Ricorso proposto dalla regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1322 del 28 luglio 2014 (allegato n. 1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avuti Ezio Zanon (C.F. ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano e Luigi Manzi (C.F. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org, contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale», convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 giugno 2014, n. 143: 1) dell'art. 8, commi 4, 6, 10 per violazione degli articoli 3, 117, III e IV comma, 119 e 120 della Costituzione; 2) dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter per violazione degli articoli 3, 97, 117, III comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; 3) dell'art. 15 per violazione degli articoli 3, 97, 117, III comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; 4) dell'art. 24, comma 4, per violazione degli articoli 3, 97, 117, III comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; 5) dell'art. 41, comma 2, per violazione degli articoli 3, 97, 117, I, III e IV comma e 119 della Costituzione; 6) dell'art. 46, commi 6 e 7 per violazione degli articoli 3, 117, III e IV comma, 119 e 120 della Costituzione. M o t i v i 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi 4, 6, 10. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 46, commi 6 e 7. L'art. 8 (Trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi) del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, prevede al comma 4: «4. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, riducono la spesa per acquisti di beni e servizi, in ogni settore, per un ammontare complessivo pari a 2.100 milioni di euro per il 2014 in ragione di: a) 700 milioni di euro da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano; b) 700 milioni di euro, di cui 340 milioni di euro da parte delle province e citta' metropolitane e 360 milioni di euro da parte dei comuni; c) 700 milioni di euro, comprensivi della riduzione di cui al comma 11, da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Le stesse riduzioni si applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015.». L'art. 8, al comma 6 dispone poi: «6. La determinazione degli obiettivi di riduzione di spesa per le regioni e le province autonome e' effettuata con le modalita' di cui all'art. 46.». Al comma 10, l'art. 8 stabilisce, infine, che: «10 Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione del comma 4.». In questi termini l'art.8 prevede che le regioni ordinarie, quelle speciali e le province autonome di Trento e Bolzano riducano la spesa per acquisti di' beni e servizi, in ogni settore, in ragione di 700 milioni di euro per il 2014 e che le stesse riduzioni si applichino, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015. Va precisato che l'espressione «in ragione di anno»deve intendersi nel senso che l'obiettivo fissato per il 2014 e' riferito a otto mesi dell'anno, considerata la data di entrata in vigore del decreto-legge. Pertanto l'obiettivo per gli 2015 e seguenti e' rideterminato in aumento percentuale rispetto agli ulteriori mesi considerati nel 2014, raggiungendo un importo quasi doppio. La determinazione degli obiettivi di riduzione di spesa per le regioni e le province autonome, in base al rimando del comma 6, e' poi effettuata con le modalita' di cui all'art. 46 (commi 6 e 7). La connessione che lega, attraverso il comma 6, la disposizione del comma 4 dell'art. 8 con quella dell'art. 46, commi 6 e 7, ne rende pertanto opportuna la trattazione congiunta in questo motivo del ricorso. In particolare, i commi 6 e 7 dell'art. 46, nello stabilire le modalita' di riparto del contributo alla finanza pubblica, rinviano ad un'intesa che, tenendo conto anche del rispetto dei tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza degli acquisti centralizzati, deve essere raggiunta entro il 31 maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed entro il 31 ottobre 2014 con riferimento agli anni 2015 e seguenti. Piu' precisamente, tali disposizioni stabiliscono che: «6. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in conseguenza dell'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza pubblica introdotti dal presente decreto e a valere sui risparmi derivanti dalle disposizioni ad esse direttamente applicabili ai sensi dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 500 milioni di euro per l'anno 2014 e di 750 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, in ambiti di spesa e per importi proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e province autonome medesime, tenendo anche conto del rispetto dei tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza degli acquisti centralizzati, da recepire con Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed entro il 31 ottobre 2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza di tale Intesa entro i predetti termini, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, entro venti giorni dalla scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni e province autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente, e sono eventualmente rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. 