IL TRIBUNALE Riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente ordinanza in merito alle richieste di riesame proposte nell'interesse di P. A., di S. M. e di A. A., con atti depositati rispettivamente il 4 dicembre 2012, il 5 dicembre 2012 e il 7 dicembre 2012, avverso l'ordinanza del 23 novembre 2012 con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia ha applicato nei confronti dei medesimi indagati le misure cautelari della custodia in carcere. Vista la sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2013 (depositata il 10 ottobre 2013) di annullamento con rinvio delle ordinanze di questo Tribunale emesse il giorno 11 dicembre 2012 e il 18 dicembre 2012; Premesso che gli atti sono pervenuti a questo ufficio in data 17 ottobre 2013; Sciogliendo la riserva formulata all'udienza camerale del 29 ottobre 2013; Osserva Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia, con ordinanza del 23 novembre 2012, disponeva nei confronti di diversi soggetti tra i quali P. A., S. M. e A. A - le misure cautelari della custodia in carcere. Con tale provvedimento coercitivo, in particolare, gli odierni istanti venivano stimati gravemente indiziati della fattispecie di estorsione pluriaggravata (anche ai sensi dell'art. 7, legge n. 152/1991) contestata al capo di provvisoria incolpazione sub A). Secondo la prospettazione accusatoria avallata con il genetico titolo cautelare, invero, A. A., unitamente a G. F., a R. G. e a S. A., in esecuzione di un preciso incarico conferitogli da P. A. e da S. M. (nelle rispettive qualita' di legale rappresentante e di socio della societa' «P.F.S. Costruzioni S.r.l.» di Orzinuovi) e per il tramite di e di Z. G. e di S. V., aveva adoperato reiteratamente modalita' violente e minacciose per recuperare un credito vantato dalla stessa «P.F.S. Costruzioni S.r.l.» (quantificato nell'importo di euro 1.500.000) nei confronti della societa' «Orceana Costruzioni S.p.a.». In seguito alle condotte intimidatorie del 24 dicembre 2011, del 10 febbraio 2012, del 17 febbraio 2012 e del 16 marzo 2012, le persone offese A. M. e R. M., legale rappresentante e socio della «Orceana Costruzioni S.p.a.», avevano eseguito effettivamente pagamenti in favore della «P.F.S. Costruzioni S.r.l.» (la cessione di un credito di euro 50.000 vantato nei confronti della societa' Nexity) e nelle mani di G. F. personalmente (per l'importo di euro 10.000) inoltre consentendo, nelle date del 16 maggio 2012, del 18 maggio 2012, nonche' in altri giorni compresi tra il 18 e il 28 maggio 2012, che il gruppo dei Calabresi potesse prelevare dai loro locali aziendali copiose quantita' di materiale edile. Con lo stesso titolo cautelare, ancora, veniva addebitato ad A. A., in concorso con G. F. e P. S., di avere adottato comportamenti violenti (il 23 febbraio 2012) e minacciosi (il 13 marzo 2012) ai danni di P. A. e di S. M. costringendoli ad effettuare un bonifico di euro 5.000 in favore di P. A. (il 13 aprile 2012) e a versare ripetutamente somme di denaro per un ammontare complessivo di euro 18.000 a parziale soddisfacimento del compenso pattuito per l'attivita' di recupero del credito di cui al capo d'incolpazione sub A) (capo di provvisoria incolpazione sub B). Quanto ai requisiti cautelari di cui agli articoli 274 e 275 c.p.p., il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia riteneva presenti, a carico dei coindagati, le esigenze cautelari di cui all'art. 274, lettera c) c.p.p., non fronteggiabili adeguatamente con misure diverse da quelle della custodia in carcere. Nel corso degli interrogatori ex art. 294 c.p.p. del 30 novembre 2012 P. A. e S. M. negavano sostanzialmente gli addebiti, mentre A. A. si avvaleva della facolta' di non rispondere. Con i mezzi d'impugnazione ex art. 309 c.p.p. i difensori di P. A. e di S. M. deducevano il difetto dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. e delle ravvisate esigenze cautelari. Chiedevano, di conseguenza, la caducazione delle misure impugnate, ovvero la relativa sostituzione con altre misure di minor rigore. La