IL TRIBUNALE DI ROMA 
 
    Il Tribunale, nella persona del giudice  designato  dott.  Ileana
Fedele  alla  udienza  del  27/11/2013  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza nella causa lavoro di I grado  iscritta  al  n.  34438/2012
R.G. promossa da F.L.P. - Federazione Lavoratori Pubblici e  Funzioni
Pubbliche - e FIALP - Federazione Italiana Lavoratori Pubblici  -  in
persona dei rispettivi  legali  rappresentanti  pro  tempore  con  il
patrocinio degli avv.ti Michele  Mirenghi,  Stefano  Viti  e  Michele
Lioi, con elezione di domicilio presso il loro studio, sito in piazza
della Liberta' 20,  Roma,  giusta  procura  a  margine  del  ricorso,
ricorrente; 
    Contro Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente del Consiglio pro tempore, e A.R.A.N.  -  Agenzia  per  la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni - in persona
del Presidente pro tempore con il patrocinio dell'Avvocatura Generale
dello Stato, domiciliate ex lege presso i suoi uffici,  siti  in  via
dei Portoghesi n. 12, Roma, resistenti; 
    Con  l'intervento  di  Fabrizio  Albertacci  piu'  altri  con  il
patrocinio degli avv.ti Michele  Mirenghi,  Stefano  Viti  e  Michele
Lioi, con elezione di domicilio presso il loro studio, sito in piazza
della  Liberta'  20,  Roma,  giusta  procura  in  calce  all'atto  di
intervento, intervenuti; 
    All'esito della camera di consiglio, 
    Visti gli atti, 
    Premesso in fatto che: 
        1. con ricorso depositato in data 26 ottobre 2012 la F.L.P. -
Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni  Pubbliche  -  e  FIALP  -
Federazione  Italiana  Lavoratori   Pubblici,   nella   qualita'   di
firmatarie  di  contratti  collettivi  negoziati  e   stipulati   con
l'A.R.A.N. rispettivamente per  il  personale  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri e del compatto Ministeri e  per  il  personale
degli enti pubblici non economici, hanno chiesto  l'accertamento  del
proprio diritto a dare corso alle procedure contrattuali e  negoziali
relative al triennio 2010/2012 per il personale di  cui  all'art.  2,
comma 2, d.lgs. n. 165/2001, previo promovimento della  questione  di
costituzionalita' dell'art.  9,  commi  1  e  17,  d.l.  n.  78/2010,
convertito nella legge n. 122/2010 e dell'art. 16, comma 1,  d.l.  n.
98/2011, convertito nella  legge  n.  111/2011  nella  parte  in  cui
dispongono  congelamento  dei  trattamenti  economici  percepiti  dai
dipendenti ed  il  blocco  della  contrattazione  collettiva  per  il
triennio 2011-2013, con possibilita'  di  proroga  anche  per  l'anno
2014.  A  sostegno  del  ricorso  sindacati,  precisato  il   proprio
interesse a censurare la legittimita'  delle  disposizioni  impugnate
per  ottenere  la  ri-espansione  del  diritto  alla  contrattazione,
nell'esercizio delle prerogative  istituzionali  ex  art.  39  Cost.,
hanno argomentato in  diritto  circa  la  ravvisabilita'  di  diversi
profili di contrasto fra la normativa in commento ed i  parametri  di
cui agli artt. 3, 36 e 39 Cost.; 
        2.  si  e'  costituita  tempestivamente  la  Presidenza   del
Consiglio dei ministri e l'AR.A.N. - Agenzia  per  la  rappresentanza
negoziale  delle  pubbliche  amministrazioni,   con   il   patrocinio
dell'Avvocatura Generale dello Stato contestando la ritualita'  e  la
fondatezza  del  ricorso.  In  particolare,  la  difesa  erariale  ha
eccepito in via pregiudiziale l'inammissibilita' della  questione  di
costituzionalita'     in     quanto     carente     del     requisito
dell'incidentalita', per essere piuttosto coincidente  con  l'oggetto
del giudizio, e, nel merito, l'insussistenza dei  denunciati  profili
di costituzionalita' rispetto ai parametri indicati; 
        3.  nel  giudizio  sono  intervenuti  ad  adiuvandum  diversi
