IL TRIBUNALE 
 
    Riuniti in  camera  di  consiglio,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza in merito alle richieste di riesame proposte nell'interesse
di P. A., di S. M. e di A. A., con atti depositati rispettivamente il
4 dicembre 2012, il 5 dicembre 2012 e il  7  dicembre  2012,  avverso
l'ordinanza del 23 novembre 2012 con  la  quale  il  Giudice  per  le
indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia ha applicato  nei
confronti dei medesimi indagati le misure cautelari della custodia in
carcere. 
    Vista la sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2013
(depositata il 10 ottobre 2013)  di  annullamento  con  rinvio  delle
ordinanze di questo Tribunale emesse il giorno 11 dicembre 2012 e  il
18 dicembre 2012; 
    Premesso che gli atti sono pervenuti a questo ufficio in data  17
ottobre 2013; 
    Sciogliendo la riserva  formulata  all'udienza  camerale  del  29
ottobre 2013; 
 
                               Osserva 
 
    Il Giudice per le indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di
Brescia, con ordinanza del 23 novembre 2012, disponeva nei  confronti
di diversi soggetti tra i quali P. A., S. M.  e  A.  A  -  le  misure
cautelari della custodia in carcere. 
    Con tale provvedimento coercitivo, in  particolare,  gli  odierni
istanti venivano stimati gravemente indiziati  della  fattispecie  di
estorsione pluriaggravata (anche  ai  sensi  dell'art.  7,  legge  n.
152/1991) contestata al capo di provvisoria incolpazione sub A). 
    Secondo la prospettazione accusatoria avallata  con  il  genetico
titolo cautelare, invero, A. A., unitamente a G. F., a R. G. e  a  S.
A., in esecuzione di un preciso incarico conferitogli da P. A.  e  da
S. M. (nelle rispettive qualita' di legale rappresentante e di  socio
della societa' «P.F.S. Costruzioni S.r.l.» di  Orzinuovi)  e  per  il
tramite di e di Z. G. e di  S.  V.,  aveva  adoperato  reiteratamente
modalita' violente e minacciose per  recuperare  un  credito  vantato
dalla stessa «P.F.S. Costruzioni S.r.l.»  (quantificato  nell'importo
di euro 1.500.000) nei confronti della societa' «Orceana  Costruzioni
S.p.a.». 
    In seguito alle condotte intimidatorie del 24 dicembre 2011,  del
10 febbraio 2012, del 17 febbraio  2012  e  del  16  marzo  2012,  le
persone offese A. M. e R. M., legale  rappresentante  e  socio  della
«Orceana  Costruzioni  S.p.a.»,   avevano   eseguito   effettivamente
pagamenti in favore della «P.F.S. Costruzioni S.r.l.» (la cessione di
un credito di  euro  50.000  vantato  nei  confronti  della  societa'
Nexity) e nelle mani di G. F. personalmente (per  l'importo  di  euro
10.000) inoltre consentendo, nelle date del 16 maggio  2012,  del  18
maggio 2012, nonche' in altri giorni compresi  tra  il  18  e  il  28
maggio 2012, che il gruppo dei Calabresi potesse prelevare  dai  loro
locali aziendali copiose quantita' di materiale edile. 
    Con lo stesso titolo cautelare, ancora, veniva addebitato  ad  A.
A., in concorso con G. F. e P. S., di  avere  adottato  comportamenti
violenti (il 23 febbraio 2012) e minacciosi (il  13  marzo  2012)  ai
danni di P. A. e di S. M. costringendoli ad effettuare un bonifico di
euro 5.000 in favore di P.  A.  (il  13  aprile  2012)  e  a  versare
ripetutamente somme di denaro per un ammontare  complessivo  di  euro
18.000  a  parziale  soddisfacimento  del   compenso   pattuito   per
l'attivita' di recupero del credito di cui al capo d'incolpazione sub
A) (capo di provvisoria incolpazione sub B). 
    Quanto ai requisiti cautelari di cui  agli  articoli  274  e  275
c.p.p., il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Brescia riteneva presenti,  a  carico  dei  coindagati,  le  esigenze
cautelari di cui all'art. 274, lettera c) c.p.p., non  fronteggiabili
adeguatamente con misure diverse da quelle della custodia in carcere. 
    Nel corso degli interrogatori ex art. 294 c.p.p. del 30  novembre
2012 P. A. e S. M. negavano sostanzialmente gli addebiti,  mentre  A.
A. si avvaleva della facolta' di non rispondere. 
    Con i mezzi d'impugnazione ex art. 309 c.p.p. i difensori  di  P.
A. e di S. M. deducevano il difetto dei gravi indizi di  colpevolezza
ex art. 273 c.p.p. e delle ravvisate esigenze cautelari. 
