IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Seconda) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1165 del 2014, proposto da: Soc. Bellini S.r.l., Soc Fumador S.r.l., Soc New Smoke NetworK S.r.l., Soc. Flavourland S.r.l., Soc Vaporart S.r.l., Soc Biofumo S.r.l., Soc 7 Heaven S.A.S. Di Follis Darko & C., Soc. Italeco S.r.l., Soc Vivilavi' S.r.l., Soc. Datastore S.r.l., Soc Flatech S.r.l., Soc Bandz S.R.L., Soc Dea Flavor S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti Paolo Grassi e Massimiliano Nicodemo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Grassi in Roma, via G. Avezzana, 8; Contro Ministero dell'economia e delle finanze, Presidenza del Consiglio dei ministri, agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, con la quale domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per l'annullamento del D.M. emanato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze il 16 novembre 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 dicembre 2013, recante la disciplina, ai sensi dell'art. 62-quater; comma 4, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 e successive modificazioni, della commercializzazione dei prodotti contenenti nicotina o altre sostanze, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonche' i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore alla pubblica udienza del giorno 2 aprile 2014 il Cons. Silvia Martino; Uditi l'avv. Nicodemo e l'avv. dello Stato Meloncelli, per le parti rispettivamente rappresentate; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 1. Le societa' odierne ricorrenti rappresentano di operare nel settore delle c.d. «sigarette elettroniche» (miscele e componenti) e/o della produzione e commercializzazione di aromi e semilavorati impiegati anche nel settore medesimo, talune occupandosi sia della produzione che della distribuzione, altre limitandosi alla sola commercializzazione. Fino al 22 agosto 2013, il mercato di tale tipologia di prodotti ha operato liberamente, senza vincoli normativi di operativita' e fiscali di sorta. Successivamente, l'art. 11, comma 22, del d.l. 28.6.2013, n. 76 (convertito, con modificazioni, nella legge 9.8.2013, n. 99), ha aggiunto, con effetto a decorrere dal 23.8.2013, l'art. 62-quater al d.lgs. 26.10.1995, n. 504. Per effetto di tali disposizioni "A decorrere dal 1° gennaio 2014 i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico" (comma 1). Inoltre "La commercializzazione dei prodotti di cui al comma 1, e' assoggettata alla preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli nei confronti di soggetti che siano in possesso dei medesimi requisiti stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati, dall'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 22 febbraio 1999, n. 67" (comma 2). Il comma 4 di tale disposizione, prevede poi che "Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro il 31 ottobre 2013, sono stabiliti il contenuto e le modalita' di presentazione dell'istanza ai fini' dell'autorizzazione di cui al comma 2, le procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico prodotti di cui al comma 1, nonche' le modalita' di prestazione d cauzione di cui al comma 3, di tenuta dei registri e docume contabili, di liquidazione e versamento dell'imposta di consumo, anche in caso di vendita a distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano la vendita al pubblico, in conformita', per quanto applicabili, a quelle vigenti peri tabacchi lavorati". Il 16 novembre 2013, e quindi ben oltre il termine del 31 ottobre 2013, prescritto dalla norma teste' riportata, il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha emanato il decreto ministeriale attuativo. E' singolare che la Corte dei Conti, con una nota del competente Ufficio di controllo, nel dare corso, per ragioni di correntezza, al provvedimento, abbia contestualmente rilevato che l'adozione di esso "cosi a ridosso dell'entrata in vigore delle disposizioni, ha limitato drasticamente lo svolgimento del controllo preventivo di legittimita' da parte dell'Ufficio che non ne ha potuto effettuare i necessari approfondimenti". Il decreto ministeriale e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale solo il 7 dicembre 2013. Le ricorrenti avversano siffatta normativa, nonche' la fonte primaria che di cui costituiscono attuazione, in particolare deducendo: la violazione dell'art. 77, comma 2, Cost. per essere stato il di n. 76/2013 emanato in assenza dei necessari presupposti di straordinarieta', necessita' ed urgenza; l'insussistenza del presupposto dell'urgenza, tra gli altri, e' resa evidente dal fatto che il d.l., nella parte di interesse, e' insuscettibile di applicazione immediata, dal momento che le modalita' per la presentazione dell'istanza di autorizzazione alla commercializzazione dei prodotti succedanei di che trattasi e' stata rimessa all'emanazione di un decreto attuativo (pur esso oggetto di impugnativa), pubblicata in G.U. solo il 7.12.2013; la violazione dell'art. 3 Cost., per avere equiparato i dispositivi meccanici ed elettronici alternativi al fumo, nonche' le loro parti di ricambio, ai tabacchi lavorati. Le sigarette elettroniche non hanno alcuna caratteristica che possa renderle assimilabili ai tabacchi lavorati. In particolare, nessun fumo o combustione sono connessi al loro funzionamento, ed anzi, il vantaggio per chi le utilizza e' proprio quello di