difesa di A. A. eccepiva invece, in via preliminare, la nullita' dell'ordinanza impugnata per difetto di motivazione. Quanto al merito, deduceva il difetto di gravita' indiziaria (anche con riguardo alla contestata aggravante ex art. 7, legge n. 152/1991) e, pertanto, chiedeva l'annullamento della misura carceraria in esecuzione, ovvero la relativa sostituzione con altra misura meno afflittiva. Con ordinanze emesse nei giorni 11 dicembre 2012 e 18 dicembre 2012 questo Tribunale de libertate dichiarava la nullita' dell'ordinanza emessa il 23 novembre 2012, in quanto priva di valida motivazione (anche tenuto conto dei consolidati crismi, consolidati da Cass. S.U., sent. n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, in tema di valida motivazione per relationem), in spregio alle previsioni di cui all'art. 292 c.p.p. Si rilevava, in particolare, che il giudice della cautela si era limitato a trasporre integralmente, nel provvedimento coercitivo, l'informativa della polizia giudiziaria e la richiesta del pubblico ministero, senza compiere alcuna selezione ne' vaglio critico del ponderoso materiale informativo raccolto nel corso delle indagini. Piu' precisamente, il Tribunale, richiamato il canone normativo dell'art. 292 c.p.p. sul contenuto specifico dell'ordinanza cautelare in punto di gravita' indiziaria e sulla sanzione di nullita' in caso di trasgressione di quel canone, ed evidenziata la portata sostanziale dell'obbligo (pure sussistente a livello di fonte costituzionale), riportava i piu' significativi insegnamenti giurisprudenziali in materia. Veniva dato conto dell'affermato principio (tratto dall'interpretazione dell'art. 309, comma 9 c.p.p.) per il quale la sanzione della nullita' costituisce l'extrema ratio cui ricorrere quando non e' possibile altrimenti intervenire su una motivazione difettosa del Giudice di prime cure (da ultima, cfr. Cass., sez. 2, sent. n. 39383 dell'8 ottobre 2008). Si considerava ancora l'impossibilita', per il Tribunale del riesame, di integrare la motivazione carente, con la conseguente necessita' di dichiarare la nullita' dell'ordinanza cautelare, nei casi di carenza grafica della motivazione, ovvero di apparato motivazionale inesistente poiche' del tutto inadeguato o basato su affermazioni apodittiche (Cass. sez. 3, sent. n. 33753 del 15 luglio 2010). Venivano quindi richiamati i requisiti legittimanti il ricorso alla tecnica redazionale della motivazione per relationem (ossia redatta mediante il richiamo ad altro atto del procedimento provvisto di congrua motivazione rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione) in quanto dimostrativi di un autonomo percorso valutativo da parte dell'Autorita' giudiziaria. Tenuto conto della struttura e del contenuto proprio dell'impugnata ordinanza coercitiva emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia in data 23 novembre 2012, si affermava dunque la nullita' del medesimo provvedimento benche' non affetto da un vizio grafico della motivazione. Si ravvisava piuttosto, in tema di gravita' indiziaria, una motivazione apparente e rappresentata da mere affermazioni apodittiche. Segnatamente, veniva evidenziato come il primo giudice avesse operato una pedissequa riscrittura della richiesta del pubblico ministero e, di fatto, un integrale rinvio al contenuto dell'informativa finale della P. G. (atto inidoneo, per provenienza e struttura, ad avere un contenuto argomentativo congruo rispetto alle esigenze dell'ordinanza cautelare), senza peraltro fornire la dimostrazione di avere preso cognizione delle ragioni del provvedimento di riferimento e di averle stimate coerenti con la sua decisione secondo un preciso iter logico e giuridico. Di talche' si rilevava la totale assenza di un percorso elaborativo sugli elementi fattuali e sulle ragioni secondo le quali detti elementi avrebbero integrato la nozione di gravita' indiziaria, con la conseguente impossibilita' di interventi correttivi o integrativi da parte del Tribunale del riesame e l'inevitabilita' di una pronuncia di nullita' della