IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  735  del  2014,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da: 
        Flavourart s.r.l., Smooke  s.r.l.,  Smart  Evolution  Trading
s.r.l., Arbi Group s.r.l., in liquidazione volontaria, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e  difese  dagli
avv.ti Stefano Vinti e Fabio Francario, con domicilio  eletto  presso
lo studio dell'avv. Francario in Roma, via della Mercede, 11; 
 
                               Contro 
 
    Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia delle  Dogane  e
dei Monopoli, rappresentati e difesi dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, presso cui domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    E con l'intervento di ad adiuvandum: 
        Fiesel-Confesercenti, in persona  del  legale  rappresentante
p.t., rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Giorgio  Fraccastoro,  con
domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via di  San
Basilio,  72;  Federcontribuenti  Italia,  in  persona   del   legale
rappresentante  p.t.,  rappresentata  e  difesa   dall'avv.   Giorgio
Fraccastoro, con domicilio eletto presso lo studio del difensore,  in
Roma, via di San Basilio, 72; 
    Per l'annullamento: 
        - del D.M. 16.11.2013  pubblicato  sulla  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica Italiana in data  7.12.2013  e  delle  "Risposte  ai
quesiti piu' frequenti" (c.d. FAQ) adottate dall'Agenzia delle Dogane
e dei Monopoli e rese note mediante pubblicazione sul sito  ufficiale
dell'Agenzia delle Dogane in data 3.1.2014; 
        - di ogni altro atto preparatorio,  presupposto,  connesso  e
consequenziale, ivi compresa: 
          1)  la  decisione  di  prevedere  che  gli  operatori  gia'
presenti sul mercato che  non  hanno  conseguito  alla  data  del  l°
gennaio 2014 l'autorizzazione al commercio  di  vaporizzatori,  della
loro componentistica, dei liquidi destinati alla vaporizzazione e dei
relativi  prodotti  accessori  e  strumentali  (ovvero  dei  prodotti
indicati al  comma  1,  dell'art.  62-quater,  comma  1,  del  d.lgs.
26.10.1995, n. 504), non  possano  continuare  a  commercializzare  e
vendere tali prodotti; 
          2) la decisione di assoggettare a regime  autorizzatorio  e
tariffario e all'imposta nella misura del 58,5% del prezzo di vendita
al  pubblico  (di  cui  all'art.  62-quater,  comma  1,  del   d.lgs.
26.10.1995, n. 504) la vendita di prodotti  accessori  e  strumentali
all'utilizzo di vaporizzatori (come ad esempio i caricabatteria o  le
custodie dei vaporizzatori); 
          3) la decisione  di  ritenete  succedanei  del  tabacco  ed
assoggettati a  regime  autorizzatorio  e  tariffario  e  all'imposta
prodotti che  non  contengono  affatto  nicotina  ovvero  dispositivi
elettronici, componenti e accessori a prescindere dal fatto che siano
o meno deputati alla vaporizzazione di nicotina ovvero vengano o meno
concretamente ed effettivamente adibiti a tale uso da parte dei  loro
utilizzatori; nonche', comunque: 
          4) la stessa decisione di applicare  in  via  generale  sui
prodotti indicati al comma 1 dell'art. 62-quater del d.lgs. n. 504/95
la suddetta imposta della misura pari al 58,5% sul prezzo di  vendita
al pubblico dei prodotti medesimi e di sottoporre gli stessi a regime
autorizzatorio e tariffario; e, infine 5) ove e per  quanto  occorrer
possa, la nota dell'Agenzia delle Dogane e dei  Monopoli  20.11.2013,
prot. n. DAC/CTL/8443/2013; il tutto previa, ove occorra  e  ritenuta
non manifestamente infondata la  relativa  questione,  a)  rimessione
alla   Corte   costituzionale   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 62-quater del d.lgs. 26.10.1995, n. 504, per
violazione degli artt. 3, 35, 41, 53 e 97  della  Cost.;  nonche'  b)
sempre ove occorra, previa rimessione alla Corte di  Giustizia  della
seguente questione "dica la Corte  di  Giustizia  se  i  principi  di
diritto europeo in materia di libera circolazione dei fattori  e  dei
prodotti economici, di tutela delle liberta' fondamentali e di libera
concorrenza nel mercato unico, nonche' gli artt. 30, 34, 35 e 110 del
TFUE, l'art. 401 della direttiva 112/  20061  CE  e  l'art.  1  della
direttiva n. 118/2008/CE, ostino  ad  una  normativa  nazionale  come
quella di cui all'art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995, che:  a)
introduce un'imposta di consumo con aliquota al 58,5% sul  prezzo  di
vendita dei prodotti al pubblico; b)  prevede  una  tariffazione  dei
prezzi  al  pubblico,  determinando  una  rigida   e   predeterminata
regolamentazione dei prezzi  di  vendita;  c)  impone  una  serie  di
obblighi ed adempimenti  procedimentali  che  interferiscono  con  il
regolare ciclo produttivo - distributivo dei prodotti."; 
        - nonche', ancora,  per  l'annullamento  dei  seguenti  atti,
impugnati con motivi aggiunti: 
        - d.m. 12.2.2014, a firma del Ministro dell'Economia e  delle
Finanze; 
        - circolare AAMS prot. n. DAC/DIR/14 del 21.1.2014 e di  ogni
loro atto preparatorio, presupposto, connesso e  conseguenziale,  ivi
compresi i provvedimenti gia' impugnati con il  ricorso  introduttivo
del presente giudizio. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio delle  amministrazioni
intimate; 
    Relatore alla pubblica udienza del giorno 2 aprile 2014 il  Cons.
Silvia Martino; 
    Uditi gli avv.ti Francario,  Vinti,  Fraccastoro  nonche'  l'avv.
dello Stato Meloncelli, per le parti rispettivamente rappresentate; 
    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue: 
        1. Le societa' ricorrenti rappresentano di operare,  sin  dal
2010, sul mercato nazionale ed estero nel settore della produzione  e
della commercializzazione di vaporizzatori di liquidi aromatici e non
(c.d. e-cigarettes), della loro componentistica, nonche' di  prodotti
strumentali ed accessori all'uso dei vaporizzatori. 
    I  vaporizzatori  sono   strumenti   dotati   di   una   batteria
ricaricabile che consentono di inalare il vapore di una soluzione  di
acqua,  glicole   propilenico,   glicerolo,   aromi   alimentari   e,
eventualmente,  nicotina  (che  puo'  essere  presente  o  del  tutto
assente). 
    Tecnicamente, un vaporizzatore e' composto da: 
        - un filtro, costituito da materiale plastico ipoallergenico,
contenente, al suo interno, una  cartuccia  che  viene  caricata  con
soluzione di glicole propilenico,  glicerole,  aromi  alimentari  ed,
eventualmente, nicotina; 
        - un cartomizzatore, che riscalda il liquido contenuto  nella
cartuccia o  nel  serbatoio,  creando  una  sospensione  gassosa  che
trasporta le sostanze  del  liquido,  lasciandole  quasi  inalterate,
grazie all'assenza di combustione; 
        -  una  batteria  ricaricabile  che   fornisce   energia   al
vaporizzatore (in alternativa alla quale e' possibile utilizzare  Usb
- pass che permettono di collegare direttamente il  vaporizzatore  ad
una presa Usb di un computer o di un auto); 
        - un circuito elettronico interno. 
    Attualmente, sul mercato,  sono  presenti  una  molteplicita'  di
liquidi per vaporizzatori nei quali non e' presente  nicotina  e  che
presentano semplicemente sapori aromatici di natura alimentare. 
    Per tale ragione, le ricorrenti ritengono che i vaporizzatori non
costituiscano necessariamente "prodotti succedanei del tabacco",  dal
momento che l'utilizzo e la vaporizzazione  di  nicotina  costituisce
soltanto uno dei possibili e molteplici usi di  tali  dispositivi  da
parte del consumatore. 
    E' tuttavia accaduto che, con d.l. 28 giugno 2013, n.  76  (conv.
con modificazioni in l. 9 agosto 2013, n. 99), sia  stato  introdotto
nel corpo  del  d.lgs.  n.  504  del  1995,  un  articolo  62-quater,
rubricato "Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da
fumo", il quale prescrive che, a decorrere dal 1°  gennaio  2014,  "i
prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il
consumo dei tabacchi lavorati, nonche'  i  dispositivi  meccanici  ed
elettronici, comprese le parti di  ricambio,  che  ne  consentono  il
consumo, sono assoggettati ad imposta di  consumo  nella  misura  del
58,5% del prezzo di vendita al pubblico". 
    La  medesima   disposizione   ha   altresi'   previsto   che   la
commercializzazione dei prodotti "di cui al comma 1  e'  assoggettata
alla preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzie delle  Dogane  e
dei Monopoli nei confronti dei soggetti che  siano  in  possesso  dei
medesimi requisiti stabiliti per la gestione dei depositi fiscali  di
tabacchi  lavorati  [...]"  e   che   "Con   decreto   del   Ministro
dell'Economia e delle Finanze, da adottarsi entro il 31 ottobre 2013,
sono  stabiliti  il  contenuto  e  le  modalita'   di   presentazione
dell'istanza ai fini  dell'autorizzazione  di  cui  al  comma  2,  le
procedure per la variazione dei prezzi di vendita dei prodotti di cui
al comma 1, nonche' le modalita' di prestazione della cauzione di cui
al comma  3,  di  tenuta  dei  registri  e  documenti  contabili,  di
liquidazione e versamento dell'imposta di consumo, anche in  caso  di
vendita a distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano la
vendita al pubblico, in conformita', per quanto applicabili, a quelle
vigenti per i tabacchi lavorati". 
    Le ricorrenti evidenziano come il regolamento attuativo, recante,
tra   l'altro,   la   disciplina   del   neoistituito    procedimento
autorizzatorio, sia stato adottato solo in data 16  novembre  2013  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 7 dicembre 2013. 
    Successivamente, in data 3 gennaio 2014, l'Agenzia  delle  Dogane
ha fornito i chiarimenti richiesti dagli  operatori,  pubblicando  le
c.d. FAQ sul proprio sito istituzionale. 
    Le  disposizioni  teste'  menzionate  hanno  avuto  l'effetto  di
determinare il blocco totale dell'attivita' economica e di impresa in
danno degli operatori del mercato del c.d. fumo elettronico,  nonche'
di  assoggettare  al  regime  autorizzatorio  ed  impositivo  persino
prodotti strumentali e  puramente  accessori  quali,  ad  esempio,  i
caricabatterie per i vaporizzatori e le loro custodie in plastica. 