evitare l'inalazione dei prodotti della combustione, caratteristici dei tabacchi lavorati. Le miscele impiegate sono, in alcuni casi, del tutto prive di nicotina, o, comunque, contengono detta sostanza in percentuali minime. Pure irragionevole sarebbe l'aggravio fiscale per prodotti di uso promiscuo (quali le batterie), i quali, ove commercializzati per finalita' diverse, non soggiacciono ad alcuna tassazione al consumo. Prive di fondamento sarebbero le stime, contenute nella Relazione tecnica al d.l., circa le maggiori entrate previste, nella misura di 117 milioni di curo su base annua, ove si consideri che (come rilevato dal Servizio del Bilancio del Senato con nota di lettura n. 10 del luglio 2013) non e' stato tenuto in alcun conto l'effetto di disicentivazione, al consumo derivante dalla traslazione dell'imposta sul prezzo; la previsione del nuovo tributo rischia, pertanto, di causare un effetto esattamente opposto a quello auspicato; la tempistica di emissione del decreto ministeriale attuativo, inoltre, ha reso impossibile l'applicazione, a partire dal 1° gennaio 2014, della nuova normativa; di fatto, la lunga tempistica prescritta dall'art. 2 del d.m. del 16 novembre 2013 per ottenere l'autorizzazione all'esercizio del deposito fiscale e, quindi, alla commercializzazione del prodotto, ha reso impossibile alle odierne ricorrenti il prosieguo della loro attivita', con conseguente palese violazione del principio costituzionale di liberta' dell'iniziativa economica privata; pure violati sarebbero i principi di concorrenza, sanciti dalla Costituzione, dall'art. 3 del Trattato UE, dagli artt. 119 e 120 del TFUE e dal Protocollo sul mercato interno e sulla concorrenza allegato al Trattato di Lisbona del 13.12.2007; in particolare, per effetto delle nuova imposizione, le odierne ricorrenti, in quanto imprese italiane, si vengono a trovare in posizione di svantaggio rispetto alle concorrenti ubicate in altri Stati membri, laddove e' noto che solo un aumentato coordinamento delle politiche fiscali degli Stati aderenti all'Unione Europea puo' garantire il completamento del processo di integrazione europea; vi sarebbe, infine, la violazione dell'art. 32 Cost., in quanto l'introduzione di una imposta cosi' elevata disincentiva l'acquisto dei dispositivi alternativi al fumo tradizionale, quest'ultimo fonte di danni accertati alla salute della collettivita'; al contrario, le ricorrenti allegano i risultati di studi recenti i quali confermano che le e-cig possono ormai considerarsi una alternativa sicura al fumo tradizionale. Le ricorrenti, infine, hanno domandato il risarcimento dei danni derivanti dall'applicazione dei provvedimenti impugnati. Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate. Con ordinanza n. 803 del 20 febbraio 2014, resa nella camera di consiglio del 19.2.2014, e' stata respinta l'istanza cautelare. Le parti hanno presentato articolate memorie e ampia documentazione. Ti ricorso, infine, e' stato introitato per la decisione alla pubblica udienza del 2.4.2014. 2. Cio' premesso, devono anzitutto respingersi le eccezioni sollevate dalla difesa erariale tese a dimostrare l'inammissibilita' e/o improcedibilita' del ricorso per le ragioni dovute, nell'ordine: alla carenza di giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di fattispecie rientrante nella giurisdizione del giudice tributario; al difetto originario di interesse a ricorrere di tutte le ricorrenti, in mancanza dell'adozione di atti impositivi; al difetto di interesse delle ricorrenti che non hanno presentato la domanda disciplinata dall'art, 2 del d.m. 16.11.2013; alla, pretesa, cessazione della materia del contendere, per effetto delle modifiche apportate al d.m. 16.11.2013 dal d.m. 12.2.2014, nonche' dell'interpretazione resa dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con la circolare del 21 gennaio 2014. 2.1. In primo luogo, e' orientamento ormai consolidato delle Sezioni Unite quello secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice tributario in ordine ai "tributi di ogni genere e specie", istituita dall'art. 2, comma 1, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, come successivamente modificato, puo' svolgersi solo attraverso l'impugnazione di specifici atti impositivi dell'amministrazione finanziaria. Ne consegue che, in mancanza della mediazione rappresentata-dall'impugnativa dell'atto impositivo, il giudice tributario "non puo' giudicare della legittimita' degli atti amministrativi generali, dei quali puo' conoscere, incidenter tantum ed entro confini determinati, solo ai fini della disapplicazione nella singola fattispecie dell'atto amministrativo presupposto dell'atto impositivo impugnato" (Cassa civ., Sez. Un., 21.3.2006, n. 6224). La cognizione degli atti autoritativi di carattere generale presupposti alla specifica obbligazione tributaria spetta, invece, alla giurisdizione del giudice amministrativo (cosi ancora, con riguardo all'interpretazione dell'art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546/92, le Sezioni unite, sentenza n. 3030 dell'1.3.2002). Nello stesso senso e la giurisprudenza del Consiglio di Stato, invocata da parte ricorrente, secondo cui "ad esclusione delle controversie riservate alla giurisdizione del giudice tributario, sono impugnabili davanti al giudice amministrativo i regolamenti governativi, ministeriali o di enti locali che istituiscono o disciplinano tributi di qualsiasi genere, in quanto concernenti interessi legittimi (Cons. St., sez. VI^, 30 settembre 2004, n. 6353). 