REPUBBLICA ITALIANA 
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
 
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
                  SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE 
                        PER L'EMILIA-ROMAGNA 
 
    In funzione di  giudice  unico  delle  pensioni  in  composizione
monocratica in persona del consigliere Marco Pieroni, ha  pronunciato
la seguente ordinanza  sul  ricorso  iscritto  al  n.  43666/Pensioni
Civili del registro di  segreteria,  proposto  dal  signor  Salvatore
Surace, nato a  Rizziconi  (RC)  il  6.9.1942,  residente  a  Modena,
rappresentato e difeso dall'avv. prof. Rolando Pini; 
    Uditi,  nella  pubblica  udienza  del  14   gennaio   2014,   con
l'assistenza della sig.ra Laura Cannas, l'avv. prof. Rolando Pini per
il ricorrente e l'avv. Mariateresa Nasso per l'INPS di Roma; 
    Premesso che con atto depositato  in  data  11  aprile  2013,  il
ricorrente, rappresentato e' difeso  dall'avv.  prof.  Rolando  Pini,
propone ricorso  avverso:  a)  il  trattamento  pensionistico  a  lui
attribuito a partire dal mese di agosto  2011,  nella  parte  in  cui
detto  trattamento  e'   stato   assoggettato   al   "contributo   di
perequazione"  previsto   dal   comma   22-bis   dell'art.   18   del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, nel  testo  successivamente  modificato
dall'articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.
201   (Disposizioni   urgenti   per   la   crescita,   l'equita'    e
il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;  b)  la  mancata  rivalutazione
automatica  del  loro  trattamento  pensionistico   in   applicazione
dell'art.  24,  comma  25,  del  medesimo  d.l.  n.  201  del   2011,
convertito, con modificazioni, dalla l. n. 214 del 2011; 
    che questo Giudice, con  riferimento  alla  prima  richiesta,  ha
deciso con separata pronuncia; 
    che con riferimento alla seconda richiesta sub b), il  ricorrente
si duole del fatto che la mancata rivalutazione  automatica  del  suo
trattamento pensionistico in applicazione del comma 25  dell'art.  24
del medesimo d.l. n. 201 del 2011; convertito dalla  l.  n.  214  del
2011 riproduca, nella sostanza,  i  medesimi  effetti  derivanti  dal
citato art. 18, comma 22-bis, del  dl.  n.  201  del  2011,  violando
peraltro i parametri di cui agli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost. 
    che l'INPS ha prodotto, in replica, memoria depositata in data 26
settembre 2013; 
    che quanto alla questione riguardante il  mancato  riconoscimento
della rivalutazione monetaria (art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del
2011, convertito dalla l. n. 214 del 2011), l'INPS ha:  a)  ricordato
una serie di pronunce della Corte costituzionale in base  alle  quali
questioni consimili siano state dichiarate  manifestamente  infondate
(sent. n. 202 del 2006; n. 256 del 2001); fatto presente che  analoga
questione e' stata rigettata dalla Corte dei conti, Sez. Giur.  Lazio
con sentenza n. 214 del  2013;  c)  che  la  norma  in  questione,  a
differenza di quella caducata per effetto della sentenza n.  116  del
2013 della Corte costituzionale, colpisce tutti i pensionati pubblici
e privati; 
    che  il  ricorrente  ha  reiterato  le  proprie  ragioni  con  la
successiva memoria  11  dicembre  2013;  in  particolare,  nel  corso
dell'udienza pubblica  e'  emerso  che  le  trattenute  a  titolo  di
"contribuzione  perequativa"  effettuate  a  carico  dell'interessato
risultano essere state restituite solo con riferimento al 2013 e  non
anche per gli anni 2011 e 2012; 
    Ritenuto che il ricorrente si duole della  mancata  rivalutazione
automatica del proprio trattamento pensionistico in applicazione  del
comma 25 dell'art. 24 del medesimo d.l. n. 201 del  2011,  convertito
dalla l. n. 214 del 2011; 
    che, in proposito, deve premettersi  che  la  disposizione  della
quale questo Giudice e' chiamato a fare applicazione (citato art. 24,
comma 25, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla  l.  n.
214  del  2011)  prevede:  "In   considerazione   della   contingente
situazione finanziaria, la rivalutazione automatica  dei  trattamenti
pensionistici, secondo  il  meccanismo  stabilito  dall'articolo  34,
comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e'  riconosciuta,  per
gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di
importo complessivo fino a tre  volte  il  trattamento  minimo  INPS,
nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo  superiore
a tre volte il trattamento minimo INPS  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  ai
sensi del presente comma,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza  del  predetto  limite  maggiorato.  Il
comma 3 dell' articolo 18 del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e'
abrogato."; 
    che questo Giudice rileva che il censurato  art.  24,  comma  25,
d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 prevede il blocco degli adeguamenti delle
pensioni, superiori a tre volte il  trattamento  minimo:  tale  norma
sembra penalizzare detti  trattamenti  pensionistici,  vulnerando  il
principio di proporzionalita' fra retribuzione, in contrasto  con  il
combinato disposto degli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione; 
    che se  e'  pur  vero  che  la  Corte  costituzionale  (sent.  n.