    Esse, in particolare: 
        - hanno previsto che gli operatori gia' presenti sul  mercato
che non hanno conseguito l'autorizzazione alla data  del  1°  gennaio
2014, non possono continuare a commercializzare e vendere gli stessi,
laddove il regolamento attuativo e' stato pubblicato in G.U. solo  in
data 7.12.2013, e prevede testualmente che  il  procedimento  per  il
rilascio delle autorizzazioni, si perfezioni tra i 90 e i 270 giorni; 
        -  hanno  concretamente  l'effetto  di  sottoporre  a  regime
autorizzativo e  tariffario,  nonche'  alla  gravosa  tassazione  del
58,5%, anche prodotti che  non  sono  succedanei  del  tabacco  (come
caricabatterie  e  custodie)  ovvero  che  non   contengono   affatto
nicotina. 
    Il decreto ministeriale, in particolare, prevede  un  termine  di
conclusione del procedimento che risulta incompatibile  con  la  data
del  1°  gennaio  2014,  essendo  previsti  90  giorni  soltanto  per
conseguire il provvedimento di autorizzazione. A tale periodo  devono
poi aggiungersi ulteriori  180  giorni  per  il  perfezionamento  dei
profili afferenti la cauzione. 
    Di fatto, nessun operatore ha  conseguito  l'autorizzazione  alla
data del 1° gennaio 2014, di talche' il settore sta subendo un blocco
totale delle attivita' che mette a rischio  la  stabilita'  economica
delle societa', gli asset aziendali, gli investimenti effettuati. 
    Le ricorrenti stigmatizzano altresi' il fatto  che,  all'atto  di
fornire i chiarimenti richiesti sul  nuovo  regime,  l'Agenzia  delle
Dogane abbia ritenuto di sottoporre ad autorizzazione anche  semplici
prodotti accessori che non  possono  essere  sicuramente  considerati
"succedanei" del tabacco, quali i caricabatterie e  le  custodie  dei
dispositivi in esame. 
    I prodotti suddetti sono tutti ad uso promiscuo e  possono  esser
utilizzati tanto per i vaporizzatori  quanto  al  servizio  di  altri
dispositivi che nulla hanno a che fare con il c.d fumo elettronico. 
    Evidenziano, ancora, che il d.m. 16.11.2013, all'atto di  fornire
la definizione di "prodotti succedanei dei prodotti da  fumo"  si  e'
limitato ad utilizzare una definizione talmente generica  da  potervi
attrarre anche prodotti che non contengono affatto  nicotina  o  che,
comunque,   non   vengono   in   concreto   adibiti   a   tale    uso
dall'utilizzatore. 
    In pratica, vengono  ricompresi  in  tale  definizione  e  quindi
sottoposti a regime autorizzativo, tariffario e impositivo: 
        - i liquidi per vaporizzatori che non contengono nicotina; 
        - semplici dispositivi monouso di  vaporizzazione  utilizzati
per inalare aromi privi di nicotina; 
        -  i  medesimi  dispositivi,   le   loro   componenti   e   i
corrispettivi corredi accessori anche quando non vengano in  concreto
utilizzati per la vaporizzazione di nicotina; 
        - componenti e prodotti che, nel mondo del tabacco  lavorato,
non vengono colpiti da una tassazione specifica ne'  sono  sottoposti
ad un regime speciale di commercializzazione (si pensi ai bocchini  e
ai portasigarette). 
    Le ricorrenti, hanno  quindi  sviluppato  i  seguenti  motivi  di
ricorso: 
I) Violazione e falsa applicazione  dell'art.  62-quater  del  d.lgs.
26.10.1995, n.  504  (rubricato  "Imposta  di  consumo  sui  prodotti
succedanei dei prodotti da fumo"); violazione  e  falsa  applicazione
dell'art. 1 e ss d.m. 16.11.2013; manifesta irragionevolezza; eccesso
di    potere    nelle    figure    sintomatiche     dell'illogicita',
dell'irrazionalita',  del  vizio  di  motivazione,  del  difetto   di
istruttoria, dell'erroneita' dei presupposti e del  travisamento  dei
fatti;  violazione  del  principio  di  concorrenza,  violazione  del
principio di legalita'; perplessita' dell'azione amministrativa. 
    La previsione dell'Agenzia delle Dogane secondo cui gli operatori
che  alla  data  del  1°  gennaio   2014   non   abbiano   conseguito
l'autorizzazione al commercio  dei  prodotti  in  esame  non  possono
continuare  a  commercializzarli   e',   a   dire   dei   ricorrenti,
illegittima, in quanto in contrasto con la tempistica prescritta  dal
d.m. 16.11.2013. 
    Essa non tiene conto della normativa regolamentare, dei complessi
adempimenti prescritti, e, comunque, del  fatto  che  nessuna  fonte,
primaria o secondaria, prevede che il regime di autorizzazione  debba
entrare in vigore alla data del 1° gennaio 2014. 
    Dal canto suo,  il  d.m.  16.11.2013  non  prevede  alcuna  norma
transitoria idonea a consentire che  i  soggetti  gia'  presenti  sul
mercato  possano  continuare  ad  operare  nelle  more  del  rilascio
dell'autorizzazione che viene oggi richiesta quale condizione per  la
commercializzazione dei rispettivi prodotti. 
II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 62-quater del d.lgs. n.
504 del 1995 (rubricato "Imposta di consumo sui  prodotti  succedanei
dei prodotti da fumo"); violazione  e  falsa  applicazione  del  d.m.
16.11.2013;  manifesta  irragionevolezza;  eccesso  di  potere  nelle
figure sintomatiche dell'illogicita', dell'irrazionalita', del  vizio
di motivazione,  del  difetto  di  istruttoria,  dell'erroneita'  dei
presupposti e del travisamento dei fatti; violazione del principio di
buon andamento; violazione del principio di concorrenza, perplessita'
dell'azione amministrativa. 
    Parimenti illegittime sono le  disposizioni  che  assoggettano  a
regime autorizzatorio, tariffario e  impositivo  anche  prodotti  che
costituiscono   meri   accessori   strumentali    all'utilizzo    dei
vaporizzatori, quali caricabatterie e custodie. 
    L'illogicita' di una siffatta decisione emerge in maniera  ancora
piu' lampante se si considera che tali accessori vengono sottoposti a
regime autorizzatorio e tariffario anche in tutti quei casi nei quali
gli   stessi   costituiscono   corredo   accessorio   e   strumentale
all'utilizzo di dispositivi che  non  sono  destinati  a  vaporizzare
nicotina (vaporizzatori mono uso per  la  vaporizzazione  di  liquidi
aromatici, ovvero che, per scelta dell'utilizzatore, non  vaporizzano
ne' nebulizzano nicotina). 
    Si tratta comunque, come gia' evidenziato,  di  prodotti  ad  uso
promiscuo, con l'ulteriore illogicita' che gli stessi  prodotti,  ove
commercializzati da ditte che operano, ad esempio, nel settore  delle
apparecchiature   elettroniche   generiche,   rimangono   liberamente
vendibili al prezzo di mercato senza scontare la  pesante  tassazione
del 58,5%. 
    In sostanza, prodotti identici o speculati vengono  sottoposti  a
regime di commercializzazione differenti per il  fatto  di  essere  o
meno potenzialmente e astrattamente utilizzabili quali  accessori  di
un  vaporizzatore  (ancorche'  utilizzato  in  assenza   di   liquido
nicotinico)  o  perche'  semplicemente  prodotti  all'interno   della
filiera del c.d. fumo elettronico. 
    Lo stesso e' a dirsi per la sottoposizione al  regime  tariffario
previsto dall'art. 4 del d.m. 
III) Violazione e falsa applicazione dell'art. 62-quater  del  d.lgs.
n.  504  del  1995  (rubricato  "Imposta  di  consumo  sui   prodotti
succedanei dei  prodotti  da  fumo");  incompetenza;  violazione  del
principio di legalita', di tipicita' e di  nominativita';  erroneita'
dei presupposti e travisamento dei fatti. 
    Le decisioni  dell'Agenzia  delle  Dogane  e  dei  Monopoli  sono
illegittime anche sotto il profilo dell'incompetenza, in quanto  essa
non e' stata dotata del potere di provvedere in merito o  di  dettare
una disciplina attuativa dell'art. 62-quater. 
    E' al  MEF,  invece,  che  compete  il  potere  di  adottare  una
normativa  regolamentare  recante  la  disciplina  del   procedimento
autorizzatorio, e quindi secondo le ricorrenti, di stabilire tanto  i
profili   temporali   di   efficacia   del   neo   istituito   regime
autorizzatorio quanto il suo ambito strettamente oggettivo. 
IV)  (Sotto  altro  e  ulteriore   profilo):   violazione   e   falsa
applicazione  dell'art.  62-quater  del  d.lgs.  26.10.1995,  n.  504
(rubricato "Imposta di consumo sui prodotti succedanei  dei  prodotti
da fumo"); violazione  e  falsa  applicazione  del  d.m.  16.11.2013;
manifesta  irragionevolezza,   eccesso   di   potere   nelle   figure
sintomatiche  dell'illogicita',  dell'irrazionalita',  del  vizio  di
motivazione,  del  difetto  di   istruttoria,   dell'erroneita'   dei
presupposti e del travisamento dei fatti; violazione del principio di
buon andamento; violazione del principio di concorrenza. 
    All'atto dell'adozione del d.m. il MEF ha fornito una definizione
di prodotti succedanei del tabacco talmente generica e  indeterminata
da   consentire   di   sottoporre   indiscriminatamente   a    regime
autorizzatorio, tariffario e fiscale: 
        - i liquidi per vaporizzatori che non contengono nicotina; 
        - semplici dispositivi monouso di  vaporizzazione  utilizzati
per inalare aromi privi di nicotina; 
        - i medesimi dispositivi, le loro componenti e  i  rispettivi
corredi  accessori,   indipendentemente   dal   fatto   che   vengano
concretamente utilizzati per la vaporizzazione di nicotina; 
        - componenti e prodotti che, nel mondo del tabacco  lavorato,
non vengono colpiti da specifica tassazione ne' sono sottoposti ad un
regime particolare di commercializzazione. 
    E' irragionevole o illogico  ricomprendere  nella  categoria  dei
succedanei del tabacco anche i liquidi per  vaporizzazione  privi  di
nicotina ovvero dispositivi monouso che nascono per vaporizzare aromi
non nicotinici. 
    Proprio  in  materia  di   regolamentazione   dell'utilizzo   dei
vaporizzatori, l'ordinamento amministrativo gia' distingue le ipotesi
nelle quali il dispositivo prevede  concretamente  ed  effettivamente
l'utilizzo di nicotina, da quelle nelle quali tale  sostanza  e'  del
tutto assente. 
    Le ricorrenti richiamano, al riguardo, l'O.M. del Ministro  della
Salute del 4 agosto 2011 che ha disposto il  divieto  di  vendita  ai
minori di anni 18 dei vaporizzatori contenenti nicotina. 