stessa ordinanza del 23 novembre 2012. Con unico ricorso per cassazione depositato il 21 dicembre 2012 il pubblico ministero chiedeva l'annullamento con rinvio delle suddette ordinanze dei giorni 11 dicembre 2012 e 18 dicembre 2012, deducendo contraddittorieta' della motivazione ed erronea applicazione di legge. Assumeva, segnatamente che il Tribunale del riesame, pur avendo richiamato i principi di diritto piu' volte enunciati dalla Cassazione in materia di motivazione per relationem, li avrebbe poi disattesi in concreto omettendo di integrare a propria volta la motivazione del primo giudice stimata carente (ma, nei casi di specie, affatto inesistente). La Suprema Corte, con sentenza del 27 settembre 2013 (depositata il 10 ottobre 2013) annullava con rinvio le ordinanza impugnate. Premesso che il giudizio rimesso al Tribunale del riesame e' stato concepito dal legislatore come un sindacato «ex novo» del tutto svincolato dal principio devolutivo (come testimoniato dall'art. 309, comma 9 c.p.p.), la Corte statuiva infatti che allo stesso Tribunale de libertate - giudice collegiale e di merito della vicenda cautelare - non e' demandata la valutazione concernente la legittimita' dell'atto impugnato, quanto la cognizione della fattispecie sottostante, concludendo per l'ammissibilita' di una pronuncia di nullita' della genetica ordinanza coercitiva solo nei casi di inesistenza grafica della motivazione oppure di omessa individuazione delle esigenze cautelari da soddisfare a causa dell'impiego di vuote «clausole di stile». Nel corso dell'udienza camerale celebratasi il 29 ottobre 2013 nell'assenza del pubblico ministero ritualmente avvisato, i difensori di P. A. e di S. M. insistevano per l'annullamento delle misure cautelali impugnate, ovvero per la relativa sostituzione con misure di minor rigore, mentre la difesa di A. A. chiedeva l'annullamento della misura carceraria per mancanza di gravi indizi di colpevolezza (cfr. verbale d'udienza, in atti). La Corte di cassazione, con la menzionata sentenza del 27 settembre 2013 (depositata il 10 ottobre 2013), vincola questo Collegio - ai fini della decisione - al principio di diritto secondo il quale al Tribunale de libertate, in sede di riesame ex. art. 309 c.p.p., non e' demandata la valutazione della legittimita' della genetica ordinanza coercitiva e pertanto, a conseguente corollario, e' precluso in tale procedura d'impugnazione l'annullamento del provvedimento custodiale che sia carente di motivazione (con specifico riguardo all'ordinanza gravata, per difetto dei soli requisiti legali di cui all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p.), a meno che detta carenza non si risolva eccezionalmente in una mancanza di motivazione in senso grafico o in un impiego di mere clausole di stile che non consentano di «individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue». Per converso, dunque, la statuizione della Suprema Corte (a giudizio della quale «il nostro ordinamento processuale a fronte delle nullita' comminate per omessa motivazione dei provvedimenti riserva solo al giudice di legittimita' il potere di pronunciare il relativo annullamento») esclude, fra i poteri decisionali propri del Tribunale del riesame, quello di annullare l'ordinanza cautelare priva di una valida esposizione dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. fondanti la misura contestualmente applicata, sempreche', come osservato, tale vizio di motivazione non si riduca ad una sua assenza addirittura a livello grafico (per la carente individuazione delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p. ipotesi peraltro estranea al caso di specie - la declaratoria di nullita' da parte del Tribunale del riesame essendo invece ammessa anche in ipotesi di mere clausole di stile, ossia di c.d. «motivazione apparente»). Secondo l'interpretazione data all'art. 309, comma 9 c.p.p., con riferimento all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p., il Tribunale de libertate non ha dunque il potere di delibare ne' di pronunciare la