alla gestione dei rispettivi uffici il potere autoritativo di un ufficio dipendente dal Ministero dell'economia e delle finanze, qual e' l'Agenzia del demanio. Tale disposizione e' di per se' lesiva della competenza esclusiva della Regione nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione» e «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all'art. 3, comma 1, lettere a) e b), dello Statuto. 3.3. - Infine, anche in questo caso si deve segnalare che con la disposizione in esame lo Stato ha inteso porre regole di coordinamento finanziario relative a Enti che non traggono finanziamento dallo Stato, quali gli enti del servizio sanitario regionale sardo. Si e' gia' detto che l'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria per il 2007) ha stabilito che «dall'anno 2007 la regione Sardegna provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato». Cio' vuol dire che il legislatore, con la disposizione in esame, ha disciplinato non tanto la spesa statale per la salute pubblica nel territorio sardo, ma ha direttamente posto un onere su un capitolo di spesa che ormai e' gestito e finanziato autonomamente dalla Regione Sardegna. In altri termini, la Regione Sardegna, che e' stata onerata dal 2006 del finanziamento della spesa sanitaria regionale, sara' costretta a stornare una quota parte di questo finanziamento per utilizzarlo come contributo di finanza pubblica, con evidente compromissione del diritto alla salute dei suoi cittadini, in una con quella delle sue attribuzioni costituzionali. Pertanto anche in questo caso lo Stato ha esorbitato dalla propria competenza concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica» ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., e ha conseguentemente violato la competenza regionale nella stessa materia, contestualmente ledendo l'autonomia finanziaria della Regione tutelata dagli artt. 7 dello Statuto e 119 Cost., dettando una disciplina irragionevole e violativa anche dell'art. 3 Cost. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 141, 142, 143, 145 e 146, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. I commi 141, 143 e 146 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 prevedono ulteriori forme di risparmio per «le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196» (tra le quali e' la ricorrente, come si e' detto supra). In particolare, il comma 141 prevede che dette Amministrazioni «non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal caso il collegio dei revisori dei conti o l'ufficio centrale di bilancio verifica preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del presente comma. La violazione della presente disposizione e' valutabile ai fini della responsabilita' amministrativa e disciplinare dei dirigenti». Il comma 143 prescrive che, «a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre 2014, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 141 non possono acquistare autovetture ne' possono stipulare contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto autovetture. Le relative procedure di acquisto iniziate a decorrere dal 9 ottobre 2012 sono revocate». Infine, ai sensi del comma 146, le stesse Amministrazioni «possono conferire incarichi di consulenza in materia informatica solo in casi eccezionali, adeguatamente motivati, in cui occorra provvedere alla soluzione di problemi specifici connessi al funzionamento dei sistemi informatici. La violazione della disposizione di cui al presente comma e' valutabile ai fini della responsabilita' amministrativa e disciplinare dei dirigenti». Anche queste disposizioni sono certamente illegittime perche' pongono regole di estremo dettaglio, in violazione della competenza regionale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», ne' possono essere ricondotte ad una matrice unitaria e complessiva di risparmio pubblico che la Regione possa rimodulare attraverso una propria legislazione attuativa. Tanto, con la conseguente violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. e, per le medesime ragioni, degli artt. 7 e 8 dello Statuto e 119 Cost., che tutelano l'autonomia finanziaria regionale. I parametri costituzionali e statutari ora richiamati sono violati, una volta di piu', anche in combinato disposto con l'art. 3, comma 1, lettere a) e b) dello Statuto, che affida alla Regione ricorrente la competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione» e «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» e, di conseguenza, nella materia della «finanza pubblica locale», nella misura in cui le disposizioni impugnate trovano applicazione agli enti locali e territoriali sardi. 4.1. - Il comma 142, poi, prevede che «Le somme derivanti dalle riduzioni di spesa di cui al comma 141 sono versate annualmente, entro il 30 giugno di ciascun anno, dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. Il presente comma non si applica agli enti e agli organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali». La norma ora riportata e' anch'essa illegittima per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. e 7 dello Statuto, in quanto dispone di somme derivanti da previsioni illegittime, perche' non di principio ma di estremo dettaglio, come si e' visto nel precedente paragrafo. Inoltre gli stessi parametri sono violati anche in relazione ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., per due distinti profili. In primo luogo perche' non vi e' alcuna ragione per esentare (giustamente) dal contributo previsto dal comma ora citato gli «enti e gli organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trenta e di Bolzano» e gli «enti locali», lasciando invece (ingiustamente) soggette al prelievo le stesse Regioni e Province autonome (esse, come si e' detto, sono inserite nel c.d. elenco ISTAT di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009). In secondo luogo perche' i risparmi di spesa previsti dal comma 141 dovrebbero rimanere nelle disponibilita' degli enti che riescono a perseguirli, cosi' da migliorare i loro saldi finanziari. In questo modo, invece, e' lo Stato a beneficiare dei sacrifici finanziari di bilancio degli enti territoriali virtuosi. 4.2. - Infine, il comma 145 prevede che «per le regioni l'applicazione dei commi da 141 a 144 costituisce condizione per l'erogazione da parte dello Stato dei trasferimenti erariali di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174. La comunicazione del documentato rispetto della predetta condizione avviene ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 10 ottobre-2012, n. 174». Si deve premettere che la ricorrente ha gravato con distinto ricorso l'art. 2 del d.l. n. 174 del 2012. La formulazione di quella disposizione, gia' censurata e' tale da far dubitare che essa si applichi anche alla Regione Sardegna, anzitutto perche' la ricorrente non beneficia di «trasferimenti erariali», ma e' attributaria di una quota fissa di compartecipazione alle entrate erariali ai sensi dell'art. 8 dello Statuto. Tuttavia, dato che l'art. 11-bis del d.l. n. 174 del 2012 espressamente prevede che le Regioni a Statuto speciale dovranno applicare le norme del medesimo decreto-legge, la Regione Sardegna ha dovuto impugnare il d.l. n. 174 del 2012 nelle forme di rito, in quanto il combinato disposto degli artt. 2 e 11-bis del d.l. n. 174 del 2012 lascia intendere che i «trasferimenti erariali» altro non sono - per la Regione Sardegna - se non le quote di compartecipazione al gettito tributario sulle quali si fonda l'autonomia economico-finanziaria dell'isola. Per le stesse ragioni oggi la Regione deve impugnare il comma 145 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012. La disposizione oggi impugnata, infatti, cosi' come lo stesso art. 2 del d.l. n. 174 del 2012, e' violativa dell'art. 8 dello Statuto, perche' i trasferimenti erariali che il legislatore prevede di bloccare nel caso in cui la Regione Sardegna fosse da considerare inadempiente rispetto sono costituiti dalle quote di compartecipazione erariale fissate nel parametro statutario ora invocato, sicche' il blocco dei trasferimenti erariali, inteso quale sostanziale disapplicazione o elusione del regime di compartecipazione (fissa) alle entrate erariali di cui all'art. 8 dello Statuto e' equivalente ad un contributo sine causa e indeterminato nel tempo a favore dello Stato, contributo che, per consolidata giurisprudenza costituzionale, esorbita dalla competenza statale concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica» e impinge nella relativa competenza concorrente regionale. Anche per questo profilo, dunque, e' violato ancora l'art. 117 Cost., in relazione all'art. 8 dello Statuto. Anche in questo caso, poi, la lesione del meccanismo di compartecipazione al gettito tributario previsto dall'art. 8 dello Statuto si risolve in una violazione della generale autonomia finanziaria della Regione, con la conseguente violazione dell'art. 7 dello Statuto e dell'art. 119 Cost., che detta autonomia tutelano e garantiscono, nonche' dello stesso art. 8 dello Statuto, in combinato disposto con gli artt. 3, 4 e 5, dello Statuto, perche' l'indebita sottrazione di risorse, una volta di piu' si traduce nella compromissione della capacita' regionale di assolvere ai compiti statutariamente conferitile. 