    Chiedevano,  di  conseguenza,   la   caducazione   delle   misure
impugnate, ovvero la relativa sostituzione con altre misure di  minor
rigore. 
    La difesa di A.  A.  eccepiva  invece,  in  via  preliminare,  la
nullita' dell'ordinanza impugnata per difetto di motivazione. 
    Quanto al merito, deduceva  il  difetto  di  gravita'  indiziaria
(anche con riguardo alla contestata aggravante ex art.  7,  legge  n.
152/1991)  e,  pertanto,   chiedeva   l'annullamento   della   misura
carceraria in esecuzione, ovvero la relativa sostituzione  con  altra
misura meno afflittiva. 
    Con ordinanze emesse nei giorni 11 dicembre 2012  e  18  dicembre
2012  questo  Tribunale   de   libertate   dichiarava   la   nullita'
dell'ordinanza emessa il 23 novembre 2012, in quanto priva di  valida
motivazione (anche tenuto conto dei consolidati  crismi,  consolidati
da Cass. S.U., sent. n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, in tema  di
valida motivazione per relationem), in spregio alle previsioni di cui
all'art. 292 c.p.p. 
    Si rilevava, in particolare, che il giudice della cautela si  era
limitato a trasporre  integralmente,  nel  provvedimento  coercitivo,
l'informativa della polizia giudiziaria e la richiesta  del  pubblico
ministero, senza compiere alcuna selezione  ne'  vaglio  critico  del
ponderoso materiale informativo raccolto nel corso delle indagini. 
    Piu' precisamente, il Tribunale, richiamato il  canone  normativo
dell'art. 292 c.p.p. sul contenuto specifico dell'ordinanza cautelare
in punto di gravita' indiziaria e sulla sanzione di nullita' in  caso
di  trasgressione  di  quel  canone,  ed   evidenziata   la   portata
sostanziale  dell'obbligo  (pure  sussistente  a  livello  di   fonte
costituzionale),  riportava   i   piu'   significativi   insegnamenti
giurisprudenziali in materia. 
    Veniva    dato    conto    dell'affermato    principio    (tratto
dall'interpretazione dell'art. 309, comma 9 c.p.p.) per il  quale  la
sanzione della nullita' costituisce  l'extrema  ratio  cui  ricorrere
quando non e' possibile altrimenti  intervenire  su  una  motivazione
difettosa del Giudice di prime cure (da ultima, cfr. Cass.,  sez.  2,
sent. n. 39383 dell'8 ottobre 2008). 
    Si considerava ancora  l'impossibilita',  per  il  Tribunale  del
riesame, di integrare la  motivazione  carente,  con  la  conseguente
necessita' di dichiarare la nullita'  dell'ordinanza  cautelare,  nei
casi  di  carenza  grafica  della  motivazione,  ovvero  di  apparato
motivazionale inesistente poiche' del tutto inadeguato  o  basato  su
affermazioni apodittiche (Cass. sez. 3, sent. n. 33753 del 15  luglio
2010). 
    Venivano quindi richiamati i requisiti  legittimanti  il  ricorso
alla tecnica redazionale  della  motivazione  per  relationem  (ossia
redatta mediante il richiamo ad altro atto del procedimento provvisto
di  congrua  motivazione  rispetto  all'esigenza  di  giustificazione
propria del provvedimento di destinazione) in quanto dimostrativi  di
un autonomo percorso valutativo da parte dell'Autorita' giudiziaria. 
    Tenuto  conto   della   struttura   e   del   contenuto   proprio
dell'impugnata  ordinanza  coercitiva  emessa  dal  Giudice  per   le
indagini preliminari presso  il  Tribunale  di  Brescia  in  data  23
novembre  2012,  si  affermava  dunque  la  nullita'   del   medesimo
provvedimento  benche'  non  affetto  da  un  vizio   grafico   della
motivazione. 
    Si ravvisava piuttosto,  in  tema  di  gravita'  indiziaria,  una
motivazione  apparente   e   rappresentata   da   mere   affermazioni
apodittiche. 
    Segnatamente, veniva evidenziato come  il  primo  giudice  avesse
operato una  pedissequa  riscrittura  della  richiesta  del  pubblico
ministero  e,  di   fatto,   un   integrale   rinvio   al   contenuto
dell'informativa finale della P. G. (atto inidoneo, per provenienza e
struttura, ad avere un contenuto argomentativo congruo rispetto  alle
esigenze  dell'ordinanza  cautelare),  senza  peraltro   fornire   la
dimostrazione  di  avere   preso   cognizione   delle   ragioni   del
provvedimento di riferimento e di averle stimate coerenti con la  sua
decisione secondo un preciso iter logico e giuridico. 