dipendenti di amministrazioni pubbliche, con atto depositato in  data
8 marzo 2013, insistendo per l'accoglimento del ricorso principale; 
        4. su richiesta della parte  ricorrente,  la  discussione  e'
stata  differita  onde  poter  seguire  l'iter  di  approvazione  del
regolamento di cui all'art. 16, comma 1, d.l. n. 98/2011,  convertito
nella legge n. 111/2011, comportante la proroga fino al  31  dicembre
2014  delle  predette  disposizioni  che  limitano  la  crescita  dei
trattamenti economici del personale delle pubbliche amministrazioni; 
    Considerato in diritto che: 
        1. l'art. 9, comma 1, d.l.  n.  78/2010,  siccome  convertito
nella legge n. 122/2010 stabilisce: "Per gli anni 2011, 2012  e  2013
il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di
qualifica  dirigenziale,  ivi  compreso  il  trattamento  accessorio,
previsto dai rispettivi ordinamenti delle  amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1  della  legge  31
dicembre  2009,  n,  196,  non  puo'  superare,  in  ogni  caso,   il
trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010"; 
        2. il successivo comma 17 del medesimo articolo  prevede  poi
che "Non si da' luogo, senza possibilita' di recupero, alle procedure
contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del personale
di cui all'art. 2, comma 2, e art.  3,  del  decreto  legislativo  30
marzo 2001,  n.  165  e  successive  modificazioni.  E'  fatta  salva
l'erogazione dell'indennita' di  vacanza  contrattuale  nelle  misure
previste a decorrere dall'anno  2010  in  applicazione  dell'art.  2,
comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203."; 
        3. inoltre, l'art. 16, comma 1, d.l. n.  98/2011,  convertito
nella legge n. 111/2011, "Al fine  di  assicurare  il  consolidamento
delle misure di  razionalizzazione  e  contenimento  della  spesa  in
materia di pubblico impiego adottate  nell'ambito  della  manovra  di
finanza pubblica per gli anni 2011-2013, nonche'  ulteriori  risparmi
in termini di indebitamento netto, non inferiori a 30 milioni di euro
per l'anno 2013 e ad euro 740 milioni di euro  per  l'anno  2014,  ad
euro 340 milioni di euro per l'anno 2015 ed a  370  milioni  di  euro
annui a decorrere dall'anno  2016  con  uno  o  piu'  regolamenti  da
emanare ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23  agosto  1988,
n. 400, su proposta dei Ministri per la  pubblica  amministrazione  e
l'innovazione e dell'economia e delle finanze, puo' essere disposta: 
    (Omissis). 
    b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni
che limitano la crescita dei trattamenti  economici  anche  accessori
del  personale  delle  pubbliche   amministrazioni   previste   dalle
disposizioni medesime"; 
    4. esercitando la facolta' di cui  alla  disposizione  da  ultimo
citata, con d.P.R. del 4 settembre 2013,  n.  122,  pubblicato  nella
G.U. del 25 ottobre 2013 n. 251, e' stato emanato il "Regolamento  in
materia  di  proroga  del  blocco  della   contrattazione   e   degli
automatismi stipendiali per i pubblici  dipendenti",  con  il  quale,
limitatamente a quanto qui interessa, e' stata  disposta  la  proroga
fino al 31 dicembre 2014 delle disposizioni recate dall'art. 9, comma
1, del d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
122/2010, nonche' consentita per gli anni 2013-2014  la  negoziazione
per la sola parte normativa e senza possibilita' di recupero  per  la
parte economica. Nel medesimo regolamento si precisa,  altresi',  che
"non si' da' luogo, senza possibilita' di recupero, al riconoscimento
degli incrementi  contrattuali  eventualmente  previsti  a  decorrere
dall'anno 2011" e si aggiunge che "in deroga alle previsioni  di  cui
all'art. 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.