nullita' dell'ordinanza cautelare in tutte quelle ipotesi in cui lo stesso provvedimento coercitivo non contenga una conforme esposizione degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza (ossia i casi di nullita' elencati espressamente, quanto al giudizio di gravita' indiziaria, dallo stesso art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p.). Alla luce dell'opzione ermeneutica vincolante, in altri termini, nella procedura di impugnazione del riesame non puo' essere rilevata ne' dedotta la nullita' del genetico provvedimento coercitivo nel cui ambito le valutazioni sui gravi indizi di colpevolezza si risolvano in mere affermazioni apodittiche o tautologiche (cioe' in clausole di stile inidonee a svolgere la funzione loro propria) a causa di un'omessa individuazione degli indizi valutati in concreto in relazione alla adottanda misura, di un'omessa rappresentazione degli elementi di fatto in grado di concretizzare gli indizi stessi, ovvero di una compiuta illustrazione dei motivi sulla scorta dei quali detti elementi assurgono al rango di indizi. Ritiene tuttavia il Collegio che la decisione vincolante della Suprema Corte - imperniata sull'interpretazione degli articoli 309, comma 9 c.p.p. e 292, comma 2, lettera c) c.p.p., alla stregua della quale il Tribunale del riesame e' sempre tenuto a sopperire e ad integrare il provvedimento coercitivo emesso dal primo giudice laddove mancante di un valido giudizio di gravita' indiziaria - sia sospetta d'illegittimita' costituzionale, sicche' s'impone di sollevare la relativa questione incidentale davanti alla Corte Costituzionale onde rimuovere il corrispondente principio di diritto e consentire una nuova valutazione in ordine alla nullita' dell'impugnato provvedimento cautelare. Giova preliminarmente considerare, quanto al profilo della rilevanza, che il Tribunale, in sede di giudizio di rinvio ex art. 627, comma 3 c.p.p., e' legittimato a sollevare questione di legittimita' costituzionale con riguardo alle norme da applicare e secondo l'interpretazione stabilita e vincolante nel giudizio a quo (sul punto e' costante l'orientamento della Corte Costituzionale, e, tra le altre, si citano le seguenti sentenze: 305/2008, 78/2007, 130/1993). Una siffatta facolta', invero, discende dall'impossibilita' per il giudice di rinvio di discostarsi da quell'unica interpretazione normativa indicata dalla Corte in sede di annullamento ed ha per effetto che lo scrutinio sollecitato deve avere ad oggetto proprio la disposizione cosi' come interpretata dalla sentenza di annullamento con rinvio. La struttura del giudizio di cassazione con rinvio, infatti, vietando ai giudici che ancora debbano farne applicazione di dare alla disposizione in questione un significato diverso da quello ad essa attribuito con la determinazione del principio di diritto, impedisce l'interpretazione adeguatrice coerente all'orientamento della Corte Costituzionale, secondo il quale una disposizione non si dichiara illegittima perche' suscettibile di un'interpretazione contrastante con i parametri costituzionali, ma soltanto se ne e' impossibile altra a questi conforme. Tanto considerato in termini generali, non pare quindi esservi dubbio, quanto al caso di specie, circa la rilevanza della questione. La decisione sui mezzi d'impugnazione proposti dai difensori dei coindagati (concernente rapporti non ancora esauriti) transita infatti necessariamente dall'esegesi dell'art. 309, comma 9, in rapporto all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p., e dalla conseguente individuazione dei poteri decisionali demandati dalla prima disposizione di legge al Tribunale in funzione di giudice del riesame. Piu' in particolare, la questione in esame pare in primo luogo rilevante in quanto la rigorosa statuizione della Corte di cassazione preclude ormai inevitabilmente a questo Tribunale del riesame di vagliare la nullita' - per difetto di motivazione - della genetica ordinanza cautelare emessa il 23 novembre 2012 che, invece, costituisce profilo decisorio da