    Successivamente,  il  Ministero  ha  imposto  ai  produttori   di
evidenziare unicamente sui prodotti contenenti nicotina la rispettiva
concentrazione e  di  apporre,  nel  caso,  i  necessari  simboli  di
tossicita'. Anche  il  giudice  amministrativo,  in  sede  cautelare,
chiamato a pronunciarsi sul divieto di utilizzo di  vaporizzatori  in
luoghi pubblici, ha operato la medesima distinzione  (cfr.  ord.  TAR
Veneto, sez. III, n. 356/2013 del 12.7.2013; TAR Lombardia, sez. III,
ord. n. 1024/2013 del 23.10.2013). 
    La  normativa,  comunque,  genera   incertezza   e   perplessita'
sull'individuazione dei  prodotti  da  assoggettare  al  neoistituito
regime autorizzatorio, tariffario e impositivo. 
V) Violazione degli artt. 3, 35, 41, 53 e 97 della Cost.;  violazione
dei principi di diritto europeo in materia di libera circolazione dei
fattori  e  dei  prodotti  economici,  di   tutela   delle   liberta'
fondamentali e di libera concorrenza del mercato unico, nonche' degli
artt. 30, 34, 35 e 110 del TFUE, dell'art.  401  della  direttiva  n.
112/2006/CE e dell'art. 1 della direttiva n. 118/2008/CE. 
    Nell'ipotesi in cui si  ritenga  che  i  provvedimenti  impugnati
siano  conformi  alla  norma  primaria,  parte  ricorrente  eccepisce
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 62-quater del d.lgs. n. 504
del 26 ottobre 1995. 
- Questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  62-quater  del
d.lgs. n. 504 del 26 ottobre 1995 (c.d. testo unico ACCISE - TUA) 
    Le misure tributarie approntate dal legislatore, oltre ad  essere
illogiche  e  sostanzialmente  ingiuste,   sono   anche   palesemente
sproporzionate. E' evidente, innanzitutto, che con l'imposta in esame
il legislatore ha inteso porre rimedio al crollo  del  mercato  delle
sigarette tradizionali, determinato dall'espandersi del settore delle
sigarette elettroniche (comunicato  stampa  del  MEF  n.  240  del  5
dicembre 2013). 
    La scelta di equiparare queste ultime alle sigarette tradizionali
non tiene conto della peculiarita' del  settore  e  viola,  in  primo
luogo, il principio di eguaglianza e di capacita' contributiva. 
    Le ricorrenti reputano irragionevole che si sia scelto di colpire
anche sostanze diverse dalla nicotina in alcun modo  assimilabili  al
tabacco lavorato. 
    L'Italia e' l'unico paese ad avere introdotto una simile  imposta
mentre gli altri Stati  dell'Unione  Europea  sono  in  attesa  delle
indicazioni  del  Parlamento  e  della  Commissione  in  ordine  alla
regolamentazione del mercato. 
    Cosi'  facendo,  il  legislatore  italiano  si  e'  mosso   nella
prospettiva  di  "proteggere"  il  settore  dei  tabacchi   lavorati,
contraddicendo, in tal modo, una delle finalita' che caratterizza  la
relativa imposizione, volta, tra l'altro, a scoraggiare il consumo di
un prodotto di cui e' accertata la dannosita' per la salute. 
    Al contrario, le numerose  ricerche  scientifiche  che,  fino  ad
oggi, hanno riguardato il mercato delle e-cig, non hanno  riscontrato
alcuna  conseguenza  nociva  per  la  salute  e,   anzi,   ne   hanno
sottolineato  i  vantaggi  legati  all'effetto  di  dissuasione   dal
tabagismo. 
    L'equiparazione  sotto  il   profilo   fiscale   alle   sigarette
tradizionali non sarebbe comunque giustificata nemmeno nelle  ipotesi
nelle quali le sigarette elettroniche consentono la vaporizzazione di
nicotina. 
    La nicotina e', infatti, una sostanza che si trova  in  natura  e
non e' tassata di per se' (si pensi ai cerotti antifumo, ai  prodotti
nicorette etcc.). Nel  fumo  tradizionale,  infatti,  il  danno  alla
salute e' prodotto dai numerosi  elementi  mischiati  tra  loro  che,
sottoposti al processo di combustione,  si  trasformano  in  sostanze
dannose per l'organismo. 
    Le ricorrenti ritengono altresi' irragionevole  che  la  medesima
imposizione  colpisca  indiscriminatamente   tutti   i   prodotti   e
dispositivi  collegati  al  mercato  della   sigaretta   elettronica,
ancorche' diversissimi tra loro per natura e funzione. 
    La disciplina  in  esame  contrasta  quindi  con  i  principi  di
ragionevolezza e proporzionalita' di cui all'art. 3  Cost.,  nonche',
per  il  rigido  automatismo  che  la  caratterizza,  con  quelli  di
imparzialita'  e  buon  andamento   dell'amministrazione,   garantiti
dall'art. 97 Cost. 
    In pratica, vengono indiscriminatamente  assimilati  ai  tabacchi
lavorati anche sostanze non contenenti nicotina e i  dispositivi  che
ne consentono il consumo,  laddove,  invece,  persino  l'imposta  sui
tabacchi lavorati e' strutturata in modo da garantire un  sistema  di
aliquote differenziate per tipologia di prodotto. 
    Appare  poi  del  tutto  incomprensibile  la  scelta  di  tassare
uniformemente  e  con  l'applicazione  della  medesima,  elevatissima
aliquota, prodotti che tra loro  non  hanno  assolutamente  nulla  in
comune o che, addirittura, sono destinati ad un uso promiscuo. 
    Ne deriva, altresi' una grave lesione del principio della  libera
iniziativa economica privata. 
    Il  legislatore  ha  poi  regolamentato  le  procedure   per   la
variazione dei prezzi di vendita al pubblico dei «prodotti succedanei
dei prodotti da fumo», in modo del tutto analogo al  sistema  vigente
nella vendita di prodotti a base  di  tabacco  (quali  l'obbligo  del
deposito fiscale, l'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva
all'esercizio  di  deposito  di  prodotti  succedanei  del   tabacco,
l'obbligo di prestare una cauzione etcc.). 
    L'introduzione di  una  imposta  di  consumo  cosi'  elevata,  in
combinazione con il  meccanismo  di  applicazione  dell'aliquota  sul
prezzo al minuto e con la regolamentazione predeterminata dei  prezzi
al pubblico, costringera' il  consumatore  ad  indirizzare  i  propri
acquisti verso gli altri Stati membri dell'Unione Europea. 
    La norma, proseguono i ricorrenti, si appalesa illegittima  anche
alla luce dei principi di ragionevolezza, di capacita' contributiva e
di tutela del diritto alla salute, garantiti dagli artt. 3, 53  e  32
Cost. L'introduzione dell'art. 62-quater ha paralizzato il settore in
esame sebbene, al di fuori dei confini nazionali,  si  discuta  della
idoneita' delle sigarette  elettroniche  a  rappresentare  un  valido
strumento per la disassuefazione dal tabagismo. 
    L'equiparazione di queste ultime alle sigarette tradizionali  non
e' giustificata neanche dalla mera presenza della nicotina in quanto,
nelle sigarette tradizionali, il danno alla salute  e'  prodotto  non
dalla nicotina in se' ma dai numerosi elementi  cancerogeni,  assenti
nelle e-cig, che vengono bruciati, trasformandosi in sostanze dannose
per l'uomo. 
    La nuova misura  tributaria  finisce  cosi'  paradossalmente  per
incentivare l'uso del tabacco ed aggravare le situazioni di danno per
la salute che questo comporta. 
    Le ricorrenti  stigmatizzano,  altresi',  la  stessa  scelta  del
tributo da applicare. 
    Le accise - tra le  quali  sembra  dover  essere  concettualmente
annoverata anche l'imposta di  cui  si  discute  -  rappresentano  un
gruppo eterogeneo di imposte indirette  erariali  che  colpiscono  la
fabbricazione, o il consumo, di determinati prodotti, nonche' la loro
importazione nel territorio dello Stato ed  il  cui  presupposto  non
presenta alcun  elemento  di  patrimonialita'  di  modo  che  non  si
comprende quale sia il  fatto  -  indice  di  capacita'  contributiva
considerato dal legislatore. 
    In relazione all'imposta in esame si ripropongono,  pertanto,  le
annose questioni in  ordine  alla  legittimita'  di  un  tributo  che
colpisce un indice diverso dal reddito o dal patrimonio. 
    Vi  sarebbe,  inoltre,  una  duplicazione  impositiva,  derivante
dall'applicazione dell'aliquota al prezzo di vendita al  pubblico  e,
quindi, al lordo dell'IVA. 
    Pure  irragionevole  sarebbe   la   finalita'   extrafiscale   di
ostacolare la produzione e il consumo delle  sigarette  elettroniche,
con l'effetto di favorire il mercato delle sigarette tradizionali. 
- Sulla compatibilita' dell'art. 62-quater del d.lgs. n. 504  del  26
ottobre 1995 (c.d. testo unico accise, TUA) con la normativa di rango
comunitario. 
    L'Italia  e'  l'unico  paese  dell'Unione  ad  avere   introdotto
l'imposta in esame mentre in sede europea  si  discute  ancora  della
qualificazione  merceologica  e  del  comparto  di  appartenenza  dei
suddetti prodotti, anche alla luce della loro idoneita' a contrastare
il tabagismo. 
    Le ricorrenti reputano, peraltro, che, con  l'introduzione  delle
disposizioni in esame, siano state commesse plurime violazioni  delle
norme comunitarie tra cui gli artt. 30, 35, 35 e 110 del TFUE. 
    Pure violato risulterebbe  l'art.  401  della  Direttiva  IVA  n.
112/2006/CE nella parte in cui  vieta  di  introdurre  imposte  sulla
cifra di affari aventi le stesse caratteristiche dell'IVA e  consente
solo di mantenere accise o altre imposte che non abbiano il carattere
di imposta sul volume di affare sempreche' non  diano  luogo,  "negli
scambi tra Stati membri, a formalita' connesse con  il  passaggio  di
una frontiera". 
    Analogamente dispone l'art. 1 della Direttiva 118/2008/CE. 
    La disciplina  introdotta  dal  legislatore  ordinario,  inoltre,
sarebbe incompatibile con gli articoli 34 e 35  del  TFUE  in  quanto
introdurrebbe  una  serie  di  misure  ad  effetto  equivalente  alle
restrizioni quantitative che rappresentano  un  concreto  pregiudizio
per l'esercizio della  libera  concorrenza  nell'ambito  del  mercato
comune. 
    Particolarmente   critica,    a    questo    riguardo,    sarebbe
l'introduzione di una regolamentazione rigida  e  predeterminata  dei
prezzi, simile a quella vigente per le sigarette  tradizionali,  gia'
oggetto di censura da parte della  Corte  di  Giustizia  (cfr.  Corte
giustizia, sez. III, del 24 giugno 2010, causa C - 571/08). 