2.2. Neppure puo' ritenersi che, in assenza di atti impositivi, i provvedimenti impugnati, per il loro carattere generale, non siano immediatamente lesivi. E' noto, infatti, che il principio secondo cui le norme regolamentari vanno impugnate unitamente all'atto applicativo trova eccezione per i provvedimenti che presentano un carattere specifico e concreto, risultando idonei, come tali, ad incidere direttamente nella sfera giuridica degli interessati, a decorrere dalla pubblicazione nelle forme previste dalla legge (TAR Lazio, sez. I, 12 aprile 2011, n. 3202 cfr. anche, da ultimo, Cons. St., sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 6208).». Nel caso di specie, i decreti del MEF del 16.11.2013 e 12.2.2014, nonche' le disposizioni applicative e interpretative dettate dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, appaiono idonei ad incidere direttamente sull'attivita' d'impresa svolta dalle ricorrenti in quanto, da un lato, attuano la previsione della fonte primaria nella parte in cui ne vieta lo svolgimento senza la prescritta autorizzazione e la sottopone ad un nuovo regime impositivo; dall'altro, "conformano" la medesima attivita', mediante la disciplina di una serie di adempimenti amministrativi e/o contabili, finalizzati all'assolvimento dell'obbligazione tributaria. 2.3. Le considerazioni teste' svolte consentono di respingere anche l'eccezione relativa al sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere delle imprese che non hanno presentato domanda di autorizzazione. E evidente, infatti, che il cuore della impugnativa riguarda la stessa introduzione di un regime di autorizzazione per una attivita' in precedenza libera, nonche' degli obblighi tributari cui siffatto regime e' correlato. Per la stessa ragione, la circostanza che il d.m. del 12.2.204 abbia semplificato il procedimento di autorizzazione, ovvero che la circolare del 21 gennaio 2014 abbia (in ipotesi) chiarito che i prodotti "accessori", non sono soggetti all'imposta, non appare idonea a determinare la cessazione della materia del contendere. 3. Nel merito, nell'ordine logico delle questioni, il Collegio reputa necessario affrontare preliminarmente la questione relativa alla "compatibilita' comunitaria" dell'art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995, introdotto dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, il quale, nella prospettazione dei ricorrenti, si porrebbe in contrasto con le norme dei Trattati in materia di tutela della concorrenza. Secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 319 del 26 luglio 1996), ove una questione di costituzionalita' sia fondata sull'interpretazione di una norma comunitaria, prima di una eventuale rimessione alla Consulta occorre che il contenuto delle norme poste dalle fonti comunitarie sia compiutamente definitivamente individuato secondo le regole all'uopo dettate da quell'ordinamento. Al riguardo, deve pero' anche ricordarsi che il giudice nazionale non e' tenuto a chiedere una decisione pregiudiziale alla Corte di Giustizia se la normativa comunitaria non dia adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte di Giustizia CE, 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit), 3.1. L'imposta introdotta dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, appartiene al novero delle imposte speciali sui consumi, le quali, a differenza dell'IVA, non hanno carattere generale ma colpiscono una determinata categoria di beni o servizi. Esse si caratterizzano, altresi', per la struttura monofase, diventando esigibili in un unico momento dettagliatamente descritto dalla normativa di riferimento (cfr. Corte Cost., sentenza n. 185/2011). Nell'ordinamento italiano, la disciplina delle accise (e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi) e' contenuta in larga parte nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), piu' volte modificato ed integrato in attuazione delle direttive comunitarie che hanno disciplinato la materia. Da ultimo, il decreto legislativo 29 marzo 2010, n. 48 (recante "Attuazione della direttiva 2008/118/CE relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE") ha provveduto, fra l'altro, a modificare le norme collegate al fatto generatore ed all'esigibilita' dell'accisa, di cui alla relativa direttiva comunitaria. La disciplina generale delle imposizioni indirette sulla produzione e sui consumi, diverse dalle accise disciplinate dai Titoli I e II del TUA (ovvero le imposte indirette diverse da quelle sulla produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcole etilico e delle bevande alcoliche, dell'energia elettrica e dei tabacchi lavorati), e' contenuta nell'art. 61 del cit. d.lgs. In particolare, secondo tali disposizioni, "a) l'imposta e' dovuta sui prodotti immessi in consumo nel mercato interno ed e' esigibile con l'aliquota vigente alla data in cui viene effettuata l'immissione in consumo" mentre obbligato al pagamento dell'imposta e' "il fabbricante per i prodotti ottenuti nel territorio dello Stato", ovvero "il soggetto che effettua la prima immissione in consumo per i prodotti di provenienza comunitaria", ovvero ancora "l'importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi". L'immissione in consumo si verifica: "1) per i prodotti nazionali, all'atto