7. Il complesso delle spese finali espresse in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna regione a statuto ordinario, di cui al comma 449-bis dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e' ridotto per ciascuno degli anni dal 2014 al 2017, tenendo conto degli importi determinati ai sensi del comma 6.». Tali complesse disposizioni degli articoli 8 e 46, realizzano nel loro insieme un sistema di tagli sulla spesa per acquisti di beni e servizi della regione che risulta costituzionalmente illegittimo sotto diversi profili, analiticamente esposti qui di seguito: a) innanzitutto il primo aspetto che deve essere considerato e' il carattere meramente lineare del taglio che viene imposto. Nessuna distinzione qualitativa viene, infatti, effettuata in merito all'obbligo di contenimento, in ogni settore, della spesa pubblica regionale per acquisti di beni e servizi. Questa viene, infatti, incisa da una misura dal carattere assolutamente generico, idoneo a ricomprendere non solo la cosiddetta spesa cattiva (quella spesa cioe' la cui riduzione, nell'ambito delle manovre e' senz'altro opportuna), ma anche la cosiddetta spesa buona; ad esempio, la misura di contenimento ricomprende (si veda Dossier n. 178 del 9 giugno 2014 - allegato n. 2 - del Servizio bilancio della Camera dei deputati, a pag. 47) sia la spesa corrente che quella in conto capitale (che dal 2009 in Italia, per l'effetto di manovre di taglio lineare analoghe a quella in oggetto si e' ridotta di circa 20 miliardi, che erano gestiti, per oltre il 70% a livello sub statale: si tratta di un dato sintomatico che evidenzia il perverso effetto prodotto dalle manovre che hanno scacciato la spesa buona e sono risultate poco efficaci sulla spesa cattiva). Inoltre, il taglio che viene realizzato e' potenzialmente idoneo a interferire in ambiti inerenti a fondamentali diritti civili e soprattutto sociali (date le competenze, ad esempio in materia di assistenza sociale, costituzionalmente assegnate alle regioni), dove lo Stato dovrebbe, invece, esplicare la propria fondamentale funzione di coordinamento attraverso la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, proprio al fine di evitare la messa a repentaglio quel livello di erogazione dei servizi che deve essere uniformemente garantito su tutto il territorio nazionale (sulla predeterminazione normativa da parte dello Stato dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali come strumento per garantire un uso corretto dei poteri regionali codesta ecc.ma Corte e' piu' volte intervenuta, si veda ad esempio gia' la sentenza n. 320 del 2004 fino alla recente sentenza n. 273 del 2013 dove si evidenzia la gravita' della inattuazione della individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale in materia che «costituiscono pertanto condizione necessaria ai fini della compiuta attuazione del sistema di finanziamento delle funzioni degli enti territoriali previsto dall'art. 119 Cost.»). Disponendo un taglio lineare in questi termini lo Stato non ha, invece, utilizzato alcun parametro idoneo a consentire una verifica sulla sostenibilita' del taglio stesso rispetto alla erogazione dei servizi - anche se appunto connessi a fondamentali diritti civili e sociali. Infine, la previsione non contiene alcun riferimento a livelli standard di spesa efficiente (solo per le amministrazioni statali l'art. 8 prevede, al comma 5, come criterio di virtuosita' quello di disporre gli acquisti ai prezzi piu' prossimi a quelli di riferimento ove esistenti), applicandosi in modo generalizzato alla totalita' delle regioni senza alcuna considerazione dei livelli di spesa storica sostenuti dalle singole regioni e senza alcuna valutazione sulla relativa appropriatezza (eppure i bilanci delle regioni riclassificati in modo omogeneo - permettendo quindi l'analisi delle singole voci di spesa - sono ormai disponibili dal 2009 in base alla previsione di cui all'art. 19-bis del decreto-legge n. 135 del 2009). In questo modo il taglio lineare e' potenzialmente idoneo, dal momento che nessuna verifica di sostenibilita' e' stata effettuata a livello centrale, a compromettere l'erogazione dei servizi soprattutto in quelle realta' regionali che hanno adottato da tempo misure di contenimento della spesa riducendola a livelli difficilmente ulteriormente comprimibili senza un vulnus al sistema dei servizi sociali. Ne' la