165, e successive modificazioni, ed all'art. 2, comma 35, della legge
22 dicembre 2008, n. 203, per gli anni 2013 e 2014 non si da'  luogo,
senza possibilita' di recupero, al  riconoscimento  di  incrementi  a
titolo di indennita' di vacanza contrattuale che continua  ad  essere
corrisposta, nei predetti anni, nelle misure di cui all'art. 9, commi
17, secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78"; 
    5.   l'eccezione   di   inammissibilita'   della   questione   di
costituzionalita'  per  difetto  del  carattere  di   incidentalita',
sollevata dalla difesa erariale, non e' fondata ove  si  ponga  mente
all'oggetto  del  presente  giudizio,  costituito  dalla  domanda  di
accertamento del diritto a dare corso alle procedure di  negoziazione
per il  rinnovo  della  contrattazione  collettiva  per  il  triennio
2010/2012, con conseguente condanna dell'A.R.A.N. a dare  corso  alle
trattative per il rinnovo dei  corrispondenti  contratti;  da  quanto
esposto, risulta che la controversia  ha  ad  oggetto  un  preciso  e
concreto bene della vita, vale a dire l'esplicazione di un diritto di
rilevanza costituzionale (ex art. 39 Cost.), onde lo scrutinio  della
legittimita' costituzionale delle disposizioni censurate si configura
alla stregua di una questione pregiudiziale, che deve essere  risolta
per pervenire all'accertamento del diritto  rivendicato  dalla  parte
ricorrente.  In  questo  senso,  non  si   attaglia   alla   presente
fattispecie il precedente richiamato nella  memoria  di  costituzione
delle parti resistenti a conforto del difetto di  incidentalita',  in
quanto riferibile ad un caso in cui era stato chiesto  l'annullamento
di un atto sospettato di incostituzionalita' e non gia'  un  autonomo
bene  della  vita  (onde  il  petitum  del  giudizio  principale   si
identificava con l'oggetto della questione in esso  sollevata:  Corte
cost. ord. 16 gennaio 2009 n. 2). Peraltro, vi e' pure  da  osservare
che, a voler portare ad estreme conseguenze la questione relativa  al
difetto di incidentalita', risulterebbe di fatto impossibile ottenere
tutela le volte in cui l'accertamento di un diritto imponga il vaglio
di  costituzionalita'  di  una  legge  che  tale  diritto  condizioni
direttamente; onde non puo' che concludersi, anche sotto  un  profilo
di ragionevolezza dell'interpretazione del  requisito  in  questione,
che  risulti  preclusiva  dell'accesso  alla   Corte   costituzionale
unicamente  una  questione  che,  lungi  dall'essere  strumentale  al
conseguimento dell'oggetto  del  giudizio,  costituisca  essa  stessa
l'oggetto del giudizio a quo. 
    Tale  interpretazione,  infine,  risulta  avallata   da   recenti
pronunce (in particolare Corte cost. ord. 8 ottobre  2012,  n.  223),
nelle  quali,  tipicamente,  e'  stata  affrontata  nel  merito   una
questione   sollevata   nell'ambito   di   un    giudizio    relativo
all'accertamento di un diritto che si assumeva direttamente  leso  da
disposizioni sospettate di incostituzionalita'; 
    6. superata la questione pregiudiziale e venendo  al  merito,  le
disposizioni  censurate,  siccome   sopra   riportate,   e   valutate
nell'ambito complessivo del contesto  in  cui  sono  inserite,  fanno
emergere quale non manifestamente infondato, in parte qua, un  dubbio
di  legittimita'  costituzionale,  sotto  molteplici  e   concorrenti
parametri, anche ulteriori rispetto a quelli prospettati dalla  parte
ricorrente. In particolare, sussistono, ad avviso del  giudicante,  i
presupposti per sollevare la questione di legittimita' costituzionale
con riguardo ai seguenti profili; 
    7. violazione degli artt. 35 e  39  Cost.  nonche'  dell'art.  36
Cost.: la sospensione della possibilita' di negoziare, anche solo  in
ordine   ad   incrementi   retributivi,    viene    a    determinare,
indirettamente,   un'anomala   interruzione   dell'efficacia    delle
disposizioni vigenti in materia (artt. 40, comma 1°, art.  43,  comma
1°, e art. 45, comma 1°, d.lgs. n. 165/2001) e,  quindi,  del  valore
dell'autonomia  negoziale  riservata  alle  parti  nell'ambito  della
contrattazione collettiva, interruzione  determinata  a  causa  della
esclusiva  ed  affatto  peculiare  posizione  dello  Stato-datore  di
lavoro. Peraltro, in un regime normativo nel quale la retribuzione e'
determinata da  accordi  di  categoria,  il  rispetto  del  principio
costituzionale della proporzionalita' tra il lavoro svolto e  la  sua
remunerazione  e'  affidato  proprio  allo  strumento  del  contratto
collettivo  (tanto  che   i   minimi   retributivi   previsti   dalla
contrattazione collettiva sono assunti  dalla  giurisprudenza,  quale
diritto  vivente,  quale  parametro  di  riferimento   della   giusta
retribuzione  spettante  al  lavoratore  ex  art.  36  Cost.,   anche
indipendentemente dall'iscrizione o meno  del  datore  di  lavoro  ad
un'associazione sindacale stipulante: ex multis Cass. 15.10.2010,  n.