316/2010)  ha  affermato  che  in  particolari  circostanze   e   con
riferimento  ai  trattamenti   pensionistici   piu'   elevati   possa
sospendersi, per un periodo limitato, l'adeguamento annuale  previsto
dall'art. 59, 13° comma, l. n. 449/1997, e'  da  considerare  che  la
stessa Corte ha affermato (cfr. medesima sentenza n. 316/2010,  punto
4  del  Considerato  in  diritto)  che  "la   sospensione   a   tempo
indeterminato  del  meccanismo  perequativo,  ovvero   la   frequente
reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema
ad evidenti tensioni con, gli invalicabili principi di ragionevolezza
e proporzionalita' [...] perche' le pensioni, sia  pure  di  maggiore
consistenza,  potrebbero  non  essere  sufficientemente   difese   in
relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della  moneta";  d'altro
canto, il censurato art. 24, comma 25, del  d.l.  n.  201  del  2011,
appare peggiorativo rispetto all'art. 1, comma 19, l. n. 247 del 2007
(ritenuto legittimo  dalla  citata  sentenza  n.  316/2010)  giacche'
paralizza  l'adeguamento  dei  trattamenti  superiori  a  tre  volte,
anziche' ad otto volte, il minimo INPS; 
    che  vale  aggiungere  che  il  blocco  introdotto  dalla   norma
censurata: a) per un verso, segue a distanza  di  soli  quattro  anni
quello  ritenuto  legittimo; b)  per  altro  verso,   per   esplicita
autogiustificazione inteso a contribuire al finanziamento di esigenze
generali dello Stato (art. 24, 1  comma  1,  d.l.  n.  201/2011)  "in
considerazione della contingente situazione  finanziaria"  (art.  24,
comma 25, primo periodo, d.l. n. 201/2011), sembra  palesare  profili
di irrazionalita' per eccedenza del mezzo rispetto al  fine  (art.  3
Cost.), giacche'  ad  esigenze  di  tal  fatta  dovrebbe  logicamente
provvedersi con la fiscalita' ordinaria (art. 53 Cost.); 
    che invero, il citato art. 24, comma 25, citato dissimula  a  ben
vedere l'introduzione di una misura volta a  realizzare  un  introito
per l'Erario sotto forma  di  un  risparmio  realizzato  forzosamente
mediante la compressione di un diritto (quale quello  all'adeguamento
dei trattamenti) attribuito in via tendenziale ai pensionati; sicche'
la misura avversata dagli interessati sembra sostanziarsi in  realta'
in  una  sorta  di  prelievo  fiscale  settoriale,  come  si   diceva
dissimulato, in quanto ontologicamente non dissimile da  quello  gia'
oggetto della pronuncia demolitoria della Corte Costituzionale con la
sent. n. 116/2013, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.; 
    che il vizio della norma in  questione  emerge  altresi'  ove  si
consideri  che  la  natura  retributiva  (differita)  delle  pensioni
ordinarie  e'  stata  ormai  definitivamente  statuita  dalla   Corte
costituzionale con la citata sentenza n. 116/2013, laddove  al  punto
7.3. del Considerato in diritto,  cosi'  si  esprime:  "Nel  caso  di
specie, peraltro, il  giudizio  di  irragionevolezza  dell'intervento
settoriale appare ancor piu' palese,  laddove  si  consideri  che  la
giurisprudenza  della  Corte   ha   ritenuto   che   il   trattamento
pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita  (fra  le
altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicche' il
maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie  risulta  con
piu' evidenza discriminatorio, venendo  esso  a  gravare  su  redditi
ormai  consolidati  nel  loro  ammontare,  collegati  a   prestazioni
lavorative gia' rese da cittadini che hanno  esaurito  la  loro  vita
lavorativa, rispetto ai quali  non  risulta  piu'  possibile  neppure
ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro", donde la
possibile lesione degli artt. 3 e 53 Cost.; 
    che  e'  evidente  che  il  mancato  adeguamento  delle  pensioni
equivale ad una  loro  decurtazione  in  termini  reali  con  effetti
permanenti ancorche' il blocco sia formalmente temporaneo poiche' non
e' previsto alcun meccanismo di  recupero,  con  conseguente  lesione
degli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost.; tanto piu' che il blocco incide sui
pensionati, fascia sociale  per  antonomasia  "debole"  per  eta'  ed
impossibilita' di adeguamento del reddito, come evidenzia  ancora  la
pronuncia della Corte n. 116 del 2013 (punto 7.3. del Considerato  in
diritto), pronuncia che non senza significato  ha  affermato  che  "i
redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa
loro origine, una natura diversa  e  minoris  generis  rispetto  agli
altri redditi presi a riferimento, ai fini dell'osservanza  dell'art.