previsione che la distribuzione del taglio, sia in termini di importo che di ambiti di spesa, sia rimessa in sede di autocoordinarnento dalle regioni a un'intesa vale a superare, come si vedra', le censure inerenti ad un illegittimo intervento sulla autonomia di spesa delle regioni (peraltro in sede di coordinamento con le regioni gli unici due criteri che vengono considerati sono il rispetto dei tempi di pagamento e il grado di centralizzazione degli acquisti, senza alcun riferimento, appunto, ne' alla sostenibilita' sociale dei tagli, ne' al grado di appropriatezza della spesa delle singole regioni). In questi termini le disposizioni impugnate travalicano la funzione del «coordinamento»della finanza pubblica e si concretizzano in misure di «contenimento»che risultano pero' prive degli indispensabili elementi di razionalita', di efficacia e di sostenibilita' che dovrebbero quantomeno informare tale funzione. Da questo punto di vista risultano violati: il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. con una diretta ricaduta sull'autonomia regionale che risulta limitata nella propria capacita' organizzativa e finanziaria; l'art. 117, III comma, in quanto e' indebitamente travalicata, da parte della disposizione della legge statale impugnata, la funzione di coordinamento della finanza pubblica; l'art. 119, e gli articoli 117, III e IV comma, in quanto e' indebitamente incisa l'autonomia di spesa della regione e conseguentemente anche la funzione legislativa della stessa che si deve svolgere nel rispetto degli equilibri di un quadro finanziario che viene illegittimamente alterato. La suddetta censura si estende anche al comma 10 che impone in ogni caso una quantificazione del taglio corrispondente a quanto stabilito dal comma 4; b) il secondo aspetto che deve essere considerato e' poi la natura permanente della riduzione di spesa. L'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 8, afferma, infatti, che «le stesse riduzioni si applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015». Codesta ecc. ma Corte costituzionale, nella sentenza n. 193 del 2012 (e nella successiva sentenza n. 79 del 2014) ha avuto modo di precisare con molta chiarezza l'incostituzionalita', per violazione dell'art. 119 Cost., di «misure restrittive in riferimento alle regioni ordinarie, alle province ed ai comuni senza indicare un termine finale di operativita' delle misure stesse», in quanto possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)». Il carattere permanente della misura di riduzione della spesa regionale ne inficia quindi certamente, alla luce della giurisprudenza costituzionale, la legittimita'. Non e' peraltro chiaro il raccordo, a questo riguardo, del comma 4 dell'art. 8 (che si conclude, come gia' ricordato, affermando: «le stesse riduzioni si applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015») con l'art. 46, commi 6 e 7, dove l'ambito di applicazione della misura di contenimento della spesa regionale viene precisato solo per l'anno 2014 e per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, senza alcun riferimento agli anni successivi. La circostanza e' stata evidenziata anche dal gia' citato Dossier n. 178 del 9 giugno 2014 (allegato n. 2) del Servizio bilancio della Camera dei deputati, dove a pag. 47 si afferma: «Si rileva, infine, che le norme recate dall'ultimo periodo del comma 4 stabiliscono che le riduzioni di spesa hanno natura permanente mentre l'art. 47 (46), che include le riduzioni di spesa recate dall'articolo in esame, fissa obiettivi di risparmio per gli enti territoriali solo fino al 2017. Appare, pertanto, necessario che il Governo chiarisca se la riduzione delle spese prevista dall'articolo in esame abbia natura permanente». In ogni caso, siccome le disposizioni dei commi 6 e 7 dell'art. 46, che sembrano limitare l'effetto in termini temporalmente circoscritti, hanno carattere meramente applicativo, non e' possibile ascrivere alle stesse la forza di stabilire un termine alla applicabilita' dello stesso comma 4 dell'art. 8. Il carattere permanente del taglio che deriva da tale disposizione risulta quindi violare sia la previsione dell'art. 117, III comma, sul coordinamento della finanza pubblica, sia l'autonomia di spesa della regione di cui all'art. 119 della Costituzione; c) un terzo aspetto che deve essere considerato e' infine quello, gia' prima accennato, inerente alla disciplina del riparto in sede di coordinamento regionale. L'art. 46, al comma 6, prevede infatti una intesa in sede di Conferenza permanente allo scopo di definire sia il riparto degli importi, sia i relativi ambiti di spesa (al riguardo si precisa che per il 2014 l'Intesa e' stata raggiunta in data 29 maggio 2014). Si prevede altresi' che tra i criteri da assumere a tale fine e in quella