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 299, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Il comma 299 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 ha dettato alcune previsioni in tema di contrasto all'evasione fiscale, modificando l'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011: «all'articolo 2 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 36, il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: "A partire dall'anno 2013, il Documento di economia e finanza contiene una valutazione, relativa all'anno precedente, delle maggiori entrate strutturali ed effettivamente incassate derivanti dall'attivita' di contrasto dell'evasione fiscale. Dette maggiori risorse, al netto di quelle necessarie al mantenimento dell'equilibrio di bilancio e alla riduzione del rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo, nonche' di quelle derivanti a legislazione vigente dall'attivita' di recupero fiscale svolta dalle regioni, dalle province e dai comuni, unitamente alle risorse derivanti dalla riduzione delle spese fiscali, confluiscono in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e sono finalizzate al contenimento degli oneri fiscali gravanti sulle famiglie e sulle imprese, secondo le modalita' di destinazione e di impiego indicate nel medesimo Documento di economia e finanza"; b) dopo il comma 36 e' inserito il seguente: "36.1. - Il Ministro dell'economia e delle finanze presenta annualmente, in allegato alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, un rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto dell'evasione fiscale. Il rapporto indica, altresi', le strategie per il contrasto dell'evasione fiscale, le aggiorna e confronta i risultati con gli obiettivi, evidenziando, ove possibile, il recupero di gettito fiscale attribuibile alla maggiore propensione all'adempimento da parte dei contribuenti"». Le disposizioni in esame prevedono che le maggiori entrate derivanti dall'evasione fiscale siano di fatto riservate all'erario, che le impiega per finanziare la riduzione della pressione fiscale. 5.1. - In questo modo, pero', le disposizioni censurate acquisiscono alla disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere di sicura spettanza regionale, quanto meno in notevole misura. Le maggiori entrate derivanti dal recupero dell'evasione fiscale, infatti, se riferite a presupposti d'imposta maturati nel territorio regionale, sono comuni entrate erariali che non sono state acquisite dalla finanza pubblica solo per una patologia del sistema e che ora non possono essere distratte in favore dello Stato (a tutto concedere, lo Stato potrebbe trattenere il costo del recupero dell'evasione, ma non certo le intere somme recuperate). Si tratta, in altri termini, di cespiti che, a seconda della particolare imposta o tassa che e' stata evasa, sarebbero sottoposti alla diversa quota fissa di compartecipazione prevista dall'art. 8 dello Statuto (si ricordi che l'art. 8, comma 1, lettera m) reca una clausola residuale, in base alla quale spettano alla Regione i «sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici»). Cio' considerato, la disposizione in esame e' violativa dell'art. 8 dello Statuto, perche' il legislatore statale non puo', in assenza di disposizioni statutarie che consentano l'istituzione di riserve erariali, escludere la ricorrente dalla compartecipazione alle entrate erariali che le spetta ai sensi dell'art. 8 dello Statuto. 5.2. - La questione della riserva all'erario delle maggiori entrate derivanti dal recupero dell'evasione fiscale e' stata scrutinata nella recentissima sent. n. 241 del 2012. In quel caso la Regione Sardegna, ricorrente ora come allora, aveva impugnato proprio l'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011, novellato dalla disposizione qui censurata, che gia' riservava allo Stato le maggiori entrate derivanti dal contrasto all'evasione fiscale. La ricorrente lamentava che «l'acquisizione in capo allo Stato di tali maggiori entrate viola l'art. 8 dello statuto speciale, trattandosi di un gettito che, in assenza di condotte evasive degli obblighi tributari, sarebbe spettato pro quota, in base a detto parametro statutario, alla Regione». Sul punto codesto Ecc.mo Collegio ha affermato che «in mancanza di riserve statutarie in favore dello Stato, deve osservarsi che la normativa impugnata non e' conforme allo statuto speciale. Infatti, le complessive maggiori entrate derivanti dall'attivita' di contrasto dell'evasione fiscale costituiscono "entrate tributarie" che l'evocato art. 8 dello statuto speciale attribuisce alla Regione autonoma (se riscosse o percette nel suo territorio), secondo le quote fisse indicate nello stesso articolo con riguardo ai diversi tributi oggetto di tale attivita'». Questa difesa non ignora che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, con la sent. n. 241 del 2012, ha ritenuto non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011 «con riferimento alle maggiori entrate derivanti dall'"attivita' di contrasto all'evasione"». In quell'occasione, infatti, fu rilevata l'«inapplicabilita' alla Regione autonoma Sardegna della normativa denunciata», derivante dal fatto che l'art. 19-bis del d.l. n. 138 del 2011 recava una c.d. «clausola di salvaguardia» in favore delle Regioni speciali. Codesto Ecc.mo Collegio osservo' che «occorre muovere dall'interpretazione dell'art. 19-bis del decreto-legge n. 138 del 2011 [...], il quale, nel disciplinare, in via generale, il rapporto tra tale decreto e gli enti ad autonomia differenziata, dispone che: "L'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione». Ad avviso dell'Ecc.ma Corte costituzionale, infatti, «l'"attuazione" del decreto, menzionata nell'articolo, deve essere intesa non nella ristretta accezione di predisposizione di fonti normative secondarie dirette a regolamentare in dettaglio i principi o le norme espressi nel decreto, ma in quella, piu' ampia e generica, di applicazione delle norme del decreto», sicche', «per quanto riguarda la clausola di salvaguardia, gli evocati parametri di rango statutario assumono, attraverso di essa, la funzione di generale limite per l'applicazione delle norme del decreto-legge n. 138 del 2011, nel senso che queste sono inapplicabili agli enti a statuto speciale ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione. Detta inapplicabilita' esclude la fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale basate sulla violazione di tali parametri statutari». Ebbene, come si e' gia' detto, il comma 299 dell'art. 1, della legge n. 228 del 2012 ha novellato l'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011, sicche' si potrebbe ritenere che anche in questo caso l'art. 19-bis del d.l. n. 138 del 2011 determini l'inapplicabilita' anche della nuova formulazione dell'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011, per come novellato dall'art. 1, comma 299, della legge n. 228 del 2012, alla ricorrente. Si deve, pero', considerare che, a stretto rigore, la novella all'art. 2, comma 36, del d.l. n. 138 del 2011 e' recata dall'art. 1, comma 299, della legge n. 228 del 2012, la quale non contiene alcuna clausola di salvaguardia delle attribuzioni delle Regioni speciali. In verita', e' l'art. 1, comma 554, della legge n. 228 del 2012 a prevedere che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trenta e di Bolzano attuano le disposizioni di cui alla presente legge nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione». Tuttavia, come si dira' meglio sub par. 9., la disposizione ora citata e' assolutamente insufficiente a fare salve le attribuzioni delle Regioni a statuto speciale, tra le quali la ricorrente, perche' nulla prevede circa l'applicazione delle disposizioni della legge, ma si limita a imporre alle Regioni di rispettare gli Statuti e le rispettive norme di attuazione. Per questa ragione l'art. 1, comma 299, della legge n. 228 del 2012 e' lesivo delle attribuzioni della ricorrente anche se esso modifica le previsioni del d.l. n. 138 del 2011. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Il comma 380 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 apporta alcune modificazioni al regime dell'imposta municipale propria (IMU) gia' disciplinata dall'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011. In particolare, si prevede che «al fine di assicurare la spettanza ai Comuni del gettito dell'imposta municipale propria, di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 [...] per gli anni 2013 e 2014: a) e' soppressa la riserva allo Stato di cui al comma 11 del citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011; b) e' istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarieta' comunale che e' alimentato con una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, di cui al citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, definita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Citta' ed autonomie locali, da emanare entro il 30 aprile 2013 per l'anno 2013 ed entro il 31 dicembre 2013 per l'anno 2014. In caso di mancato accordo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e' comunque emanato entro i 15 giorni successivi. L'ammontare iniziale del predetto Fondo e' pari, per l'anno 2013, a 4.717,9 milioni di euro e, per l'anno 2014, a 4.145,9 milioni di euro. Corrispondentemente, nei predetti esercizi e' versata all'entrata del bilancio statale una quota di pari importo dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni. A seguito dell'emanazione del decreto di cui al primo periodo, e' rideterminato l'importo da versare all'entrata del bilancio dello Stato. La eventuale differenza positiva tra tale nuovo importo e lo stanziamento iniziale e' versata al bilancio statale, per essere riassegnata al fondo medesimo. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Le modalita' di versamento al bilancio dello Stato sono determinate con il medesimo DPCM; c) la dotazione del Fondo di solidarieta' comunale di cui alla lettera b) e' incrementata della somma di 890,5 milioni di euro per l'anno 2013 e di 318,5 milioni di euro per l'anno 2014; i predetti importi considerano quanto previsto dal comma 381; d) con il medesimo DPCM di cui alla lettera b) sono stabiliti i criteri di formazione e di riparto del Fondo di solidarieta' comunale, tenendo anche conto per i singoli comuni: 1) degli effetti finanziari derivanti dalle disposizioni di cui alle lettere a) ed f); 2) della definizione dei costi e dei fabbisogni standard; 3) della dimensione demografica e territoriale; 4) della dimensione del gettito dell'imposta municipale propria ad aliquota base di spettanza comunale; 5) della diversa incidenza delle risorse soppresse di cui alla lettera e) sulle risorse complessive per l'anno 2012; 6) delle riduzioni di cui al comma 6 dell'articolo 16 del decreto-legge 26 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; 7) dell'esigenza di limitare le variazioni, in aumento ed in diminuzione, delle risorse disponibili ad aliquota base, attraverso l'introduzione di un'appropriata clausola di salvaguardia; e) sono soppressi il fondo sperimentale di riequilibrio di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, nonche' i trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, limitatamente alle tipologie di trasferimenti fiscalizzati di cui ai decreti del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, del 21 giugno 2011 e del 23 giugno 2012; f) e' riservato allo Stato il gettito dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo, del citato articolo 13; g) i comuni possono aumentare sino a 0,3 punti percentuali l'aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo del citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D; h) sono abrogati il comma 11 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, i commi 3 e 7 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011; per gli anni 2013 e 2014 non operano i commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9 del medesimo articolo 2. Il comma 17 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 continua ad applicarsi nei soli territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d 'Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano; i) gli importi relativi alle lettere a), c), e) ed f) possono essere modificati a seguito della verifica del gettito dell'imposta municipale propria riscontrato per il 2012, da effettuarsi ai sensi del comma 3 dell'articolo 5 dell'Accordo del 1° marzo 2012 presso la Conferenza Stato citta' e autonomie locali. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare le conseguenti variazioni compensative di bilancio». 6.1. - In via preliminare si deve ricordare che la Regione Sardegna ha impugnato l'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 con ricorso rubricato al n. 47 del Reg. Ric. 2012, tuttora pendente, censurando il fatto che le modalita' istitutive dell'IMU hanno violato le sue attribuzioni statutarie. Dato che le disposizioni ora impugnate, anche attraverso alcune modifiche del regime fiscale dell'IMU, confermano nuovamente la vigenza di dette disposizioni, la ricorrente deve tuzioristicamente riproporre le censure gia' articolate nel ricorso n. 47 del Reg. Ric. 2012. A questo proposito si deve ricordare che l'applicazione dell'IMU nelle Regioni a statuto speciale risultava inizialmente subordinata, in ragione dell'art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 23 del 2011, all'adozione di specifiche «modalita'» da parte delle stesse autonomie speciali «in conformita' con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». Erano fatte salve, poi, (comma 2) le «procedure previste dall'articolo 27 della [...] legge n. 42 del 2009» (le quali, come si e' gia' detto, ancora non sono state attuate). Tanto, al fine di garantire - fra l'altro - la neutralita' finanziaria, il necessario coordinamento tra Stato e Regione in materia di finanza locale, la considerazione dei livelli di reddito e dei costi connessi all'insularita'. Il rinvio a particolari procedure di attuazione, originariamente previsto, riprendeva un modello regolativo che appariva rispettoso delle competenze delle Regioni a statuto speciale che, con forme diverse, era stato gia' sperimentato nell'ordinamento tributario, anche prima dell'approvazione della legge n. 42 del 2009. Basti pensare, a tal proposito, a quanto disposto dall'art. 1, comma 8, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria del 2008), che, in tema di rimborso dell'ICI per i Comuni situati nelle Regioni a Statuto speciale, prevedeva che «In relazione alle competenze attribuite alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di finanza locale, i rimborsi di cui al comma 7 sono disposti a favore dei citati enti, che provvedono all'attribuzione delle quote dovute ai comuni compresi nei rispettivi territori, nel rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione». Inopinatamente, invece, l'imposta municipale propria e' stata modificata in piu' parti rispetto al testo originariamente stabilito dall'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, senza che fosse piu' previsto, in ordine alle modalita' applicative nelle Regioni a Statuto speciale, il previo passaggio attraverso la ricordata procedura concordata di attuazione ed esecuzione. In questo modo e' stata disattesa la precedente previsione normativa volta a garantire le peculiarita' dei sistemi finanziari dei territori ad autonomia differenziata e l'invarianza di gettito delle loro entrate. Anche l'ulteriore riforma dell'imposta municipale propria oggi disciplinata dal comma 380 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 si distacca dal modello originariamente previsto dal d.lgs. n. 23 del 2011, sicche' il legislatore statale ha riproposto una previsione illegittima che calpesta l'autonomia delle Regioni a Statuto speciale, in quanto non tiene in alcun conto le particolarita' di quei territori, che - pure - lo stesso legislatore statale - con il d.lgs. n. 23 del 2011, aveva ritenuto rilevanti per una corretta disciplina dell'IMU nel contesto del c.d. «federalismo fiscale». E', dunque, evidente che la disciplina dell'IMU, come adottata dall'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 e oggi modificata dal comma qui impugnato, viola le attribuzioni costituzionali della Regione Sardegna (anche) perche' non lascia alla Regione alcun ambito di autonoma regolamentazione di un tipico tributo locale. Risultano cosi' violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna, che garantiscono alla Regione stessa un'adeguata autonomia finanziaria, e sono parimenti violati gli artt. 117 e 119 della Costituzione, che confermano la tutela della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione e attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente nella materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. I medesimi parametri risultano violati anche in combinato disposto con l'art. 3, comma 1, lettera b), dello Statuto, perche' lo Stato ha invaso la competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna in materia di «finanza pubblica locale». L'art. 117, comma 3, Cost., e' violato anche pel profilo della competenza concorrente in materia di «coordinamento del sistema tributario». Come si e' visto, la disciplina dell'IMU non consente alle Regioni, nemmeno alle speciali, alcun margine di adattamento del meccanismo tributario locale alle particolarita' regionali. Pertanto, la disciplina in questione esorbita dalla competenza legislativa concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», cosi' impingendo nella parallela competenza regionale oltre che nelle ricordate competenze statutarie della Regione Sardegna. 