    Di  talche'  si  rilevava  la  totale  assenza  di  un   percorso
elaborativo sugli elementi fattuali e sulle ragioni secondo le  quali
detti elementi avrebbero integrato la nozione di gravita' indiziaria,
con  la  conseguente  impossibilita'  di  interventi   correttivi   o
integrativi da parte del Tribunale del riesame e l'inevitabilita'  di
una pronuncia di nullita' della  stessa  ordinanza  del  23  novembre
2012. 
    Con unico ricorso per cassazione depositato il 21  dicembre  2012
il  pubblico  ministero  chiedeva  l'annullamento  con  rinvio  delle
suddette ordinanze dei giorni 11 dicembre 2012 e  18  dicembre  2012,
deducendo   contraddittorieta'   della   motivazione    ed    erronea
applicazione di legge. 
    Assumeva, segnatamente che il Tribunale del riesame,  pur  avendo
richiamato  i  principi  di  diritto  piu'  volte   enunciati   dalla
Cassazione in materia di motivazione per relationem, li  avrebbe  poi
disattesi in concreto omettendo  di  integrare  a  propria  volta  la
motivazione del primo  giudice  stimata  carente  (ma,  nei  casi  di
specie, affatto inesistente). 
    La Suprema Corte, con sentenza del 27 settembre 2013  (depositata
il 10 ottobre 2013) annullava con rinvio le ordinanza impugnate. 
    Premesso che il giudizio rimesso  al  Tribunale  del  riesame  e'
stato concepito dal legislatore come un sindacato «ex novo» del tutto
svincolato dal principio devolutivo (come testimoniato dall'art. 309,
comma 9 c.p.p.), la Corte statuiva infatti che allo stesso  Tribunale
de libertate - giudice collegiale e di merito della vicenda cautelare
-  non  e'  demandata  la  valutazione  concernente  la  legittimita'
dell'atto  impugnato,  quanto   la   cognizione   della   fattispecie
sottostante, concludendo per l'ammissibilita'  di  una  pronuncia  di
nullita'  della  genetica  ordinanza  coercitiva  solo  nei  casi  di
inesistenza grafica della motivazione oppure di omessa individuazione
delle esigenze cautelari da soddisfare a causa dell'impiego di  vuote
«clausole di stile». 
    Nel corso dell'udienza camerale celebratasi il  29  ottobre  2013
nell'assenza del pubblico ministero ritualmente avvisato, i difensori
di P. A. e di S.  M.  insistevano  per  l'annullamento  delle  misure
cautelali impugnate, ovvero per la relativa sostituzione  con  misure
di minor rigore, mentre la difesa di A.  A.  chiedeva  l'annullamento
della misura carceraria per mancanza di gravi indizi di  colpevolezza
(cfr. verbale d'udienza, in atti). 
    La Corte  di  cassazione,  con  la  menzionata  sentenza  del  27
settembre 2013  (depositata  il  10  ottobre  2013),  vincola  questo
Collegio - ai fini della decisione - al principio di diritto  secondo
il quale al Tribunale de libertate, in sede di riesame ex.  art.  309
c.p.p., non e' demandata  la  valutazione  della  legittimita'  della
genetica ordinanza coercitiva e pertanto, a  conseguente  corollario,
e' precluso  in  tale  procedura  d'impugnazione  l'annullamento  del
provvedimento  custodiale  che  sia  carente  di   motivazione   (con
specifico  riguardo  all'ordinanza  gravata,  per  difetto  dei  soli
requisiti legali di cui all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p.),  a
meno che detta carenza non si risolva eccezionalmente in una mancanza
di motivazione in senso grafico o in un impiego di mere  clausole  di
stile che non consentano di «individuare le esigenze cautelari il cui
soddisfacimento si persegue». 
    Per converso, dunque,  la  statuizione  della  Suprema  Corte  (a
giudizio della quale «il  nostro  ordinamento  processuale  a  fronte
delle nullita' comminate per  omessa  motivazione  dei  provvedimenti
riserva solo al giudice di legittimita' il potere di  pronunciare  il
relativo annullamento») esclude, fra i poteri decisionali propri  del
Tribunale del riesame,  quello  di  annullare  l'ordinanza  cautelare
priva di una valida esposizione dei gravi indizi di  colpevolezza  ex
art.  273  c.p.p.  fondanti  la  misura  contestualmente   applicata,
sempreche', come osservato, tale vizio di motivazione non  si  riduca
ad una sua assenza addirittura a  livello  grafico  (per  la  carente
individuazione delle esigenze cautelari ex art.  274  c.p.p.  ipotesi
peraltro estranea al caso di specie - la declaratoria di nullita'  da
parte del Tribunale del  riesame  essendo  invece  ammessa  anche  in
ipotesi di  mere  clausole  di  stile,  ossia  di  c.d.  «motivazione
apparente»). 