21274);    conseguentemente,    l'inibizione     prolungata     della
contrattazione in ordine all'adeguamento dei trattamenti  retributivi
puo' sollevare il legittimo dubbio di una conseguente violazione  del
principio di proporzionalita' e sufficienza della  retribuzione.  Ne'
tale  situazione  risulta   sanata   per   effetto   della   parziale
riespansione  del  diritto  alla  negoziazione  previsto  dal  citato
regolamento n. 122/2013: infatti, da un lato  l'ammissibilita'  delle
procedure  contrattuali  e'  stata  limitata  agli  anni   2013/2014,
rimanendo  comunque  compromessa,  dunque,  quella   per   gli   anni
2010-2012; dall'altro - ed e' l'aspetto che maggiormente rileva -  la
negoziazione e' stata  circoscritta  alla  parte  normativa  e  senza
possibilita' di recupero per la parte economica. Pertanto,  non  solo
rimane inibita la contrattazione sui trattamenti retributivi, con gli
effetti  gia'  sopra  delineati,  ma  viene  ulteriormente   ribadita
l'esclusione  del  recupero,  con  cio'  evidenziando  il   carattere
definitivo della limitazione  imposta  a  prescindere  dalla  attuale
situazione  emergenziale  posta  a  fondamento   della   decretazione
d'urgenza; 
    8. violazione dell'art. 3 Cost., anche in  relazione  all'art.  2
Cost.: la disposizione in contestazione solleva ulteriori ed autonomi
dubbi di non manifesta infondatezza per violazione  dei  principi  di
uguaglianza, ragionevolezza legislativa e di solidarieta' sociale, di
cui agli  artt.  3  e  2  Cost.  Infatti,  a  fronte  delle  esigenze
contingenti che hanno sollecitato l'agire del legislatore  d'urgenza,
come rese evidenti dal preambolo del d.l. n. 78/2010, convertito  con
modificazioni dalla legge n. 122/2010 ("straordinaria  necessita'  ed
urgenza di emanate  disposizioni  per  il  contenimento  della  spesa
pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale, alle  finalita'  di
stabilizzazione  finanziaria  e  del  rilancio  della  competitivita'
economica"), le misure di  risanamento  sono  state  adottate  agendo
sulle retribuzioni dei soli pubblici dipendenti, cio'  che  prospetta
la contemporanea  violazione  del  principio  di  uguaglianza  tra  i
cittadini e del dovere di solidarieta' politica, sociale ed economica
di cui rispettivamente agli  artt.  3  e  2  Cost.  In  effetti,  ove
l'esigenza inderogabile di  riduzione  della  spesa  derivasse  dalla
richiamata     "eccezionalita'     della     situazione     economica
internazionale", ne discenderebbe la  necessita'  di  accollare  tale
onere sulla collettivita' considerata nel suo insieme e non gia' solo
su di una parte dei cittadini (i pubblici dipendenti). Tale approccio
appare, pertanto, in contrasto anche con  l'art.  2  Cost.  e  con  i
principi di solidarieta' sociale, politica ed economica ivi indicati,
cui corrispondono  ben  precisi  "doveri  inderogabili",  che  devono
essere rapportati all'intera comunita'; 
    9. non si ignora come in passato la  Corte  costituzionale  abbia
gia' positivamente vagliato la legittimita' di disposizioni  analoghe
a quelle contestate  nel  presente  giudizio  (si  intende  riferirsi
all'art. 7 del d.1. n. 384 del 1992, convertito in legge n.  438  del
1992, secondo cui "per l'anno 1993 non trovano applicazione le  norme
che comunque comportano incrementi retributivi in conseguenza sia  di
automatismi  stipendiali,  sia   dell'attribuzione   di   trattamenti