    Il legislatore italiano ha inoltre previsto una  serie  di  norme
tecniche e di obblighi oltremodo gravosi  che  possono  rappresentare
una violazione del principio di proporzionalita',  e  che,  comunque,
determinano una distorsione in  ambito  comunitario  in  ordine  alle
modalita' di commercializzazione dei prodotti. Si pone ad esempio  il
problema se un prodotto nato secondo le norme vigenti  in  uno  degli
Stati membri possa essere posto in  vendita  in  Italia,  ove  vigono
ormai standard differenti. 
    Le ricorrenti  soggiungono  che,  a  loro  dire,  l'accisa  sulle
sigarette  elettroniche,  come  quella  sui  tabacchi,  determina  un
fenomeno  equivalente  negli  effetti  all'istituto   della   rivalsa
obbligatoria, originato dalla predeterminazione del prezzo  da  parte
di un provvedimento dell'AAMS che ingloba anche l'accisa. 
    Altrettanto  palese  sarebbe  la   violazione   della   normativa
comunitaria in materia di accise. 
    L'armonizzazione e la razionalizzazione delle  imposte  indirette
rappresenta una condizione necessaria per la  compiuta  realizzazione
del mercato unico, per favorire la quale vige un divieto assoluto  di
imporre controlli ai passaggi comunitari su detti prodotti,  di  modo
che, delle due l'una: 
        - o l'imposta introdotta dal cit. art. 62-quater  del  d.lgs.
n. 504 del 1995  rientra  nell'ambito  delle  accise  e,  quindi,  il
legislatore  non  era  legittimato  ad  intervenire  in  una  materia
riservata alla competenza comunitaria: 
        - ovvero la suddetta imposta  avrebbe  dovuto  rispettare  le
condizioni ed i parametri fissati dalla direttiva 118/2008/CE;  essa,
pero', non presenta alcuna "finalita' specifica" ne' risulta conforme
"alle norme comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul
valore aggiunto". 
    Le societa' ricorrenti chiedono pertanto al  Collegio  di  volere
rimettere   alla   Corte   di   Giustizia   la   seguente   questione
pregiudiziale: 
        "Dica la Corte di Giustizia se i principi di diritto  europeo
in  materia  di  libera  circolazione  dei  fattori  e  dei  prodotti
economici,  di  tutela  delle  liberta'  fondamentali  e  di   libera
concorrenza nel mercato unico, nonche' gli artt. 30, 34, 35 e 110 del
TFUE, l'art. 401 della direttiva n. 112/2006/ CE  e  l'art.  1  della
direttiva 118/2008/CE, ostino ad una normativa nazionale come  quella
di cui all'art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995 che: 
          a) introduce un'imposta di consumo con  aliquota  al  58,5%
sul prezzo di vendita dei prodotti al pubblico; 
          b)  prevede  una  tariffazione  dei  prezzi  al   pubblico,
determinando una rigida e predeterminata regolamentazione dei  prezzi
di vendita; 
          c)   impone   una   sede   di   obblighi   ed   adempimenti
procedimentali, che interferiscono con il regolare ciclo distributivo
dei prodotti". 
    Si e' costituito, per resistere,  il  Ministero  dell'economia  e
delle finanze. 
    Sono intervenute ad adiuvandum le Associazioni  Federcontribuenti
Italia e la Fiesel - Confesercenti. 
    Con ordinanza n. 537 del 6.2.2014, l'istanza  cautelare  proposta
e' stata accolta in via interinale e provvisoria, fino alla camera di
consiglio del 19 febbraio 2014, e, per l'effetto,  e'  stata  sospesa
l'efficacia  del  regime  autorizzatorio  ed  impositivo   introdotto
dall'art. 62-quater in esame. 
    Quindi, con ordinanza n. 811  del  20.2.2014,  in  considerazione
delle modifiche apportate al  d.m.  16.11.2013  dal  d.m.  12.2.2014,
l'istanza cautelare e' stata respinta. 
    Le ricorrenti  hanno  successivamente  proposto  motivi  aggiunti
avverso il suddetto d.m. 12.2.2014, nonche' avverso la circolare AAMS
prot. DAC/DIR/14 del 21.1.2014, estendendo  la  richiesta  di  tutela
cautelare anche agli atti sopravvenuti  e,  comunque,  rappresentando
l'aggravarsi della loro situazione economica. 
    All'uopo,   hanno   evidenziato   come   l'amministrazione    sia
intervenuta sulla normativa di attuazione in una duplice direzione: 
        -  dapprima,  con  circolare  del  21  gennaio,  l'AAMS   pur
precisando  di  ritenere  che  "non  possano  considerarsi  parti  di
ricambio, a titolo  esemplificativo,  le  custodie  dei  prodotti,  i
cavetti per l'alimentazione, le batterie", ha tuttavia confermato che
"i beni sopra indicati, ove compresi nel prezzo unitario  di  vendita
dei dispositivi, anche monouso, concorrono alla formazione della base
imponibile cui si applica l'imposta di consumo". 
    Successivamente,  il  MEF  e'  intervenuto  per  semplificare  il
procedimento, qualificando come SCIA  la  domanda  di  autorizzazione
(d.m. del 12.2.2014). 
    Le modifiche apportate alla normativa  attuativa,  proseguono  le
ricorrenti, perpetuano e confermano le stesse illegittimita' che gia'
affliggevano i provvedimenti impugnati  con  il  ricorso  principale,
nella misura in cui anche tali modifiche non toccano minimamente  gli
effetti sostanziali che derivano dall'indiscriminato  assoggettamento
al regime autorizzatorio e fiscale: 
        - dei vaporizzatori in quanto tali; 
        -   delle   sostanze   che,   oggettivamente,   non   possono
considerarsi succedanee del tabacco; 
        - dell'oggettistica puramente accessoria del prodotto. 
    Anche la normativa successivamente intervenuta, infatti, continua
a mantenere ferma l'applicazione del regime autorizzativo, fiscale  e
sanzionatorio  in  relazione  all'insieme   di   beni   unitariamente
considerato. 
    Le  modifiche  recentemente   apportate,   inoltre,   introducono
ulteriori profili di irragionevolezza. 
    In  particolare,  secondo  la  circolare  dell'AAMS  oggetto   di
impugnativa,  un  "caricabatteria"  o  una  "custodia"  diventano  un
prodotto succedaneo del tabacco nell'ipotesi in cui  vengano  venduti
insieme ai vaporizzatori ad un unico prezzo di vendita. 
    Quanto, poi, al d.m. 12.2.2014, esso ha  stabilito,  all'art.  2,
che  dalla  data  di  presentazione  all'Agenzia  della  domanda   di
istituzione e gestione di un deposito fiscale di prodotti  succedanei
del tabacco, il soggetto  che  l'ha  sottoscritta  e'  autorizzato  a
gestire il deposito. 
    Il  Ministero,  pero',  non  ha  adeguatamente   considerato   la
posizione di quelle imprese che, come  le  ricorrenti,  avevano  gia'
presentato domanda di autorizzazione e che si vedono, oggi, applicare
in maniera retroattiva e indiscriminata, su tutti i loro prodotti, il
prelievo del 58,5% sul  prezzo  di  vendita  al  pubblico  senza  che
abbiano mai avuto, fino a questo momento, nemmeno la possibilita'  di
vendere secondo il neoistituito regime, e  di  traslare,  quindi,  il
costo dell'imposta sui consumatori o sui rivenditori finali. 
    I motivi aggiunti, sono, specificamente: 
I) Violazione e falsa applicazione dell'art. 62-quater del d.lgs.  n.
504 del 1995 (rubricato "Imposta di consumo sui  prodotti  succedanei
dei prodotti da fumo"); violazione  e  falsa  applicazione  del  d.m.
16.11.2013;  manifesta  irragionevolezza,  eccesso  di  potere  nelle
figure sintomatiche dell'illogicita',  irrazionalita'  e  difetto  di
motivazione; difetto di istruttoria,  contraddittorieta',  erroneita'
dei presupposti e travisamento dei fatti; violazione del principio di
buon andamento; violazione del principio di concorrenza. 
    Anche i provvedimenti impugnati con i motivi aggiunti evitano  di
specificare cosa possa o debba intendersi  per  "prodotto  succedaneo
del  tabacco",  con  la  conseguenza   che   continuano   ad   essere
assoggettati al  regime  autorizzatorio  e  impositivo,  proprio  dei
tabacchi lavorati: 
        a) sostanze liquide vaporizzabili che non contengono  affatto
nicotina ma liquidi aromatizzati con essenze varie  (menta,  vaniglia
etcc.); 
        b) dispositivi elettronici e quant'altro sia  necessario  per
consentire  la  vaporizzazione  a  prescindere  dal  fatto   che   la
vaporizzazione abbia per oggetto sostanze succedanee  del  tabacco  e
contenenti nicotina; 
        c) cose e prodotti che  nemmeno  servono  per  consentire  la
vaporizzazione, ma sono puramente accessori del vaporizzatore,  quali
custodie, batterie, caricabatterie etcc. 
    La circolare e  il  d.m.  si  limitano  a  reiterare  la  formula
genericamente adottata dalla norma di legge, che  continua  cosi'  ad
essere  interpretata  in  maniera  assolutamente  indiscriminata   ed
estensiva. 
II) Violazione e falsa applicazione dell'art.  62-quater  del  d.lgs.
26.10.1995, n.  504  (rubricato  "Imposta  di  consumo  sui  prodotti
succedanei dei prodotti da fumo"); violazione  e  falsa  applicazione
del d.m. 16.11.2013; manifesta irragionevolezza;  eccesso  di  potere
nelle figure sintomatiche dell'illogicita', della contraddittorieta',
dell'irrazionalita',  del  vizio  di  motivazione,  del  difetto   di
istruttoria, dell'erroneita' dei presupposti e del  travisamento  dei
fatti; violazione del principio di  buon  andamento;  violazione  del
principio di concorrenza; perplessita' dell'azione amministrativa. 
    La circolare AAMS del 21.1.2014 continua ad assoggettare al nuovo
regime autorizzatorio e fiscale le "custodie  dei  prodotti,  cavetti
per alimentazione e le batterie" nell'ipotesi in cui  detti  prodotti
vengano venduti insieme  ai  vaporizzatori  ad  un  unico  prezzo  di
vendita. 
    Essi pero' non contengono nicotina o altre sostanze  che  possano
considerarsi succedanee del tabacco ne'  costituiscono  componenti  o
parti integranti dei dispositivi di vaporizzazione;  di  fatto,  tali
prodotti, non sono di per se' idonei a vaporizzare alcunche'. 
    Se detti prodotti  non  sono  "succedanei"  del  tabacco  debbono
essere esclusi dal correlato regime autorizzatorio  e  impositivo,  a
prescindere dalle modalita' di commercializzazione. 
III) Violazione e falsa applicazione dell'art. 62-quater  del  d.lgs.