    Secondo l'interpretazione data all'art. 309, comma 9 c.p.p.,  con
riferimento all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p., il Tribunale de
libertate non ha dunque il potere di delibare ne' di  pronunciare  la
nullita' dell'ordinanza cautelare in tutte quelle ipotesi in  cui  lo
stesso provvedimento coercitivo non contenga una conforme esposizione
degli indizi che giustificano in concreto  la  misura  disposta,  con
l'indicazione degli elementi di fatto  da  cui  sono  desunti  e  dei
motivi per i quali essi assumono rilevanza (ossia i casi di  nullita'
elencati espressamente, quanto al giudizio  di  gravita'  indiziaria,
dallo stesso art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p.). 
    Alla luce dell'opzione ermeneutica vincolante, in altri  termini,
nella procedura di impugnazione del riesame non puo' essere  rilevata
ne' dedotta la nullita' del genetico provvedimento coercitivo nel cui
ambito le valutazioni sui gravi indizi di colpevolezza  si  risolvano
in mere affermazioni apodittiche o tautologiche (cioe' in clausole di
stile inidonee a svolgere  la  funzione  loro  propria)  a  causa  di
un'omessa  individuazione  degli  indizi  valutati  in  concreto   in
relazione alla adottanda misura, di un'omessa rappresentazione  degli
elementi di fatto in grado di concretizzare gli indizi stessi, ovvero
di una compiuta illustrazione dei motivi sulla scorta dei quali detti
elementi assurgono al rango di indizi. 
    Ritiene tuttavia il Collegio che la  decisione  vincolante  della
Suprema Corte - imperniata sull'interpretazione degli  articoli  309,
comma 9 c.p.p. e 292, comma 2, lettera c) c.p.p., alla stregua  della
quale il Tribunale del riesame e' sempre  tenuto  a  sopperire  e  ad
integrare  il  provvedimento  coercitivo  emesso  dal  primo  giudice
laddove mancante di un valido giudizio di gravita' indiziaria  -  sia
sospetta  d'illegittimita'  costituzionale,   sicche'   s'impone   di
sollevare  la  relativa  questione  incidentale  davanti  alla  Corte
Costituzionale onde rimuovere il corrispondente principio di  diritto
e  consentire  una  nuova  valutazione  in   ordine   alla   nullita'
dell'impugnato provvedimento cautelare. 
    Giova  preliminarmente  considerare,  quanto  al  profilo   della
rilevanza, che il Tribunale, in sede di giudizio di  rinvio  ex  art.
627,  comma  3  c.p.p.,  e'  legittimato  a  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale con riguardo alle norme  da  applicare  e
secondo l'interpretazione stabilita e vincolante nel giudizio  a  quo
(sul punto e' costante l'orientamento della Corte Costituzionale,  e,
tra le altre, si citano  le  seguenti  sentenze:  305/2008,  78/2007,
130/1993). 
    Una siffatta facolta', invero, discende  dall'impossibilita'  per
il giudice di rinvio di discostarsi  da  quell'unica  interpretazione
normativa indicata dalla Corte in sede  di  annullamento  ed  ha  per
effetto che lo scrutinio sollecitato deve avere ad oggetto proprio la
disposizione cosi' come interpretata dalla sentenza  di  annullamento
con rinvio. 
    La struttura del giudizio  di  cassazione  con  rinvio,  infatti,
vietando ai giudici che ancora debbano  farne  applicazione  di  dare
alla disposizione in questione un significato diverso  da  quello  ad
essa attribuito con  la  determinazione  del  principio  di  diritto,
impedisce  l'interpretazione  adeguatrice  coerente  all'orientamento
della Corte Costituzionale, secondo il quale una disposizione non  si
dichiara  illegittima  perche'  suscettibile  di   un'interpretazione
contrastante con i parametri costituzionali, ma  soltanto  se  ne  e'
impossibile altra a questi conforme. 
    Tanto considerato in termini generali, non  pare  quindi  esservi
dubbio, quanto al caso di specie, circa la rilevanza della questione. 
    La decisione sui mezzi d'impugnazione proposti dai difensori  dei
coindagati  (concernente  rapporti  non  ancora  esauriti)   transita
infatti necessariamente  dall'esegesi  dell'art.  309,  comma  9,  in
rapporto  all'art.  292,  comma  2,  lettera  c)  c.p.p.,   e   dalla
conseguente individuazione dei  poteri  decisionali  demandati  dalla
prima disposizione di legge al Tribunale in funzione di  giudice  del
riesame. 
    Piu' in particolare, la questione in esame pare  in  primo  luogo
rilevante in quanto la rigorosa statuizione della Corte di cassazione
preclude ormai inevitabilmente a  questo  Tribunale  del  riesame  di
vagliare la nullita' - per difetto di motivazione  -  della  genetica
ordinanza  cautelare  emessa  il  23  novembre  2012   che,   invece,
costituisce  profilo  decisorio  da  sottoporre,  normalmente  e  per
logica, ad un sindacato preliminare. 