53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus  di  determinate
categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha,  anzi,  sottolineato
(sentenze n. 30 del 2004, n.  409  del  1995,  n.  96  del  1991)  la
particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti
pensionistici,  che  costituiscono,  nei  diversi  sistemi   che   la
legislazione  contempla,   il   perfezionamento   della   fattispecie
previdenziale conseguente  ai  requisiti  anagrafici  e  contributivi
richiesti"; 
    che con la sentenza n. 223 del 2012, la Corte costituzionale  nel
ritenere  la  fondatezza  della  questione  sollevata  in   relazione
all'art. 53 Cost.  ha  ricordato  che  «la  Costituzione  non  impone
affatto una tassazione fiscale uniforme,  con  criteri  assolutamente
identici e  proporzionali  per  tutte  le  tipologie  di  imposizione
tributaria;  ma  esige  invece  un  indefettibile  raccordo  con   la
capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato  a  criteri
di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico  campo
tributario, del principio di eguaglianza,  collegato  al  compito  di
rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti  di  fatto  alla
liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane,  in  spirito  di
solidarieta' politica,  economica  e  sociale  (artt.  2  e  3  della
Costituzione)» (sentenza n. 341 del  2000).  Pertanto,  il  controllo
della Corte in ordine alla lesione dei principi di  cui  all'art.  53
Cost., come specificazione del fondamentale principio di  uguaglianza
di  cui  all'art.  3  Cost.,  consiste  in  un   «giudizio   sull'uso
ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto  dei  suoi
poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare  la
coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo  presupposto
economico,   come   pure   la    non    arbitrarieta'    dell'entita'
dell'imposizione» (sentenza n. 111 del 1997); 
    che facendo applicazione di tale principio di diritto la Corte ha
ritenuto  che  nella  specie,   pur   considerando   al   giusto   la
discrezionalita'  legislativa  in  materia,  la  norma  impugnata  si
ponesse in evidente contrasto con gli  articoli  3  e  53  Cost.,  in
quanto "l'introduzione di una imposta speciale, sia pure  transitoria
ed eccezionale, in  relazione  soltanto  ai  redditi  di  lavoro  dei
dipendenti  delle  pubbliche  amministrazioni  inserite   nel   conto
economico consolidato della pubblica amministrazione viola,  infatti,
il principio della parita'  di  prelievo  a  parita'  di  presupposto
d'imposta  economicamente  rilevante".  Tale  violazione   e'   stata
ritenuta tale sotto due diversi profili: a) da un lato, a parita'  di
reddito lavorativo, il prelievo e'  ingiustificatamente  limitato  ai
soli dipendenti pubblici; b) d'altro lato, il legislatore, pur avendo
richiesto, (con l'art. 2 del d.l. n.  138  del  2011)  contributo  di
solidarieta' (di indubbia natura tributaria),  al  fine  di  reperire
risorse per la stabilizzazione finanziaria,  ha inopinatamente scelto
di imporre ai soli dipendenti pubblici, per  la  medesima  finalita',
l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura. Nel caso
in esame, dunque, l'irragionevolezza non risiedeva  nell'entita'  del
prelievo  denunciato,  ma  nella  "ingiustificata  limitazione  della
platea dei soggetti passivi"; 
    che anche nel caso in esame pare rinvenirsi un'ipotesi di lesione
del combinato disposto di' cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto  la
norma censurata limita i destinatari della stessa  soltanto  ad  "una
platea di soggetti passivi", e cioe' ai  percettori  del  trattamento
pensionistico, senza estenderla alla generalita'  dei  percettori  di
altre tipologie di reddito (ad esempio, reddito da lavoro  dipendente
pubblico e privato) in violazione in particolare dell'art. 53  Cost.,
nei due commi di cui esso si compone, che  tutela  due  interessi  di
pari rango, quello della collettivita'  al  concorso  di  tutti  alle
spese pubbliche, espressivo della funzione solidaristica che  fa  eco
al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), che gia' aveva  informato
di se' l'art. 25 dello Statuto albertino, e  quello  del  singolo  al
rispetto  della  propria  capacita'  contributiva,  espressivo  della
funzione garantistica della norma; 
    che, per la ragioni che precedono, anche in questo caso, come  in
quelli decisi con le sentenze n. 223 del 2012 e n. 116 del 2013 della
Corte  costituzionale  "la  sostanziale  identita'   di   ratio   dei
differenti interventi "di solidarieta'", poi, prelude essa stessa  ad
un  giudizio  di  irragionevolezza  ed  arbitrarieta'   del   diverso
trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di' un
risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben  diverso  e  piu'
favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse  rispettato  i
principi di eguaglianza dei cittadini e  di  solidarieta'  economica,
anche modulando diversamente un "universale"  intervento  impositivo.
