LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 263/2013 sul ricorso in materia di pensioni civili, iscritto al n. 46617 depositato il 7 febbraio 2007 del registro di segreteria proposto in proprio da De Domenico Benito nato a Messina il 18 dicembre 1937 ed ivi residente nel Villaggio S. Margherita-Runci s.s. 114 Km 12,800. Visto l'atto introduttivo del giudizio depositato presso la segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana il 7 febbraio 2007. Udito nella pubblica udienza del 13 maggio 2013 l'avvocato Rizzo Antonino per L'INPS; presente il ricorrente. Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale. Fatto e svolgimento del processo Il ricorrente e' un ex ferroviere in pensione collocato in quiescenza per dimissioni volontarie prima del raggiungimento dell'eta' massima pensionabile iI 19/7/1983. Egli con il presente ricorso depositato il 7/2/2007, rivendica l'applicazione dell'art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983, secondo il quale: per il personale avente diritto all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, che ha presentato domanda di pensionamento a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la misura dell'indennita' stessa da corrispondere in aggiunta alla pensione o assegno e' determinata in ragione di un quarantesimo per ogni anno di servizio, utile ai fini del trattamento di quiescenza, dell'importo dell'indennita' stessa spettante al personale collocato in pensione con la massima anzianita' di servizio..... Le variazioni dell'indennita' integrativa speciale sono attribuite per l'intero importo dalla data del raggiungimento dell'eta' di pensionamento da parte del titolare della pensione, ovvero dalla data di decorrenza della pensione di reversibilita' a favore dei superstiti. Successivamente, con l'art. 21 della legge 730/1983 e' stata confermata la predetta normativa: Resta ferma la disciplina prevista per l'attribuzione, all'atto della cessazione dal servizio, dell'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni ed integrazioni, ivi compresa la normativa stabilita dall'articolo 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79. Pertanto, il ricorrente avrebbe maturato tale diritto il 18/12/1997, data alla quale sarebbe stato collocato a riposo d'ufficio, e con richiesta del 27/5/2005, chiedeva l'applicazione della predetta normativa che veniva rigettata dall'INPS con la nota 34655 del 21/6/2005, facendo presente che l'indennita' integrativa speciale ha perso la consistenza di elemento distinguibile del trattamento pensionistico e quindi l'art. 10 della legge 79/1983 e' divenuto non piu' applicabile. Avverso la suddetta nota il ricorrente ha presentato ricorso a questo giudice chiedendo l'applicazione della predetta normativa con il riconoscimento del conseguente diritto ai ratei di indennita' integrativa speciale maturati. Si e' costituito l'INPS, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, affermando che nelle more del giudizio e' intervenuto l'art. 18 del D.L. n. 98/2011 conv. legge 111/2011 che fornisce, ai commi 7 e 8 l'interpretazione autentica dell'art. 21 della legge 730/1983 e nel contempo dichiara abrogato al comma 6, sin dalla vigenza della legge 730/1983, l'art. 10 comma 4 sopra citato: 6. L'art. 10, quarto comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, si intende abrogato implicitamente dall'entrata in vigore delle disposizioni di cui all'art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730. 7. L'art. 21, ottavo comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che le percentuali di incremento dell'indennita' integrativa speciale ivi previste vanno corrisposte nell'aliquota massima, calcolata sulla quota dell'indennita' medesima effettivamente spettante in proporzione all'anzianita' conseguita alla data di cessazione dal servizio. 8. L'art. 21, nono comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che e' fatta salva la disciplina prevista per l'attribuzione, all'atto della cessazione dal servizio, dell'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, ivi compresa la normativa stabilita dall'art. 