sottoporre, normalmente e per logica, ad un sindacato preliminare. E una siffatta delibazione in questa sede e' invero esclusa sotto qualsivoglia profilo di contrarieta' all'art. 292, lettera c) c.p.p., dovendosi infatti rimarcare che la motivazione dell'ordinanza impugnata non e' graficamente mancante (circostanza questa che avrebbe consentito eccezionalmente, secondo la Suprema Corte, una pronuncia di annullamento ex art. 309 c.p.p.), bensi' redatta secondo una tecnica stimata per altre ragioni invalida con le annullate ordinanze dei giorni 11 e 18 dicembre 2012. La questione rileva in secondo luogo e specularmente, in quanto il dictum della Cassazione obbliga necessariamente il Collegio in sede di rinvio all'esercizio di un potere-dovere integrativo (della motivazione carente) derivante proprio da quell'interpretazione normativa dell'art. 309, comma 9 c.p.p. che sembra sospetta d'illegittimita' costituzionale. Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, invero, l'interpretazione offerta dalla Corte di cassazione all'art. 309, comma 9 c.p.p., in riferimento all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p., solleva forti dubbi di costituzionalita' in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione. Art. 24. - La decretata preclusione per il Tribunale del riesame di sindacare la legittimita' della genetica ordinanza coercitiva e, di conseguenza, di dichiararne la nullita' (per difetto dei requisiti legali di cui all'art. 292 comma 2, lettera c) c.p.p.) ove detto provvedimento sia privo di valida motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. - a meno che detto difetto non si risolva eccezionalmente in una mancanza di motivazione in senso grafico (circostanza questa che non attiene tuttavia al caso di specie) - pare comportare, ad onta della previsione costituzionale di cui all'art. 24, una grave ed ingiustificata compromissione del diritto di difesa proprio del soggetto in regime di coercizione. Questi sarebbe invero obbligato, in mancanza di altro strumento processuale di tutela, a dedurre tale ipotesi di nullita' del titolo cautelare attraverso il mezzo d'impugnazione del ricorso c.d. per saltum (ex art. 311 comma 2 c.p.p.) innanzi al giudice di legittimita' (1) , ossia il solo giudice al quale, secondo la piu' volte richiamata sentenza di annullamento con rinvio, il nostro ordinamento processuale riserva il potere di pronunciare il relativo annullamento. Ma l'interpretazione normativa oggetto della presente censura, nel rendere necessario, ed anzi inevitabile, il ricorso immediato al sindacato della Corte di Cassazione, diviene fonte di incongrui (2) pregiudizi in danno della parte interessata tenuto conto, in primo luogo, della particolare disciplina dettata per tale procedura d'impugnazione dal suddetto art. 311 comma 2 c.p.p. Detta disposizione, infatti, dopo avere espressamente contemplato il ricorso diretto per cassazione, in ipotesi di violazione di legge, contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva, prevede subito di seguito che «la proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame». Il rapporto di alternativita' (ossia di reciproca esclusione) fra i due mezzi di impugnazione (appunto, quello di cui all'art. 311, comma 2 c.p.p., rispetto a quello di cui all'art. 309 c.p.p.) costringe dunque la parte, che voglia eccepire la nullita' dell'ordinanza cautelare per vizio di motivazione, a rinunciare alla relativa impugnazione ex art. 309 c.p.p. e, quindi, a sottoporre al vaglio del Tribunale del riesame ogni questione concernente i requisiti cautelari, previsti ex lege dagli articoli 273, 274 e 275 c.p.p., posti a suffragio della misura in corso di esecuzione. In altri termini, l'affermare che il giudice di legittimita' e' l'esclusivo titolare dei poteri di cognizione e decisori con riguardo alle ordinanze cautelari nulle per vizio di motivazione finisce - in ragione della peculiare disciplina dettata dall'art. 311, comma 2 c.p.p. - per deprivare la parte proprio di quel solo mezzo di impugnazione (ossia, il riesame), specifico per la materia cautelare e del tutto unico per la natura non devolutiva del giudizio imposto al giudice ad quem, che sa garantire un nuovo sindacato di tutti i presupposti - di legalita' (si rimanda sul punto alle argomentazioni di cui infra) e di merito - posti a fondamento della misura cautelare. L'imposizione del ricorso per saltum derivante dalla statuizione vincolante della Suprema Corte determina inoltre, sotto un ulteriore profilo, una seconda ingiustificata lesione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 della Costituzione. L'escludere, fra i poteri decisionali propri del Tribunale del riesame, quello di annullare i provvedimenti cautelari privi di una valida esposizione dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. e, per converso, il demandare al solo giudice di legittimita' il vaglio e la pronuncia di tali nullita' e' conclusione che vulnera chiaramente le facolta' difensive dell'interessato in regime coercitivo, negandogli l'accesso al rito urgente di cui all'art. 309 c.p.p., rito scandito da termini acceleratori in evidente ossequio al principio del favor libertatis ed, in particolare, con una decisione da adottare, da parte del Tribunale del riesame, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti proprio al fine di garantire una seria tutela del diritto di difesa dell'impugnante «evitando che questi possa essere in alcun modo danneggiato da inadempienze o ritardi dell'autorita' giudiziaria» (cfr., in materia di sequestro preventivo, C. Cost. ord. n. 126/93). E proprio la particolarita' di tale procedura d'impugnazione, pensata e ponderata per la specifica protezione di persone private in via cautelare di liberta' fondamentali, rende evidente che un suo eventuale diniego (in favore della procedura d'impugnazione innanzi alla Corte di cassazione, soggetta ad ordinarie scansioni temporali) alla parte interessata sarebbe tale da pregiudicarne gravemente il diritto di difesa, se non addirittura, in caso di detenzione, il diritto alla liberta' personale di pari rango costituzionale. L'indagato o imputato in regime di coercizione che volesse dedurre la nullita' del titolo cautelare per vizio di motivazione in tema di gravi indizi di colpevolezza sarebbe infatti tenuto a ricorrere ad uno strumento processuale privo dei connotati dell'urgenza e di mirati accorgimenti acceleratori nella perdurante esecuzione della misura cautelare. Il postulato interpretativo della Corte di cassazione, che vincola la decisione di questo Collegio, comporta dunque, sotto diversi aspetti, un evitabile sacrificio del diritto di difesa tutelato a livello costituzionale dall'art. 24 Cost. Art. 3. - La stessa impostazione esegetica, per altro verso, finisce col pregiudicare il suddetto diritto di rango costituzionale in conseguenza di una lettura irragionevole e foriera di ingiustificate disparita' di trattamento - contraria, quindi, ai principi sottesi all'art. 3 della Carta costituzionale - dell'art. 309, comma 9, in riferimento all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p. Ai fini d'interesse, giova rimarcare che l'art. 309, comma 9 c.p.p., nel compendiare i poteri decisionali del Tribunale, in funzione di giudice del riesame, sancisce che esso, se non deve dichiarare l 'inammissibilita' della richiesta, annulla, riforma o conferma l'ordinanza oggetto del riesame. Dal tenore testuale di tale previsione si ricava univocamente che il giudizio di riesame e' stato svincolato dal rigore del principio devolutivo (cfr., da ultima, Cass., sez. 6, sent. n. 4294 del 10 dicembre 2012, con la quale si e' precisato che l'ambito delle valutazioni rimesse al Tribunale del riesame non puo' essere scalfito nemmeno per effetto di un'impugnazione dell'interessato limitata ad alcuni aspetti soltanto della vicenda cautelare) e che, proprio per tale ragione, si e' investita l'autorita' competente di ogni piu' ampio potere di cognizione e di decisione rispetto a tutti i presupposti genetici del titolo cautelare impugnato. E la titolarita', da parte del Tribunale