L'eccezionalita'  della  situazione  economica  che  lo  Stato   deve
affrontare e', infatti, suscettibile senza dubbio  di  consentire  al
legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali,  nel  difficile
compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari
e di garantire i servizi e  la  protezione  di  cui  tutti  cittadini
necessitano. Tuttavia, e' compito dello  Stato  garantire,  anche  in
queste   condizioni,   il   rispetto   dei   principi    fondamentali
dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non e' indifferente
alla realta' economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non
puo' consentire deroghe al principio di  uguaglianza,  sul  quale  e'
fondato l'ordinamento costituzionale"; 
    che la Corte ha  in  proposito  ricordato  che  l'art.  53  della
Costituzione deve essere interpretato in modo unitario e  coordinato,
e non per preposizioni staccate ed autonome le une dalle altre;  che,
infatti,  la  universalita'  della  imposizione,   desumibile   dalla
espressione testuale "tutti" (cittadini o non cittadini,  in  qualche
modo con rapporti di collegamento con la Repubblica  italiana),  deve
essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al  principio
di eguaglianza (senza alcuna delle discriminazioni vietate:  art.  3,
primo comma, della Costituzione), di concorrere alle "spese pubbliche
in ragione della loro capacita'  contributiva"  (con  riferimento  al
singolo tributo ed al  complesso  della  imposizione  fiscale),  come
dovere inserito nei rapporti politici in  relazione  all'appartenenza
del soggetto alla collettivita' organizzata; che, nello stesso tempo,
la Costituzione non impone affatto una tassazione  fiscale  uniforme,
con criteri assolutamente  identici  e  proporzionali  per  tutte  le
tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile
raccordo con la capacita'  contributiva,  in  un  quadro  di  sistema
informato a criteri di progressivita',  come  svolgimento  ulteriore,
nello specifico  campo  tributario,  del  principio  di  eguaglianza,
collegato al compito di rimozione  degli  ostacoli  economico-sociali
esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone
umane, in spirito  di  solidarieta'  politica,  economica  e  sociale
(artt. 2 e 3 della Costituzione) (ord. n. 341/2000; sent. 104/1985); 
    che una  sommaria  ma  significativa  ricognizione  delle  misure
legislative di analogo tenore rispetto a quella qui censurata  e  che
da' evidenza che il blocco della perequazione  automatica  va  sempre
piu' assumendo i caratteri di intervento "strutturale", e non  quello
di natura eccezionale e "non reiterabile"  mostra  come,  nel  tempo,
risultano rinvenibili diverse disposizioni di tenore analogo a quello
qui censurato: l'art. 1, comma 19, della legge n.  247/2007  (oggetto
di scrutinio da parte della Corte, v. sent. n. 316/2000); l'art.  59,
comma 13, della legge n. 449 del 1997 (oggetto di scrutinio da  parte
della  Corte  costituzionale,  v.   sent.   n.   316/2010);   analoga
disposizione risulta ora inserita nell'ultima  legge  di  stabilita',
art. 1, comma 483, 1. n. 147 del 2013; 
    che tanto premesso,  come  dianzi  rilevato,  vale  in  proposito
nuovamente richiamare la sentenza n. 316 del 2010, con cui  la  Corte
costituzionale ha osservato che "la sospensione a tempo indeterminato
del meccanismo  perequativo,  ovvero  la  frequente  reiterazione  di
misure intese a paralizzarlo, esporrebbero  il  sistema  ad  evidenti
tensioni  con  gli  invalicabili   principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita'  (su  cui,  nella   materia   dei   trattamenti   di
quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e n. 349 del  1985),  perche'
le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non  essere
sufficientemente  difese  in  relazione  ai  mutamenti   del   potere
d'acquisto della moneta" (punto n. 4  del  Considerato  in  diritto).
Tale pronuncia della Corte costituzionale  aggiunge  che  "i  redditi
derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno,  per  questa  loro
origine, una natura diversa e minoris  generis  rispetto  agli  altri
redditi presi a riferimento, ai  fini  dell'osservanza  dell'art.  53
Cost., il quale non consente  trattamenti  in  pejus  di  determinate
categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha,  anzi,  sottolineato
(sentenze n. 30 del 2004, n.  409  del  1995,  n.  96  del  1991)  la
particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti
pensionistici,  che  costituiscono,  nei  diversi  sistemi   che   la
legislazione  contempla,   il   perfezionamento   della   fattispecie
previdenziale conseguente  ai  requisiti  anagrafici  e  contributivi
richiesti" (cfr. punto 7.3. del Considerato in diritto). La  sentenza
aggiunge ancora che "nel caso di specie,  peraltro,  il  giudizio  di
irragionevolezza dell'intervento settoriale appare ancor piu' palese,
laddove si consideri che la giurisprudenza della  Corte  ha  ritenuto
che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di  retribuzione
differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del
2006); sicche' il  maggior  prelievo  tributario  rispetto  ad  altre
categorie risulta con piu' evidenza discriminatorio, venendo  esso  a
gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati  a
prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno  esaurito  la
loro vita lavorativa, rispetto ai quali non  risulta  piu'  possibile
neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto  di  lavoro"
(punto 7.3. del Considerato in diritto); 
    che circa il rispetto del  principio  di  proporzionalita'  della
pensione (artt. 3. 36 e 38 Cost. va noi citata l'ordinanza n 531  del
2002,  con  cui  la  Corte,  in  considerazione  della   "natura   di
retribuzione  differita  che   deve   riconoscersi   al   trattamento
pensionistico", ha ricordato di  avere  costantemente  affermato  "il
principio della proporzionalita'  della  pensione  alla  quantita'  e
qualita' del lavoro prestato,  nonche'  della  sua  adeguatezza  alle
esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia (sentenze n. 243
del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988; n. 173 del 1986; n. 26 del
1980 e n. 124 del  1968);  che  ha,  altresi',  riconosciuto  che  il
requisito della proporzionalita' deve sussistere non solo al  momento
del collocamento a riposo del lavoratore, ma  anche  successivamente,
in relazione  al  mutamento  del  potere  di  acquisto  della  moneta
(sentenze n. 96 del 1991  e  n.  26  del  1980);  che,  tuttavia,  ha
altrettanto costantemente specificato che tale principio  non  impone
affatto il necessario adeguamento del trattamento pensionistico  agli
stipendi,  ma  che  spetta  alla  discrezionalita'  del   legislatore
determinare  le  modalita'  di  attuazione  del   principio   sancito
dall'art.  38  della  Costituzione;  che,  piu'  precisamente,   tale
determinazione consegue al bilanciamento del complesso dei  valori  e
degli interessi costituzionali coinvolti,  anche  in  relazione  alle
risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per  far  fronte
agii impegni di spesa (sentenze n. 457 del 1998; n. 226 del 1993 e n.