26.10.1995, n.  504  (rubricato  "Imposta  di  consumo  sui  prodotti
succedanei dei prodotti da fumo"); violazione  e  falsa  applicazione
del d.m. 16.11.2013; manifesta irragionevolezza;  eccesso  di  potere
nelle figure sintomatiche dell'illogicita', della contraddittorieta',
dell'irrazionalita',  del  vizio  di  motivazione,  del  difetto   di
istruttoria, dell'erroneita' dei presupposti e del  travisamento  dei
fatti; violazione del principio di  buon  andamento;  violazione  del
principio di concorrenza; perplessita' dell'azione amministrativa. 
    Il d.m. 12.2.2014 e' altresi'  illegittimo  nella  parte  in  cui
applica  retroattivamente  il  nuovo  regime  impositivo   anche   in
relazione ad un periodo in cui il neoistituito regime  autorizzatorio
non era operante (per effetto dei provvedimenti cautelari  di  questo
TAR) e quindi, senza che le imprese abbiano mai avuto la possibilita'
di trasferire sulla filiera commerciale e sul consumatore  finale  il
costo dell'imposta stessa. 
    Nel caso di Flavourart, ad  esempio,  viene  evidenziato  che  la
societa', per effetto delle censurate disposizioni, dovrebbe  versare
un'imposta superiore, per i  soli  liquidi  vaporizzabili,  di  oltre
700.000 euro ai suoi stessi ricavi, con matematico default. 
    Resistono anche ai motivi aggiunti le amministrazioni intimate. 
    Tutte le parti hanno depositato  plurime,  articolate  memorie  e
ampia documentazione. 
    Le ricorrenti, in particolare, in vista della pubblica udienza di
discussione hanno depositato uno  studio  di  analisi  economica  del
nuovo regime fiscale del fumo  elettronico,  realizzato  dal  Casmef,
centro di ricerca economica indipendente dell'Universita' LUISS Guido
Carli di Roma. 
    Il ricorso e' stato trattenuto per la decisione  di  merito  alla
pubblica udienza del 2 aprile 2014. 
    Contestualmente, e' stato introitato anche per la  decisione,  in
abbinamento al merito, dell'istanza cautelare, quest'ultima  definita
con ordinanza n. 1516 del 3 aprile 2014. 
    Con tale pronuncia, il Collegio ha nuovamente sospeso l'efficacia
del regime autorizzatorio e impositivo di cui all'art. 62-quater  del
d.lgs. n. 504 del 1995, fino alla  decisione  da  parte  della  Corte
costituzionale della questione  di  legittimita'  costituzionale  che
viene sollevata con la presente ordinanza (cfr.,  infra,  il  par.  4
della presente decisione). 
    2. Cio'  premesso,  devono  anzitutto  respingersi  le  eccezioni
sollevate dalla difesa erariale tese a dimostrare  l'inammissibilita'
e/o improcedibilita' del ricorso per le ragioni dovute, nell'ordine: 
        - alla carenza di giurisdizione del  giudice  amministrativo,
trattandosi di fattispecie rientrante nella giurisdizione del giudice
tributario; 
        - al difetto originario di interesse a ricorrere di tutte  le
ricorrenti, in mancanza dell'adozione di atti impositivi; 
        - al difetto di interesse  delle  ricorrenti  che  non  hanno
presentato la domanda disciplinata dall'art. 2 del d.m. 16.11.1993; 
        - alla, pretesa, cessazione della materia del contendere, per
effetto  delle  modifiche  apportate  al  d.m.  16.11.1993  dal  d.m.
12.2.2014,  nonche'  dell'interpretazione  resa  dall'Agenzia   delle
Dogane e dei Monopoli con la circolare del 21.1.2014. 
    2.1 In primo  luogo,  e'  orientamento  ormai  consolidato  delle
Sezioni Unite quello  secondo  cui  la  giurisdizione  esclusiva  del
giudice tributario in ordine ai "tributi di ogni  genere  e  specie",
istituita dall'art. 2, comma 1, (d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546, come
successivamente   modificato,   puo'   svolgersi   solo    attraverso
l'impugnazione  di  specifici  atti  impositivi  dell'amministrazione
finanziaria. 
    Ne consegue  che,  in  mancanza  della  mediazione  rappresentata
dall'impugnativa dell'atto impositivo,  il  giudice  tributario  "non
puo' giudicare della legittimita' degli atti amministrativi generali,
dei  quali  puo'  conoscere,  incidenter  tantum  ed  entro   confini
determinati,  solo  ai,  fini  della  disapplicazione  nella  singola
fattispecie dell'atto amministrativo presupposto dell'atto impositivo
impugnato" (Cass. civ., Sez. Un., 21.3.2006, n. 6224). 
    La cognizione  degli  atti  autoritativi  di  carattere  generale
presupposti alla specifica obbligazione  tributaria  spetta,  invece,
alla giurisdizione del  giudice  amministrativo  (cosi'  ancora,  con
riguardo all'interpretazione dell'art. 7,  comma  5,  del  d.lgs.  n.
546/92, le Sezioni unite, sentenza n. 3030 dell'1.3.2002). 
    Nello stesso senso e' la giurisprudenza del Consiglio  di  Stato,
invocata da  parte  ricorrente,  secondo  cui  "ad  esclusione  delle
controversie riservate alla  giurisdizione  del  giudice  tributario,
sono impugnabili davanti  al  giudice  amministrativo  i  regolamenti
governativi,  ministeriali  o  di  enti  locali  che  istituiscono  o
disciplinano tributi  di  qualsiasi  genere,  in  quanto  concernenti
interessi legittimi (Cons. St., sez. VI^, 30.9.2004, n. 6353). 
    2.2. Neppure puo' ritenersi che, in assenza di atti impositivi, i
provvedimenti impugnati, per il loro carattere  generale,  non  siano
immediatamente lesivi. 
    E'  noto,  infatti,  che  il  principio  secondo  cui  le   norme
regolamentari vanno impugnate unitamente all'atto  applicativo  trova
eccezione per i provvedimenti che presentano un carattere specifico e
concreto, risultando idonei,  come  tali,  ad  incidere  direttamente
nella  sfera  giuridica  degli   interessati,   a   decorrere   dalla
pubblicazione nelle forme previste dalla legge (TAR Lazio,  sez.  I^,
12 aprile 2011, n. 3202 cfr. anche, da ultimo, Cons.  St.,  sez.  VI,
4.12.2012, n. 6208).). 
    Nel caso di specie, i decreti del MEF del 16.11.2013 e 12.2.2014,
nonche'  le  disposizioni  applicative   e   interpretative   dettate
dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, appaiono idonei ad incidere
direttamente sull'attivita'  d'impresa  svolta  dalle  ricorrenti  in
quanto, da un lato, attuano la previsione della fonte primaria  nella
parte  in  cui  ne  vieta  lo   svolgimento   senza   la   prescritta
autorizzazione  e  la  sottopone  ad  un  nuovo  regime   impositivo;
dall'altro,  "conformano"  la   medesima   attivita',   mediante   la
disciplina di una serie di adempimenti amministrativi e/o  contabili,
finalizzati all'assolvimento dell'obbligazione tributaria, 
    2.3. Le considerazioni teste'  svolte  consentono  di  respingere
anche l'eccezione relativa al sopravvenuto  difetto  di  interesse  a
ricorrere  delle  imprese  che  non  hanno  presentato   domanda   di
autorizzazione. 
    E' evidente, infatti, che il cuore della impugnativa riguarda  la
stessa introduzione di un regime di autorizzazione per una attivita',
in precedenza libera, nonche' degli obblighi tributari  cui  siffatto
regime e' correlato. 
    Per la stessa ragione, la circostanza che il  d.m.  del  12.2.204
abbia semplificato il procedimento di autorizzazione, ovvero  che  la
circolare del 21.1.2014 abbia (in ipotesi) chiarito  che  i  prodotti
"accessori", non sono  soggetti  all'imposta,  non  appare  idonea  a
determinare la cessazione della materia del contendere. 
    A cio' si aggiunga che tali ulteriori  provvedimenti  sono  stati
impugnati con motivi aggiunti, sia per vizi propri,  sia  in  quanto,
per usare l'espressione delle ricorrenti, essi in realta' "perpetuano
e  confermano"  le  stesse  illegittimita'  che  gia'  affliggono   i
provvedimenti gravati con ricorso principale. 
    3. Nel merito, nell'ordine logico delle  questioni,  il  Collegio
reputa necessario affrontare preliminarmente  la  questione  relativa
alla "compatibilita' comunitaria" dell'art. 62-quater del  d.lgs.  n.
504 del 1995, introdotto dall'art. 11, comma 22, D.L. 28 giugno 2013,
n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99. 
    Infatti,  secondo  quanto  chiarito  dalla  Corte  costituzionale
(sentenza   n.   319   del   26.7.1996),   ove   una   questione   di
costituzionalita'  sia  fondata  sull'interpretazione  di  una  norma
comunitaria, prima di una eventuale rimessione alla Consulta  occorre
che il contenuto  delle  norme  poste  dalle  fonti  comunitarie  sia
compiutamente  e  definitivamente  individuato  secondo   le   regole
all'uopo dettate da quell'ordinamento. 
    Al riguardo, deve pero' anche ricordarsi che il giudice nazionale
non e' tenuto a chiedere una decisione pregiudiziale  alla  Corte  di
Giustizia  se  la  normativa  comunitaria  non  dia  adito  ad  alcun
ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla  questione  sollevata
(Corte di Giustizia CE, 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit). 
    3.1. L'imposta introdotta dall'art. 11, comma 22, D.L. 28  giugno
2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9  agosto  2013,
n. 99, appartiene al novero delle imposte speciali  sui  consumi,  le
quali,  a  differenza  dell'IVA,  non  hanno  carattere  generale  ma
colpiscono una determinata categoria di beni o servizi. 
    Esse si caratterizzano,  altresi',  per  la  struttura  monofase,
diventando esigibili in un unico momento  dettagliatamente  descritto
dalla  normativa  di  riferimento  (cfr.  Corte  cost.,  sentenza  n.
185/2011). 
    Nell'ordinamento italiano, la disciplina delle  accise  (e  delle
altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi) e'  contenuta
in larga parte nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo
unico delle disposizioni legislative  concernenti  le  imposte  sulla
produzione   e   sui   consumi   e   relative   sanzioni   penali   e
amministrative), piu' volte modificato  ed  integrato  in  attuazione
delle direttive comunitarie che hanno disciplinato la materia. 
    Da ultimo, il decreto legislativo 29 marzo 2010, n.  48  (recante
"Attuazione della direttiva 2008/118/CE relativa al  regime  generale
delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE") ha provveduto, fra
l'altro, a modificare le  norme  collegate  al  fatto  generatore  ed
all'esigibilita'  dell'accisa,  di  cui   alla   relativa   direttiva
comunitaria. 