sede vengano in considerazione il rispetto dei tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE e l'incidenza degli acquisti centralizzati. Tuttavia, (ormai in relazione agli anni successivi a' 2014) qualora la suddetta intesa non venga raggiunta, l'art. 46, comma 6, dispone che, in tal caso, il riparto del taglio e i relativi ambiti siano definiti «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, entro venti giorni dalla scadenza dei predetti termini, ... tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente». In questa ipotesi, pertanto, i due criteri che vengono assunti dallo Stato per definire il riparto e gli ambiti del taglio vengono identificati nel Pil regionale e nella popolazione residente. E' di tutta evidenza non solo come tali criteri non abbiano una attinenza costituzionalmente corretta con lo scopo della norma che e' quello del coordinamento (rectius: contenimento) della spesa regionale, ma soprattutto che addossare, in questi termini, un maggiore onere alle regioni con un Pil piu' elevato travalica l'ambito dell'art. 119 della Costituzione. Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare con chiarezza nella sentenza n. 79 del 2014, in relazione all'art. 16 del decreto-legge n. 95 del 2012, che un taglio alle risorse regionali applicato in misura proporzionale anche alle spese sostenute per i consumi intermedi, nel senso di imporre maggiori riduzioni a quelle regioni che abbiano effettuato maggiori spese per i suddetti consumi intermedi, realizza «un effetto perequativo implicito, ma evidente, che discende dal collegare la riduzione dei trasferimenti statali all'ammontare delle spese per i consumi intermedi, intese quali manifestazioni, pur indirette, di ricchezza delle regioni». In questi termini la sentenza n. 79 del 2014 ha ritenuto che «una simile misura perequativa, tuttavia, contrasta con l'art. 119 Cost. in quanto non soddisfa i requisiti ivi prescritti, in particolare al terzo ed al quinto comma». Nel richiamare la propria consolidata giurisprudenza, la suddetta sentenza ha precisato, infatti, che «gli interventi statali fondati sulla differenziazione tra regioni, volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali, devono seguire le modalita' fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost., senza alterare i vincoli generali di contenimento della spesa pubblica, che non possono che essere uniformi» (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284 del 2009)». Ha quindi ribadito «che, ove le risorse acquisite siano destinate ad un apposito fondo perequativo, esse devono essere indirizzate ai soli "territori con minore capacita' fiscale per abitante" (art. 119, terzo comma, Cost.)». Nella previsione dell'art. 46, comma 6, qui impugnata, il legislatore statale ha sostituito il riferimento ai consumi intermedi con quello al Pil regionale (e alla popolazione). Tale riferimento, tuttavia, non vale in alcun modo a superare la sostanza della censura che era contenuta nella sentenza n. 79 del 2014, ma ricade anzi pienamente nella stessa medesima logica censurata. Nella sentenza n. 79 del 2014, infatti, codesta Corte ha, infatti, precisato che «mentre il concorso agli obiettivi di finanza pubblica e' un obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico allargato di cui anche le regioni devono farsi carico attraverso un accollo proporzionato degli oneri complessivi conseguenti alle manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52 del 2010), la perequazione degli squilibri economici in ambito regionale deve rispettare le modalita' previste dalla Costituzione, di modo che il loro impatto sui conti consolidati delle amministrazioni pubbliche possa essere fronteggiato ed eventualmente redistribuito attraverso la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti dal vigente ordinamento finanziario e contabile (sentenza n. 176 del 2012)». La previsione dell'art. 46, comma 6, qui impugnata, addossando un maggiore onere a carico delle regioni che abbiano un Pil piu' elevato, determina pertanto, dal punto di vista sostanziale, la stessa alterazione dei corretti criteri costituzionali della perequazione che codesta ecc.ma Corte ha censurato nella sentenza n. 79 del 2014 (e' di tutta evidenza, ad esempio, che il dato del Pil sia, in ogni caso, cosa diversa dalla capacita' fiscale - cui fa riferimento l'art.119 Cost - che implica invece il riferimento ai dati standardizzati di gettito delle imposte e che quindi non sussiste una correlazione necessaria tra Pil e capacita' fiscale, esistendo elementi che concorrono a determinare il Pil che non rientrano necessariamente, o nello stesso modo, nella dinamica impositiva). Anche in relazione alla complessa fattispecie definita dal combinato disposto degli articoli 8, comma 4, e 46, commi 6 e 