economici,  per  progressione  automatica  di  carriera").  E'  noto,
tuttavia, come le relative pronunce,  pur  salvaguardando  la  misura
adottata, abbiano nel contempo definito le condizioni ed i limiti  di
azione per il legislatore in simili circostanze: infatti,  la  Corte,
dato che atto che la normativa in questione era stata emanata «in  un
momento delicato della  vita  nazionale»,  avente  «la  finalita'  di
realizzare, con immediatezza, un contenimento della spesa  pubblica»,
ne ha riconosciuto la legittimita', atteso che il blocco «esauriva  i
suoi effetti nell'anno considerato, limitandosi a impedire erogazioni
per esigenze di riequilibrio del bilancio» (Corte Cost.  sentenza  18
luglio 1997 n. 245);  la  norma  scrutinata,  pertanto,  nell'imporre
sacrifici anche onerosi, poteva ritenersi non lesiva del principio di
cui all'art. 3 della Costituzione, sotto il duplice aspetto della non
contrarieta' sia al principio di uguaglianza sostanziale sia a quello
della non irragionevolezza, a condizione  che  i  suddetti  sacrifici
fossero eccezionali, transeunti, non  arbitrari  e  consentanei  allo
scopo  prefisso  (v.  anche  Corte  Cost.  7  luglio  1999,  n.  299;
sull'eccezionalita' e temporaneita' di norme  restrittive  in  ordine
all'autonomia negoziale e ai sacrifici imposti ai lavoratori v.  pure
Corte Cost. 9 giugno 1988 n. 697); 
    10. viceversa, nel caso in  esame,  le  misure  restrittive  sono
state disposte per un triennio, prorogabili per  un  ulteriore  anno,
sino a dicembre 2014, in tal  modo  difettando  nella  sostanza  quel
requisito dell'eccezionalita' e temporaneita' della  disciplina,  che
aveva consentito  alla  stessa  Corte  di  rigettare  in  passato  le
consimili questioni di  costituzionalita'  prospettate.  Infatti,  la
sospensione della negoziazione sugli incrementi retributivi  disposta
per un triennio determina un  vero  e  proprio  "congelamento"  della
fisiologica  dinamica  retributiva,  non  comparabile  agli   effetti
prodotti dal citato art. 7 d.l. n. 384/1992, effettivamente di natura
transitoria ed emergenziale in quanto circoscritti ad anno. E cio' e'
tanto piu' vero ove si consideri che la facolta' di prorogare per  un
ulteriore anno le limitazioni alla contrattazione ed  ai  trattamenti
economici - prevista dall'art. 16 del d.l. n. 98 del 2011, convertito
nella legge n, 111 del 2011 - e' stata effettivamente esercitata  con
l'emanazione del piu' volte citato  regolamento  n.  122/2013,  cosi'
rendendo di fatto stabile una disposizione a carattere eccezionale e,
addirittura, disponendo ex novo  la  sospensione  dell'indennita'  di
vacanza contrattuale per  gli  anni  2013-2014,  indennita'  che  era
stata, invece,  salvaguardata  per  gli  anni  2010-2012.  Il  tutto,
peraltro,  con  espressa  esclusione  del  recupero  per   la   parte
economica, in tal modo sancendo la definitiva ablazione  del  diritto
(consistente  nella  perdita  della  possibilita'  di  negoziare  sul
punto), anche in un  contesto  diverso  dell'intervento  emergenziale
definito dal legislatore, venendo a determinare i denunciati  effetti
permanenti del blocco dell'adeguamento delle retribuzioni; 
    11. del resto, la stessa Corte  di  legittimita'  delle  leggi  -
proprio con riferimento a disposizioni inserite nel medesimo contesto
normativo in esame - ha  ritenuto  superati  i  limiti  tracciati  in
passato per la legittimita'  di  interventi  consimili,  giungendo  a