119 del 1991), con il limite  comunque  di  assicurare  "la  garanzia
delle esigenze minime di protezione della persona" (sentenza  n.  457
del 1998); che, sotto altro aspetto, l'esigenza di adeguamento  delle
pensioni  alle  variazioni  del  costo  della  vita   e'   assicurata
attraverso  il   meccanismo   della   perequazione   automatica   del
trattamento pensionistico (attualmente  disciplinato  dal  d.lgs.  30
dicembre 1992, n. 503, recante norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art.  3
della legge 23  ottobre  1992,  n.  421  e  successive  modifiche  ed
integrazioni); 
    che  la  Corte  ha  altresi'  rilevato  (ordinanza  n.  299/1999;
sentenza n. 245/1997) che per esigenze stringenti  di  equilibrio  di
bilancio il legislatore ha imposto a tutti  sacrifici  anche  onerosi
(sentenza n. 245 del  1997)  e  che  norme  di  tale  natura  possono
ritenersi  non  lesive  del  principio  di  cui  all'art.   3   della
Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarieta' sia  al
principio  di  uguaglianza  sostanziale,  sia  a  quello  della   non
irragionevolezza),  a  condizione  che  i  suddetti  sacrifici  siano
eccezionali, transeunti,  non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso; 
    che la Corte non ha inoltre mancato di evidenziare che "spetta al
legislatore (ordinanze n. 263/2002 e  n.  99/1999),  nell'equilibrato
esercizio della sua discrezionalita'  e  tenendo  conto  anche  delle
esigenze fondamentali di politica economica (sentenze nn. 477  e  226
del 1993), bilanciare tutti i fattori  costituzionalmente  rilevanti:
nel  caso  in  esame,  il  processo  di  perequazione  delineato  dal
decreto-legge n. 409 del 1990, convertito nella legge n. 59 del 1991,
non  viene  infatti  vanificato,  come  sembra  temere   il   giudice
rimettente, ma soltanto  differito  per  un  periodo  ragionevolmente
contenuto; rinvio che, certo, non e'  dettato  da  motivi  arbitrari,
trovando fondamento nella piu'  complessa  manovra  correttiva  degli
andamenti della finanza pubblica"; 
    che deve aggiungersi che la norma  di  legge  in  questione  pare
lesiva anche  del  principio  dell'affidamento  del  cittadino  nella
sicurezza giuridica (art. 3 Cost.), dato che i pensionati adeguano  i
programmi di vita alle previsioni circa  le  proprie  disponibilita',
programmi che possano plausibilmente comprendere  impegni  finanziari
(per es. mutui), assunti anche per  solidarieta'  familiare;  di  qui
l'inopinato sconvolgimento delle loro legittime previsioni  che  puo'
incidere sulle prospettive di vita dei  pensionati  stessi,  violando
cosi' il principio dell'affidamento; 
    che in proposito, questo Giudice e' avveduto della giurisprudenza
della  Corte  costituzionale  che  ha  piu'  volte   legittimato   il
legislatore  ad  emanare  disposizioni  che  modifichino   in   senso
sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se  l'oggetto
di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti,  sempre  che
tali disposizioni «non  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi  quale  elemento  fondamentale  dello  Stato  di  diritto»
"(sentenze n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236, n. 206 del 2009,
349 del 1985);  tuttavia,  per  questo  ultimo  profilo,  la  recente
conclusione del Giudice delle leggi, quale quella contenuta nel punto
13.8. del Considerato in diritto della sentenza n. 310 del 2013  (che
conclude come segue: "situazione che  nella  specie  non  puo'  dirsi
sussistente.") non appare  in  tutto  perspicua  circa  l'operare  in
concreto del  principio  enunciato;  sicche',  con  riferimento  alla
disposizione  di  legge  citata  permane  il  dubbio  circa  la   non
implausibilita'  della  non  manifesta   infondatezza   anche   della
questione riferita alla lesione del  cd.  principio  dell'affidamento
(art. 3 Cost.); 
    che questo Giudice e'  altresi'  a  conoscenza  dell'orientamento
della Corte costituzionale in virtu' del quale "il contenimento e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui puo'  attuarsi
una  politica  di  riequilibrio  del  bilancio,  implicano  sacrifici
gravosi, quali quelli in esame,  che  trovano  giustificazione  nella
situazione di crisi  economica.  In  particolare,  in  ragione  delle
necessarie attuali prospettive pluriennali  del  ciclo  di  bilancio,
tali sacrifici non possono non interessare periodi,  certo  definiti,
ma piu' lunghi  rispetto  a  quelli  presi  in  considerazione  dalle
richiamate sentenze della stessa Corte, pronunciate con riguardo alla
manovra economica del 1992" (sentenze n. 245 del 1997 e  n.  299  del
1999, come anche richiamate anche nella sentenza n. 223 del 2012). 