6.2. - Particolarmente lesiva per la Regione Sardegna e' la lettera f) del secondo periodo del comma impugnato, che prevede una riserva allo Stato del gettito IMU «derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo, del citato articolo 13». Come si vede, lo Stato ha eliminato solo in parte la riserva erariale generale sul maggior gettito derivante dall'IMU, trattenendosi ora il gettito derivante dalle aree accatastate nel «gruppo D». Questa previsione, pero', e' illegittima e violativa delle attribuzioni costituzionali della ricorrente. Come si e' gia' detto, l'istituzione di riserve erariali contrasta con l'art. 8 dello Statuto perche' «le complessive maggiori entrate derivanti dall'applicazione dei commi impugnati costituiscono "entrate erariali", ai sensi dell'evocata lettera m) del primo comma dell'art. 8 dello statuto speciale», sicche' la disposizione impugnata «sottrae [...] alla Regione autonoma Sardegna, in favore dell'Erario, i sette decimi di tali maggiori entrate, riscosse nel territorio regionale» (cit. sent. n. 241 del 2012). 7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 387, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Il comma 387 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 reca alcune modificazioni al Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, gia' istituito dall'art. 14 del d.l. n. 201 del 2011. In particolare vengono modificati i criteri di calcolo del tributo e le modalita' di pagamento e di riscossione del tributo. La Regione Sardegna, ancora con il ricorso rubricato al n. 47/2012 Reg. Ric., aveva gia' impugnato il solo comma 13-bis dell'art. 14 del d.l. n. 201 del 2012, che disciplina gli effetti dell'istituzione del nuovo tributo sul sistema di perequazione fiscale e tributaria dei comuni. Detto comma 13-bis prevedeva e prevede che «a decorrere dall'anno 2013 il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 del presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue». In ragione della disposizione ora menzionata, il legislatore statale ha fatto in modo che l'eventuale effetto positivo per la finanza degli enti locali delle Regioni Sicilia e Sardegna sia immediatamente scontato attraverso una contestuale riduzione dei trasferimenti statali. Il comma 13-bis non e' novellato dal comma 387 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012, ne' viene modificato il regime di perequazione tra gli enti locali che e' disciplinato nella disposizione gia' impugnata dalla ricorrente con il predetto ricorso rubricato al n. 47 del R. Ric. 2012. Nondimeno, poiche' la legge qui censurata, pur lasciando intatto il comma sopra riportato, ha modificato il resto dell'articolo in cui esso e' inserito, occorre tuzioristicamente impugnare anche le nuove disposizioni, rilevando che esse non sono satisfattive delle censure gia' rivolte dalla ricorrente all'art. 14 del d.l. n. 201 del 2011, perche', pur modificando i criteri di calcolo del tributo e le modalita' di pagamento e di riscossione, mantengono in vita il sistema di perequazione che era gia' stato censurato dalla Regione Sardegna. Anche in questo caso, dunque, si devono proporre le medesime censure gia' proposte avverso l'art. 14 del d.l. n. 201 del 2011 (arricchendole, peraltro, con un ulteriore profilo). Il comma 387 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 viola gli artt. 3, comma l, lettera b), e 7 dello Statuto, che attribuiscono alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», materia che ricomprende anche la materia «finanza locale» (come codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha precisato nella sent. n. 275 del 2007), perche' lo Stato e' intervenuto in una materia che non gli appartiene, escludendo ogni forma di intervento regionale. Inoltre gli artt. 3, comma 1, lettera b), e 7 dello Statuto sono violati anche per un altro profilo: il ridotto finanziamento delle autonomie locali disposto dal sistema fiscale varato dall'art. 14 del d.l. n. 201 del 2011 e riformato dal comma in oggetto, anche se in relazione all'extragettito derivante dal tributo sui servizi e sui rifiuti, si riverbera sull'autonomia finanziaria regionale, costretta a far fronte al mancato incremento delle risorse comunali con uno specifico sostegno finanziario. Tanto, con la conseguenza della lesione dell'autonomia finanziaria regionale, perche' la Regione dovra' (nuovamente) farsi carico del un sostegno economico compensativo a vantaggio dei comuni sardi. Anche in questo caso, poi, e' violato l'art. 117, comma 3, Cost., perche' la disciplina del nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi non consente alla ricorrente di poter adattare la portata della tassa alle particolarita' regionali. Pertanto, ancora una volta, la disciplina in questione esorbita dalla competenza legislativa concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», cosi' impingendo nella parallela competenza regionale oltre che nelle ricordate competenze statutarie della Regione Sardegna. 8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 454, 456, 457, 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465 e 466, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. I commi menzionati nel titolo del presente motivo di ricorso recano la nuova disciplina del patto di stabilita' interno valida per le Regioni a statuto speciale (le modificazioni al regime del patto di stabilita' per le Regioni ordinarie e per i rispettivi enti locali e territoriali sono invece contenute nei commi 431 sgg. del medesimo art. 1 della legge impugnata). La nuova disciplina puo' essere cosi' sintetizzata: - il comma 454 prevede che le Regioni a statuto speciale concordano «l'obiettivo in termini di competenza finanziaria e di competenza eurocompatibile, determinato riducendo il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011: a) degli importi indicati per il 2013 nella tabella di cui all'articolo 32, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183; b) del contributo previsto dall'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 [...] come rideterminato dall'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 [...] e dall'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 [...] c) degli importi indicati nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014, 2015 e 2016, emanato in attuazione dell'articolo 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 [...] d) degli ulteriori contributi disposti a carico delle autonomie speciali»; - il comma 456 prescrive che, in caso di mancato accordo, «gli obiettivi delle regioni Sardegna, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta sono determinati sulla base dei dati trasmessi, ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 [...] ridotti degli importi previsti dal comma 454»; - ai sensi del comma 457, poi, «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano che esercitano in via esclusiva le funzioni in materia di finanza locale definiscono, per gli enti locali dei rispettivi territori, nell'ambito degli accordi di cui ai commi 454 e 455, le modalita' attuative del patto di stabilita' interno»; - il comma 458 prevede che «l'attuazione dei commi 454, 455 e 457 avviene nel rispetto degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione»; - il comma 459 dispone che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai commi 454, 455 e 457, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, mediante l'assunzione dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria; tali norme di attuazione precisano le modalita' e l'entita' dei risparmi per il bilancio dello Stato da ottenere in modo permanente o comunque per annualita' definite»; - i commi 460, 461 e 466 recano disposizioni sul monitoraggio degli adempimenti relativi al patto di stabilita' interno; - i commi 462 e 464 individuano il regime sanzionatorio per le autonomie speciali che non conseguono gli obiettivi del patto di stabilita'; - il comma 463 detta una disciplina speciale per le Regioni a statuto speciale per le quali risulti accertato il superamento degli obiettivi del patto di stabilita' interno solamente in ragione delle maggiori spese per interventi finanziati dallo Stato o dall'Unione europea; - il comma 465, infine, prevede che «i contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilita' interno sono nulli». Come si vede, il meccanismo del patto di stabilita' ha trovato una nuova disciplina. La legge di stabilita', pero', nel riformare il patto di stabilita' per le Regioni a Statuto speciale, non ha previsto che l'accordo tra lo Stato e la Regione Sardegna dovesse adeguarsi alla riforma dell'art. 8 dello Statuto avvenuta con l'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, attraverso un innalzamento, in corrispondenza delle maggiori entrate di cui la Regione beneficia in ragione del nuovo art. 8 dello Statuto, dell'obiettivo della Sardegna relativo al complesso delle spese finali consentite in termini di competenza eurocompatibile. 