    E una siffatta delibazione in questa sede e' invero esclusa sotto
qualsivoglia profilo di contrarieta' all'art. 292, lettera c) c.p.p.,
dovendosi  infatti  rimarcare  che  la   motivazione   dell'ordinanza
impugnata  non  e'  graficamente  mancante  (circostanza  questa  che
avrebbe consentito eccezionalmente, secondo  la  Suprema  Corte,  una
pronuncia di annullamento ex art. 309 c.p.p.), bensi' redatta secondo
una tecnica stimata per  altre  ragioni  invalida  con  le  annullate
ordinanze dei giorni 11 e 18 dicembre 2012. 
    La questione rileva in secondo luogo e specularmente,  in  quanto
il dictum della Cassazione obbliga  necessariamente  il  Collegio  in
sede di rinvio all'esercizio di un potere-dovere  integrativo  (della
motivazione  carente)  derivante  proprio  da   quell'interpretazione
normativa  dell'art.  309,  comma  9  c.p.p.  che   sembra   sospetta
d'illegittimita' costituzionale. 
    Con riguardo alla non manifesta infondatezza della  questione  di
legittimita' 
    costituzionale, invero, l'interpretazione offerta dalla Corte  di
cassazione all'art. 309, comma 9 c.p.p., in riferimento all'art. 292,
comma 2, lettera c) c.p.p., solleva forti dubbi di  costituzionalita'
in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione. 
    Art. 24. - La decretata preclusione per il Tribunale del  riesame
di sindacare la legittimita' della genetica ordinanza  coercitiva  e,
di conseguenza, di dichiararne la nullita' (per difetto dei requisiti
legali di cui all'art. 292 comma 2,  lettera  c)  c.p.p.)  ove  detto
provvedimento sia privo di valida  motivazione  in  ordine  ai  gravi
indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. - a meno che detto  difetto
non si risolva eccezionalmente in  una  mancanza  di  motivazione  in
senso grafico (circostanza questa che non attiene tuttavia al caso di
specie) - pare comportare, ad onta della previsione costituzionale di
cui all'art. 24,  una  grave  ed  ingiustificata  compromissione  del
diritto di difesa proprio del soggetto in regime di coercizione. 
    Questi sarebbe invero obbligato, in mancanza di  altro  strumento
processuale di tutela, a dedurre tale ipotesi di nullita' del  titolo
cautelare attraverso il mezzo d'impugnazione  del  ricorso  c.d.  per
saltum  (ex  art.  311  comma  2  c.p.p.)  innanzi  al   giudice   di
legittimita' (1) , ossia il solo giudice al quale,  secondo  la  piu'
volte richiamata sentenza  di  annullamento  con  rinvio,  il  nostro
ordinamento processuale riserva il potere di pronunciare il  relativo
annullamento. 
    Ma l'interpretazione normativa oggetto  della  presente  censura,
nel rendere necessario, ed anzi inevitabile, il ricorso immediato  al
sindacato della Corte di Cassazione, diviene fonte di  incongrui  (2)
pregiudizi in danno della parte interessata tenuto  conto,  in  primo
luogo,  della  particolare  disciplina  dettata  per  tale  procedura
d'impugnazione dal suddetto art. 311 comma 2 c.p.p. 
    Detta disposizione, infatti, dopo avere espressamente contemplato
il ricorso diretto per cassazione, in ipotesi di violazione di legge,
contro le ordinanze che dispongono  una  misura  coercitiva,  prevede
subito  di  seguito  che   «la   proposizione   del   ricorso   rende
inammissibile la richiesta di riesame». 
    Il rapporto di alternativita' (ossia di reciproca esclusione) fra
i due mezzi di impugnazione (appunto, quello  di  cui  all'art.  311,
comma 2 c.p.p.,  rispetto  a  quello  di  cui  all'art.  309  c.p.p.)
costringe  dunque  la  parte,  che  voglia   eccepire   la   nullita'
dell'ordinanza cautelare per vizio di motivazione, a rinunciare  alla
relativa impugnazione ex art. 309 c.p.p. e, quindi, a  sottoporre  al
vaglio  del  Tribunale  del  riesame  ogni  questione  concernente  i
requisiti cautelari, previsti ex lege dagli articoli 273, 274  e  275
c.p.p., posti a suffragio della misura in corso di esecuzione. 
    In altri termini, l'affermare che il giudice di  legittimita'  e'
l'esclusivo titolare dei poteri di cognizione e decisori con riguardo
alle ordinanze cautelari nulle per vizio di motivazione finisce -  in
ragione della peculiare disciplina dettata  dall'art.  311,  comma  2
c.p.p. - per deprivare  la  parte  proprio  di  quel  solo  mezzo  di
impugnazione (ossia, il riesame), specifico per la materia  cautelare
e del tutto unico per la natura non devolutiva del  giudizio  imposto
al giudice ad quem, che sa garantire un nuovo sindacato  di  tutti  i
presupposti - di legalita' (si rimanda sul punto alle  argomentazioni
di cui  infra)  e  di  merito  -  posti  a  fondamento  della  misura
cautelare. 