del riesame, dei piu' estesi poteri di cognizione e decisori e' stata del resto riconosciuta dalla stessa Corte di cassazione nel preambolo della pronuncia vincolante in questa sede. La Suprema Corte ha infatti riconosciuto che «il giudizio di riesame e' stato concepito come giudizio completamente autonomo e a cognizione piena sulla questione cautelare, vista in tutti i suoi risvolti, sia di legittimita' sia di merito, e al di fuori di qualunque vincolo connesso al principio devolutivo» (3) Nell'ambito di un siffatto scenario delineato dall'art. 309, comma 9 c.p.p., dunque, il principio di diritto vincolante espresso dal giudice di legittimita' pare discendere da un'interpretazione irragionevole della medesima disposizione ed essere fonte di ingiustificate disparita' di trattamento fra casi sostanzialmente analoghi fra loro. In primo luogo, invero, una immotivata difformita' di tal fatta concerne l'ordinanza cautelare nulla per vizio di motivazione (circa la sussistenza dei gravi indizi di' colpevolezza ex art. 273 c.p.p.), in rapporto alle altre fattispecie di nullita' del medesimo titolo coercitivo. Seguendo l'opzione interpretativa oggetto di censura, infatti, la nullita' per vizio di motivazione finisce per rappresentare l'unico caso rispetto al quale risulta sottratto al Tribunale del riesame il sindacato di legittimita' dell'atto impugnato e la caducazione dello stesso in ipotesi di violazione di legge invalidante. Si registra infatti un indirizzo costante volto ad accordare generalmente al Tribunale de libertate il vaglio di legittimita' (si consideri, fra le altre, Cass., S.U., sent. n. 45246 del 19 luglio 2012, in materia di contestazione a catena e di retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare) e il potere di annullamento delle ordinanze affette da nullita' sotto diversi altri profili, ad esempio in tema di omessa richiesta cautelare da parte del pubblico ministero (cfr. Cass., sez. 6, sent. n. 33858 del 10 luglio 2008), in tema di misura applicata per un reato sanzionato con pena inferiore ai limiti edittali di cui all'art. 280 c.p.p. (cfr. Cass, sez. 6, sent. n. 4849 del 21 dicembre 2010), o, ancora, in tema di mancata traduzione del provvedimento in lingua conosciuta dall'interessato alloglotta (cfr., fra le altre, Cass., sez. 2, sent. n. 32555 del 7 giugno 2011). Se ne desume che la preclusione, per il giudice del riesame, di una pronuncia di annullamento per vizio di motivazione dell'ordinanza gravata rappresenta un'inspiegabile anomalia rispetto al piu' ampio ambito decisorio riconosciuto al Tribunale de libertate dall'art. 309, comma 9 c.p.p. e dalla stessa giurisprudenza di legittimita'. Ma la statuizione vincolante della Corte di cassazione introduce ulteriori disparita' di trattamento prive di ragionevole giustificazione. Non si ravvisa, infatti, alcun plausibile motivo per il quale debba essere accordato al Tribunale del riesame il potere di annullare un'ordinanza cautelare che sia nulla per difetto grafico della motivazione e debba essere invece negato un analogo potere caducatorio in tutte le altre ipotesi in cui la motivazione sia comunque priva del contenuto essenziale prescritto dall'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p. in tema di gravita' indiziaria (ossia i casi di motivazione per clausole di stile, ovvero di «motivazione apparente»). Trattasi sempre, a ben vedere, di violazioni della medesima disposizione di legge (appunto, l'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p.) derivanti da una motivazione del provvedimento del tutto mancante - o a livello grafico, o per la totale carenza di un autonomo percorso logico-giuridico che sappia fondare l'imposizione della misura cautelare palesando elementi di fatto e congrue ragioni argomentative - ed affatto passibile di un'integrazione da parte del Tribunale del riesame. Considerazione analoga riguarda, ancora, la disomogeneita' di trattamento fra le fattispecie di nullita' per difetto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p., rispetto alle quali