8.1. - Si e' gia' avuto modo di ricordare che l'art. 8 dello Statuto e' stato modificato dall'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, cosi' da aumentare le risorse regionali, che la stessa Ragioneria Generale dello Stato aveva ritenuto insufficienti e disallineate rispetto al trend che si riscontrava nelle altre Regioni (si sono gia' citate le Note del Ragioniere Generale dello Stato 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, e 2 settembre 2005, prot. n. 0112371). Il quadro dell'autonomia finanziaria garantita dallo Statuto secondo il regime di compartecipazione fissa alle entrate erariali, pero', e' circoscritto e limitato dal sistema del patto di stabilita', che e' il meccanismo di governo della finanza regionale e degli enti territoriali disegnato dal legislatore statale al fine di coniugare la tutela dell'autonomia finanziaria della Regione e (in diverso grado) degli enti locali, con il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica della Repubblica in tutte le sue articolazioni istituzionali. Il contenuto del patto di stabilita' per le Regioni ad autonomia speciale e' sempre stato oggetto di accordo tra Stato e singola Regione o Provincia autonoma, pur nel succedersi delle continue riforme del meccanismo (si veda l'art. 24 della legge n. 448 del 2001; l'art. 29 della legge n. 289 del 2009; l'art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010; l'art. 32 della legge n. 183 del 2011, ora il menzionato art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012). Il meccanismo del patto di stabilita', dunque, si fonda sul principio dell'accordo tra eguali, mediante il quale la Regione esercita la propria autonomia finanziaria e lo Stato garantisce il conseguimento degli obiettivi generali di finanza pubblica. A partire dal 2011, la ricorrente, nel formulare le proposte per l'accordo sul patto di stabilita', ha richiesto al MEF un (prudenziale e sempre parziale) innalzamento del livello degli impegni e dei pagamenti in corrispondenza delle nuove entrate derivanti dal nuovo regime finanziario di cui all'art. 8 dello Statuto. Sia nel 2011, con Nota 7 giugno 2011, prot. n. 50971, sia nel 2012, con Nota 17 luglio 2012, prot. n. 0054891, il Ministero ha sempre rigettato dette proposte (se ne e' gia' dato conto supra alle pagine 13 sgg., sub 1.3.), affermando che «pur comprendendo le esigenze di codesta Regione di trasfondere sulla propria potenzialita' di spesa la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario [...] tale richiesta necessita di un intervento legislativo volto ad individuare la corrispondente compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto», sicche' «in assenza di una disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore di codesta Regione [...] a livello tecnico, non sussist[o]no margini per un ampliamento del tetto dei pagamenti» (cosi' la cit. Nota 17 luglio 2012, prot. n. 0054891, in tutto analoga alla precedente Nota 7 giugno 2011, prot. n. 50971). A causa della posizione assunta dal MEF, a partire dal 2010 lo Stato e la Regione hanno potuto stipulare solamente mere intese tecniche, limitate ad alcuni aspetti marginali della disciplina del patto di stabilita', senza piu' conseguire l'accordo generale sul livello delle spese regionali, che e' invece il cardine dell'intero meccanismo. Anzi, come si e' gia' detto in precedenza (p. 14) sia nel 2011 che nel 2012 l'odierna ricorrente e' stata costretta a gravare i provvedimenti ministeriali di rigetto delle proposte regionali con apposito ricorso proposto alla giurisdizione competente (codesta Ecc.ma Corte costituzionale nel 2011; il TAR della Sardegna nel 2012). 8.2. - In tutte le competenti sedi giurisdizionali, e' bene sottolinearlo, la Regione ha costantemente negato che l'esecuzione del novellato art. 8 dello Statuto di autonomia (anche quanto all'adeguamento del patto di stabilita') richiedesse una qualsivoglia intermediazione legislativa attraverso un comune atto con forza di legge o tramite un decreto legislativo recante norme di attuazione dello stesso Statuto. Questa posizione e' confortata da limpide statuizioni di codesta Ecc.ma Corte costituzionale. In particolare, con la sent. n. 99 del 2012, codesta Ecc.ma Corte costituzionale, adita dallo Stato per veder dichiarata l'illegittimita' dell'art. 3 della legge reg. n. 12 del 2011 (con la quale era stato previsto che la Regione debba procedere all'accertamento delle poste in attivo di bilancio ai sensi dell'art. 8 dello Statuto nella formulazione vigente), ha affermato che non vi era una «sufficiente motivazione» a sostegno della necessita' (asserita dallo Stato, come si e' detto) che il nuovo art. 8 dello Statuto, per produrre i propri effetti al fine di determinare «la quota di tributi da trasferire alla Regione in riferimento a ciascuna compartecipazione», debba essere attuato con la particolare procedura per l'approvazione dei decreti legislativi di attuazione. Cio' significa che la Regione Sardegna, al momento di predisporre il proprio bilancio previsionale, puo' e deve immediatamente fare affidamento sulle entrate derivanti dal nuovo art. 8, e contabilizzarle di conseguenza. Inoltre tanto comporta che lo Stato, nella gestione (in via amministrativa e in via legislativa) dei rapporti finanziari con la ricorrente, deve osservare le previsioni, immediatamente applicabili, dell'art. 8 dello Statuto. Nondimeno, pur a fronte dell'evidente correttezza dell'assunto regionale, lo Stato ha (altrettanto costantemente, se ne e' dato conto), affermato che in carenza di un'intermediazione legislativa l'esecuzione del citato art. 8, novellato, dello Statuto non sia possibile e che, inoltre, non sia possibile nemmeno l'adeguamento della capacita' di spesa della Regione alle maggiori disponibilita' finanziarie riconosciute dall'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, modificativo - appunto - dell'art. 8 dello Statuto. 8.3. - Il quadro dei rapporti finanziari tra Stato e Regione e' stato da ultimo modificato dalla legge n. 182 del 2012, recante «Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 2012, suppl. ord. Questa legge ha adottato disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2012, che era stato approvato con legge 12 novembre 2011, n. 184, introducendo «le variazioni di cui alle annesse tabelle» (cosi' l'art. 1). Nella prima tabella, relativa all'assestamento del bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze, e' indicata la voce contrassegnata dal codice n. 2.3., Programma «Regolazioni contabili ed altri trasferimenti alle Regioni a statuto speciale (3.5.)». Ivi si effettua una variazione sia alla previsione di competenza sia all'autorizzazione di cassa, aumentando rispettivamente gli stanziamenti di € 1.914.835.111,00 e di € 1.763.337.437,00. Le some destinate alla Regione Sardegna risultano dalla tabella allegata al d.d.l. di assestamento, voce codice 2790, punto n. 2, CP. Come si evince sia dalla relazione governativa al d.d.l. di assestamento di bilancio 2012 che dai lavori parlamentari, si tratta di versamenti per «1.383 milioni di curo alla regione Sardegna al fine di attribuire alla medesima le entrate previste dal nuovo ordinamento finanziario» (cosi', testualmente, l'allegato tecnico al d.d.l. di assestamento di bilancio 2012), disposti - appunto - «al fine di adeguare il regime di compartecipazione erariale della Regione al nuovo ordinamento finanziario e di funzioni attribuite alla Regione Sardegna, regime stabilito dalla legge finanziaria 296 del 2006» (cosi' la Relazione dell'on. Calvisi, relatore nella Commissione V della Camera dei deputati, seduta di mercoledi' 12 settembre 2012). 