    E' noto altresi' che la Corte costituzionale,  "in  generale,  ha
ravvisato nel  carattere  eccezionale,  transeunte,  non  arbitrario,
consentaneo allo scopo prefissato,  nonche'  temporalmente  limitato,
dei  sacrifici  richiesti,  e  nella  sussistenza  di   esigenze   di
contenimento della spesa pubblica, le  condizioni  per  escludere  la
irragionevolezza delle misure in questione". 
    La Corte, nella  sentenza  n.  310  del  2013,  ha  aggiunto  che
le norme impugnate "superano il vaglio di ragionevolezza,  in  quanto
mirate ad un risparmio  di  spesa  che  opera  riguardo  a  tutto  il
comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica -  sia
pure con le differenziazioni  rese  necessarie  dai  diversi  statuti
professionali delle categorie che vi appartengono - e per un  periodo
di tempo limitato, che comprende piu' anni  in  considerazione  della
programmazione pluriennale delle politiche di  bilancio".  (v.  Corte
cost., sent. n. 310/2013, n. 13.5. del Considerato in diritto). 
    Medesima ratio decidendi - impiegata dalla Corte per risolvere la
questione con riferimento a tutti i parametri sollevati artt. 3,  36,
53 e 97 Cost. - e' alla base della successiva ordinanza  n.  113  del
2014, con la quale la  Corte  rigetta  le  questioni  sollevate  come
manifestamente infondate. 
    In  disparte  la  grave  problematica,  non  affrontata  in  modo
esplicito dalla Corte, circa la tenuta della disposizione secondo cui
"lo Stato concorre ad assicurare il  finanziamento,  da  parte  degli
altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni  e
delle funzioni fondamentali inerenti ai  diritti  civili  e  sociali"
(art. 5, comma 1, lett. g, della legge costituzionale n. 1 del  2012)
in  relazione  alla  previsione  del  principio  dell'equilibrio  del
bilancio introdotta in esito alla  profonda  modifica  costituzionale
degli articoli 81, primo comma, e 97, primo comma, Cost.,  tale  modo
di  argomentare  della  Corte  (v.  citate  sentenza  n.  310/2013  e
ordinanza n. 113/2014) presenta un rilevante elemento di novita', che
legittima interventi restrittivi  di  blocchi  stipendiali  (volti  a
realizzare  risparmi  di  spesa)  prolungati  nel   tempo,   la   cui
ragionevolezza per l'innanzi veniva condizionata dalla giurisprudenza
della  Corte  al  loro   carattere   eccezionale,   transeunte,   non
arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato; ma non e' chi non veda
che il prolungamento temporale del limite di dette misure (secondo il
nuovo orientamento della Corte) rischia di entrare in  conflitto  con
la premessa che dette condizioni sono teleologicamente finalizzate  a
garantire, con conseguente  introduzione  di  sacrifici  a  carattere
sostanzialmente non piu' "temporalmente limitato" bensi' a  carattere
sostanzialmente strutturale; sicche', nel caso del  reiterato  blocco
della rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici, anche in
considerazione della minore aspettativa  di  vita  dei  titolari  del
diritto, detto sacrificio rischia di  trasformarsi  da  temporale  in
definitivo. In tale prospettiva, i criteri fin  qui  impiegati  dalla
Corte per scrutinare le misure restrittive,  l'uno  connotato  da  un
carattere  propriamente  transeunte  delle  misure  (impiegato  nelle
citate pronunce riguardanti la manovra economica del 1992) e l'altro,
piu' recente (v. citata sentenza n. 310 del 2013 e ordinanza  n.  113
del 2014), qualificato da una non implausibile  estensione  temporale
propria delle manovre finanziarie pluriennali, rischiano  di  entrare
tra loro in collisione (o in contraddizione) quanto piu' la durata di
detto  limite  venga  prolungato  (o  reiterato)   nel   tempo,   con
trasformazione  della  restrizione  da  temporale  a  permanente,  da
provvisoria  a  strutturale,   da   eccezionale   a   ordinaria,   da
"temporalmente  giusta"  a  "ingiusta",  in  relazione  ai  parametri
costituzionali 3, 53, 36 e 38 Cost. 