della cessione sia ai diretti utilizzatori o consumatori sia a ditte esercenti il commercio che ne effettuano la rivendita; 2) per i prodotti di provenienza comunitaria, all'atto del ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente ovvero nel momento cui si considera effettuata, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, la cessione, da parte del venditore residente in altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti che agiscono nell'esercizio di una impresa, arte o professione; 3) per i prodotti di provenienza da Paesi terzi, all'atto dell'importazione; 4) per i prodotti che risultano mancanti alle verifiche e per i quali non e' possibile accertare il regolare esito, all'atto della loro constatazione; Appare anche utile precisare, relativamente ai "prodotti succedanei dei prodotti da fumo" che gli adempimenti fiscali sono disciplinati con esplicito richiamo al regime del deposito fiscale in materia di accise. L'art. 62-quater del TUA istituisce poi una procedura "per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti" succedanei del tabacco. In concreto, l'art. 4 del d.m. 16.11.2013 prescrive la "preventiva iscrizione in apposito tariffario disposta con provvedimento dell'Agenzia" del prezzo di vendita al pubblico comunicato dal soggetto autorizzato alla commercializzazione. In ambito comunitario, come gia' accennato, la direttiva 2008/118/CE, oltre a disciplinare il regime generale delle accise, stabilisce alcuni principi fondamentali in ordine all'imposizione sui "prodotti diversi dai prodotti sottoposti ad accisa", al fine di, garantire il corretto funzionamento del mercato interno. Le accise c.d. "armonizzate" riguardano esclusivamente: a) prodotti energetici ed elettricita' di cui alla direttiva 2003/96/CE; b) alcole e bevande alcoliche di cui alle direttive 92/83/CEE e 92/84/CEE; c) tabacchi lavorati di cui alle direttive 95/59/CE, 92/79/CEE e 92/80/CEE. Relativamente ai prodotti gia' sottoposti ad accisa, l'art. 1, par. 2, della direttiva stabilisce che "Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalita' specifiche, purche' tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilita' e controllo dell'imposta". Relativamente ai prodotti "diversi dai prodotti sottoposti ad accisa", gli Stati membri rimangono tuttavia liberi di applicare altre forme di imposizione, purche' l'applicazione di tali imposte non comporti "negli scambi tra Stati membri, formalita' connesse all'attraversamento delle frontiere" (art. 1, par. 3). In sostanza, le norme comunitarie consentono agli Stati membri di introdurre altre forme di imposizione indiretta sui prodotti per i quali gia' sussiste un'accisa armonizzata nonche' di introdurre accise non armonizzate. E' significativo che l'ordinamento comunitario, per non privare gli Stati membri di un efficace strumento di politica economica, abbia lasciato ad essi ampio margine di discrezionalita' sia nella scelta delle aliquote delle accise armonizzate (essendo previste solo aliquote minime), sia nell'istituire prelievi aventi specifiche finalita' quand'anche gravanti su prodotti gia' soggetti ad accisa armonizzata. A cio' si aggiunge la possibilita' di tassare la produzione o il consumo di beni estranei al processo di armonizzazione, la quale non e' legata alla necessita' di perseguire specifiche finalita' ma puo' essere giustificata anche soltanto da esigenze di bilancio. 3.2. La disamina della normativa comunitaria applicabile alla fattispecie consente di confutare agevolmente l'affermazione di parte ricorrente circa il fatto che la nuova imposizione si ponga in contrasto con il diritto primario dell'Unione in materia di tutela della concorrenza. Il processo di armonizzazione comunitaria delle imposte indirette, per quanto qui interessa, ha infatti riguardato esclusivamente (oltre l'imposta sul valore aggiunto) le accise gravanti su alcol, tabacchi e prodotti energetici, in conformita' a quanto un tempo prescritto dall'art. 93 del Trattato CE, e oggi, dall'art. 113 del TFUE. Inoltre, poiche' i "prodotti succedanei dei prodotti da fumo" non sono sottoposti ad accisa, l'imposta speciale di consumo istituita dallo Stato italiano non deve osservare nemmeno i requisiti previsti dall'art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, bensi' soltanto quelli del par. 3 del medesimo articolo. Non e' necessario, cioe', che l'imposizione abbia una finalita' specifica, ne' che essa rispetti le regole di imposizione applicabili ai fini dell'Iva o delle accise armonizzate per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilita' ed il controllo dell'imposta. A parere del Collegio, non vi e', poi, neanche violazione della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema di imposta comune sul valore aggiunto. Ai sensi dell'art. 401 le disposizioni di siffatta direttiva consentono ad uno Stato membro di mantenere o introdurre "imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa", a condizione che esse non abbiano il carattere di imposta sul volume d'affari (e che non diano luogo "negli scambi fra Stati membri, a formalita' connesse con il passaggio di una frontiera"). Le caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto sono le seguenti. L'IVA si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; e' proporzionale a detti beni e servizi, a prescindere dal numero di operazioni effettuate; viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e