8.4. - A causa del persistente rifiuto da parte dello Stato di collaborare con la Regione in sede di confronto tecnico per l'adeguamento del patto di stabilita' al nuovo regime delle entrate regionali anche a seguito dell'approvazione della legge di assestamento del bilancio, la Regione Sardegna si e' trovata costretta ad impugnare la stessa legge n. 182 del 2012 dinanzi codesta Ecc.ma Corte costituzionale con ricorso tuttora pendente e rubricato al n. 196 del Reg. Ric. 2012. In particolare, la Regione ha censurato la legge di assestamento di bilancio 2012 in quanto detta legge poteva e doveva, in ossequio alla ricostruzione dei rapporti finanziari tra Stato e Regione operata dal MEF (e contestata dalla Sardegna), dare seguito legislativo allo Statuto novellato non solo stanziando nel bilancio statale le somme sopra ricordate, ma anche stabilendo espressamente che la capacita' di spesa della Regione e' aumentata in corrispondenza delle maggiori disponibilita' in entrata riconosciute con il menzionato stanziamento in bilancio e che a questo aumento deve uniformarsi il MEF nella negoziazione con la Regione. La legge di assestamento del bilancio era (sempre nella stessa prospettiva, assunta dallo Stato, della necessaria intermediazione legislativa) senz'altro una opportuna sede normativa per procedere in tal senso. Dato che e' nella legge di assestamento che le maggiori disponibilita' in entrata della Sardegna sono state finalmente riconosciute, gia' in quella legge avrebbe dovuto trovare riconoscimento anche la maggiore disponibilita' in uscita, cosi' da fare salvo il principio di corrispondenza fra entrate e spese iscritte in bilancio (cosi' Corte cost., sent. n. 118 del 2012) attraverso - appunto - un aumento della capacita' di spesa parallelo all'aumento delle disponibilita' in entrata. 8.5. - Se gia' nella legge di assestamento del bilancio 2012 lo Stato doveva provvedere nel senso auspicato dalla Regione e imposto dall'art. 8 dello Statuto, ancor piu' questo intervento si mostra necessario e doveroso nella legge qui gravata, la quale ha rideterminato il generale quadro normativo del patto di stabilita' per le Regioni autonome. Tanto non solo per ovvie ragioni di sistematicita' dell'intervento normativo, apprezzabili anche in termini di (ir)ragionevolezza delle previsioni oggi impugnate, ma anche in ossequio alle prescrizioni della legge n. 196 del 2009, che ha riformato il sistema della contabilita' pubblica e le procedure di approvazione del bilancio. A questo proposito si deve tenere presente che l'art. 11, comma 3, lettera m), della legge n. 196 del 2009 prevede che «la legge di stabilita' [...] indica: [...] m) le norme eventualmente necessarie a garantire l'attuazione del Patto di stabilita' interno», sicche' e' lo stesso legislatore che si era gia' vincolato e impegnato a regolare le modifiche del patto di stabilita' nel caso in cui tanto si fosse rilevato necessario. E' vero cha la legge n. 196 del 2009 e' una legge ordinaria, che ha la stessa forza della legge oggi gravata, ma si deve considerare che con la legge di contabilita' il legislatore ha disciplinato le procedure che devono essere seguite durante la sessione di bilancio, cosi' vincolandosi ad un procedimento che non puo' oggi disattendere, se non anche a rischio di violazione del principio di ragionevolezza. A maggior suffragio di quanto si sta dicendo, si consideri che la legge impugnata, al comma 455 dell'art. 1, ha dettato previsioni particolarissime e specifiche per la sola Regione Trentino-Alto Adige e per le Province Autonome di Trento e Bolzano. Tanto dimostra, una volta di piu', che lo Stato, una volta negata (come si e' visto) la possibilita' di adeguare il patto di stabilita' senza bisogno di una intermediazione legislativa, doveva e poteva farsi carico di una revisione obbligata della disciplina del patto di stabilita' per la Regione Sardegna. 8.6. - Tutto cio' considerato, e' di immediata evidenza che la legge impugnata ha violato il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto, gli artt. 2, 3, 5, 81, 117 e 119 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 11 della legge n. 196 del 2009. Come ricordato piu' volte, l'art. 8 dello Statuto della Regione Sardegna, e' stato novellato dall'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006. Risulta dal citato carteggio del 2005 tra la Ragioneria Generale dello Stato e la Regione che l'aumento delle entrate che ne e' conseguito non intende certo soddisfare un capriccioso desiderio della Regione di avere a disposizione risorse maggiori, ma e' stato la logica conseguenza della necessita' di adeguare il quadro finanziario a tre dati. Anzitutto, al conferimento alla Regione Sardegna di una serie di attribuzioni (in materia di trasporti, sanita', continuita' territoriale, cfr. art. 1, commi 836 e 837, della legge n. 296 del 2006) del cui costo lo Stato si e' sgravato, gravandone dunque la Regione che - evidentemente - non avrebbe potuto esercitarle in carenza di adeguate risorse economiche. In secondo luogo, alla mutata realta' sociale ed economico-finanziaria di riferimento. Nel corso degli anni, invero, come e' naturale, l'onere economico derivante dall'esercizio delle funzioni conferite alla Regione, a partire da quelle conferite in via esclusiva dall'art. 3 dello Statuto, si e' fatto piu' consistente, anche a causa dell'esigenza di garantire standard sempre piu' elevati di qualita' dei servizi pubblici e del generale aumento dei costi. Anche la gia' ricordata Nota del 3 agosto 2005 della Ragioneria Generale dello Stato lo ha constatato, prendendo atto delle «mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione» (si badi: normali, sicche' non e' qui questione del rapporto tra funzioni «nuove» e loro copertura con risorse altrettanto «nuove»!). Da ultimo (ma non per ultimo) all'impellente necessita' di rimediare alle gravi ed evidenti anomalie applicative, riconosciute dalla stessa Ragioneria Generale dello Stato, determinate dal precedente regime finanziario. Si fa ancora riferimento al carteggio tra la ricorrente e la Ragioneria Generale dello Stato dell'estate 2005. Ivi il Ministero ha preso atto di un «anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale» nei trienni 1991-1993 e 1996-1998 e di una «progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale» relativo alla compartecipazione IVA. E' facile comprendere come le anomalie applicative del previgente regime finanziario abbiano indebitamente compresso le entrate regionali e come questa compressione, a sua volta, abbia determinato un'indebita riduzione della capacita' di spesa, posto che (data la mancata esecuzione integrale della riforma dell'art. 8 dello Statuto, anche in termini di innalzamento della capacita' di spesa) la capacita' di spesa ancora oggi riconosciuta alla Regione fa riferimento all'anno 2005. Quando la legge n. 296 del 2006, novellando lo Statuto, ha modificato il quadro finanziario aumentando le entrate disponibili per la Regione Sardegna, pertanto, non ha fatto altro che adeguare il quadro delle entrate alle necessita' delle spese e correggere le gravi distorsioni applicative che avevano caratterizzato il precedente regime finanziario e che avevano di fatto contraddetto il senso stesso del sistema di compartecipazione alle entrate tributarie, secondo il quale le entrate regionali dovevano fisiologicamente crescere al crescere del gettito tributario. E' chiaro, dunque, che i fondi che devono pervenire alla Regione ai sensi dell'art. 8 dello Statuto e che sono stati (finalmente) inseriti nel bilancio dello Stato con la legge n. 182 del 2012 sono tutti preordinati allo svolgimento, da parte della Regione ricorrente, delle funzioni pubbliche e dei servizi (anche essenziali, come quelli sanitari) assegnatile dalla Costituzione (artt. 117 e 119 Cost.), dallo Statuto (artt. 3, 4 e 5), dalle leggi dello Stato (per tutte valga il riferimento ai commi 836 gg. dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, che hanno operato gli ultimi - in ordine di tempo - trasferimenti di funzioni a carico del bilancio regionale). E' del tutto evidente, conseguentemente, che il mancato adeguamento della possibilita' di spesa della Regione non solo ne limita l'autonomia finanziaria (tutelata dagli artt. 7 dello Statuto e 119 Cost.), ma ha come immediata conseguenza la lesione dei diritti dei cittadini residenti in Sardegna (garantiti dall'art. 2 Cost.) e la violazione del principio del loro eguale trattamento quale cittadini dello Stato (art. 3 Cost.). Cio' considerato, e' palese che la riforma del sistema del patto di stabilita' per le Regioni speciali, specie in quanto avvenuta successivamente allo stanziamento dei fondi relativi alle nuove quote di compartecipazione alle entrate erariali, doveva necessariamente essere accompagnata dalla previsione dell'adeguamento del livello delle spese in termini di competenza eurocompatibile che possono essere impegnate e liquidate dall'Amministrazione regionale, dato che, nella (pur contestabile, si ripete) prospettiva assunta dallo Stato quanto alle modalita' di entrata a regime del nuovo sistema di compartecipazione, tale previsione legislativa era - appunto - necessaria. In mancanza di tale adeguamento, invero, la ragione stessa della novellazione dell'art. 8 dello Statuto viene tradita, perche' essa non era certo preordinata ad apprestare arbitrariamente alla Regione una maggiore disponibilita' di somme di danaro, bensi' ad assicurare una piu' compiuta capacita' di esercitare le funzioni di competenza e di soddisfare i diritti dei cittadini sardi. Non serve a nulla, dunque, alla Regione, avere la disponibilita' di maggiori somme, se la disciplina del patto di stabilita' non consente alla Regione medesima e al MEF di accordarsi sulla possibilita' che tali somme possano essere spese. 