    L'imposizione del ricorso per saltum derivante dalla  statuizione
vincolante della Suprema Corte determina inoltre, sotto un  ulteriore
profilo, una seconda ingiustificata lesione  del  diritto  di  difesa
tutelato dall'art. 24 della Costituzione. L'escludere, fra  i  poteri
decisionali propri del Tribunale del riesame, quello di  annullare  i
provvedimenti cautelari privi di una  valida  esposizione  dei  gravi
indizi di colpevolezza  ex  art.  273  c.p.p.  e,  per  converso,  il
demandare al solo giudice di legittimita' il vaglio e la pronuncia di
tali nullita' e' conclusione  che  vulnera  chiaramente  le  facolta'
difensive dell'interessato in regime coercitivo, negandogli l'accesso
al rito urgente di cui all'art. 309 c.p.p., rito scandito da  termini
acceleratori in evidente ossequio al principio del  favor  libertatis
ed, in particolare, con una  decisione  da  adottare,  da  parte  del
Tribunale del riesame, entro il termine perentorio  di  dieci  giorni
dalla ricezione degli atti proprio al fine  di  garantire  una  seria
tutela del diritto di difesa  dell'impugnante  «evitando  che  questi
possa essere in alcun modo  danneggiato  da  inadempienze  o  ritardi
dell'autorita'  giudiziaria»   (cfr.,   in   materia   di   sequestro
preventivo, C. Cost. ord. n. 126/93). 
    E proprio la particolarita'  di  tale  procedura  d'impugnazione,
pensata e ponderata per la specifica protezione di persone private in
via cautelare di liberta' fondamentali, rende  evidente  che  un  suo
eventuale diniego (in favore della procedura  d'impugnazione  innanzi
alla Corte di cassazione, soggetta ad ordinarie scansioni  temporali)
alla parte interessata sarebbe tale da  pregiudicarne  gravemente  il
diritto di difesa, se non addirittura,  in  caso  di  detenzione,  il
diritto alla liberta' personale di pari rango costituzionale. 
    L'indagato o  imputato  in  regime  di  coercizione  che  volesse
dedurre la nullita' del titolo cautelare per vizio di motivazione  in
tema di  gravi  indizi  di  colpevolezza  sarebbe  infatti  tenuto  a
ricorrere  ad  uno  strumento   processuale   privo   dei   connotati
dell'urgenza e di mirati accorgimenti acceleratori  nella  perdurante
esecuzione della misura cautelare. 
    Il  postulato  interpretativo  della  Corte  di  cassazione,  che
vincola la decisione  di  questo  Collegio,  comporta  dunque,  sotto
diversi aspetti,  un  evitabile  sacrificio  del  diritto  di  difesa
tutelato a livello costituzionale dall'art. 24 Cost. 
    Art. 3. - La stessa  impostazione  esegetica,  per  altro  verso,
finisce col pregiudicare il suddetto diritto di rango  costituzionale
in  conseguenza  di  una   lettura   irragionevole   e   foriera   di
ingiustificate disparita' di  trattamento  -  contraria,  quindi,  ai
principi sottesi all'art. 3 della Carta  costituzionale  -  dell'art.
309, comma 9, in riferimento all'art. 292, comma 2, lettera c) c.p.p. 
    Ai fini d'interesse, giova rimarcare  che  l'art.  309,  comma  9
c.p.p., nel  compendiare  i  poteri  decisionali  del  Tribunale,  in
funzione di giudice del riesame,  sancisce  che  esso,  se  non  deve
dichiarare l 'inammissibilita' della richiesta,  annulla,  riforma  o
conferma l'ordinanza oggetto del riesame. 
    Dal tenore testuale di tale previsione si ricava univocamente che
il giudizio di riesame e' stato svincolato dal rigore  del  principio
devolutivo (cfr., da ultima, Cass., sez. 6,  sent.  n.  4294  del  10
dicembre 2012, con la  quale  si  e'  precisato  che  l'ambito  delle
valutazioni rimesse al Tribunale del riesame non puo' essere scalfito
nemmeno per effetto di un'impugnazione dell'interessato  limitata  ad
alcuni aspetti soltanto della vicenda cautelare) e che,  proprio  per
tale ragione, si e' investita l'autorita'  competente  di  ogni  piu'
ampio potere  di  cognizione  e  di  decisione  rispetto  a  tutti  i
presupposti genetici del titolo cautelare impugnato. 