distribuzione; si applica sul valore aggiunto dei beni e dei servizi, in quanto l'imposta dovuta in occasione di una operazione viene calcolata previa detrazione di quella che e' stata versata all'atto della precedente operazione (cfr., in materia, Corte di Giustizia, sentenza 9 marzo 2000, in causa C437/97, Wien e Wein & Co. HandelsgesmbH Oberosterreichische Landesregierung), Nel caso oggi in rilievo, invece, l'imposta: e' destinata a colpire un bene specifico; e' a struttura monofase, in quanto diviene esigibile al momento dell'immissione in consumo e non vi e' un meccanismo di deduzione analogo a quello dell'IVA; concorre essa stessa a formare il valore finale del prodotto per cui VIVA (come avviene nei prodotti soggetti ad accisa) grava anche sulla stessa imposta; non e' a rivalsa obbligatoria, ne' e' vero che un effetto analogo si avrebbe a causa della sottoposizione del prodotto ad un regime tariffario in quanto, come in precedenza evidenziato, le imprese rimangono, almeno sul piano giuridico - formale, libere di fissare il prezzo di vendita del prodotto e quindi di scegliere in quale misura traslarne il peso sul consumatore. Non vi e', infine, contrasto con altre norme dei Trattati ovvero con principi di carattere generale. In particolare: non e' violato l'art. 30 del TIFUE ("i dazi doganali all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale"), in quanto l'imposta si applica tanto ai prodotti nazionali quanto a quelli di provenienza comunitaria; non sono violati gli artt. 34 e 35, relativi al divieto di restrizioni quantitative all'importazione e/o all'esportazione, ovvero di qualsiasi misura di effetto equivalente, in quanto, anche in questo caso, l'imposta si applica a tutti i prodotti immessi in commercio nel territorio dello Stato; non e' violato il principio di non discriminazione di cui all'art. 110 ("Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari [...]"), in quanto l'imposta che si applica ai prodotto comunitari e' uguale a quella che si applica sui prodotti nazionali. 3.3. In definitiva, reputa il Collegio che l'art. 62-quater del TUA, non debba essere disapplicato in quanto incompatibile con i parametri comunitari evocati e che, comunque, non sia necessario rimettere alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale. 4. Tanto premesso, in ordine all'ammissibilita' e procedibilita' del ricorso, nonche' all'insussistenza di profili idonei a giustificare la disapplicazione dell'art. 62-quater del TUA, appare tuttavia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della medesima disposizione, questione che il Collegio intende sollevare, d'ufficio, nei termini di seguito indicati. 4.1. Innanzitutto, in punto di rilevanza della questione, deve premettersi che i provvedimenti impugnati vengono sostanzialmente censurati nella parte in cui gli stessi, senza curarsi di specificare quali prodotti o sostanze possano essere considerati "succedanei" del tabacco, hanno assoggettato a regime autorizzativo, tariffario (nei sensi in precedenza specificati) e all'imposta di consumo: qualsiasi sostanza liquida e vaporizzabile, anche non contenente nicotina; qualsiasi dispositivo necessario a consentire la vaporizzazione, a prescindere dal fatto che essa abbia ad oggetto sostanze contenenti nicotina o, comunque, oggettivamente qualificabili come succedanee del tabacco; prodotti accessori e strumentali, aventi uso promiscuo. Pure oggetto di rilievi e' la circostanza che l'amministrazione abbia stabilito la data del 1° gennaio 2014 per l'entrata in vigore del regime autorizzatorio, come pure il fatto che non siano state previste adeguate norme transitorie. Tali disposizioni, pero', rappresentano soltanto la pedissequa iproduzione del contenuto della fonte primaria, la quale, al comma 1, ha previsto che "A decorrere dal 1° gennaio 2014 i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico", mentre, al comma 2, ha assoggettato la commercializzazione "dei prodotti di cui al comma 1", alla "preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli nei confronti di soggetti che siano in possesso dei medesimi requisiti stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati [...]". E' bene anche sottolineare che e' il legislatore ad avere direttamente individuato il presupposto di imposta e la base imponibile (quest'ultima rappresentata dai prodotti "succedanei" dei prodotti da fumo, secondo la definizione recata dal comma 1), mentre alla fonte secondaria e' stato rimesso soltanto di disciplinare il "contenuto e le modalita' di presentazione dell'istanza ai fini dell'autorizzazione di cui al comma 2, le procedure per la variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti di cui al comma 1, nonche' le modalita' di prestazione della cauzione di cui al comma 3, di tenuta dei registri e documenti contabili, di liquidazione e versamento dell'imposta di consumo, anche in caso di vendita a distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano la vendita al pubblico, in conformita', per quanto applicabili, a quelle vigenti per i tabacchi lavorati" Non era quindi nel potere del Ministro dell'Economia e delle Finanze ne' di specificare quali prodotti debbano ritenersi' "succedanei" dei prodotti da fumo, ne' di stabilire una data diversa dal 1° gennaio 2014, per l'entrata in vigore del nuovo regime autorizzatorio ed impositivo. Al riguardo, e' poi agevole