7, del decreto-legge n. 66 del 2014, non risultano quindi in alcun modo rispettate le condizioni richieste della sentenza a 79 del 2014, le cui conclusioni ben possono essere specularmente riportate in relazione al caso di specie, posto che le disposizioni qui censurate, anch'esse «non contengono alcun indice da cui possa trarsi la conclusione che le risorse in tal modo acquisite siano destinate ad un fondo perequativo indirizzato ai soli "territori con minore capacita' fiscale per abitante" (art. 119, terzo comma, Cost.), ne' che esse siano volte a fornire quelle "risorse aggiuntive", che lo Stato - dal quale, peraltro, dovrebbero provenire - destina esclusivamente a "determinate" regioni per "scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni" (art. 119, quinto comma, Cost.: ex plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005; n. 423, n. 320, n. 49 e n. 16 del 2004), con riferimento a specifici ambiti territoriali e/o a particolari categorie svantaggiate".» Le disposizioni dell'art. 46, commi 6 e 7, nella parte in cui dispongono nei termini descritti l'intervento sostitutivo statale nel caso della mancata intesa, risultano pertanto violare l'art. 119 e in particolare i commi III e V, oltre che l'art. 120 Cost. 2) Illegittimita' dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter. L'art. 14, comma 1, relativo al controllo della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca, stabilisce che le regioni, in quanto rientranti nell'elenco delle amministrazioni interessate dalla disposizione, a decorrere dall'anno 2014, non possano conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell'anno per tali incarichi sia superiore ad una certa percentuale della propria spesa per il personale, come risultante dal conto annuale del 2012, pari al 4,2% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro. Lo stesso art. 14, al comma 2 prevede la stessa dinamica di contenimento della spesa riguardo ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, statuendo che le regioni, in quanto rientranti nell'elenco delle amministrazioni interessate dalla disposizione, non possano stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa quando la spesa complessiva per tali contratti sia superiore rispetto alla spesa del personale, come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,1% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro. Il comma 4-ter dell'art.14 stabilisce, infine, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (oltre che per province, Citta' metropolitane e comuni) la facolta' di rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione dei corrimi 1 e 2. Obbliga quindi le regioni comunque al conseguimento di un contenimento di spesa quantificato in base ai criteri di cui ai commi 1 e 2. Tali disposizioni nel fissare in questi termini tetti alla spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonche' per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, appaiono radicalmente irragionevoli e lesive delle attribuzioni costituzionali delle regioni. In primo luogo in quanto, peraltro in assenza di intesa, non contengono principi di coordinamento ma misure puntuali e dettagliate: al riguardo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e' stata quanto mai chiara nell'affermare che possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., solo le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010). Si realizza pertanto una violazione del III comma dell'art. 117 Cost. e dell'art.119 della Costituzione. Solo a titolo informativo si ricorda peraltro che lo stesso, gia' citato, dossier n. 178 del 2014 della Camera dei deputati (allegato n. 2) aveva avanzato dubbi di costituzionalita' (pag. 68), in relazione alle disposizioni in oggetto, evidenziando: «che la Corte costituzionale ha affermato che qualora la legge statale vincolasse regioni e province autonome all'adozione di misure analitiche e di dettaglio (in una determinata materia), essa verrebbe a comprimere illegittimamente la loro autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di formulare i soli principi fondamentali della materia. Cfr. sentenza n. 159 del 2008. In essa si afferma testualmente che «Tutto cio' porta a concludere che il comma 730 (della legge n. 296/2006) e' costituzionalmente illegittimo perche' irriducibile a quanto prescritto nell'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 117 della Costituzione: quand'anche la norma impugnata venga collocata nell'area del coordinamento della finanza pubblica, e' palese che il legislatore statale, vincolando regioni e province autonome all'adozione di misure analitiche e di dettaglio, ne ha compresso illegittimamente l'autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di formulare i soli principi fondamentali della