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, ad eccezione del comma quarto del predetto art. 10 del decreto-legge n. 17 del 1983. Diritto Questo giudice si trova di fronte in corso di giudizio, ad una chiara innovazione normativa sulla vicenda con efficacia giuridica retroattiva, intervenuta con le norme sopra citate, e dunque ad uno sbarramento all'applicazione del principio tempus regit actum, quindi, ritenendo fondato il diritto del ricorrente, in mancanza di una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata, e di fronte al chiaro tenore delle suddette norme, deve rilevare la sussistenza di una questione di legittimita' costituzionale rilevante e non manifestamente infondata da sollevare in via ufficiosa. Rilevante, poiche' le suddette sopravvenute norme, impediscono immediatamente a questo giudice, ponendosi come pregiudiziali, l'accoglimento del ricorso limitatamente al periodo di vigenza dell'istituto dell'indennita' integrativa speciale, avendo ritenuto abrogato con effetto retroattivo l'art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983 e pertanto precludendogli l'esame di tale norma di legge, sulla quale il ricorrente ha basato la propria pretesa. Conseguentemente, di fronte ad una abrogazione della predetta norma che dovrebbe valere solamente per il futuro, la questione appare non manifestamente infondata in termini di legittimita' costituzionale di tali nuove norme per la violazione degli artt. 2, 3 e 117 comma 1 della Costituzione, rispetto all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto norma interposta, per come in casi analoghi e' stata interpretata da codesta Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, sussistendo concretamente una fattispecie di abrogazione legislativa sostanziale, con effetti retroattivi, mascherata da norma interpretativa. Difatti, sussiste una palese contraddizione legislativa, riguardante l'art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983, con conseguente irragionevolezza della volonta' del legislatore tra il dettato normativo dell'art. 21 della legge 730/1983: Resta ferma la disciplina... ivi compresa la normativa stabilita dall'art. 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79; che assume anche esso un valenza interpretativa, manifestando la volonta' del legislatore di mantenere in vigore tale norma di legge, rispetto invece all'art. 18 comma 6 del D.L. n. 98/2011 conv. legge 111/2005. L'art. 10, quarto comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, si intende abrogato implicitamente dall'entrata in vigore delle disposizioni di cui all'art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730; nonche' con il successivo comma 8, limitatamente alle parole:... ad eccezione del comma quarto del predetto art. 10 del decreto-legge n. 17 del 1983. E' quindi tutta evidenza che trattasi di un caso di vero e proprio c.d. eccesso di potere legislativo, in cui sussiste una palese contraddizione, non solo tra norme definite "interpretative" susseguitesi e intervallate da un lungo arco di tempo, ma addirittura una ulteriore modifica dell'interpretazione data dallo stesso legislatore sulla stessa norma, con la violazione in termini di ragionevolezza del principio del legittimo affidamento e di certezza del diritto, con violazione dell'art. 3 della Costituzione, per come definito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156/2007: Piu' volte questa Corte e' intervenuta per scrutinare la rispondenza ai principi della Carta costituzionale di disposizioni aventi forza di legge dotate di efficacia retroattiva. In tali occasioni la Corte ha precisato che, «al di fuori della materia penale (dove il divieto di retroattivita' della legge e' stato elevato a dignita' costituzionale dall'art. 25 Cost.), l'emanazione di leggi con efficacia retroattiva da parte del legislatore incontra una serie di limiti che questa Corte ha da tempo individuato e che attengono alla salvaguardia, tra l'altro, di fondamentali valori di civilta' giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 282 del 2005 e, nello stesso senso, fra le molte, le sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999). In particolare, con riferimento al rispetto del principio dell'affidamento quale limite alla possibilita' per il legislatore di incidere, con norme dotate di efficacia retroattiva, su situazioni sostanziali poste in essere in vigenza di leggi precedenti, la Corte ha affermato che il criterio in base al quale deve svolgersi il giudizio di costituzionalita' e' dettato dalla rispondenza o meno a criteri di ragionevolezza del regolamento di interessi, innovativo rispetto a quello preesistente, che scaturisce dalla norma sopravvenuta (in questi termini, fra le altre, le sentenze n. 446 del 2002, n. 419 del 2000, n. 416 del 1999 e n. 822 del 1988). Sempre per la sussunzione del principio del legittimo affidamento nel parametro dell'art. 3 della Costituzione vi e' conferma (seppure in materia tributaria) nella sentenza della Corte di cassazione n. 21513/2006: Invero, il principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino, trovando origine nella Costituzione, e precisamente negli artt. 3, .... espressamente richiamati dall'art. 1 del medesimo Statuto, e' immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle diverse articolazioni, limitandone l'attivita' legislativa e amministrativa. Orbene, se e' cosi', siamo di fronte ad una palese irragionevolezza del legislatore che a livello interpretativo si contraddice, violando il principio del legittimo affidamento inteso come principio generale riconosciuto altresi' a livello internazionale, trovando addirittura a livello privatistico specifica espressione codificata anche nell'art. 1.8 dei principi UNIDROIT nemo venire contra factum proprium, che a livello interpretativo rientra specificamente in questa fattispecie: Una parte non puo' agire in modo contraddittorio rispetto ad un intendimento che ha ingenerato nell'altra parte, e sul quale questa ha ragionevolmente fatto affidamento a proprio svantaggio. Espressione del principio di buona fede, che la Corte di cassazione con la sentenza n. 28056/2008 ha ritenuto fondato nel dovere di solidarieta' sancito dall'art. 2 della Costituzione, che dovrebbe valere per lo stesso legislatore, quando esso, come in questo caso, travalichi il limite di ragionevolezza nell'esercizio del potere di interpretazione legislativa retroattiva, autoimpostosi, intervenendo a distanza di lungo tempo con una ulteriore norma interpretativa, addirittura abrogando sostanzialmente e con effetto retroattivo la norma gia' originariamente interpretata e/o confermata. Difatti: Questa Corte ha costantemente affermato che il legislatore puo' adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n. 170 del 2008, n. 24 del 2009). Accanto a tale caratteristica, che vale a qualificare una norma come effettivamente interpretativa, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, «che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civilta' giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento [...]; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto [...]; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico [...]; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 397 del 1994). Corte cost. n. 209/2010. E difatti, in questo caso piu' che ad una norma interpretativa ci troviamo di fronte ad una norma innovativa abrogativa retroattiva, quando l'art. 18 comma 6 afferma che l'art. 10 comma si intende abrogato implicitamente dall'entrata in vigore della legge 730/1984, quando invece, l'art. 21 di quest'ultima aveva esplicitamente fatto salva la disciplina dell'art. 10, con la precisazione ivi compresa. Trovando tale interpretazione abrogativa conferma nel successivo comma 8 dell'art. 18 quando si esclude l'applicazione dell'art. 10 comma 4 dalla applicazione della disciplina della indennita' integrativa speciale con effetto retroattivo. Ne' si puo' dire che tali norme interpretative rientrino tra le varianti interpretative dell'originario testo legislativo, considerato il valore interpretativo di conferma della vigenza dell'art. 10 comma 4 del D.L. n. 17 del 29/1/1983 conv. nella legge 79 del 25/3/1983, operato esplicitamente dall'art. 21 della legge 730/1983, e dunque ribaltando cosi' completamente il risultato, con "l'interpretazione dell'interpretazione!". Sussiste inoltre ad avviso di questo giudice rimettente la violazione dell'art. 117 comma 1 della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo per come esso e' interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. La violazione di tali norme definite "interposte" e integrative del precetto costituzionale da codesta Corte nelle sentenze n. 348 e 349/2007, determina conseguentemente la violazione dell'art. 117 comma 1 della Costituzione relativamente al rispetto da parte dell'Italia degli obblighi internazionali. Il caso in questione trova gia' autorevoli precedenti nella giurisprudenza della Corte europea con la sentenza Scordino della sez. I della Corte europea del 29/7/2004 n. 36813/97, ove in corso di un processo e' intervenuta una modifica legislativa retroattiva, modificando le condizioni di parita' processuale delle parti, in tale occasione la Corte ha affermato che ove la giurisdizione nazionale sia costretta per decidere la questione, dalla normativa retroattiva sopravvenuta in corso di processo, cio' si traduce in un'ingerenza del potere legislativo nel funzionamento del potere giudiziario in vista di influenzare la decisione della lite. Pertanto vi e' stata violazione dell'art. 6, paragrafo 1 della Convenzione. Tale orientamento ha trovato recente conferma con la sentenza della Corte cedu con la sentenza del 7/6/2011 Agrati. Quindi, dovendo il giudice nazionale applicare nell'ordinamento interno una norma CEDU, e non potendosi discostare dall'interpretazione data alla stessa norma dal giudice europeo: Cass.ssuu.nn. 1338, 1339, 1340, 1341/2004, questo giudice ritiene quindi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittima costituzionale delle predette norme.