rilevare che, sebbene l'art. 62-quater non stabilisca espressamente la data a partire dalla quale la commercializzazione dei "succedanei" dei prodotti da fumo richiede il possesso dell'autorizzazione, essa non puo' che coincidere con l'entrata in vigore del regime impositivo in quanto l'unico fine dell'autorizzazione, cosi' come strutturata, appare quello strumentale alla vigilanza fiscale e, pertanto, al versamento, all'accertamento e alla riscossione dell'imposta. Da tale assetto deriva che i principali vizi dedotti - relativi all'ambito oggettivo di applicazione dell'imposta e del connesso regime autorizzativo, alla determinazione della base imponibile e all'introduzione di una aliquota indifferenziata - non possono che risolversi nella questione di legittimita' costituzionale della norma citata, nella parte in cui: ha assoggettato alla preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la commercializzazione dei prodotti "succedanei dei prodotti da fumo", definiti come i "prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo"; ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i medesimi prodotti "ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico". 4.2. Relativamente alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, il Collegio osserva quanto segue. 4.2.1. L'applicazione delle accise e, piu' in generale, delle imposte sui consumi, puo' avere non solo funzione di gettito fiscale, ma anche perseguire finalita' extrafiscali, strumentali a scelte di carattere politico - economico. La finalita' delle imposte speciali sui consumi puo' essere in particolare quella di disincentivare il consumo di beni che generano esternalita' negative a danno della collettivita', ovvero soltanto quella di aumentare le entrate pubbliche senza eccessivi costi di accertamento e di riscossione. Sul piano economico, e dal punto di vista della equita' distributiva, esse hanno effetti regressivi o progressivi a seconda delle tipologie di consumo e della elasticita' delle curve di domanda e di offerta. Nel caso di beni voluttuari, come l'alcol e il tabacco, e' stato rilevato ad esempio che, trattandosi di beni che generano dipendenza, i consumatori non riescono a decidere la quantita' di consumo in modo razionale, con la conseguenza che, a parita' dell'onere tributario, i soggetti a basso reddito percepiscono un sacrificio dell'imposta maggiore rispetto ai soggetti ad alto reddito. L'imposta speciale sul consumo di beni voluttuari di questo tipo avrebbe percio' ragione d'essere soltanto se finalizzata a ridurre il consumo di tali beni e non anche per la loro qualita' di beni secondari o di lusso. Dal punto di vista giuridico - costituzionale, si e' poi osservato che il presupposto giuridico-formale delle accise e delle imposte sui consumi, e cioe' il fatto del consumo, puo' includere elementi patrimoniali non utilizzabili per adempiere all'obbligazione tributaria, ma solo spendibili per soddisfare il bisogno dei contribuenti. Il consumo, di per se', non costituisce quindi indice certo di capacita' economica in quanto, perche' sia tale, occorre presumere che esso sia posto in essere con mezzi derivanti da un reddito, o, comunque, con una ricchezza propria. Inoltre e' difficile stabilire quando, in quali condizioni e in quale misura il carico fiscale si trasferisca effettivamente da un soggetto all'altro, essendo molteplici le variabili economiche, le forze e le condizioni di mercato da cui dipende la traslazione. Pertanto, per quanto concerne l'imposizione indiretta, una rigorosa applicazione del principio di capacita' contributiva, espresso dall'art. 53, comma 1, Cost., condurrebbe a ravvisare l'illegittimita' costituzionale di gran parte delle fattispecie assunte a presupposto di tale forma di imposizione. Secondo parte della dottrina, tuttavia, la capacita' contributiva richiesta dall'art. 53, comma 1, Cost., per realizzare il concorso alle spese pubbliche non deve essere esclusivamente intesa come una capacita' espressa da presupposti che richiedono anche elementi di patrimonialita' (nel senso della necessaria identificazione del cosiddetto indice di potenzialita' economica con il patrimonio del soggetto passivo dell'obbligazione tributaria) bensi' in un'ottica meramente distributiva, in cui il soggetto passivo d'imposta e' scelto indipendentemente dalla sua forza economica a contenuto patrimoniale e in cui il raggiungimento dell'obiettivo della "giusta imposta" e' affidato conseguentemente al solo rispetto del principio di ragionevolezza previsto dall'art. 3 cost. e presupposto dall'art. 53 comma 1 cost. In sostanza, definendo la funzione fiscale come una vera e propria funzione di riparto del carico pubblico tra i consociati si consente al legislatore ordinario di assumere, quali soggetti passivi di imposta idonei a concorrere alle pubbliche spese, anche coloro che pongono in essere presupposti aventi una rilevanza economico-sociale, ma non necessariamente anche patrimoniale. L'importante e' che, come ritenuto dalla Corte costituzionale, tali presupposti siano oggettivamente rilevabili, si prestino ad essere comparati con altre situazioni fiscalmente rilevanti e siano pur sempre misurabili economicamente. Ad esempio, secondo Corte cost. n. 102/93, che richiama la sentenza n. 201 del 1975, per capacita' contributiva "deve intendersi l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta, deducibile dal presupposto al