    E la titolarita', da parte del Tribunale del  riesame,  dei  piu'
estesi  poteri  di  cognizione  e  decisori  e'   stata   del   resto
riconosciuta dalla stessa Corte di  cassazione  nel  preambolo  della
pronuncia vincolante in questa sede. 
    La Suprema Corte ha infatti  riconosciuto  che  «il  giudizio  di
riesame e' stato concepito come giudizio completamente autonomo  e  a
cognizione piena sulla questione cautelare, vista  in  tutti  i  suoi
risvolti, sia di legittimita'  sia  di  merito,  e  al  di  fuori  di
qualunque vincolo connesso al principio devolutivo» (3) 
    Nell'ambito di un  siffatto  scenario  delineato  dall'art.  309,
comma 9 c.p.p., dunque, il principio di diritto  vincolante  espresso
dal giudice di legittimita'  pare  discendere  da  un'interpretazione
irragionevole  della  medesima  disposizione  ed  essere   fonte   di
ingiustificate disparita' di  trattamento  fra  casi  sostanzialmente
analoghi fra loro. 
    In primo luogo, invero, una immotivata difformita' di  tal  fatta
concerne l'ordinanza cautelare nulla per vizio di motivazione  (circa
la sussistenza dei gravi indizi di' colpevolezza ex art. 273 c.p.p.),
in rapporto alle altre fattispecie di nullita'  del  medesimo  titolo
coercitivo. 
    Seguendo l'opzione interpretativa oggetto di censura, infatti, la
nullita' per vizio di motivazione finisce per  rappresentare  l'unico
caso rispetto al quale risulta sottratto al Tribunale del riesame  il
sindacato di legittimita' dell'atto impugnato e la caducazione  dello
stesso in ipotesi di violazione di legge invalidante. 
    Si registra infatti un  indirizzo  costante  volto  ad  accordare
generalmente al Tribunale de libertate il vaglio di legittimita'  (si
consideri, fra le altre, Cass., S.U., sent. n. 45246  del  19  luglio
2012, in materia di contestazione a catena e di retrodatazione  della
decorrenza  del  termine  di  custodia  cautelare)  e  il  potere  di
annullamento delle ordinanze affette da nullita' sotto diversi  altri
profili, ad esempio in tema di omessa richiesta  cautelare  da  parte
del pubblico ministero (cfr. Cass., sez. 6, sent.  n.  33858  del  10
luglio 2008), in tema di misura applicata per un reato sanzionato con
pena inferiore ai limiti edittali di cui all'art.  280  c.p.p.  (cfr.
Cass, sez. 6, sent. n. 4849 del 21 dicembre 2010), o, ancora, in tema
di  mancata  traduzione  del  provvedimento  in   lingua   conosciuta
dall'interessato alloglotta (cfr., fra le altre, Cass., sez. 2, sent.
n. 32555 del 7 giugno 2011). 
    Se ne desume che la preclusione, per il giudice del  riesame,  di
una pronuncia di annullamento per vizio di motivazione dell'ordinanza
gravata rappresenta un'inspiegabile anomalia rispetto al  piu'  ampio
ambito decisorio riconosciuto al  Tribunale  de  libertate  dall'art.
309, comma 9 c.p.p. e dalla stessa giurisprudenza di legittimita'. 
    Ma la statuizione vincolante della Corte di cassazione  introduce
ulteriori   disparita'   di   trattamento   prive   di    ragionevole
giustificazione. 
    Non si ravvisa, infatti, alcun plausibile  motivo  per  il  quale
debba  essere  accordato  al  Tribunale  del  riesame  il  potere  di
annullare un'ordinanza cautelare che sia nulla  per  difetto  grafico
della motivazione e debba essere  invece  negato  un  analogo  potere
caducatorio in tutte le altre  ipotesi  in  cui  la  motivazione  sia
comunque priva del contenuto  essenziale  prescritto  dall'art.  292,
comma 2, lettera c) c.p.p. in tema di gravita'  indiziaria  (ossia  i
casi di motivazione per clausole di  stile,  ovvero  di  «motivazione
apparente»). 
    Trattasi sempre, a  ben  vedere,  di  violazioni  della  medesima
disposizione di legge (appunto,  l'art.  292,  comma  2,  lettera  c)
c.p.p.) derivanti da una  motivazione  del  provvedimento  del  tutto
mancante - o a livello  grafico,  o  per  la  totale  carenza  di  un
autonomo percorso logico-giuridico che sappia  fondare  l'imposizione
della misura cautelare palesando elementi di fatto e congrue  ragioni
argomentative - ed affatto passibile di un'integrazione da parte  del
Tribunale del riesame. 