    Tanto piu' nel caso che  ne  occupa,  riguardante,  non  gia'  il
blocco della crescita di stipendi o pensioni, bensi' la rivalutazione
monetaria (nella specie) dei  trattamenti  pensionistici,  meccanismo
quello della rivalutazione, riconducibile nell'alveo dei  sistemi  di
indicizzazione, che  attende  alla  precipua  funzione  di  mantenere
integro ii collegamento con il fenomeno dell'inflazione e dunque  dei
trattamenti pensionistici - nella misura in cui essi  attendono  alla
funzione fondamentale inerente a  diritti  civili  e  sociali,  quali
quelli di sostegno della vecchiaia (art. 5, comma 1, lett.  g,  della
legge costituzionale n. 1 del 2012) - con  le  complessive  dinamiche
del costo della vita a garanzia  della adeguatezza  degli  emolumenti
percepiti e maturati dai lavoratori alle loro esigenze di vita  (art.
38 Cost.). 
    che come dianzi accennato la Corte Costituzionale  ha  utilizzato
il concetto di legittimo affidamento fin dalla sentenza  n.  349  del
1985, affermando  che:  "dette  disposizioni,  pero',  al   pari   di
qualsiasi  precetto  legislativo,  non  possono  trasmodare   in   un
regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle  situazioni
sostanziali poste in essere da  leggi  precedenti,  frustrando  cosi'
anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica,  che
costituisce elemento fondamentale ed indispensabile  dello  Stato  di
diritto"; 
    che anche la sentenza n. 73 del 1990  ha  confermato  i  principi
gia' affermati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 349 del  1985)
secondo cui le "disposizioni modificatrici in senso sfavorevole della
precedente disciplina dei rapporti di durata, anche se  incidenti  su
diritti soggettivi, emanate dal legislatore  ai  fini  pensionistici,
non devono  concretare  un  regolamento  irrazionale  ed  arbitrario,
lesivo  delle  situazioni  sostanziali  poste  in  essere  da   leggi
precedenti e frustrare l'affidamento dei  cittadini  nella  sicurezza
giuridica che e' elemento fondamentale dello Stato di diritto"; 
    che in  particolare  -  ha  soggiunto  la  Corte  -,  "senza  una
inderogabile esigenza, non puo' effettuarsi in una fase avanzata  del
rapporto tra lavoratori ed  I.N.P.S.  una  modifica  legislativa  che
alteri in  senso  sfavorevole,  in  misura  notevole  ed  in  maniera
definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con
la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative  nutrite
dal lavoratore."; 
    che  peraltro,  "l'affidamento  del  cittadino  nella   sicurezza
giuridica non impedisce al legislatore di emanare norme modificatrici
della disciplina dei rapporti di durata in senso  sfavorevole  per  i
beneficiari,  quando  tali  disposizioni   non   trasmodino   in   un
regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su  leggi
precedenti" (sent. n. 393 del 2000); 
    che in tema di affidamento la Corte  (sentenza  n.  170/2013)  ha
anche affermato di avere "individuato una serie  di  limiti  generali
[...] attinenti alla salvaguardia di  principi  costituzionali  e  di
altri valori di civilta' giuridica, tra i quali  sono  ricompresi  il
rispetto del principio generale di ragionevolezza,  che  si  riflette
nel divieto di introdurre ingiustificate disparita'  di  trattamento;
la tutela dell'affidamento legittimamente sorto  nei  soggetti  quale
principio connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la
certezza  dell'ordinamento  giuridico;  il  rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente  riservate  al  potere   giudiziario   [...].   In
particolare, in situazioni paragonabili al caso in esame, la Corte ha
gia' avuto modo di precisare  che  la  norma  ...  non  puo'  tradire
l'affidamento del privato, specie se maturato con  il  consolidamento
di situazioni sostanziali, pur se  la  disposizione....  sia  dettata
dalla necessita' di contenere la spesa pubblica o di  far  fronte  ad
evenienze eccezionali" (punto 4.3. del Considerato in diritto); 
    che sulla base del disposto di cui all'art. 117, comma  1,  della
Costituzione, come introdotto dalla legge  costituzionale  n.  3  del
2001  (cfr.  Corte  cost.  sentt.  nn.  348  e  349/2007),  ulteriore
parametro evocabile, nella specie,  e'  la  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo  (espressamente  riconosciuta  dall'Unione  europea
sulla base  dell'art.  6  del  Trattato  sull'Unione  europea),  come
interpretata dalla Corte di Strasburgo, avente  natura  di  parametro
interposto rispetto al citato art. 117, primo comma, Cost., in quanto
la disposizione di legge censurata  pare  confliggere  tanto  con  il
principio della  certezza  del  diritto  come  patrimonio  comune  di
tradizioni degli Stati contraenti, che  sopporta  eccezioni  solo  se
giustificate dal sopraggiungere di rilevanti  circostanze  di  ordine
sostanziale (cfr.  sentenza   della  V  sezione  del  19/7/2007,  nel
ricorso 69533/01 della Corte di Strasburgo), quanto con altri diritti
garantiti dalla Carta: il diritto dell'individuo alla liberta' e alla
sicurezza (art. 6), il diritto di non  discriminazione,  che  include
anche quella fondata sul "patrimonio" (art.  21),  il  diritto  degli
anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente (art. 25),  il
diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico
e sociale (art. 33), il  diritto  di  accesso  alle  prestazioni  di'
sicurezza sociale e ai servizi sociali (art. 34); 
    che quanto al principio della  certezza  del  diritto,  va  anche
richiamata la sentenza n. 7/2007, con cui la Corte  dei  conti,  sez.