8.6.1. - A questo proposito, va subito dissipato un possibile equivoco. E' cosa nota, e lo si e' anche rammentato citando il comma 454 dell'art. 1 della legge impugnata, che il meccanismo del patto di stabilita' interno pone alle Regioni e agli enti locali un limite ulteriore rispetto al semplice vincolo di bilancio, fissando un tetto massimo sia al livello massimo delle spese che possono essere impegnate, sia al livello massimo dei pagamenti che possono essere liquidati da parte dell'Amministrazione interessata. Orbene, la ricorrente non intende in alcun modo sottrarsi a questo meccanismo di governo dell'economia pubblica, che opera direttamente attraverso una limitazione della spesa. Purtuttavia si deve segnalare che per le altre Regioni (anche a statuto ordinario) l'ulteriore «strozzatura» della spesa pubblica determinata dal patto di stabilita' si innesta su un quadro fisiologico della finanza regionale, sia pel profilo dei rapporti economico-finanziari tra Stato e Regione, sia pel profilo della corrispondenza tra le risorse disponibili e le necessita' di spesa dell'Ente connesse alle funzioni novellamente conferite. Per la Regione Sardegna, invece, come si e' gia' detto, il patto di stabilita' interno incide in una situazione di finanza regionale che risulta essere patologica per esplicito riconoscimento dello stesso Stato. In altri termini: non solo le entrate sono insufficienti (o, meglio, lo saranno sino a che non saranno liquidati gli importi maggiori iscritti al bilancio dello Stato dalla legge di assestamento 2012) a far fronte al fabbisogno di spesa, ma la spesa e' ulteriormente ridotta a causa dei vincoli del patto di stabilita', con un effetto esponenziale sconosciuto alle altre Regioni. Mentre per le altre Regioni, dunque, il patto di stabilita' interno puo' rappresentare uno strumento ragionevole e coerente di coordinamento della finanza pubblica, per la Regione Sardegna la sua applicazione in difetto della piena esecuzione del nuovo art. 8 dello Statuto si rivela irragionevole e violativi dell'autonomia finanziaria regionale. 8.6.2. - Per tutte le anzidette ragioni, il legislatore statale e' palesemente incorso nei vizi sopra indicati non avendo previsto, al momento di riformare la disciplina del patto di stabilita' anche in seguito allo stanziamento in bilancio delle somme necessarie a finanziare il nuovo regime economico della Regione, gli strumenti per l'aumento del livello delle spese e dei pagamenti che possono essere effettuati dalla Regione Sardegna. E' di immediato apprezzamento, anzitutto, la violazione dell'art. 8 dello Statuto. Addirittura dopo aver stanziato le somme necessarie a liquidare alla Regione le quote di compartecipazione fissate dalla disposizione in esame, proprio all'atto di riformare la disciplina del patto di stabilita', lo Stato preclude ulteriormente e senza alcuna ragione l'utilizzo di dette somme, cosi' rendendo di fatto inutili detti stanziamenti e procrastinando ancora la completa ed esatta esecuzione della novella statutaria, anche in violazione del consolidato principio che i sacrifici finanziari imposti alle Regioni in limitazione della loro autonomia possono essere ragionevoli solo se (ragionevolmente, appunto) temporanei (cfr., tra le recenti, sent. n. 139 del 2012), il che, nella specie, non e', visto il pervicace e persistente rifiuto statale di eseguire quanto disposto dalle previsioni statutarie. Tanto determina anche la conseguente violazione dell'autonomia finanziaria della Regione tutelata (anche) dall'art. 7 dello Statuto e dall'art. 119 Cost., autonomia che impone la garanzia delle capacita' sia di entrata che di spesa che derivano dal regime delle compartecipazioni erariali di cui all'art. 8 dello Statuto. Evidente, poi, e' il vizio di irragionevolezza della legge censurata, perche' l'impossibilita' di effettivo impiego delle somme stanziate collide con le finalita' della legge medesima, chiamata a ripartire i sacrifici finanziari secondo le possibilita' di ciascuno. L'art. 3 Cost., inoltre, risulta violato anche pel profilo del principio di eguaglianza, poiche', come si e' visto, la Regione Sardegna risulta essere discriminata nei confronti di tutte le altre, subendo la cristallizzazione di limiti derivanti dal patto di stabilita' che non tengono conto della (patologica) peculiarita' della sua situazione finanziaria. Lampanti, infine, sono le violazioni degli altri parametri costituzionali (art. 117) e statutari (artt. 3, 4 e 5) gia' indicati, per il semplice motivo che le risorse in oggetto - lo si deve ribadire - sono tutte preordinate allo svolgimento di funzioni pubbliche riconosciute come essenziali per la comunita' regionale dallo stesso Stato. 8.6.3. - Violato e', altresi', il principio di corrispondenza fra le entrate e le spese del bilancio regionale, di cui all'art. 81, comma 1 (nella formulazione vigente, comma 4 nella precedente) della Costituzione. E' cosa nota che le politiche di bilancio devono rispettare il principio di parita' di entrata e di spesa. Tale principio - lo si e' gia' accennato - e' stato ribadito da codesta Ecc.ma Corte costituzionale proprio nello scrutinare un conflitto in tema di rapporti economico-finanziari tra le parti del presente giudizio. Ci si riferisce, in particolare, alla decisiva e piu' volte citata sent. n. 118 del 2012. In quel caso, lo si ripete, la Regione Sardegna aveva impugnato la Nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto: «Patto di stabilita' interno per l'anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna». Con quell'atto l'Amministrazione statale aveva rigettato la proposta di patto di stabilita' per il 2011 ritualmente formulata dalla Regione ai sensi della legge vigente (art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010) con cui si chiedeva un innalzamento del livello delle spese e dei pagamenti assentiti in ragione delle maggiori entrate previste dal riformato art. 8 dello Statuto. Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato, con cristallina chiarezza, che e' «di palmare evidenza che [...] il principio inderogabile dell'equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell'entrata». E' stato cosi' stabilito, in modo inequivocabile, che non solo sul piano logico (il che e' addirittura autoevidente) ma anche su quello giuridico esiste e deve essere rispettato un principio di corrispondenza fra livello delle entrate e livello delle spese. Tale principio, e' cosa ovvia, deve essere rispettato anche nel dominio del patto di stabilita', e, pertanto, non solo al livello della negoziazione fra la Regione e il MEF, ma anche a quello della disciplina generale del patto di stabilita', dettata dalla legge statale. Anche in questo caso, infatti, si deve anzitutto escludere che il principio di corrispondenza tra entrate e spese possa essere di alcun ostacolo al funzionamento del meccanismo del patto di stabilita' o al raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica che la Repubblica si propone, anche nel rispetto del quadro economico tracciato in sede di Unione Europea o di piu' ristretta Unione monetaria. In primo luogo, infatti, il principio di parita' fra entrate e uscite non impedisce che la Regione Sardegna possa e debba contribuire agli obiettivi di finanza pubblica. Anche in questo caso e' cosa nota che la partecipazione a detti obiettivi avviene generalmente in virtu' di espliciti «prelievi» (pur confinati nel tempo, pena la loro illegittimita' costituzionale) direttamente fissati dal legislatore statale, che la Regione deve tenere in conto al momento dell'elaborazione del suo bilancio (tra le tante disposizioni in esame, basti richiamare ancora il comma 3 dell'art. 32 della legge n. 183 del 2011, che impone alle Regioni a Statuto speciale un contributo di finanza pubblica pari a € 1.600.000.000,00; non a caso l'art. 1, comma 454, della legge impugnata richiama le Regioni al rispetto dei contributi di finanza pubblica di cui alla tabella di cui all'art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011). In secondo luogo, proprio codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha inteso precisare, ancora nella sent. n. 118 del 2012, che lo strumento del patto di stabilita', per non condurre ad esiti illegittimi e irragionevoli, deve muoversi proprio nell'ambito definito dal principio di parita' di entrate e uscite di bilancio e dall'obbligo dell'Ente territoriale autonomo di contribuire alla Finanza pubblica: «il contenuto dell'accordo» che Ministero e Regione stipulano per fissare i reciproci obblighi di finanza pubblica «deve essere compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilita', della cui salvaguardia anche le Regioni a statuto speciale devono farsi carico e contemporaneamente deve essere conforme e congruente con le norme statutarie della Regione, ed in particolare con l'art. 8 dello statuto modificato - per effetto del meccanismo normativo introdotto dall'art. 54 dello statuto stesso - dall'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). Quest'ultimo ha rideterminato e quantificato le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della Regione autonoma Sardegna». Per le ragioni anzidette, proprio movendo dalla prospettiva che e' necessaria un'intermediazione legislativa per portare a compimento il nuovo regime finanziario previsto dallo Statuto, lo Stato aveva il preciso e inequivocabile dovere di consentire l'adeguamento del livello delle spese e dei pagamenti della Regione nel momento in cui riformava la disciplina del patto di stabilita', oltretutto dopo che il bilancio statale era stato assestato per tenere conto (seppure con un gravissimo ritardo) della necessaria esecuzione dell'art. 8 dello Statuto. Non avendo operato in tal senso, lo Stato ha certamente violato l'indicato principio di parita' tra le entrate e le uscite regionali, di cui all'art. 81, comma 1, della Costituzione. La violazione dell'art. 81 Cost., pero', ridonda immediatamente nella violazione delle attribuzioni costituzionali e statutarie della ricorrente. In particolare, e' nuovamente violato l'art. 8 dello Statuto, perche', come si e' gia' detto, la disponibilita' in entrata delle risorse finanziarie «rideterminate» e «quantificate» in detta disposizione (per usare gli stessi, puntuali, termini impiegati da codesta Ecc.ma Corte costituzionale) a nulla vale se le maggiori somme non possono essere poi concretamente impiegate attraverso gli impegni di spesa e la liquidazione dei pagamenti necessari allo svolgimento delle funzioni assegnate alla Regione. Di conseguenza, la legge gravata lede, per un ulteriore profilo, anche l'autonomia finanziaria della Regione e, pertanto, viola l'art. 7 dello Statuto e l'art. 119 Cost. Similmente, sono novellamente violati anche gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto e 117 Cost., perche' l'impossibilita' di effettivo impiego delle somme stanziate dallo Stato impedisce alla Regione di finanziare le funzioni pubbliche assegnate dallo Statuto, dalla Costituzione, dalle leggi dello Stato. Tanto, con la conseguenza della violazione degli artt. 2 e 3 Cost., perche' i diritti costituzionali dei cittadini residenti in Sardegna possono essere concretamente goduti, in condizioni di parita' con tutti gli altri cittadini italiani, solo se la Regione puo' svolgere le funzioni pubbliche assegnatele dalla Costituzione, dallo Statuto e dalla legge (si pensi, in primo luogo, ai finanziamento del sistema sanitario regionale, che, ai sensi dell'art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006, e' completamente a carico della Regione). L'art. 3 Cost., a sua volta, e' ulteriormente violato perche' i sacrifici imposti alla Regione Sardegna (e che questa, si ripete, accetterebbe pienamente) avrebbero dovuto essere parametrati alle disponibilita' finanziarie aggiornate a seguito dell'esecuzione dell'art. 8 dello Statuto e non avrebbero potuto rimanere «congelate» ad un livello che quell'esecuzione non contemplava. 8.7. - Particolarmente lesivo delle attribuzioni costituzionali della ricorrente e' il comma 459 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012. Si e' gia' detto che esso prevede che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dai commi 454, 455 e 457, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, mediante l'assunzione dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione, con le modalita' stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria; tali norme di attuazione precisano le modalita' e l'entita' dei risparmi per il bilancio dello Stato da ottenere in modo permanente o comunque per annualita' definite». Con la disposizione in commento il legislatore ha inteso creare un maggior risparmio per le finanze dello Stato attribuendo alle Regioni a statuto speciale ulteriori funzioni pubbliche. Il conferimento di tali nuove funzioni sara' determinato, nell'intento del legislatore, da norme di attuazione dello Statuto, le quali dovranno in ogni modo assicurare dei «risparmi» per lo Stato, da conseguirsi «in modo permanente o comunque per annualita' definite». In questo modo, pero', lo Stato ha pre-determinato il contenuto delle norme di attuazione statutaria, sovvertendo l'ordine gerarchico del sistema delle fonti ed eludendo le finalita' di garanzia dell'autonomia regionale che sono sottese al procedimento di adozione delle norme di attuazione dello Statuto. Di conseguenza, la disposizione in esame viola l'art. 56 dello Statuto, che attribuisce alla commissione paritetica Stato-Regione Sardegna il potere di proporre le norme di attuazione dello Statuto. Violato e' anche l'art. 54 dello Statuto, che prevede le forme di revisione dello Statuto medesimo: lo Stato, avendo surrettiziamente avocato al legislatore ordinario la potesta' di determinare il contenuto delle norme di attuazione dello Statuto, ha di fatto derogato all'art. 56 dello Statuto senza seguire le forme previste dall'art. 54. Violato e' anche l'art. 116 della Costituzione, che riconosce la maggiore autonomia delle Regioni speciali «secondo i rispettivi statuti speciali». 9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 554, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Il comma 554 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 prevede che «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui alla presente legge nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione». Trattasi di una disposizione che, se da una parte obbliga espressamente le Regioni speciali ad una completa attuazione della legge impugnata, dall'altra parte reca una clausola inadatta a fare salve le attribuzioni statutarie delle medesime autonomie speciali. In altri termini: quella in oggetto e' una clausola che, sebbene in apparenza sembri finalizzata alla tutela delle attribuzioni statutarie della Regioni ad autonomia speciale, finisce, al contrario, per mortificarle. La pretesa clausola di salvaguardia, infatti, e' rivolta solamente alle Regioni, le quali dovranno «adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal comma 1 compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione». Questa formula non e' adatta a limitare il raggio applicativo delle disposizioni della legge impugnata, proprio perche' non prevede espressamente che gli ambiti di competenza delle Regioni a Statuto speciale si intendevano comunque fatti salvi dalle previsioni della legge n. 228 del 2012 che dovessero eventualmente risultare invasi dal legislatore statale. 9.1. - La questione dell'operativita' della clausola di salvaguardia e' stata chiarita da codesta Ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n. 241 del 2012. In quel caso si interpretava l'art. 19-bis del d.l. n. 138 del 2011, ove si prevedeva che «l'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42». Codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' che attraverso «la clausola di salvaguardia, gli evocati parametri di rango statutario assumono [...] la funzione di generale limite per l'applicazione delle norme del decreto-legge n. 138 del 2011, nel senso che queste sono inapplicabili agli enti a statuto speciale ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione. Detta inapplicabilita' esclude la fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale basate sulla violazione di tali parametri statutari» salva l'evenienza che «singole norme del decreto-legge prevedano espressamente, derogando alla clausola in esame, la propria diretta ed immediata applicabilita' agli enti ad autonomia speciale». Ora, la differenza che intercorre tra l'art. 1, comma 554, della legge n. 228 del 2012 e l'art. 19-bis del d.l. n. 138 del 2011 e' assolutamente evidente. Solo replicando la stessa formula dell'art. 19-bis del d.l. n. 138 del 2011 (e non quella ben piu' restrittiva qui in questione) poteva prodursi quel meccanismo inteso a salvaguardare sia la legittimita' dell'intervento statale che le attribuzioni delle Regioni speciali che e' stato limpidamente ricostruito nella cit. sent. n. 241 del 2012. Di conseguenza, non avendo delimitato l'efficacia della legge n. 228 del 2012 (in particolare dei commi 118, 131, 132, 138, 141, 142, 143, 145, 146, 299, 380, 387, 454, 456, 457, 458, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465 e 466) nel rispetto della rigida ripartizione delle competenze e delle specifiche previsioni recate dallo Statuto, il legislatore e' incorso una volta di piu' nella violazione degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 54 e 56 dello Statuto, degli artt. 2, 3, 117 e 119 Cost. e del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, nella misura in cui consente che le disposizioni della legge impugnata si applichino anche in violazione delle disposizioni statutarie e costituzionali indicate ai precedenti paragrafi.