dichiarare l'incostituzionalita' delle norme censurate (Corte Cost. 8
ottobre 2012, n.  223).  Non  rilevano,  viceversa,  come  precedenti
ostativi le pronunce n, 173/2012 e n. 215/2012, citati  dalla  difesa
erariale, in quanto in tali giudizi, promossi in  via  principale  da
alcune Regioni, la Corte si e' limitata a ritenere  inammissibile  la
censura svolta con riferimento all'art. 36 Cost., "risolvendosi nella
evocazione di  parametri  non  attinenti  al  riparto  di  competenza
legislativa tra Stato e Regioni"; quanto, poi, al  diverso  parametro
costituito dall'art. 39 Cost., invocato  in  quel  giudizio  rispetto
all'art. 9,  comma  4,  d.l.  n.  78/2010  (secondo  cui  "I  rinnovi
contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni
per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici  del  rimanente
personale in regime di diritto pubblico per il medesimo  biennio  non
possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi  superiori  al
3,2 per cento"), occorre precisare che  la  Corte,  nel  ritenere  la
legittimita'  della  disposizione  ("Il  fatto  che  il   trattamento
economico sia materia di contrattazione collettiva  non  esclude  che
quest'ultima   si   debba   svolgere   entro   limiti   generali   di
compatibilita' con le finanze pubbliche  legittimamente  fissati  dal
legislatore; come, di fatto, avviene sempre, poiche' e' la legge  che
ogni volta individua le risorse  destinate  a  finanziare  i  rinnovi
contrattuali  nell'impiego  pubblico")  ha  comunque  precisato   che
"l'art. 9, comma 4,  del  decreto-legge  n.  78  del  2010,  fissando
esclusivamente un limite agli aumenti che possono essere disposti dai
contratti collettivi relativi ad un determinato biennio, non fa altro
che definire, appunto, il confine entro  il  quale  puo'  liberamente
svolgersi  l'attivita'  negoziale   delle   parti",   in   tal   modo
indirettamente  confermando  come  la  contrattazione  collettiva  in
materia, seppure limitata, debba comunque potersi esplicare entro  un
determinato ambito di manovra, spazio che, invece, la disposizione di
cui al successivo comma 17 in esame esclude  completamente,  inibendo
del tutto la negoziazione per gli anni 2010-2012 e  limitandola  alla
sola parte normativa per gli anni 2013-2014; 
    12.  quanto  alla  rilevanza  della  questione,   essa   sussiste
certamente atteso che il vaglio di costituzionalita' delle  norme  in
esame  costituisce  unico  ed  immediato   paradigma   normativo   di
riferimento  per  l'eventuale  riconoscimento  dell'azionato  diritto
della parte ricorrente ad avviare la contrattazione  con  riferimento
al periodo 2010-2012; 
    13. pertanto, alla luce dei predetti  rilievi,  le  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art.  9,  commi  1  e  17,  d.l.  n.
78/2010, convertito con modificazioni in legge n.  122/2010,  nonche'
dell'art. 16, comma 1, d.l. n. 98/2011,  convertito  nella  legge  n.
111/2011,  si  appalesano  rilevanti,  in  quanto   le   disposizioni
richiamate costituiscono il paradigma normativo  di  riferimento  per
l'eventuale riconoscimento del diritto azionato da parte  ricorrente,
e   non   manifestamente   infondate,   alla   luce   delle   esposte
considerazioni critiche; 
    14. riservata ogni altra decisione all'esito del giudizio innanzi
alla  Corte  costituzionale,  alla  quale  va  rimessa  la  soluzione
dell'incidente di costituzionalita';