materia".». In secondo luogo perche', in spregio ad ogni criterio di razionalita' e di buon andamento della pubblica amministrazione e ai criteri che dovrebbero informare anche i processi di spending review, le norme impugnate vanno a penalizzare indebitamente le amministrazioni virtuose che hanno contenuto la spesa per il personale e a favorire quelle che invece hanno ecceduto in tale spesa. Piu' precisamente, dall'esame dei bilanci delle regioni riclassificati in base alla previsione di cui all'art. 19-bis del decreto-legge n. 135 del 2009 emerge, ad esempio, che nel 2012 la spesa per il personale della regione Veneto e' stata pari a 144.826.690, mentre quella della regione Campania e' stata pari a 329.794.972, mentre quella della Sicilia addirittura e' stata di 1.699.525.095 (allegato n. 3), pur trattandosi di regioni sostanzialmente omogenee in termini di popolazione (intorno ai 5 milioni di abitanti). Le disposizioni dei commi 1 e 2 dell'art. 14, peraltro, anziche' determinare il contenimento della spesa pubblica possono addirittura determinare un paradossale effetto espansivo della spesa nelle amministrazioni regionali in cui si registra un eccesso di spesa storica per il personale, dal momento che e' proprio questo dato che viene irragionevolmente identificato quale parametro sul quale calcolare la percentuale di spesa consentita sia in ordine agli incarichi di consulenza, studio e ricerca sia per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa. In altre parole, proprio alle amministrazione regionali che meno avrebbero bisogno di rivolgersi all'esterno (consulenze) o ricorrere a collaborazioni coordinate o continuative, perche' gia' caratterizzate da un eccesso di personale, si consente una maggiore spesa per queste fattispecie. Tali disposizioni, peraltro di carattere permanente - e quindi in violazione del principio di transitorieta' richiesto invece da codesta ecc ma Corte per le misure di coordinamento della spesa pubblica - risultano pertanto lesive, oltre che del III comma dell'art.117 Cost. e dell'art. 119 Cost. (violato peraltro, anche in relazione ai commi III e IV per l'effetto perequativo implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono), anche degli articoli 3 e 97, la cui violazione ridonda nella lesione delle competenze regionali, dal momento che i criteri di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 14, valgono in ogni caso a identificare, per effetto del comma 4-ter, la misura del risparmio a cui ogni singola regione e' tenuta, con violazione quindi della autonomia organizzativa e finanziaria. Infine, la mancanza della previsione di una intesa determina la violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. 3) Illegittimita' dell'art.15. L'art.15, relativo alla spesa per autovetture, modificando il comma 2 dell'art. 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, prevede che dal 1° maggio 2014, le regioni, in quanto rientranti nelle amministrazioni interessate dalla disposizione, non possano effettuare spese di ammontare superiore al 30 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2011 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi. Tale disposizione, peraltro anch'essa di carattere permanente e anch'essa senza la previsione di un'intesa, risulta lesiva delle competenze e prerogative regionali dal momento che si tratta di una disposizione puntuale priva del carattere di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Al riguardo si rimanda pienamente alle motivazioni, che si ripropongono interamente, sviluppate al punto precedente riguardo alla violazione degli art. 117, III comma, 119 Cost. e del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Inoltre, la disposizione, introducendo un meccanismo di blocco della spesa senza nessun rapporto con standard medi, finisce irragionevolmente per avvantaggiare quelle regioni che hanno effettuato nell'anno 2011 spese maggiori, senza alcuna considerazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Tale disposizione risulta pertanto lesiva anche degli articoli 3 e 97 della Costituzione che ridonda, stante il carattere generale del vincolo, sulle competenze costituzionalmente assegnate alla regione, che risulta limitata nella propria capacita' organizzativa. 4) Illegittimita' dell'art. 24, comma 4. L'art. 24, comma 4, estende anche alle regioni la normativa di cui all'art. 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. In particolare, a seguito della novella, il nuovo comma 7 dell'art. 