Ricorso per la regione autonoma della Sardegna (codice fiscale 80002870923), in persona del presidente pro tempore dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto, dagli avvocati Tiziana Ledda (codice fiscale LDDTZN52T59B354Q; fax 070.6062418; pec: tledda@pec.regione.sardegna.it) e prof. Massimo Luciani (codice fiscale LCNMSM52L23H501G; fax 06.90236029; pec: massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), con domicilio eletto presso lo studio del secondo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio n. 9. Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, per la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 5-bis e 8, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132. Fatto 1. - Nella Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, e' stato pubblicato il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti locali». L'art. 11 del suddetto decreto recava (e reca tuttora) alcune disposizioni che disciplinano i rapporti finanziari dello Stato (solo) con la Regione siciliana (commi da 1 a 5) e con la regione Piemonte (commi 6 e 7) e che modificano il regime dei contributi di finanza pubblica imposti dallo Stato a tutte le autonomie speciali con l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2013 (comma 8). La legge di conversione n. 64 del 2012, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132, ha aggiunto all'articolo in esame il comma 5-bis, che disciplina alcuni profili dello specifico rapporto di finanza pubblica tra lo Stato e la ricorrente regione Sardegna. Ha, altresi', riformulato il comma 8, relativo, come si diceva, alla disciplina dei contributi di finanza pubblica gia' imposti con l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012. Nella formulazione vigente, introdotta dalla legge di conversione del decreto-legge qui impugnato, i commi 5-bis e 8 dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013 prevedono quanto segue: comma 5-bis: «Fatte salve le previsioni dell'art. 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e dei commi 1 e 2 dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, al fine di dare piena applicazione, secondo i principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 2012, al nuovo regime regolatore dei rapporti finanziari tra lo Stato e la regione Sardegna, disciplinato dalle disposizioni di cui all'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, tenendo conto degli stanziamenti di competenza e cassa allo scopo previsti nel bilancio di previsione per l'anno finanziario 2013 e nel bilancio pluriennale per il triennio 2013-2015, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell'economia e delle finanze concorda, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, con la regione Sardegna, con le procedure di cui all'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le modifiche da apportare al patto di stabilita' interno per la regione Sardegna»; comma 8: «Al fine di garantire una sufficiente liquidita' per far fronte ai pagamenti in conto capitale degli enti territoriali e, per la parte corrente, nel comparto dei trasporti e per il funzionamento di infrastrutture indispensabili per lo sviluppo delle regioni, al comma 3 dell'art. 16 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dopo le parole: "compartecipazione ai tributi erariali" sono inserite le seguenti parole: "o, previo accordo tra la regione richiedente, il Ministero per la coesione territoriale e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a valere sulle risorse destinate alla programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione" ed e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: "In caso di utilizzo delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per le finalita' di cui al presente comma, la regione interessata propone conseguentemente al CIPE per la presa d'atto, la nuova programmazione nel limite delle disponibilita' residue, con priorita' per il finanziamento di interventi finalizzati alla promozione dello sviluppo in materia di trasporti, di infrastrutture e di investimenti locali."». 2. - Il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013 detta disposizioni circa l'adeguamento dell'accordo sul patto di stabilita' tra la regione Sardegna e lo Stato, obbligando il Ministero dell'economia e delle finanze a concordare con la regione le modifiche al patto di stabilita' medesimo, al fine di renderlo congruente con il nuovo regime delle entrate regionali stabilito dall'art. 8 dello Statuto sardo, come novellato dall'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006. Entrambi i commi, poi, concernono anche l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012: il primo perche', quanto ai rapporti finanziari tra Stato e regione Sardegna, fa salvo detto art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012; il secondo perche' modifica in alcune sue parti quello stesso comma 3. 2.1. - Conviene, dunque, per comodita' di lettura, riportare il testo del suddetto art. 16, comma 3, decreto-legge n. 95 del 2012, nella formulazione vigente (sono sottolineate le parti novellate dal comma 8 dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013): «Con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo del concorso complessivo di cui al primo periodo del presente comma e' annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, o, previo accordo tra la regione richiedente, il Ministero per la coesione territoriale e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a valere sulle risorse destinate alla programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione sulla base di apposito accordo sancito tra le medesime autonomie speciali in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno. In caso di mancato accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'accantonamento e' effettuato, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da emanare entro il 15 febbraio di ciascun anno, in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal SIOPE. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al citato art. 27, gli obiettivi del patto di stabilita' interno delle predette autonomie speciali sono rideterminati tenendo conto degli importi incrementati di 500 milioni di euro annui derivanti dalle predette procedure. In caso di utilizzo delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per le finalita' di cui al presente comma, la regione interessata propone conseguentemente al CIPE per la presa d'atto, la nuova programmazione nel limite delle disponibilita' residue, con priorita' per il finanziamento di interventi finalizzati alla promozione dello sviluppo in materia di trasporti, di infrastrutture e di investimenti locali». 3. - Si puo', ora, comprendere quale effetto producano le disposizioni oggetto del presente giudizio sugli interessi e sulle attribuzioni costituzionali e statutarie della ricorrente. Il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013 impone al Ministero dell'economia e delle finanze di concordare con la regione Sardegna l'adeguamento dei rapporti finanziari tra Stato e regione al nuovo regime delle entrate regionali derivanti dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali disposto dall'art. 8 dello statuto sardo, come riformato dall'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006. Come e' ben noto all'Ecc.ma Corte, che ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione piu' volte (cfr. sentenze nn. 99 e 118 del 2012 e 95 del 2013), la regione Sardegna e' tuttora in attesa che lo Stato dia compiuta esecuzione alla nuova formulazione dell'art. 8 dello statuto, tanto che sulla questione e' maturato un consistente contenzioso, in parte tuttora pendente (cfr. i giudizi rubricati al R. Ric. nn. 196/2012 e 41/2013), concernente la concreta disponibilita' finanziaria e la relativa capacita' di spesa delle somme assicurate dallo stesso art. 8 dello statuto. Ora, finalmente, con l'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge n. 34 del 2013, lo Stato ha imposto (o, per meglio dire, esplicitato un'imposizione gia' derivante dallo statuto e dalla giurisprudenza costituzionale) ai competenti uffici del Ministero di concordare con la regione Sardegna una formulazione del patto di stabilita' interno che sia coerente e congruente con il nuovo regime delle entrate regionali, in modo da assicurare alla regione la possibilita' di effettivo utilizzo di quelle somme. Nondimeno, il legislatore statale ha inteso vincolare l'accordo che Ministero e regione dovranno stipulare al rispetto di due condizioni: che siano «fatte salve le previsioni dell'art. 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95»; che siano rispettate le «procedure di cui all'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42». Entrambe queste condizioni previste dalla legge sono illegittime e pregiudizievoli per la ricorrente. Quanto all'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, va detto che con quella disposizione lo Stato, come risulta dal testo sopra riportato, ha imposto alle autonomie speciali un contributo straordinario di finanza pubblica che, gia' di elevato ammontare per il 2012 («600 milioni di euro»), raddoppia nel 2013 («1.200 milioni di euro») e arriva praticamente a triplicare nel 2015 e negli anni seguenti («1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015»). Per questa ragione l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, anche per come ora novellato, e' certamente illegittimo, in quanto impone un contributo straordinario di finanza pubblica che e' indeterminato nel tempo, cosi' violando i principi piu' volte ribaditi dall'Ecc.ma Corte costituzionale nell'interpretazione delle disposizioni che presidiano i rapporti finanziari tra Stato e regione (articoli 117 e 119 Cost.; articoli 7 e 8 dello statuto). Cio' e' tanto vero che la regione Sardegna si e' trovata costretta ad impugnare, innanzi l'Ecc.ma Corte costituzionale, la predetta disposizione con il ricorso rubricato al n. 160 del R. Ric. 2012, tuttora pendente (per completezza si osserva che la successiva modificazione dell'art. 16, comma 3, intervenuta con l'art. 1 della legge n. 228 del 2012, e' stata anch'essa impugnata dall'odierna ricorrente con ricorso esso pure pendente e rubricato al n. 41 del R. Ric. 2013). Quanto alle procedure di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009, in detto articolo e' previsto che «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalita' stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi [...]». Cio' significa che (a meno che il rapporto tra il decreto-legge n. 35 del 2013 e la legge n. 42 del 2009 non si ricostruisca diversamente) e' possibile, per lo Stato, rifiutarsi di adempiere all'obbligo posto dalla legge fino a che non siano state adottate le norme di attuazione di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 ora citata. In questo modo, pero', la regione Sardegna patisce un'ulteriore dilazione dei tempi di completa esecuzione dell'art. 8 dello statuto, nonostante che l'art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006 abbia previsto che il nuovo regime delle entrate regionali entri a regime dal 2010. 4. - Si consideri, inoltre, che - come gia' riportato - il legislatore statale, con l'art. 11, comma 8, del decreto-legge n. 35 del 2013 ha modificato l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, prevedendo che il contributo di finanza pubblica ivi previsto possa essere scontato non solo sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali di spettanza regionale (come previsto nella precedente formulazione della norma), ma anche sulla parte del «Fondo per lo sviluppo e la coesione» destinato agli interventi a favore delle regioni chiamate a versare il contributo. In questo modo, pero', la lesivita' della norma e' addirittura aumentata, perche' alla disponibilita' delle autonomie speciali, tra cui la ricorrente, possono venire a mancare fondi indispensabili per lo sviluppo socio-economico del territorio, preordinati ad adempiere a quelle funzioni di solidarieta' sociale che l'art. 119 