    La  disciplina  generale  delle   imposizioni   indirette   sulla
produzione e sui  consumi,  diverse  dalle  accise  disciplinate  dai
Titoli I e II del TUA (ovvero le imposte indirette diverse da  quelle
sulla produzione o sul consumo dei prodotti  energetici,  dell'alcole
etnico e  delle  bevande  alcoliche,  dell'energia  elettrica  e  dei
tabacchi lavorati), e' contenuta nell'art. 61 del cit. d.lgs. 
    In particolare,  secondo  tali  disposizioni,  "a)  l'imposta  e'
dovuta sui prodotti immessi in consumo  nel  mercato  interno  ed  e'
esigibile con l'aliquota vigente alla data in  cui  viene  effettuata
l'immissione in consumo" mentre obbligato al  pagamento  dell'imposta
e' "il fabbricante per  i  prodotti  ottenuti  nel  territorio  dello
Stato", ovvero " il soggetto che  effettua  la  prima  immissione  in
consumo per i prodotti di  provenienza  comunitaria",  ovvero  ancora
"l'importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi". 
    L'immissione in consumo si verifica: 
        "1) per i prodotti nazionali, all'atto della cessione sia  ai
diretti utilizzatori o consumatori sia a ditte esercenti il commercio
che ne effettuano la rivendita; 
        2) per i prodotti di provenienza  comunitaria,  all'atto  del
ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente  ovvero  nel
momento in cui si considera  effettuata,  ai  fini  dell'imposta  sul
valore aggiunto, la cessione, da parte  del  venditore  residente  in
altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti  che  agiscono
nell'esercizio di una impresa, arte o professione; 
        3) per i prodotti di provenienza  da  Paesi  terzi,  all'atto
dell'importazione; 
        4) per i prodotti che risultano mancanti alle verifiche e per
i quali non e' possibile accertare il regolare esito, all'atto  della
loro constatazione; 
        [...]". 
    Appare  anche  utile  precisare,   relativamente   ai   "prodotti
succedanei dei prodotti da fumo" che  gli  adempimenti  fiscali  sono
disciplinati con esplicito richiamo al regime del deposito fiscale in
materia di accise. 
    L'art.  62-quater  del  TUA  prevede  poi  non  gia'  un  "regime
tariffario",  cosi'  come  assunto  dalle  ricorrenti,  bensi',  piu'
semplicemente, istituisce,  una  procedura  "per  la  variazione  dei
prezzi di vendita al pubblico dei prodotti". 
    In  concreto,  l'art.  4  del  d.m.  16.11.  2013  prescrive   la
"preventiva  iscrizione   in   apposito   tariffario   disposta   con
provvedimento  dell'Agenzia"  del  prezzo  di  vendita  al   pubblico
comunicato dal soggetto autorizzato alla commercializzazione. 
    In  ambito  comunitario,  come  gia'  accennato,   la   direttiva
2008/118/CE, oltre a disciplinare il regime  generale  delle  accise,
stabilisce alcuni principi fondamentali in ordine all'imposizione sui
"prodotti diversi dai prodotti sottoposti  ad  accisa",  al  fine  di
garantire il corretto funzionamento del mercato interno. 
    Le accise c.d. "armonizzate" riguardano esclusivamente: 
        a) prodotti energetici ed elettricita' di cui alla  direttiva
2003/96/CE; 
        b) alcole e bevande alcoliche di cui alle direttive 92/83/CEE
e 92/84/CEE; 
        c)  tabacchi  lavorati  di  cui  alle   direttive   95/59/CE,
92/79/CEE e 92/ 80/CEE. 
    Relativamente ai prodotti gia' sottoposti ad  accisa,  l'art.  1,
par. 2, della direttiva stabilisce  che  "Gli  Stati  membri  possono
applicare ai prodotti sottoposti ad accisa  altre  imposte  indirette
aventi finalita' specifiche, purche' tali imposte siano conformi alle
norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o  per  l'imposta
sul  valore  aggiunto  in  materia  di  determinazione   della   base
imponibile, calcolo, esigibilita' e controllo dell'imposta". 
    Relativamente ai prodotti "diversi  dai  prodotti  sottoposti  ad
accisa", gli Stati membri  rimangono  tuttavia  liberi  di  applicare
altre forme di imposizione purche' l'applicazione di tali imposte non
comporti  "negli  scambi  tra  Stati  membri,   formalita'   connesse
all'attraversamento delle frontiere" (art. 1, par. 3). 
    In sostanza, le norme comunitarie consentono agli Stati membri di
introdurre altre forme di imposizione indiretta sui  prodotti  per  i
quali gia'  sussiste  un'accisa  armonizzata  nonche'  di  introdurre
accise non armonizzate. 
    E' significativo che l'ordinamento comunitario, per  non  privare
gli Stati membri di un  efficace  strumento  di  politica  economica,
abbia lasciato ad essi ampio margine di  discrezionalita'  sia  nella
scelta delle aliquote delle accise armonizzate (essendo previste solo
aliquote  minime),  sia  nell'istituire  prelievi  aventi  specifiche
finalita' quand'anche gravanti su prodotti gia'  soggetti  ad  accisa
armonizzata. 
    A cio' si aggiunge la possibilita' di tassare la produzione o  il
consumo di beni estranei al processo di armonizzazione, la quale  non
e' legata alla necessita' di perseguire specifiche finalita' ma  puo'
essere giustificata anche soltanto da esigenze di bilancio. 
    3.2. La disamina della  normativa  comunitaria  applicabile  alla
fattispecie consente di confutare agevolmente l'affermazione di parte
ricorrente secondo cui  la  disciplina  generale  delle  imposte  sui
consumi sarebbe integralmente riservata alla fonte comunitaria. 
    Il processo di  armonizzazione,  per  quanto  qui  interessa,  ha
infatti  riguardato  esclusivamente  (oltre  l'imposta   sul   valore
aggiunto)  le  accise  gravanti  su  alcol,   tabacchi   e   prodotti
energetici. 
    Inoltre, poiche' i "prodotti succedanei dei prodotti da fumo" non
sono sottoposti ad accisa, l'imposta speciale  di  consumo  istituita
dallo  Stato  italiano  non  deve  osservare  i  requisiti   previsti
dall'art. 1, par. 2, della  direttiva  2008/118/CE,  bensi'  soltanto
quelli del par. 3 del medesimo articolo. 
    Non e' necessario, cioe', che l'imposizione abbia  una  finalita'
specifica, ne' che essa rispetti le regole di imposizione applicabili
ai fini dell'Iva o delle accise  armonizzate  per  la  determinazione
della base imponibile, il calcolo,  l'esigibilita'  ed  il  controllo
dell'imposta. 
    A parere del Collegio, non vi e', poi, neanche  violazione  della
Direttiva 2006/112/CE relativa  al  sistema  di  imposta  comune  sul
valore aggiunto. 
    Ai sensi dell'art. 401  le  disposizioni  di  siffatta  direttiva
consentono ad uno Stato membro di mantenere o introdurre "imposte sui
contratti di assicurazione, imposte sui  giochi  e  sulle  scommesse,
accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa",  a
condizione che esse non abbiano il carattere di  imposta  sul  volume
d'affari (e che non diano luogo "negli scambi  fra  Stati  membri,  a
formalita' connesse con il passaggio di una frontiera"). 
    Le caratteristiche essenziali dell'imposta  sul  valore  aggiunto
sono le seguenti. 
    L'IVA si applica in  modo  generale  alle  operazioni  aventi  ad
oggetto beni o servizi; e' proporzionale a detti beni  e  servizi,  a
prescindere dal numero di operazioni effettuate;  viene  riscossa  in
ciascuna fase del procedimento  di  produzione  e  distribuzione;  si
applica sul valore  aggiunto  dei  beni  e  dei  servizi,  in  quanto
l'imposta dovuta in  occasione  di  una  operazione  viene  calcolata
previa detrazione di quella  che  e'  stata  versata  all'atto  della
precedente operazione (cfr., in materia, Corte di Giustizia, sentenza
9 marzo 2000, in causa C-437/97, Wien  e  Wein  &  Co.  HandelsgesmbH
contro Oberösterreichische Landesregierung). 
    Nel caso oggi in rilievo, invece, l'imposta: 
        - e' destinata a colpire un bene specifico; 
        - e' a struttura monofase, in  quanto  diviene  esigibile  al
momento dell'immissione in consumo e  non  vi  e'  un  meccanismo  di
deduzione analogo a quello dell'IVA; 
        - concorre  essa  stessa  a  formare  il  valore  finale  del
prodotto per cui l'IVA (come avviene nei prodotti soggetti ad accisa)
grava anche sulla stessa imposta; 
        - non e' a rivalsa obbligatoria, ne' e' vero che  un  effetto
analogo si avrebbe a causa della sottoposizione del  prodotto  ad  un
regime tariffario in  quanto,  come  in  precedenza  evidenziato,  le
imprese rimangono, almeno sul piano giuridico -  formale,  libere  di
fissare il prezzo di vendita del prodotto e quindi  di  scegliere  in
quale misura traslarne il peso sul consumatore. 
    Non vi e', infine, contrasto con altre norme dei Trattati  ovvero
con principi di carattere generale. 
    In particolare: 
        - non e'  violato  l'art.  30  del  TFUE  ("i  dazi  doganali
all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente
sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica  anche  ai
dazi doganali di carattere fiscale"), in quanto l'imposta si  applica
tanto  ai  prodotti  nazionali  quanto  a   quelli   di   provenienza
comunitaria; 
        - non sono violati gli artt. 34 e 35, relativi al divieto  di
restrizioni  quantitative  all'importazione   e/o   all'esportazione,
ovvero di qualsiasi misura di effetto equivalente, in  quanto,  anche
in questo caso, l'imposta si applica a tutti i  prodotti  immessi  in
commercio nel territorio dello Stato; 
        - non e' violato il principio di non discriminazione  di  cui
all'art.  110  ("Nessuno  Stato   membro   applica   direttamente   o
indirettamente ai  prodotti  degli  altri  Stati  membri  imposizioni
interne,  di  qualsivoglia  natura,  superiori  a  quelle   applicate
direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari [...]"),
in quanto l'imposta che si applica ai prodotti comunitari e' uguale a
quella che si applica sui prodotti nazionali. 
    3.3. In definitiva, reputa il Collegio che l'art.  62-quater  del
TUA, non debba essere disapplicato  in  quanto  incompatibile  con  i
parametri comunitari evocati e  che,  comunque,  non  sia  necessario
rimettere alla Corte di Giustizia la  questione  pregiudiziale  posta
dalle ricorrenti. 
    4. Tanto premesso, in ordine all'ammissibilita' e  procedibilita'
del  ricorso,  nonche'  all'insussistenza   di   profili   idonei   a
giustificare la disapplicazione dell'art. 62-quater del  TUA,  appare
tuttavia rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale della  medesima  disposizione,  questione
che il Collegio intende sollevare, d'ufficio, nei termini di  seguito
indicati. 