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, statuisce ora che le previsioni di cui ai precedenti commi 4 e 6 si applichino anche alle regioni, in quanto compatibili. Nello specifico, con riferimento ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale i canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal l° luglio 2014 nella misura del 15 per cento di quanto corrisposto, applicando tale decremento anche ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale data. Tale riduzione del canone di locazione si inserira' automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'art. 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore. E' previsto, poi, che il rinnovo del rapporto di locazione sia consentito solo in presenza e coesistenza della disponibilita' delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi d'uso, per il periodo di durata del contratto di locazione e della permanenza delle esigenze allocative. Similare disciplina e' introdotta per i contratti di locazione passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale di proprieta' di terzi, di nuova stipulazione. L'art. 24, comma 4, introduce anche nel novellato comma 7 dell'art. 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la facolta' per le regioni di adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire comunque risparmi non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione della medesima disposizione. In questi termini la norma, imponendo, peraltro senza intesa, una misura permanete e dettagliata di riduzione di una specifica voce di spesa concretizza una disposizione puntuale priva del carattere di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e pertanto contrasta con gli articoli 117, III comma e 119 della Costituzione. Al riguardo si rimanda pienamente alle motivazioni, che si ripropongono interamente, sviluppate ai punti precedenti riguardo alla violazione degli art. 117, III comma, 119 Cost. (ivi compresa anche la violazione dei commi III e IV per l'effetto perequativo implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono) e del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione. Inoltre, la norma in oggetto, imponendo una generalizzata e irragionevole riduzione dei canoni di locazione a prescindere dalla loro congruita', risulta anche lesiva degli articoli 3 e 97 la cui violazione ridonda in una lesione delle competenze costituzionalmente garantite alla regione, e in particolare sull'autonomia finanziaria e organizzativa, derivante dal fatto che le regioni sono comunque tenute a garantire, in ogni caso, risparmi non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione dei criteri irragionevoli stabiliti dalla disposizione impugnata. 5) Illegittimita' dell'art. 41, comma 2. L'art. 41, comma 2, statuisce che, al fine di garantire il rispetto dei tempi di pagamento di cui all'art. 4 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, le regioni, che, sulla base dell'attestazione dei tempi di pagamento, registrano tempi medi superiori a novanta giorni nel 2014 e a sessanta giorni a decorrere dal 2015, rispetto a quanto disposto dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nell'anno successivo a quello di riferimento non possano procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E' previsto, inoltre, il divieto di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione. Tale disposizione appare irragionevole oltreche' lesiva delle competenze e prerogative regionali. Essa, infatti, introduce una «sanzione» del tutto disomogenea rispetto alla violazione cui e' connessa, e potenzialmente contrastante con la stessa, senz'altro corretta, finalita' che la dovrebbe ispirare. Risulta inoltre priva di ogni criterio di proporzionalita' e congruita'. Al mancato rispetto dei tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione, la norma impugnata invece di collegare «sanzioni»o rectius ripercussioni connesse e proporzionate all'inadempimento, prevede, anche in violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, un irragionevole «blocco»totale delle assunzioni, sotto qualsiasi forma, che potrebbe addirittura anche condurre ad un ulteriore incremento dei tempi di pagamento, ove il ritardo degli stessi sia dovuto proprio alla carenza di personale. Si precisa, peraltro, che la suddetta violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento ridonda certamente in una violazione delle competenze costituzionali della regione, dal momento che questa viene indebitamente limitata nella propria capacita' di organizzazione amministrativa: si realizza pertanto una indebita interferenza con il IV comma dell'art.117 che riconosce in tale ambito una competenza legislativa residuale regionale. Inoltre, la disposizione stabilendo una misura permanete e dettagliata di blocco totale di una specifica voce di spesa concretizza una disposizione puntuale priva del carattere di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e pertanto, come gia' ricordato in precedenza, contrasta con gli articoli 117, I e III comma, nonche' con l'art. 119 della Costituzione.