quale la prestazione e' collegata senza che spetti al giudice della legittimita' delle leggi alcun controllo, se non, ovviamente, sotto il profilo dell'assoluta arbitrarieta' o irrazionalita' delle norme». In tali pronunce (ma cfr. anche 16 giugno 1964, n. 45, 28 luglio 1976, n. 200, 11 luglio 1989, n. 387) si afferma che il principio di capacita' contributiva risponde all'esigenza di garantire che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in "indici concretamente rilevatori di ricchezza" dai quali sia "razionalmente deducibile l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta". Queste sentenze vanno poi lette in sintonia con quelle che riconoscono la legittimita' costituzionale di presupposti che esprimono una capacita' contributiva in termini di mera potenzialita' economica. Ad esempio, secondo la sentenza n. 156/2001 (in materia di Irap), "rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il solo limite della non arbitrarieta', la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacita' contributiva che, quale idoneita' del soggetto all'obbligazione di imposta, puo' essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1985)". In pratica, l'art. 53, comma 1 viene applicato dalla Corte costituzionale in maniera congiunta con l'art. 3, "assumendo principio di uguaglianza quale regola fondamentale ed autosufficiente di congruita' che prevale su ogni altra regola attinente ai criteri di riparto dei carichi pubblici". Secondo tale giurisprudenza, e la dottrina cui si ispira, il legislatore "deve operare il riparto del carico pubblico secondo i criteri di coerenza interna, non contraddittorieta', adeguatezza e non arbitrarieta' assicurando che a situazioni di fatto uguali corrispondano uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale". 4.2.2. Alla luce delle coordinate ermeneutiche teste' sintetizzate, il Collegio reputa non condivisibile, in primo luogo, la prospettazione delle ricorrenti secondo cui l'equiparazione del trattamento fiscale delle sigarette elettroniche a quello dei tabacchi lavorati determini una violazione del principio di uguaglianza poiche' essi costituirebbero beni oggettivamente non assimilabili tra loro. Come gia' chiarito, da un punto di vista giuridico - formale, le imposte speciali sui consumi possono colpire qualunque bene che non sia gia' sottoposto ad accisa, e cio' anche al solo fine di incrementare le entrate del bilancio dello Stato. Inoltre, allo stato, non vi e' ancora una definitiva certezza scientifica circa il fatto che la sigaretta elettronica non presenti alcun rischio per la salute dell'uomo, ovvero che costituisca un presidio utile alla disassuefazione dal tabagismo. Al riguardo, va detto pero' che non convince nemmeno la posizione della difesa erariale, secondo cui la principale ragione dell'intervento legislativo in esame risiederebbe nella tutela della salute dei consumatori e nel principio di precauzione. Negli atti governativi e parlamentari (in particolare, nella relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del di. n. 76/2013), si rinviene infatti soltanto il riferimento alla necessita' di salvaguardare le entrate erariali derivanti dal consumo dei tabacchi lavorati, mentre, nel contesto del medesimo intervento normativo, la tutela dei consumatori viene piu' opportunamente affidata all'attivita' di "monitoraggio" da parte del Ministero della Salute "sugli effetti dei prodotti succedanei dei prodotti da fumo" (art. 11, comma 23, del d.l. n. 76/2013, come modificato dalla legge di conversione, che ha inserito un comma 10-bis nell'art. 51 della legge 16 gennaio 2003, n. 3). 4.2.3. Le ricorrenti hanno poi sostenuto che l'entita' dell'imposizione sarebbe arbitraria e che non vi sarebbe proporzione rispetto al suo presupposto economico in quanto la possibilita' di trasferire il peso dell'imposta sul rivenditore finale, o sul consumatore, rimane condizionata alla capacita' del produttore di includere la quota dell'imposta nel prezzo del prodotto immesso in consumo. Inoltre, non si sarebbe tenuto conto dell'effetto disincentivante sul consumo derivante dal peso dell'imposta sul prezzo. E' tuttavia evidente che se il legislatore, nell'esercizio della potesta' tributaria, fosse vincolato alle regole del mercato, nessun bene potrebbe mai essere assoggettato alle imposte speciali sui consumi. Si e' inoltre gia' rilevato che, per capacita' contributiva, deve intendersi "l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta, deducibile dal -presupposto al quale la prestazione e' collegata" (Corte Cost., sentenza n. 102/93, cit.). Nel caso di specie, rilevatore di capacita' contributiva e' costituito dalla percezione del prezzo di vendita dei succedanei del tabacco, in relazione al quale non puo' dubitarsi, almeno in astratto, dell'idoneita' del soggetto colpito (e non gia' di quello effettivamente inciso) a far fronte all'obbligo tributario, E' comunque rimasto indimostrato che l'imposta determini l'annullamento dei margini di utile e quindi l'assoluta impossibilita', o estrema difficolta', di esercitare l'attivita' economica in esame. 