    4.1. Innanzitutto, in punto di rilevanza  della  questione,  deve
premettersi che i provvedimenti  impugnati  vengono  censurati  nella
parte  in  cui  gli  stessi,  senza  curarsi  di  specificare   quali
prodotti, o sostanze  possano  essere  considerati  "succedanei"  del
tabacco, hanno assoggettato a regime autorizzativo,  tariffario  (nei
sensi in precedenza specificati) e all'imposta di consumo: 
        - qualsiasi  sostanza  liquida  e  vaporizzabile,  anche  non
contenente nicotina; 
        -  qualsiasi   dispositivo   necessario   a   consentire   la
vaporizzazione, a prescindere dal fatto che  essa  abbia  ad  oggetto
sostanze   contenenti   nicotina    o,    comunque,    oggettivamente
qualificabili come succedanee del tabacco; 
        - prodotti accessori e strumentali, aventi uso promiscuo. 
    Pure oggetto di rilievi e' la circostanza  che  l'amministrazione
abbia stabilito la data del 1° gennaio 2014 per l'entrata  in  vigore
del regime autorizzatorio, come pure il fatto  che  non  siano  state
previste adeguate norme transitorie. 
    Tali disposizioni, pero', rappresentano  soltanto  la  pedissequa
riproduzione del contenuto della fonte primaria, la quale,  al  comma
1, ha previsto che "A  decorrere  dal  1°  gennaio  2014  i  prodotti
contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed  elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne  consentono  il  consumo,  sono
assoggettati ad imposta di consumo nella  misura  pari  al  58,5  per
cento del prezzo di vendita al pubblico",  mentre,  al  comma  2,  ha
assoggettato la commercializzazione "dei prodotti di cui al comma 1",
alla "preventiva autorizzazione da parte dell'Agenzia delle dogane  e
dei monopoli nei confronti di soggetti  che  siano  in  possesso  dei
medesimi requisiti stabiliti, per la gestione dei depositi fiscali di
tabacchi lavorati [...]". 
    E' bene  anche  sottolineare  che  e'  il  legislatore  ad  avere
direttamente  individuato  il  presupposto  di  imposta  e  la   base
imponibile (quest'ultima rappresentata dai prodotti "succedanei"  dei
prodotti da fumo, secondo la definizione recata dal comma 1),  mentre
alla fonte secondaria e' stato rimesso soltanto  di  disciplinare  il
"contenuto e le  modalita'  di  presentazione  dell'istanza  ai  fini
dell'autorizzazione di cui al comma 2, le procedure per la variazione
dei prezzi di vendita al pubblico dei prodotti di  cui  al  comma  1,
nonche' le modalita' di prestazione della cauzione di cui al comma 3,
di tenuta dei registri  e  documenti  contabili,  di  liquidazione  e
versamento dell'imposta di  consumo,  anche  in  caso  di  vendita  a
distanza, di comunicazione degli esercizi che effettuano  la  vendita
al pubblico, in conformita', per quanto applicabili, a quelle vigenti
per i tabacchi lavorati". 
    Non era quindi nel potere  del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze  ne'  di  specificare  quali   prodotti   debbano   ritenersi
"succedanei" dei prodotti da fumo, ne' di stabilire una data  diversa
dal 1° gennaio  2014,  per  l'entrata  in  vigore  del  nuovo  regime
autorizzatorio ed impositivo. Al riguardo, e'  poi  agevole  rilevare
che, sebbene l'art. 62-quater non stabilisca espressamente la data  a
partire dalla  quale  la  commercializzazione  dei  "succedanei"  dei
prodotti da fumo richiede il possesso dell'autorizzazione,  essa  non
puo' che coincidere con l'entrata in vigore del regime impositivo  in
quanto l'unico  fine  dell'autorizzazione,  cosi'  come  strutturata,
appare quello strumentale alla vigilanza fiscale. 
    Da tale assetto deriva che i principali vizi dedotti  -  relativi
all'ambito oggettivo di  applicazione  dell'imposta  e  del  connesso
regime autorizzativo, alla determinazione  della  base  imponibile  e
all'introduzione di una aliquota indifferenziata -  non  possono  che
risolversi nella questione di legittimita' costituzionale della norma
citata, nella parte in cui: 
        - ha assoggettato alla  preventiva  autorizzazione  da  parte
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la  commercializzazione  dei
prodotti "succedanei dei prodotti da fumo", definiti come i "prodotti
contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed  elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo"; 
        - ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i  medesimi
prodotti "ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5  per  cento
del prezzo di vendita al pubblico". 
    4.2.  Relativamente  alla  non   manifesta   infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale, il Collegio osserva  quanto
segue. 
    4.2.1. L'applicazione delle accise e,  piu'  in  generale,  delle
imposte sui consumi, puo' avere non solo funzione di gettito fiscale,
ma anche perseguire finalita' extrafiscali, strumentali a  scelte  di
carattere politico-economico. 
    La finalita' delle imposte speciali sui consumi  puo'  essere  in
particolare quella di disincentivare il consumo di beni che  generano
esternalita' negative a danno della  collettivita',  ovvero  soltanto
quella di aumentare le entrate pubbliche  senza  eccessivi  costi  di
accertamento e di riscossione. 
    Sul  piano  economico,  e  dal  punto  di  vista  della   equita'
distributiva, esse hanno effetti regressivi o progressivi  a  seconda
delle tipologie di consumo e della elasticita' delle curve di domanda
e di offerta. 
    Nel caso di beni voluttuari, come l'alcol e il tabacco, e'  stato
rilevato ad esempio che, trattandosi di beni che generano dipendenza,
i consumatori non riescono a decidere la quantita' di consumo in modo
razionale, con la conseguenza che, a parita' dell'onere tributario, i
soggetti a basso  reddito  percepiscono  un  sacrificio  dell'imposta
maggiore rispetto ai soggetti ad alto reddito. 
    L'imposta speciale sul consumo di beni voluttuari di questo  tipo
avrebbe percio' ragione d'essere soltanto se finalizzata a ridurre il
consumo di tali beni e  non  anche  per  la  loro  qualita'  di  beni
secondari o di lusso. 
    Dal  punto  di  vista  giuridico  -  costituzionale,  si  e'  poi
osservato che il presupposto giuridico-formale delle accise  e  delle
imposte sui consumi, e cioe' il fatto  del  consumo,  puo'  includere
elementi patrimoniali non utilizzabili per adempiere all'obbligazione
tributaria,  ma  solo  spendibili  per  soddisfare  il  bisogno   dei
contribuenti. 
    Il consumo, di per se', non costituisce quindi  indice  certo  di
capacita' economica in quanto, perche' sia  tale,  occorre  presumere
che esso sia posto in essere con mezzi derivanti da  un  reddito,  o,
comunque, con una ricchezza propria. 
    Inoltre e' difficile stabilire quando, in quali condizioni  e  in
quale misura il carico fiscale si trasferisca  effettivamente  da  un
soggetto all'altro, essendo molteplici le  variabili  economiche,  le
forze e le condizioni di mercato da cui dipende la traslazione. 
    Pertanto,  per  quanto  concerne  l'imposizione  indiretta,   una
rigorosa  applicazione  del  principio  di  capacita'   contributiva,
espresso dall'art.  53,  comma  1,  Cost.,  condurrebbe  a  ravvisare
l'illegittimita'  costituzionale  di  gran  parte  delle  fattispecie
assunte a presupposto di tale forma di imposizione. 
    Secondo parte della dottrina, tuttavia, la capacita' contributiva
richiesta dall'art. 53, comma 1, Cost., per  realizzare  il  concorso
alle spese pubbliche, non deve essere esclusivamente intesa come  una
capacita' espressa da presupposti che richiedono  anche  elementi  di
patrimonialita'  (nel  senso  della  necessaria  identificazione  del
cosiddetto indice di potenzialita' economica con  il  patrimonio  del
soggetto passivo dell'obbligazione tributaria)  bensi'  in  un'ottica
meramente distributiva, in  cui  il  soggetto  passivo  d'imposta  e'
scelto  indipendentemente  dalla  sua  forza  economica  a  contenuto
patrimoniale e in cui il raggiungimento dell'obiettivo della  "giusta
imposta" e' affidato conseguentemente al solo rispetto del  principio
di ragionevolezza previsto dall'art. 3 cost. e presupposto  dall'art.
53 comma 1 cost. 
    In sostanza, definendo  la  funzione  fiscale  come  una  vera  e
propria funzione di riparto del carico pubblico tra i  consociati  si
consente al legislatore ordinario di assumere, quali soggetti passivi
di imposta idonei a concorrere alle pubbliche spese, anche coloro che
pongono in essere presupposti aventi una rilevanza economico-sociale,
ma non necessariamente anche patrimoniale. 
    L'importante e' che, come ritenuto  dalla  Corte  costituzionale,
tali presupposti siano  oggettivamente  rilevabili,  si  prestino  ad
essere comparati con altre situazioni fiscalmente rilevanti  e  siano
pur sempre misurabili economicamente. 
    Ad esempio, secondo  Corte  cost.  n.  102/93,  che  richiama  la
sentenza n. 201 del 1975, per capacita' contributiva "deve intendersi
l'idoneita' soggettiva  all'obbligazione  d'imposta,  deducibile  dal
presupposto al quale la prestazione e' collegata senza che spetti  al
giudice della legittimita'  delle  leggi  alcun  controllo,  se  non,
ovviamente,  sotto   il   profilo   dell'assoluta   arbitrarieta'   o
irrazionalita' delle norme". 
    In tali pronunce (ma cfr. anche 16 giugno 1964, n. 45, 28  luglio
1976, n. 200, 11 luglio 1989, n. 387) si afferma che il principio  di
capacita' contributiva risponde all'esigenza di  garantire  che  ogni
prelievo  tributario   abbia   causa   giustificatrice   in   "indici
concretamente rilevatori di ricchezza" dai quali  sia  "razionalmente
deducibile l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta". 
    Queste sentenze vanno  poi  lette  in  sintonia  con  quelle  che
riconoscono  la  legittimita'  costituzionale  di   presupposti   che
esprimono una capacita' contributiva in termini di mera potenzialita'
economica. 
    Ad esempio, secondo la sentenza n. 156/2001 (in materia di Irap),
"rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il  solo  limite
della  non  arbitrarieta',  la  determinazione  dei   singoli   fatti
espressivi della capacita'  contributiva  che,  quale  idoneita'  del
soggetto  all'obbligazione  di  imposta,  puo'  essere   desunta   da
qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente  dal
reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143
del 1995, n. 159 del 1985)". 
    In pratica, l'art.  53,  comma  1  viene  applicato  dalla  Corte
costituzionale in maniera  congiunta  con  l'art.  3,  "assumendo  il
principio di uguaglianza quale regola fondamentale ed autosufficiente
di congruita' che prevale su ogni altra regola attinente  ai  criteri
di riparto dei carichi pubblici". 