Cost. prevede siano esercitate nelle forme della perequazione finanziaria a favore dei territori svantaggiati. Per le ragioni anzidette, l'art. 11, commi 5-bis e 8, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132, e' gravemente lesivo degli interessi e delle attribuzioni costituzionali e statutarie della regione autonoma della Sardegna, che ne chiede la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di Diritto 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 5-bis, per un primo profilo, e 8 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132. Violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 117 Cost., degli articoli 117 e 119 Cost. (anche in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e degli articoli 6, 7 e 8 della legge costituzionale n. 3 del 1948, recante statuto speciale per la Sardegna. La prima doglianza investe: a) il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013, nella parte in cui, nell'obbligare il Ministero dell'economia e delle finanze all'adeguamento del regime dei rapporti finanziari tra Stato e regione Sardegna al nuovo art. 8 dello statuto, fa «salve le previsioni dell'art. 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95», cosi' confermando, in capo alla ricorrente, il contributo straordinario di finanza pubblica previsto dal medesimo art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012; b) il comma 8, in quanto modifica l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, confermandone la vigenza e aggiungendo ulteriori profili lesivi dell'autonomia finanziaria della ricorrente, in quanto idoneo a sottrarre risorse dai capitoli del Fondo per lo sviluppo e la coesione destinati agli interventi perequativi nella regione Sardegna. E' evidente che l'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013, in queste parti, e' illegittimo per gli stessi motivi gia' dedotti nel ricorso avverso l'art. 16 del decreto-legge n. 95 del 2012, ricordato in narrativa (n. 160 R. Ric. 2012). Tali motivi sono qui appresso ribaditi e integrati, alla luce delle novita' medio tempore determinatesi. 1.1. - In ragione dell'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 e, oggi, dell'art. 11, comma 5-bis (ma anche, come si dira' di seguito, comma 8), del decreto-legge n. 35 del 2013, a carico della regione Sardegna e' imposto un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica. Tale contributo non e' delimitato nel tempo (del resto, la c.d. spending review che si e' inteso avviare con il decreto-legge n. 95 del 2012 non e' una manovra di finanza pubblica temporanea, ma una rideterminazione complessiva della spesa pubblica, che si vuole strutturalmente applicabile di qui in avanti), ma cresce fino a toccare l'enorme somma di un miliardo e cinquecento milioni di euro «a decorrere dall'anno 2015» (e quindi di li' in avanti). Se questo e', come e', vero, sono violati i principi che codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricavato dal testo costituzionale (in particolare dall'art. 117 Cost., espressamente menzionato nella giurisprudenza, applicabile anche alle autonomie speciali se maggiormente favorevole, stante il disposto dell'art. 10 della legge n. 3 del 2001) a presidio dei rapporti finanziari tra Stato e regione. Nella sentenza n. 82 del 2007, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato che le «limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» possono darsi solamente «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale». La disposizione in esame, invece, non pone vincoli transitori, ma definitivi, eppercio' illegittimi. Nella piu' recente sentenza n. 193 del 2012, poi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricordato di essersi «espressa sulla non incompatibilita' con la Costituzione delle misure disposte con l'art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, sul presupposto - richiesto dalla propria costante giurisprudenza - che possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)». Per tale ragione, le disposizioni impugnate violano l'art. 117, comma 3, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, perche' lo Stato, nel disciplinare la partecipazione delle regioni alla manovra di finanza pubblica, ha imposto un contributo straordinario senza limiti di tempo in capo alle regioni a statuto speciale, disposizione che - stante la consolidata giurisprudenza costituzionale - non puo' essere ricondotta ad un «principio fondamentale» della materia «coordinamento della finanza pubblica. Di conseguenza, la norma impugnata esorbita dalla competenza statale - appunto limitata ai soli «principi fondamentali» - nella materia di competenza concorrente «coordinamento della finanza pubblica» ex art. 117, comma 3, Cost., cosi' impedendo alla regione lo svolgimento autonomo delle funzioni economico-finanziarie attribuite dallo statuto, dalla Costituzione e dalla legge. Per gli stessi motivi, sono violati gli articoli 7 dello statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della regione Sardegna, che e' qui incisa dallo Stato con disposizioni - si ripete - non riconducibili ai «principi generali della materia» e dagli effetti pregiudizievoli permanenti, senza alcuna valida base costituzionale o statutaria. Violato e', altresi', l'art. 119, comma 4, Cost., in quanto il contributo richiesto dallo Stato impedisce, di fatto, alla regione di provvedere all'integrale finanziamento delle funzioni pubbliche di cui e' titolare in ragione della Costituzione, dello statuto e della legge in generale. Tali funzioni, e' bene ribadire, sono cosi' ampie che si e' resa necessaria, nel 2006, la riforma dell'art. 8 dello statuto, introducendo nuove fonti di entrata idonee a coprire i fabbisogni. Il prelievo ora imposto, dunque, contraddice frontalmente quella scelta (di rango costituzionale) ed e' per tabulas (per implicito, eppero' chiarissimo riconoscimento da parte della legge n. 296 del 2006) impeditivo del corretto assolvimento dei compiti istituzionali della regione. Infine e' violato anche l'art. 6 dello statuto, che affida alla regione Sardegna le funzioni amministrative nelle materie di competenza regionale, funzioni che, per le ragioni ora ribadite, la regione non potra' compiutamente svolgere a causa dell'illegittima diminuzione di risorse imposta dal legislatore statale. 1.2. - Quanto al comma 8 dell'art. 11 qui impugnato, esso - come si e' visto - modifica lo stesso comma 3 dell'art. 16 del decreto-legge n. 95 del 2012, prevedendo che, nelle more dell'attuazione dell'art. 27 della legge n. 42 del 2009, il contributo imposto dal legislatore statale possa essere scontato non solo sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali, bensi' anche sulla quota del Fondo per la coesione e lo sviluppo destinato agli interventi di perequazione nel territorio regionale. Queste circostanze confermano e anzi aggravano i vizi che gia' affliggevano l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012. 1.2.1. - Anzitutto, come si e' detto, anche la disposizione impugnata conferma in capo alla ricorrente un contributo di finanza pubblica indefinito nel tempo, eppercio' illegittimo, in quanto esorbita dalla competenza statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», cosi' violando la corrispondente competenza regionale ex art. 117, comma 3, Cost. in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, oltre che l'autonomia finanziaria della regione Sardegna, tutelata dagli articoli 7 e 8 dello statuto e dall'art. 119 Cost. 1.2.2. - In secondo luogo, si deve ricordare che, come l'Ecc.ma Corte ha da ultimo rilevato nella sentenza n. 95 del 2013, sussiste «un annoso contrasto tra la regione Sardegna e lo Stato su cui la Corte e' stata gia' piu' volte chiamata a pronunciarsi (a partire dalla sentenza n. 213 del 2008 e, anche recentemente, con le sentenze n. 99 e n. 118 del 2012)». In particolare «la causa del contenzioso e' legata al ritardo nell'esecuzione del nuovo sistema di finanziamento della regione Sardegna» (sentenza n. 95 del 2013). Tanto perche' - si legge ancora nella sentenza n. 95 del 2013 - «negli anni seguenti alla novella legislativa del 2006, le nuove previsioni hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese, con la conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del periodo transitorio (2009), gli oneri relativi alla sanita', al trasporto pubblico locale e alla continuita' territoriale sono venuti a gravare sul bilancio della regione Sardegna», mentre «sul fronte delle entrate [...] lo Stato non ha trasferito alla regione le risorse corrispondenti alle maggiori compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, cosi' come previsto dall'art. 8 dello statuto». In ragione di questa circostanza, ha affermato codesto Ecc.mo collegio, persiste «uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma dello statuto», onde scongiurare una vera e propria «emergenza finanziaria in Sardegna» che «il ritardo accumulato sta determinando» (cosi' ancora la sentenza n. 95 del 2013). Ebbene, e' assolutamente evidente che l'accantonamento dell'illegittimo contributo di cui al comma 3 dell'art. 16 del decreto-legge n. 95 del 2012 sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali aggrava, una volta di piu', l'«emergenza finanziaria» dovuta all'inerzia dello Stato nel dare esecuzione all'art. 8 dello statuto. Anche per tale profilo, dunque, le disposizioni impugnate violano l'art. 8 dello statuto, diminuendo le somme che lo Stato (avendole espressamente considerate necessarie perche' la regione svolgesse le sue funzioni) deve liquidare alla regione in ossequio al regime di compartecipazione al gettito delle entrate erariali. Di conseguenza, e' ulteriormente pregiudicata l'autonomia finanziaria della regione e, sempre di conseguenza, sono violati gli articoli 7 e 8 dello statuto e 119 Cost., che tale autonomia fondano e tutelano. Violato e', altresi', il principio di leale collaborazione, in relazione all'art. 8 dello statuto, perche' il contributo alla finanza pubblica e' fatto valere direttamente sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo Stato, sottraendosi al dovere di leale collaborazione, non abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto, dall'art. 8. Ne consegue che, se il principio di leale collaborazione, in linea di massima, non e' invocabile nei giudizi in via principale, tanto non vale in questo caso, perche' l'aver sostanzialmente recepito la situazione determinata da una pratica amministrativa illegittima per violazione del principio di leale collaborazione fa si' che il vizio si riverberi anche sulla legge stessa. 1.2.3. - Infine, come gia' si diceva, si deve considerare che, in ragione delle disposizioni qui impugnate, il contributo straordinario di cui all'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, puo' essere fatto valere anche sulle risorse del «Fondo per lo sviluppo e la coesione». Detto fondo, disciplinato dagli articoli 2 e seguenti del decreto legislativo n. 88 del 2011, e' destinato «a rimuovere le disuguaglianze di capacita' amministrativa per l'equilibrata attuazione del titolo V della Costituzione nonche' alle spese per lo sviluppo ammesse dai regolamenti dell'Unione europea» (art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 88 del 2011), onde «perseguire anche la perequazione infrastrutturale» (art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 88 del 2011). Il Fondo, dunque, e' lo strumento adottato dal legislatore per dare attuazione al principio di perequazione territoriale fissato dall'art. 119, comma 3, Cost., ove si prevede che «la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante». Tutto cio' premesso, appare evidente che le disposizioni in esame violano l'art. 119, comma 3, Cost., perche' consentono che addirittura il Fondo per lo sviluppo e la coesione sia depauperato in ragione di un contributo di finanza pubblica illegittimo. Dato che il Fondo per la coesione e lo sviluppo e' destinato a perseguire la «perequazione infrastrutturale», e' violato anche l'art. 8 dello statuto, che alla lettera i) del comma 1 prevede che tra le entrate della regione vi siano anche «contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche». Infine, e' evidente che il depauperamento della parte del Fondo per lo sviluppo e la coesione destinato agli interventi perequativi nel territorio regionale sardo, lede ulteriormente l'autonomia finanziaria della regione Sardegna e, con essa, gli articoli 7 e 8 dello statuto e 119 della Costituzione. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 8 aprile 2013, n. 82, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 7 giugno 2013, n. 132, per un ulteriore profilo. Violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 117 Cost., degli articoli 81, 117 e 119 Cost. (anche in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e degli articoli 7 e 8 della legge costituzionale n. 3 del 1948, recante statuto speciale per la Sardegna, anche in relazione all'art. 1 della legge n. 182 del 2012. Una seconda ragione di doglianza concerne il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013, nella parte in cui disciplina l'adeguamento del patto di stabilita' fra lo Stato e la regione Sardegna, in particolare laddove rinvia alle «procedure» di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009. 2.1. - Sul punto e' necessaria una premessa. In questa parte il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013 si inserisce nel lungo contenzioso sorto tra la regione autonoma della Sardegna e lo Stato (in particolare, il Ministero dell'economia e delle finanze), relativo agli effetti derivanti sul regime finanziario della regione dalla riforma delle entrate regionali introdotta con l'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006 (che ha riscritto l'art. 8 dello statuto, rendendo piu' favorevole il regime della compartecipazione regionale alle entrate erariali). Detto contenzioso ha interessato tre distinti profili, tutti portati all'attenzione della Corte costituzionale. In primo luogo, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato che la regione puo' (e deve) appostare in bilancio le maggiori somme derivanti dalla riforma dell'art. 8 dello statuto (sentenza n. 99 del 2012). In secondo luogo ha affermato che «il contenuto dell'accordo» sul patto di stabilita' «deve essere conforme e congruente con le norme statutarie della regione, ed in particolare con l'art. 8 dello statuto modificato - per effetto del meccanismo normativo introdotto dall'art. 54 dello statuto stesso - dall'art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296», che «ha rideterminato e quantificato le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della regione autonoma Sardegna» (sentenza n. 118 del 2012). Infine, ha affermato che «l'inerzia statale» nel conferire le somme di spettanza alla regione Sardegna ha determinato «conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma dello statuto» (sentenza n. 95 del 2013). Il legislatore statale ha dovuto adeguarsi ai richiami dell'Ecc.mo collegio. Dapprima, «nell'adottare disposizioni per l'assestamento del bilancio per l'anno finanziario 2012, con la legge 16 ottobre 2012, n. 182, ha destinato 1.383.000.000 euro al fine di devolvere alla regione il gettito delle entrate erariali ad essa spettanti in quota fissa e variabile» (cosi' la recentissima sentenza n. 95 del 2013, resa inter partes), in ossequio alla riforma dell'art. 8 dello statuto. Adesso, come si accennava in narrativa, con l'art. 11, comma 5-bis del decreto-legge n. 35 del 2013 ha imposto (per meglio dire: come si e' gia' osservato, esplicitato un'imposizione gia' derivante dallo statuto e dalla giurisprudenza costituzionale) ai competenti uffici del Ministero di concordare con la regione Sardegna una formulazione del patto di stabilita' interno che sia coerente e congruente con il nuovo regime delle entrate regionali, in modo da assicurare alla regione la possibilita' di effettivo utilizzo delle risorse di spettanza, cosi' applicando i principi gia' statuiti dall'Ecc.mo collegio con la sopra citata sentenza n. 118 del 2012 (non a caso richiamata anche nel testo della legge). 2.1.1. - Come si e' gia' visto in narrativa, l'art. 27 della legge n. 42 del 2009, cui rimanda il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013, prevede che il quadro generale della legislazione statale e regionale inerenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali (in particolar modo relative al «conseguimento degli obiettivi di perequazione», al «patto di stabilita' interno» e all'assolvimento «degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario») sia disegnato da norme di attuazione dei rispettivi statuti. Ivi, infatti, si stabilisce che «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalita' stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, e secondo il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica di cui all' art. 2, comma 2, lettera m)». Nel caso della regione Sardegna, l'art. 56 della legge costituzionale n. 3 del 1948 prevede che: a) «Una commissione paritetica di quattro membri [...] proporra' le norme relative al passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla regione, nonche' le norme di attuazione del presente statuto» (comma 1); b) «Tali norme saranno sottoposte al parere della consulta o del consiglio regionale e saranno emanate con decreto legislativo» (comma 2). Il senso del rinvio all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 e' di difficile lettura. Nondimeno, in assenza di qualsivoglia specificazione da parte della disposizione impugnata (che sarebbe stata assolutamente indispensabile) deve ritenersi che ad esso sia sottesa l'intenzione di imporre l'adozione delle citate norme di attuazione prima che il patto di stabilita' tra Stato e regione Sardegna sia finalmente adeguato al novellato art. 8 dello statuto sardo. Conformemente a tale intenzione, l'obbligo, imposto in capo al MEF, di concordare l'adeguamento del patto di stabilita' alle nuove risorse finanziarie della regione appare sottoposto ad una condizione sospensiva, che verra' meno solo al momento dell'emanazione del decreto legislativo contenente le apposite norme di attuazione. Tale condizione sospensiva, peraltro, si configura come meramente potestativa, perche' rimessa alla volonta' dello Stato di approvare (nella commissione paritetica) e poi di adottare in concreto la fonte recante le norme di attuazione statutaria. Volonta', questa, che e' tutt'altro che scontata (si consideri che ad oggi, dopo piu' di quattro anni dall'entrata in vigore della legge n. 42 del 2009, non sono state ancora adottate le norme di attuazione relative alla perequazione fiscale e finanziaria per le regioni a statuto speciale). 2.1.2. - Vero quanto precede, il comma 5-bis dell'art. 11 del decreto-legge n. 35 del 2013, nella parte in cui richiama le «procedure» di cui all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 risulta senz'altro pregiudizievole per la regione Sardegna. E' opportuno osservare che il MEF, ogniqualvolta ha opposto il proprio diniego alle proposte della regione Sardegna in tema di patto di stabilita', ha costantemente affermato che «in assenza di una disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore di codesta regione, si ritiene che, a livello tecnico, non sussistano margini per un ampliamento del tetto dei pagamenti» (cfr. nota della Ragioneria generale dello Stato prot. n. 54891 del 17 luglio 2012 e, in termini assolutamente analoghi, la nota prot. n. 50971 del 7 giugno 2011). In altri termini: il MEF ha costantemente ritenuto necessaria una specifica intermediazione legislativa perche' potesse darsi compiuta esecuzione al nuovo art. 8 dello statuto. Anche l'Avvocatura generale dello Stato, nel proporre questione di legittimita' costituzionale in via principale dell'art. 3 della legge regionale Sardegna n. 12 del 2011 (che ha introdotto l'obbligo per la regione di appostare nel bilancio le somme derivanti dal novellato art. 8 dello statuto), ha affermato che quell'articolo avrebbe disciplinato «unilateralmente con legge regionale aspetti demandati a norme di attuazione dello statuto speciale di autonomia, consentendo di derogare alle vigenti norme di attuazione dell'art. 8 dello statuto speciale di autonomia, contenute negli articoli da 32 a 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 250/1949» (cfr. gli atti relativi al ricorso iscritto al R.Ric. n. 85 del 2011, che, nel brano citato, riporta finanche testualmente il contenuto della relazione del Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri, allegata alla delibera di impugnazione della suddetta legge adottata dal Consiglio dei ministri in data 28 luglio 2011). 2.1.3. - E' evidente, dunque, che l'amministrazione statale ritiene necessaria l'adozione di norme di attuazione statutaria per l'esecuzione dell'art. 8 dello statuto. Questo orientamento risulta seguito anche da una recente sentenza del TAR della Sardegna (che ci si riserva di gravare di apposito appello), adito dall'odierna ricorrente per l'annullamento della sopra citata nota della Ragioneria generale dello Stato, prot. n. 54891 del 17 luglio 2012, con la quale il MEF ha opposto il proprio diniego alla richiesta della regione Sardegna di adeguamento del patto di stabilita' interno al novellato art. 8 dello statuto. In particolare, il TAR cagliaritano, dopo aver (giustamente) ricordato che «L'art. 1, comma 834, legge n. 296/2006, ha apportato modifiche al sistema di finanziamento della regione Sardegna novellando l'art. 8 dello statuto speciale», ha (erroneamente) affermato, «con cio' condividendo la posizione espressa dal Ministero, che la sopra menzionata disposizione necessiti di attuazione», che vi sarebbe «la previa necessita' di un'intermediazione legislativa dell'art. 8 dello statuto onde poter adeguare i profili di spesa alle nuove maggiori disponibilita' finanziarie, nel rispetto dell'ineludibile principio dell'equilibrio del bilancio» (sentenza 26 luglio 2013, n. 574). 2.1.4. - Ora, a fronte di questo ripetuto comportamento, il rinvio alla legge n. 42 del 2009 da parte della disposizione impugnata, in mancanza di una contraria ed esplicita indicazione legislativa, cela l'intenzione di un'ulteriore dilazione e fa si' che la regione autonoma della Sardegna sia costretta ad impugnare l'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge n. 35 del 2013 anche nella parte in cui sottopone l'obbligo del MEF di concordare l'adeguamento del patto di stabilita' della regione alla condizione della previa emanazione di norme di attuazione dello statuto sardo. Tanto, per i seguenti motivi. 2.2. - L'art. 8 dello statuto dispone che «Le entrate della regione sono costituite: a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici. Nelle entrate spettanti alla regione sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell'ambito regionale, affluiscono, in attuazione di disposizioni legislative o per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del territorio della regione». Gia' ad una prima lettura le disposizioni ora riportate si presentano come immediatamente precettive in merito alla regolazione degli accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi erariali. Esse, nell'enumerare le fonti delle entrate tributarie e patrimoniali della regione Sardegna e le quote di compartecipazione alle entrate erariali dello Stato, non prevedono alcun trasferimento di funzioni amministrative, ne' alcun esercizio coordinato delle medesime, ne' - quindi - subordinano lo svolgimento di alcuna attribuzione regionale alla previa adozione di norme di attuazione. Di conseguenza, allo Stato non rimarrebbe che prendere atto del nuovo contesto normativo previsto dalle fonti di rango costituzionale e adeguarvi il bilancio statale, procedere alla coerente determinazione dei saldi di finanza pubblica e provvedere alla materiale liquidazione delle somme spettanti alla regione Sardegna. Sempre di conseguenza, lo Stato dovrebbe prendere atto del nuovo contesto normativo nel concordare con la regione ricorrente l'adeguamento del patto di stabilita' alle nuove entrate che lo statuto garantisce. 2.3. - E' orientamento consolidato nella giurisprudenza costituzionale che gli statuti delle regioni autonome sono pienamente cogenti e immediatamente esecutivi senza la necessaria interposizione di norme di attuazione (cfr. sentenze n. 58 del 1958, n. 136 del 1969, n. 108 del 1971, n. 312 del 1983), proprio le pronunce piu' recenti relative ai rapporti finanziari tra Stato e Sardegna confortano nell'assunto ora riferito. Anzitutto, con la sentenza n. 99 del 2012, codesta Ecc.ma Corte ha rigettato il sopra menzionato ricorso dell'Avvocatura erariale avverso l'art. 3 della legge regionale Sardegna n. 3 12 del 2011, rilevando che «il ricorrente, [...] pur evocando gli articoli 4, 5 e 56 dello statuto, omette di argomentare le ragioni per le quali alla regione non dovrebbe spettare il potere di quantificare l'ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali, al fine di redigere il bilancio di previsione». Questa pronuncia, per quanto sia di inammissibilita' del gravame allora proposto, e' significativa, proprio perche' riconosce che e' priva di fondamento l'intera impostazione del problema dell'esecuzione dell'art. 8 dello statuto, fatta propria tanto dall'Avvocatura dello Stato in sede contenziosa, quanto dal Ministero dell'economia e delle finanze in sede di trattative sulla determinazione del patto di stabilita' per la regione Sardegna. Nella gia' riportata sentenza n. 118 del 2012, poi, resa proprio in tema di patto di stabilita' della regione Sardegna seguente alla riforma dell'art. 8 dello statuto, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato che sono (solo) lo stesso art. 8 dello statuto e le disposizioni di legge relative agli obblighi di finanza pubblica delle regioni che «costituiscono, nel loro complesso, il quadro normativo di riferimento della finanza regionale della Sardegna», sicche' «il combinato delle suddette disposizioni in materia di entrata e spesa compone dunque la disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e regione autonoma». Piu' specificamente, come si e' gia' avuto modo di osservare, nella medesima sentenza si e' affermato che, «l'equilibrio del bilancio [...] non potra' che realizzarsi all'interno dello spazio finanziario delimitato, in modo compensativo, dalle maggiori risorse regionali risultanti dalla entrata in vigore dell'art. 8 dello statuto (con decorrenza dal 1° gennaio 2010 per effetto dell'art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006) e dalla riduzione della spesa conseguente alla applicazione del patto di stabilita' 2011». Peraltro, proprio nella pronuncia ora in esame e' stato ben chiarito che l'aumento delle entrate regionali produce effetti immediati anche sul versante della spesa: «E' infatti di palmare evidenza che proprio il principio inderogabile dell'equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell'entrata». Non basta. Nella recentissima sentenza n. 95 del 2013, poi, codesto Ecc.mo collegio ha osservato che sussiste «un annoso contrasto tra la regione Sardegna e lo Stato su cui la Corte e' stata gia' piu' volte chiamata a pronunciarsi (a partire dalla sentenza n. 213 del 2008 e, anche recentemente, con le sentenze n. 99 e n. 118 del 2012)». In particolare, «la causa del contenzioso e' legata al ritardo nell'esecuzione del nuovo sistema di finanziamento della regione Sardegna, previsto dall'art. 1, commi 834-840, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), che ha modificato l'art. 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (statuto speciale per la Sardegna)» (sentenza n. 95 del 2013). Tanto perche' - si legge ancora nella sentenza n. 95 del 2013 - «negli anni seguenti alla novella legislativa del 2006, le nuove previsioni [relative ai rapporti economico-finanziari tra Stato e regione] hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese, con la conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del periodo transitorio (2009), gli oneri relativi alla sanita', al trasporto pubblico locale e alla continuita' territoriale sono venuti a gravare sul bilancio della regione Sardegna», mentre «sul fronte delle entrate [...] lo Stato non ha trasferito alla regione le risorse corrispondenti alle maggiori compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, cosi' come previsto dall'art. 8 dello statuto, sostenendo che, per individuare esattamente l'ammontare dovuto, sarebbero occorse ulteriori norme attuative». Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha censurato la condotta ambivalente dello Stato, che da una parte ha immediatamente onerato la regione di nuove e assai complesse e costose funzioni pubbliche, dall'altra si e' rifiutato di versare alla regione stessa quanto di sua spettanza. Ed e' decisivo osservare che nella sentenza n. 95 del 2013 si afferma che «l'inerzia statale troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma dello statuto». Ebbene, se senza alcun indugio debbono essere trasferite le somme spettanti alla Sardegna in ragione dell'art. 8 dello statuto, sempre senza indugio lo Stato deve consentire alla regione di impiegare quelle somme, che sono necessarie per la tutela dei diritti e degli interessi costituzionalmente protetti dei cittadini sardi e per il corretto svolgimento delle funzioni pubbliche assegnate alla regione dalla Costituzione, dallo statuto, dalla legge. Non basta ancora. Come e' ricordato sempre nella sentenza n. 95 del 2013, «il legislatore statale, nell'adottare disposizioni per l'assestamento del bilancio per l'anno finanziario 2012, con la legge 16 ottobre 2012, n. 182 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici), ha operato gli aggiustamenti contabili necessari all'esecuzione del dettato dell'art. 8 dello statuto Sardegna. In particolare il legislatore statale risulta aver destinato 1.383.000.000 euro al fine di «devolvere alla regione il gettito delle entrate erariali ad essa spettanti in quota fissa e variabile»». E', dunque, acclarato che il legislatore statale ha gia' provveduto ad adeguare il bilancio statale al nuovo art. 8 dello statuto sardo, determinando di conseguenza i coerenti saldi di finanza pubblica. Nulla piu' era necessario per procedere all'adeguamento del patto di stabilita' tra lo Stato e la Sardegna. 2.4. - L'art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge n. 35 del 2013, nella parte in cui manifesta l'intenzione di subordinare l'efficacia dell'art. 8 dello statuto sardo all'adozione di norme di attuazione statutaria, e' violativo del ricordato art. 8 dello statuto, perche' di fatto consente allo Stato di astenersi dal darvi compiuta e immediata esecuzione nelle more dell'adozione di tali norme di attuazione. Norme che, invece, non sono necessarie per regolare i rapporti finanziari tra Stato e regione in una fattispecie come la presente, nella quale tutto e' gia' stato definito da altre fonti costituzionali e legislative. Di conseguenza, sono violati anche l'art. 7 dello statuto e l'art. 119 Cost., che riconoscono e tutelano l'autonomia finanziaria della regione, anche perche' il mancato adeguamento del patto di stabilita' regionale al nuovo art. 8 dello statuto impedisce alla regione di esercitare le sue attribuzioni costituzionali e statutarie per il versante della spendita delle risorse di spettanza. Gli articoli 7 e 8 dello statuto e 119 Cost. sono violati anche in relazione all'art. 1 della legge n. 182 del 2012, che ha inserito nel bilancio statale le somme per finanziare il nuovo regime delle entrate regionali di cui all'art. 8 dello statuto, per la semplice ragione che rende quelle somme non utilizzabili dalla regione Sardegna per lo svolgimento delle funzioni pubbliche che le sono attribuite dalla Costituzione, dallo statuto e dalla legge. Per ragioni analoghe, gli articoli 7 e 8 dello statuto e 119 Cost. sono violati anche in combinato disposto con l'art. 81 Cost., che fissa il principio dell'equilibrio di bilancio. Tanto, perche' il mancato adeguamento del patto di stabilita' regionale (oggi sottoposto alla condizione incerta an e incerta quando dell'adozione di norme di attuazione statutaria) spezza il legame di coerenza che vi deve essere tra «i profili della spesa e quelli dell'entrata» nel bilancio regionale. Violato e' anche il principio di leale collaborazione tra Stato e regione, di cui all'art. 117 Cost., in combinato disposto con gli articoli 7 e 8 dello statuto. Come e' stato gia' accennato supra, il principio di leale collaborazione non puo' essere invocato come vizio formale della legge, ma puo' esserlo come vizio materiale delle disposizioni impugnate (da ultimo, cfr. la sentenza n. 230 del 2013, resa inter partes). Tale e' il caso in esame, perche' la disposizione impugnata, richiedendo la previa emanazione di norme di attuazione statutaria ex art. 27 della legge n. 42 del 2009, sottrae lo Stato ad un obbligo (convenire con la regione sull'adeguamento del patto di stabilita' al novellato art. 8 dello statuto) che gli deriva da fonti di rango costituzionale (articoli 7 e 8 della legge costituzionale n. 3 del 1948). Violato, infine, e' anche il generale principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli articoli 7 e 8 dello statuto sardo. Infatti, la disposizione impugnata e' evidentemente contraddittoria, in quanto: a) da una parte impone al MEF di concordare con la regione entro un preciso limite temporale l'adeguamento del patto di stabilita' all'art. 8 dello statuto, ma dall'altra subordina (e di fatto rinvia sine die) detto adeguamento all'adozione di nonne di attuazione statuaria non necessarie; b) richiama la sentenza di codesta Ecc.ma Corte n. 118 del 2012, postulando l'esecuzione dei principi ivi stabiliti, ma contemporaneamente li pone nel nulla, rinviando sine die l'adeguamento del patto di stabilita'; c) come si e' gia' detto, sulla scorta della sentenza n. 95 del 2013, il legislatore statale, con la legge n. 182 del 2012, ha «operato gli aggiustamenti contabili necessari all'esecuzione del dettato dell'art. 8 dello statuto Sardegna», cosi' provvedendo ad adeguare il bilancio statale al nuovo art. 8 dello statuto sardo e determinando di conseguenza i coerenti saldi di finanza pubblica. Essendo gia' stati disposti, dunque, i dovuti adeguamenti del bilancio statale, la previsione di ulteriori norme di attuazione statutaria per dare seguito al medesimo art. 8 dello statuto risulta illegittima anche per l'intrinseca contraddittorieta' che manifesta, ritardando l'esecuzione di obblighi di legge e impedendo alla regione di esercitare la sua autonomia finanziaria in attesa di ulteriori adempimenti assolutamente non necessari. 2.5. - Si badi: un possibile equivoco deve essere subito rimosso. La regione Sardegna, chiedendo che le sia finalmente riconosciuto il diritto all'adeguamento del patto di stabilita' alle nuove condizioni statutarie e legislative, senza ulteriori dilazioni connesse all'adozione di non necessarie norme di attuazione statutaria, non intende minimamente sottrarsi agli oneri di partecipazione al riequilibrio della finanza pubblica che gravano su tutte le autonomie speciali. Tali oneri, infatti, si applicano sulla base dei patti di stabilita' vigenti. Il problema, per la regione Sardegna, e' che tale patto di stabilita', nonostante i ripetuti sforzi, anche in sede giurisdizionale, non e' stato adeguato ai parametri di rango costituzionale. Nulla di piu'. 2.6. - La regione ricorrente e' tenuta, infine, a precisare che il presente motivo di ricorso ben avrebbe potuto non essere proposto, ove lo Stato avesse prospettato e condiviso un'interpretazione del rinvio all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 secundum Constitutionem. Almeno per doveroso tuziorismo, pero', il motivo va tenuto fermo, perche' di tale condivisione non v'e' sicura traccia nella disposizione impugnata (che bene avrebbe potuto - e dovuto - dare indicazioni chiare in proposito), ne' ve ne sono le avvisaglie nel concreto comportamento dello Stato, che - come gia' detto - si e' costantemente nascosto dietro l'asserita necessita' di un'ulteriore intermediazione legislativa per la compiuta esecuzione dell'art. 8 dello statuto.