il dictum della Suprema Corte esclude il potere di annullamento da parte del Tribunale del riesame fatte salve le ipotesi eccezionali di vizio grafico, e i casi di nullita' per difetto di motivazione sulle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p., con riferimento ai quali la statuizione della Cassazione accorda invece al Tribunale del riesame il potere di annullare l'ordinanza viziata anche laddove provvista di motivazione apparente o per clausole di stile. La disuguaglianza derivante dall'esegesi normativa vincolante e' anche in questo caso irragionevole, non ravvisandosi infatti discrimine alcuno per differenziare reciprocamente le carenze motivazionali attinenti al requisito cautelare di cui all'art. 273 c.p.p. da quelle concernenti il requisito di cui all'art. 274 c.p.p. Come gia' tratteggiato nella parte riguardante la profilata lesione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost. , infine, il principio di diritto imposto in questa sede di giudizio finisce con il conferire un ruolo del tutto anomalo al ricorso «per saltum» innanzi alla Corte di cassazione. La nullita' del provvedimento gravato per vizio di motivazione attinente al profilo di gravita' indiziaria diviene infatti l'unica ipotesi nell'intero sistema delle impugnazioni in cui e' imposto di fatto alla parte interessata di ricorrere immediatamente alla Suprema Corte, laddove invece, nella generalita' delle ipotesi di cui all'art. 569 c.p.p. (eccezion fatta per quelle speciali indicate nel terzo comma della stessa disposizione di legge), colui che intenda impugnare la sentenza di primo grado conserva la facolta' di optare per il mezzo dell'appello di cui all'art. 593 c.p.p. La genesi di una forma d'impugnazione del tutto unica come quella in questione discende, invero, dalla peculiare ed irrazionale privazione di un potere decisionale al giudice deputato al piu' ampio sindacato sul titolo cautelare (appunto, il Tribunale del riesame) e all'ingiustificata eliminazione di fatto di un grado di giudizio su un particolarissimo profilo di legittimita' del titolo stesso (ossia quello riguardante la nullita' per difetto di motivazione in tema di gravita' indiziaria). Alla stregua di tutte le precedenti argomentazioni e', dunque, rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 309, comma 9 c.p.p., nella parte in cui esclude che il Tribunale del riesame possa annullare l'ordinanza cautelare nelle ipotesi di nullita' per difetto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p. Va dunque disposta la sospensione della presente procedura e la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sua decisione ai sensi degli articoli 1 legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al pubblico ministero e alle altre parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. (1) Sempreche' non si intenda privare alla parte anche tale mezzo d'impugnazione, come invece ritenuto da Cass., sez. 3, ord. n. 10232 del 25 febbraio 2010 (la quale infatti, al fine di non escludere ogni strumento di tutela, ha riqualificato il ricorso come richiesta di riesame, disponendo la trasmissione degli atti al competente Tribunale della liberta') e da Cass., sez. 3, sent. n. 41123 del 28 ottobre 2008. (2) L'incongruita' dei pregiudizi al diritto di difesa del soggetto in regime di coercizione personale discende anche dall'anomala «imposizione» di fatto del ricorso «per saltum», trattandosi di mezzo d'impugnazione che, nella sua disciplina generale di cui all'art. 569 c.p.p., non esclude alla parte interessata di appellare la sentenza di primo grado, coesistendo cosi' al mezzo dell'appello di cui all'art. 593 c.p.p. (3) Nonostante tale premessa, la stessa Corte ha poi proseguito in termini discordanti statuendo che il Tribunale del riesame - al quale «non e' demandata tanto la valutazione della legittimita' dell'atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante» - non puo' annullare l'ordinanza cautelare che sia priva di una valida motivazione rispetto alla sussistenza della gravita' indiziaria.