    Considerazione analoga riguarda,  ancora,  la  disomogeneita'  di
trattamento fra le fattispecie di nullita' per difetto di motivazione
sui gravi indizi di colpevolezza ex art. 273  c.p.p.,  rispetto  alle
quali il dictum della Suprema Corte esclude il potere di annullamento
da parte del Tribunale del riesame fatte salve le ipotesi eccezionali
di vizio grafico, e i casi di nullita'  per  difetto  di  motivazione
sulle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p., con riferimento ai quali
la statuizione della  Cassazione  accorda  invece  al  Tribunale  del
riesame il potere di  annullare  l'ordinanza  viziata  anche  laddove
provvista di motivazione apparente o per clausole di stile. 
    La disuguaglianza derivante dall'esegesi normativa vincolante  e'
anche  in  questo  caso  irragionevole,  non   ravvisandosi   infatti
discrimine  alcuno  per  differenziare  reciprocamente   le   carenze
motivazionali attinenti al requisito cautelare di  cui  all'art.  273
c.p.p. da quelle concernenti il requisito di cui all'art. 274 c.p.p. 
    Come gia'  tratteggiato  nella  parte  riguardante  la  profilata
lesione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 Cost.  ,  infine,
il principio di diritto imposto in questa sede  di  giudizio  finisce
con il conferire un ruolo del tutto anomalo al ricorso  «per  saltum»
innanzi alla Corte di cassazione. 
    La nullita' del provvedimento gravato per  vizio  di  motivazione
attinente al profilo di gravita' indiziaria diviene  infatti  l'unica
ipotesi nell'intero sistema delle impugnazioni in cui e'  imposto  di
fatto alla parte interessata di ricorrere immediatamente alla Suprema
Corte,  laddove  invece,  nella  generalita'  delle  ipotesi  di  cui
all'art. 569 c.p.p. (eccezion fatta per quelle speciali indicate  nel
terzo comma della stessa disposizione di legge),  colui  che  intenda
impugnare la sentenza di primo grado conserva la facolta'  di  optare
per il mezzo dell'appello di cui all'art. 593 c.p.p. 
    La genesi di una forma d'impugnazione del tutto unica come quella
in  questione  discende,  invero,  dalla  peculiare  ed   irrazionale
privazione di un potere decisionale al giudice deputato al piu' ampio
sindacato sul titolo cautelare (appunto, il Tribunale del riesame)  e
all'ingiustificata eliminazione di fatto di un grado di  giudizio  su
un particolarissimo profilo di legittimita' del titolo stesso  (ossia
quello riguardante la nullita' per difetto di motivazione in tema  di
gravita' indiziaria). 
    Alla stregua di tutte le precedenti  argomentazioni  e',  dunque,
rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli articoli
3  e  24  della  Costituzione  -   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 309, comma 9  c.p.p.,  nella  parte  in  cui
esclude che il Tribunale  del  riesame  possa  annullare  l'ordinanza
cautelare nelle ipotesi di nullita' per difetto  di  motivazione  sui
gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 292, comma 2, lettera c)
c.p.p. 
    Va dunque disposta la sospensione della presente procedura  e  la
rimessione della questione  alla  Corte  costituzionale  per  la  sua
decisione ai sensi degli articoli 1 legge cost. 9 febbraio  1948,  n.
1. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Dispone che a cura della cancelleria la  presente  ordinanza  sia
notificata al pubblico ministero  e  alle  altre  parti,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  comunicata  al  Presidente
della  Camera  dei  deputati  e  al  Presidente  del   Senato   della
Repubblica. 

(1) Sempreche' non si intenda privare alla  parte  anche  tale  mezzo
    d'impugnazione, come invece ritenuto da Cass., sez.  3,  ord.  n.
    10232 del 25 febbraio 2010 (la quale  infatti,  al  fine  di  non
    escludere ogni strumento di tutela, ha riqualificato  il  ricorso
    come richiesta di riesame, disponendo la trasmissione degli  atti
    al competente Tribunale della liberta') e da Cass., sez. 3, sent.
    n. 41123 del 28 ottobre 2008. 

(2) L'incongruita' dei pregiudizi al diritto di difesa  del  soggetto
    in regime di coercizione personale  discende  anche  dall'anomala
    «imposizione» di fatto del ricorso «per saltum»,  trattandosi  di
    mezzo d'impugnazione che, nella sua disciplina  generale  di  cui
    all'art. 569  c.p.p.,  non  esclude  alla  parte  interessata  di
    appellare la sentenza di primo grado, coesistendo cosi' al  mezzo
    dell'appello di cui all'art. 593 c.p.p. 

(3) Nonostante tale premessa, la stessa Corte ha  poi  proseguito  in
    termini discordanti statuendo che il Tribunale del riesame  -  al
    quale «non e' demandata tanto la valutazione  della  legittimita'
    dell'atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante» -  non
    puo' annullare l'ordinanza cautelare che sia priva di una  valida
    motivazione rispetto alla sussistenza della gravita' indiziaria.