unite, ebbe ad affermare che "l'affidamento nella sicurezza giuridica
costituisce invero un valore fondamentale  dello  Stato  di  diritto,
costituzionalmente  protetto  nel  nostro  ordinamento  (cfr.   Corte
costituzionale, sentenze 17 dicembre 1985, n. 349; 14 luglio 1988, n.
822; 4 aprile 1990, n. 155; 10 febbraio 1993 n. 39), ora  ancor  piu'
rilevante  considerato  che  lo  stesso  legislatore  prescrive   che
l'attivita'   amministrativa   sia   retta   (anche)   dai   principi
dell'ordinamento comunitario (articolo 1, primo comma, della legge  7
agosto 1990 n. 241 quale modificato dall'articolo 1  della  legge  11
febbraio 2005 n. 15), nel quale il principio di legittimo affidamento
e' stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria in  un'ottica  di
accentuata tutela dell'interesse privato nei confronti  delle  azioni
normativa  e  amministrativa  delle  istituzioni  europee  (Corte  di
giustizia delle Comunita' europee, 15 luglio 2004, causa C-459/02; 14
febbraio 1990, causa C-350/88; 3 maggio 1978, causa 112/77)"; 
    che analoga criticita' e' dato riscontrare sul  piano  della  cd.
"adeguatezza" (art.  38,  secondo  comma,  Cost.)  della  prestazione
pensionistica nel tempo a seguito della vigenza  della  norma  dianzi
citata e censurata; mentre infatti puo' ritenersi oramai acquisito il
concetto  secondo  cui  il  rispetto  del   precetto   costituzionale
dell'adeguatezza  presuppone  la  permanenza  delle   condizioni   di
effettivita' della protezione economica garantita,  effettivita'  che
viene a mancare quando  una  legge  non  preveda  l'adeguamento  (non
necessariamente per mezzi di meccanismi automatici, cfr. Corte cost.,
sentt. n. 457  dei  1998  e  n.  280  del  1974)  dell'importo  della
prestazione al mutamento nel tempo dei valori monetari  (Cod.  cost.,
sent. n. 487 del 1988), problematici e poco indagati  sono  i  limiti
posti  al  legislatore  il  quale,  se  puo'  intervenire  in   senso
peggiorativo per  «inderogabili  esigenze",  non  puo'  conculcare  i
diritti pensionistici "in misura notevole" e in "maniera definitiva",
tanto  piu'  che  nell'urto  della  garanzia   dell'adeguatezza   con
l'esigenza dell'equilibrio di bilancio, la prestazione  sociale,  nel
bilanciamento degli interessi, tendenzialmente resiste, come peraltro
testimoniato dalla stessa legge costituzionale n. 1 del 2012 (pur  in
vigore dal 1° gennaio 2014), che, all'art. 5, primo comma, lett.  g),
prevede che la legge di  cui  all'articolo  81,  sesto  comma,  della
Costituzione (come sostituito dall'articolo 1  della  medesima  legge
costituzionale) "[...] concorre ad assicurare  il  finanziamento,  da
parte degli altri livelli di governo, dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e sociali"; 
    che in tale logica, la  rilevanza  della  congiuntura  economica,
sempre piu' incombente,  non  puo'  incidere  in  modo  preminente  e
comunque senza limiti irragionevolmente valicabili, sul principio di'
adeguatezza dei mezzi da apprestare per le esigenze di vecchiaia  dei
lavoratori (art. 38 Cost.)  e  neppure  su  quello  di  "retribuzione
proporzionata e sufficiente" (art. 36 Cost.), laddove il  trattamento
pensionistico venga assimilato ad una "retribuzione differita" (Corte
cost., sent. n. 116 del 2013); 
    che anche la Corte di Giustizia, fin dalla decisione  C  -  12/77
del 3 maggio 1978 (Topfer), ha affermato che "il principio di  tutela
dell'affidamento fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario"; 
    che per quanto suesposto, ai sensi  dell'art.  23  secondo  comma
della legge n. 87 del 1953, appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  24,
comma 25, del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22  dicembre
2011, n. 214, per contrasto con gli articoli 3, 53,  36  e  38  della
Costituzione,  nonche'  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.   per
violazione della convenzione europea dei diritti dell'uomo  (art.  6,
diritto dell'individuo alla  liberta'  e  alla  sicurezza;  art.  21,
diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata  sul
"patrimonio"; art. 25, diritto degli anziani, di  condurre  una  vita
dignitosa e indipendente; art.  33,  diritto  alla  protezione  della
famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art.  34,  diritto
di accesso  alle  prestazioni  di  sicurezza  sociale  e  ai  servizi
sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.