4.2.4. Cio' posto, il vizio di fondo della normativa recata dall'art. 62-quater del TUA, nella parte di interesse nella presente controversia, consiste, a parere del Collegio, nella violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale, per l'intrinseca irrazionalita' di una disposizione che non individua in maniera oggettiva, ovvero secondo categorie tecnico - giuridiche, i "prodotti succedanei dei prodotti da fumo" colpiti dall'imposta. Come noto, con la nozione di "bene succedaneo" si fa riferimento ad un bene idoneo a sostituirne altri per soddisfare un bisogno o un impiego. Si tratta, percio', di un concetto di natura empirico economica, che riflette le preferenze "soggettive" dei consumatori. Nel caso di specie, occorre altresi' considerare che il comparto delle sigarette elettroniche non ha ancora, nemmeno in sede comunitaria, una precisa qualificazione merceologica, ne' vi e' una normativa di carattere tecnico alla quale l'art. 62-quater possa, anche solo implicitamente, rinviare. Per quanto riguarda, poi, la proposta di direttiva sul tabacco e i "prodotti conciati" approvata dal Parlamento Europeo il 26 febbraio 2014 (e dal Consiglio in data 14 marzo 2014), particolarmente enfatizzata dalla difesa erariale, va osservato che, allo stato, si tratta di norme non ancora vigenti, non direttamente applicabili nell'ordinamento interno e, comunque, successive all'adozione del d.l. n. 76/2013. Inoltre, siffatta normativa, sebbene contenga una analitica definizione della sigaretta elettronica, (cfr. l'art. 2, n. 16), disciplina i soli prodotti contenenti nicotina e rimette agli Stati membri "la responsabilita' di adottare norme sugli aromi", nonche' di motivare e di notificare "qualsiasi divieto di tali prodotti aromatizzati", in conformita' a quanto previsto dalla direttiva 98/34/CE (considerando n. 47). In assenza di una autonoma definizione legislativa della nozione di "prodotto succedaneo", rilevante sul piano giuridico - formale, l'individuazione delle «sostanze idonee a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati» rimane del tutto incerta. Parimenti incerta ed opinabile appare anche l'individuazione dei prodotti che "consentono" il consumo dei succedanei del tabacco, potendo, in tale generica nozione, essere ricornpresa tutta una serie di beni di natura promiscua, il cui uso non e' necessariamente ed esclusivamente strumentale al fumo elettronico e la cui commercializzazione, in altri settori, e' del tutto libera. Si spiega cosi', ad esempio, la contraddittorieta' delle prime indicazioni operative contenute nelle circolari dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le quali, pur escludendo che prodotti accessori come !, caricabatterie e custodie siano assoggettati all'imposta, hanno comunque stabilito che, qualora il prezzo di vendita del prodotto "succedaneo" comprenda anche gli accessori, esso concorre integralmente a formare la base imponibile. Ulteriore conseguenza dell'imprecisa formulazione della norma e della mancanza di criteri atti ad individuare con certezza le componenti della base imponibile, e' la previsione di un'aliquota indifferenziata, idonea a gravare con lo stesso peso su tutta la filiera del fumo elettronico e, come detto, anche su prodotti ad uso promiscuo. Tutte le incongruenze rilevate sono dovute alla circostanza che la finalita' perseguita (quella di recuperare la perdita di gettito sui tabacchi lavorati derivante dal mutamento delle preferenze dei consumatori), e' stata direttamente trasposta nella costruzione della fattispecie e sostituita all'oggetto dell'imposizione. A cio' si aggiunga che il legislatore non ha nemmeno ritenuto di conferire all'autorita' amministrativa, mediante la formulazione di criteri direttivi, il potere di integrare il precetto normativo e quindi di chiarire l'ambito di applicazione dell'imposta. Come gia' in precedenza evidenziato, alla fonte secondaria e' stato rimesso soltanto di disciplinare il procedimento autorizzatorio nonche' le fasi di accertamento, versamento e riscossione dell'imposta. Per altro verso, in assenza di un contenuto prescrittivo sufficientemente determinato, e quindi di una valida base legislativa, l'amministrazione e' stata lasciata sostanzialmente libera di includere (o meno) nella base imponibile qualsivoglia bene che, secondo il suo insindacabile apprezzamento, venga ritenuto idoneo a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati. Ne consegue la violazione non solo dei gia' richiamati principi di eguaglianza e ragionevolezza in materia tributaria, ma anche della riserva di legge in materia di prestazioni imposte e di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione (cfr., sul punto, Corte Cost., sentenza n.350 del 26.10.2007 nonche' n. 115/2011). E' quasi inutile aggiungere che l'indeterminatezza del precetto normativo lede anche il diritto di libera iniziativa economica, in quanto gli operatori del settore si trovano nell'impossibilita' di pianificare correttamente i propri investimenti e di adeguare le strutture aziendali alla nuova imposizione. 5. Quanto appena argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli, 3, 23, 41 e 97 della. Costituzione, dell'art. 62-quater del d.lgs. n. 504, introdotto dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, nella parte in cui: ha assoggettato alla preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la commercializzazione dei prodotti "succedanei dei prodotti da fumo", definiti come i "prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo"; ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i medesimi prodotti "ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico". Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.