    Secondo tale giurisprudenza, e la  dottrina  cui  si  ispira,  il
legislatore "deve operare il riparto del carico  pubblico  secondo  i
criteri di coerenza interna, non  contraddittorieta',  adeguatezza  e
non arbitrarieta'  assicurando  che  a  situazioni  di  fatto  uguali
corrispondano  uguali  regimi  impositivi  e,   correlativamente,   a
situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale". 
    4.2.2.   Alla   luce   delle   coordinate   ermeneutiche   teste'
sintetizzate, il Collegio reputa non condivisibile, in  primo  luogo,
la prospettazione delle ricorrenti secondo  cui  l'equiparazione  del
trattamento  fiscale  delle  sigarette  elettroniche  a  quello   dei
tabacchi  lavorati,  determini  una  violazione  del   principio   di
uguaglianza per il fatto che essi costituirebbero beni oggettivamente
non assimilabili tra loro. 
    Come gia' chiarito, da un punto di vista giuridico - formale,  le
imposte speciali sui consumi possono colpire qualunque bene  che  non
sia gia'  sottoposto  ad  accisa,  e  cio'  anche  al  solo  fine  di
incrementare le entrate del bilancio dello Stato. 
    Inoltre, allo stato, non vi e'  ancora  una  definitiva  certezza
scientifica circa il fatto che la sigaretta elettronica non  presenti
alcun rischio per la salute  dell'uomo,  ovvero  che  costituisca  un
presidio utile alla disassuefazione dal tabagismo. 
    Al riguardo, va detto pero' che non convince nemmeno la posizione
della   difesa   erariale   secondo   cui   la   principale   ragione
dell'intervento legislativo in esame risiederebbe nella tutela  della
salute dei consumatori e nel principio di precauzione. 
    Negli atti governativi  e  parlamentari  (in  particolare,  nella
relazione illustrativa al d.d.l. di conversione  del  decreto-legge),
si rinviene  infatti  soltanto  il  riferimento  alla  necessita'  di
salvaguardare  le  erariali  derivanti  dal  consumo   dei   tabacchi
lavorati, mentre, nel contesto del medesimo intervento normativo,  la
tutela   dei   consumatori   viene   piu'   opportunamente   affidata
all'attivita' di "monitoraggio" da parte del Ministero  della  Salute
"sugli effetti dei prodotti succedanei dei prodotti  da  fumo"  (art.
11, comma 23, del d.l. n. 76/2013, come  modificato  dalla  legge  di
conversione, che ha inserito un comma 10-bis nell'art. 51 della legge
16 gennaio 2003, n. 3). 
    4.2.3.  Le  ricorrenti  hanno   poi   sostenuto   che   l'entita'
dell'imposizione sarebbe arbitraria e che non vi sarebbe  proporzione
rispetto al suo presupposto economico in quanto  la  possibilita'  di
trasferire  il  peso  dell'imposta  sul  rivenditore  finale,  o  sul
consumatore, rimane condizionata alla  capacita'  del  produttore  di
includere la quota dell'imposta nel prezzo del  prodotto  immesso  in
consumo. 
    E' tuttavia evidente che se il legislatore, nell'esercizio  della
potesta' tributaria, fosse vincolato alle regole del mercato,  nessun
bene potrebbe mai  essere  assoggettato  alle  imposte  speciali  sui
consumi. 
    Si e' inoltre gia' rilevato che, per capacita' contributiva, deve
intendersi  "l'idoneita'   soggettiva   all'obbligazione   d'imposta,
deducibile dal presupposto al  quale  la  prestazione  e'  collegata"
(Corte cost., sentenza n. 102/93, cit.). 
    Nel caso di specie, l'indice rilevatore di capacita' contributiva
e' costituito dalla percezione del prezzo di vendita  dei  succedanei
del tabacco, in relazione al quale non puo' dubitarsi  dell'idoneita'
del soggetto colpito (e non gia' di quello effettivamente  inciso)  a
far fronte all'obbligo tributario. 
    E'  comunque  rimasto  indimostrato   che   l'imposta   determini
l'annullamento   dei   margini   di   utile   e   quindi   l'assoluta
impossibilita', o  estrema  difficolta',  di  esercitare  l'attivita'
economica in esame. 
    4.2.4. Cio' posto, il  vizio  di  fondo  della  normativa  recata
dall'art. 62-quater del TUA, nella parte di interesse nella  presente
controversia, consiste,  a  parere  del  Collegio,  nella  violazione
dell'art. 3 della Carta fondamentale, per l'intrinseca irrazionalita'
di una disposizione che non individua in  maniera  oggettiva,  ovvero
secondo categorie tecnico - giuridiche, i  "prodotti  succedanei  dei
prodotti da fumo" colpiti dall'imposta. 
    Come noto, con la nozione di "bene succedaneo" si fa  riferimento
ad un bene idoneo a sostituirne altri per soddisfare un bisogno o  un
impiego. 
    Si  tratta,  percio',  di  un  concetto  di  natura  empirico   -
economica, che riflette le preferenze "soggettive" dei consumatori. 
    Nel caso di specie, occorre altresi' considerare che,  come  bene
evidenziato   dalle   ricorrenti,   il   comparto   delle   sigarette
elettroniche non ha ancora, nemmeno in sede comunitaria, una  precisa
qualificazione merceologica, ne' vi e'  una  normativa  di  carattere
tecnico alla quale l'art. 62-quater possa, anche solo implicitamente,
rinviare. 
    Per quanto riguarda, poi, la proposta di direttiva sul tabacco  e
"prodotti correlati" approvata dal Parlamento Europeo il 26  febbraio
2014 (e  dal  Consiglio  in  data  14  marzo  2014),  particolarmente
enfatizzata dalla difesa erariale, va osservato che, allo  stato,  si
tratta di norme non  ancora  vigenti,  non  direttamente  applicabili
nell'ordinamento interno e,  comunque,  successive  all'adozione  del
d.l. n. 76/2013. 
    Inoltre,  siffatta  normativa,  sebbene  contenga  una  analitica
definizione della sigaretta elettronica,  (cfr.  l'art.  2,  n.  16),
disciplina i soli prodotti contenenti nicotina e rimette  agli  Stati
membri "la responsabilita' di adottare norme sugli aromi", nonche' di
motivare  e  di  notificare  "qualsiasi  divieto  di  tali   prodotti
aromatizzati", in  conformita'  a  quanto  previsto  dalla  direttiva
98/34/CE (considerando n. 47). 
    In assenza di una autonoma definizione legislativa della  nozione
di "prodotto succedaneo", rilevante sul piano  giuridico  -  formale,
l'individuazione delle "sostanze idonee a sostituire il  consumo  dei
tabacchi lavorati" rimane del tutto incerta. 
    Parimenti incerta ed opinabile appare anche l'individuazione  dei
prodotti che "consentono" il  consumo  dei  succedanei  del  tabacco,
potendo, in tale generica nozione, essere ricompresa tutta una  serie
di beni di natura promiscua il cui  uso  non  e'  necessariamente  ed
esclusivamente   strumentale   al   fumo   elettronico   e   la   cui
commercializzazione, in altri settori, e' del tutto libera. 
    Si spiega cosi', ad esempio, la  contraddittorieta'  delle  prime
indicazioni operative contenute nelle  circolari  dell'Agenzia  delle
Dogane e dei Monopoli le quali, pur escludendo che prodotti accessori
come caricabatterie e custodie siano assoggettati all'imposta,  hanno
comunque stabilito che, qualora il prezzo  di  vendita  del  prodotto
"succedaneo"   comprenda   anche   gli   accessori,   esso   concorre
integralmente a formare la base imponibile. 
    Ulteriore conseguenza dell'imprecisa formulazione della  norma  e
della mancanza  di  criteri  atti  ad  individuare  con  certezza  le
componenti della base imponibile, e'  la  previsione  di  un'aliquota
indifferenziata, idonea a gravare con lo  stesso  peso  su  tutta  la
filiera del fumo elettronico e, come detto, anche su prodotti ad  uso
promiscuo. 
    Tutte le incongruenze rilevate sono dovute alla  circostanza  che
la finalita' perseguita (quella di recuperare la perdita  di  gettito
sui tabacchi lavorati derivante dal mutamento  delle  preferenze  dei
consumatori), e' stata direttamente trasposta nella costruzione della
fattispecie e sostituita all'oggetto dell'imposizione. 
    A cio' si aggiunga che il legislatore non ha nemmeno ritenuto  di
conferire all'autorita' amministrativa, mediante la  formulazione  di
criteri direttivi, il potere di integrare  il  precetto  normativo  e
quindi di chiarire l'ambito di applicazione dell'imposta. 
    Come gia' in precedenza evidenziato,  alla  fonte  secondaria  e'
stato rimesso soltanto di disciplinare il procedimento autorizzatorio
nonche'  le  fasi   di   accertamento,   versamento   e   riscossione
dell'imposta. 
    Per  altro  verso,  in  assenza  di  un  contenuto   prescrittivo
sufficientemente  determinato,  e   quindi   di   una   valida   base
legislativa,  l'amministrazione  e'  stata  lasciata  sostanzialmente
libera di includere (o meno) nella base imponibile qualsivoglia bene,
che, secondo  il  suo  insindacabile  apprezzamento,  venga  ritenuto
idoneo a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati. 
    Ne consegue la violazione non solo dei gia'  richiamati  principi
di eguaglianza e ragionevolezza in materia tributaria, ma anche della
riserva relativa di legge in materia  di  prestazioni  imposte  e  di
imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione, (cfr.,
sul punto, Corte cost., sentenza n. 350  del  26.10.2007  nonche'  n.
115/2011). 
    E' quasi inutile aggiungere che l'indeterminatezza  del  precetto
normativo lede anche il diritto di  libera  iniziativa  economica  in
quanto gli operatori del settore si  trovano  nell'impossibilita'  di
pianificare correttamente i propri  investimenti  e  di  adeguare  le
strutture aziendali alla nuova imposizione. 
    5.  Quanto  appena  argomentato  giustifica  la  valutazione   di
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli, 3, 23, 41  e
97  della  Costituzione,  dell'art.  62-quater  del  d.lgs.  n.  504,
introdotto dall'art. 11, comma  22,  D.L.  28  giugno  2013,  n.  76,
convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n.  99,  nella
parte in cui: 
        - ha assoggettato alla  preventiva  autorizzazione  da  parte
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la  commercializzazione  dei
prodotti "succedanei dei prodotti da fumo", definiti come i "prodotti
contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi lavorati nonche' i dispostivi meccanici ed  elettronici,
comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo"; 
        - ha sottoposto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i  medesimi
prodotti "ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5  per  cento
del prezzo di vendita al pubblico". 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione.