Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso Ordinanza La Commissione ha emesso la seguente Ordinanza sul ricorso n. 617/13 proposto da Motors Giemme s.r.l. contro Agenzia delle entrate, Dir. Prov. Uff. Controlli di Campobasso, sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 20 maggio 2014, Fatto La Motors Giemme s.r.l., corrente in Campobasso, impugnava il provvedimento di revoca dell'autorizzazione a effettuare operazioni intracomunitarie e di contestuale esclusione dall'archivio VIES dell'agenzia delle entrate di Campobasso, deducendo: 1) 1'annullabilita'/revocabilita' del provvedimento impugnato per difetto dei presupposti di legge; 2) il difetto dei presupposti per la revoca dell'autorizzazione a effettuare operazioni intracomunitarie e dell'esclusione dall'archivio VIES; 3) la nullita' del provvedimento per contrarieta' al diritto comunitario; 4) la nullita' del provvedimento impugnato per mancata allegazione di provvedimenti presupposti; 5) la nullita' del provvedimento di revoca per difetto dei presupposti di legge di cui all'art. 7 dello Statuto del contribuente. Chiedeva, pertanto, l'annullamento del provvedimento di revoca, previa sospensione dello stesso. La ricorrente sollevava altresi' questione di legittimita' costituzionale degli artt. 47 e 68 del decreto legislativo n. 546/92 nella parte in cui prevedono che il potere di sospensione della CTP cessi con la sentenza di primo grado e la sentenza di primo grado, pronunciata in merito agli atti di diniego, non sia provvisoriamente esecutiva. Lamentava, infatti, la ricorrente che la mancanza del VIES (Vat Information Exchange System), sistema di scambi automatici tra le amministrazioni finanziarie degli Stati membri dell'Unione europea, la cui base giuridica e' il Regolamento UE 904/2010 - pdf., che ha sostituito in data 7-10-2010 il Regolamento CE 1798/2003- pdf., impedisce di fatto alla societa' di compiere scambi commerciali in ambito comunitario, poiche' le societa' venditrici, mediante un semplice controllo sul sito dell'agenzia delle entrate, possono verificare che la partita IVA della societa' non e' abilitata agli scambi nell'ambito del mercato comunitario. La contribuente faceva rilevare, pertanto, che, come sostenuto dall'amministrazione, in base all'art. 47, decreto legislativo n. 546/92, con la sentenza di primo grado, favorevole o sfavorevole che sia alla societa' ricorrente, venivano a cessare gli effetti della sospensione, limitati alla sentenza di primo grado, che non deve essere considerata esecutiva ai sensi dell'art. 68, decreto legislativo n. 546/92, il quale prevede che sono provvisoriamente esecutive le sole sentenze favorevoli all'ufficio, e/o quelle che sanciscono l'annullamento di un atto impositivo di un tributo. Evidenziava inoltre la Motors Giemme s.r.l. l'illegittimita' dell'art. 68 citato nella misura in cui crea un'inaccettabile lacuna di tutela cautelare, che impedisce alla societa' ricorrente, pur in presenza di un'eventuale pronuncia favorevole, di continuare a effettuare scambi commerciali in ambito comunitario. In quanto all'illegittimita' dell'art. 47, decreto legislativo n. 546/92, sosteneva che la ratio della tutela cautelare e' quella di garantire l'esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell'atto e/o del soggetto che ha ragione e che, durante il tempo necessario all'accertamento in via ordinaria del suo diritto, e' esposto al rischio di subire un danno irreparabile. La previsione di un potere di sospensione dell'atto impugnato, limitata allo sbarramento temporale della sentenza di primo grado, rende illegittima la previsione processuale nella misura in cui, per tutti quegli atti non impositivi, e in particolare per gli atti di diniego, pur in presenza di una pronuncia favorevole alla ricorrente, sarebbe preclusa la possibilita' di sospendere in via cautelare gli effetti pregiudizievoli di un provvedimento illegittimo. Faceva rilevare quindi che tale previsione si appalesa in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nella misura in cui appare irragionevole, irrispettosa del principio della ragionevole durata del processo e del diritto di difesa nella sua accezione piu' sostanziale. A sostegno dell'illegittimita' dell'art. 68, decreto legislativo n. 546/92, eccepiva che questo non prevede che nell'ipotesi di accoglimento del ricorso per atti di diniego il provvedimento venga caducato nei suoi effetti. Tale mancata previsione comporta un'assoluta illegittimita' costituzionale della disposizione normativa nella misura in cui, pur in presenza di un giudicato favorevole al ricorrente, continuano comunque a prodursi gli effetti sfavorevoli dell'atto di revoca. Anche detta previsione normativa, secondo la ricorrente, si appalesa in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione nella misura in cui, da un lato, prevede un trattamento giuridico illegittimamente e ingiustificatamente favorevole all'amministrazione finanziaria, la quale per l'ipotesi in cui risulti vittoriosa nel giudizio, puo' addirittura iscrivere a ruolo quote progressivamente crescenti di tributo, all'esito dei diversi gradi di giudizio; dall'altro lato, priva di fatto il contribuente della possibilita' di avvalersi degli effetti favorevoli della pronuncia di primo grado, per tutti quegli atti non imponitivi, tra i quali i provvedimenti di diniego, per i quali l'art. 68, decreto legislativo n. 546/92 non contempla espressamente una provvisoria esecutivita' della pronuncia di primo grado. E del tutto evidente, conclude la ricorrente, la violazione del diritto di difesa sostanziale costituzionalmente garantito dall'art. 24 della Costituzione e la violazione delle regole del giusto processo ex art. 111 della Costituzione, nella sua accezione piu' lata, ossia di garantire un processo giusto e di ragionevole durata, evitando, mediante il ricorso alla tutela cautelare, che le lungaggini processuali possano anecare pregiudizio alla parte poi eventualmente vittoriosa nel giudizio di merito. Chiedeva, pertanto, dichiararsi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 47 e 68, decreto legislativo n. 546/92, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, sospendendo conseguentemente il processo e rimettendo gli atti alla Corte costituzionale. Osserva Tanto premesso, la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso ritiene la questione di legittimita' costituzionale rilevante e non manifestamente infondata e con la presente ordinanza la prospetta inviando gli atti alla Corte costituzionale per le seguenti ragioni. Per quanto attiene alla rilevanza della questione nel presente giudizio, questo collegio osserva che, dopo aver ritenuto plausibile l'assunto del contribuente in sede di delibazione sommaria incidenter tantum e limitatamente ai fini cautelari, per la presenza nella fattispecie dei requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora, sussisterebbero altresi' i presupposti per l'accoglimento del ricorso proposto dalla societa' Motors Giemme s.r.l. Tuttavia il riconoscimento delle ragioni del contribuente da parte di questo giudicante non consentirebbe di rendere giustizia alla ricorrente. Infatti, l'art. 47 del decreto legislativo n. 546/92 prevede che il potere di' sospensione della CTP cessi con la sentenza di primo grado e l'art. 68, stesso decreto legislativo, dispone che la sentenza di primo grado, pronunciata in merito agli atti di diniego, non sia provvisoriamente esecutiva. Pertanto, pur in presenza di una sentenza di primo grado favorevole alla societa' ricorrente, verrebbero a cessare gli effetti della sospensione, essendo questi limitati, per effetto dell'art. 47 citato, alla sentenza di primo grado; inoltre la sentenza dei primi giudici non e' esecutiva ai sensi dell'art. 68, decreto legislativo n. 546/92, il quale prevede che sono provvisoriamente esecutive le sole sentenze favorevoli all'ufficio, e/o quelle che sanciscono l'annullamento di un atto impositivo di un tributo. Ritiene invece la Commissione che la ratio della tutela cautelare (art. 47) e' quella di garantire l'esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell'atto e/o del soggetto che ha ragione e che, durante il tempo necessario all'accertamento in via ordinaria del suo diritto, e' esposto al rischio di subire un danno irreparabile. La previsione di un potere di sospensione dell'atto impugnato, limitata allo sbarramento temporale della sentenza di primo grado, rende illegittima la previsione processuale nella misura in cui, per tutti quegli atti non impositivi, e in particolare per gli atti di diniego, pur in presenza di una pronuncia favorevole alla ricorrente, sarebbe preclusa la possibilita' di sospendere in via cautelare gli effetti pregiudizievoli di un provvedimento illegittimo. L'art. 68 citato, dal canto suo, crea un'inaccettabile lacuna di tutela cautelare, che impedisce alla societa' ricorrente, pur in presenza di un'eventuale pronuncia favorevole, di continuare a effettuare scambi commerciali in ambito comunitario. Detto art. 68,infatti, non prevede che nell'ipotesi di accoglimento del ricorso per atti di diniego il provvedimento venga caducato nei suoi effetti. Tale mancata previsione comporta che, pur in presenza di un giudicato favorevole al ricorrente, continuano comunque a prodursi gli effetti sfavorevoli dell'atto di revoca. Da osservare infine che nella legge delega n. 23 dell'11 marzo 2014 «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale piu' equo, trasparente e orientato alla crescita» e' prevista, all'art. 10, n. 10, l'immediata esecutorieta', estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle Commissioni Tributarie. Gli articoli da 106 a 109 del titolo I del libro quarto del Codice del Processo Tributario prevedono, per l'appunto, che venga data piena attuazione a tale direttiva. In particolare e' previsto il riconoscimento dell'efficacia di titolo esecutivo, con l'apposizione della relativa formula, per tutte le sentenze di condanna, ancorche' non ancora passate in giudicato. La questione e', pertanto, rilevante. In quanto alla non manifesta infondatezza della questione. Dato che l'art. 47 del decreto legislativo n. 546/92 esclude che l'esecuzione dell'atto impugnato possa essere sospesa dopo la sentenza, va innanzitutto rilevato che l'efficacia esecutoria del medesimo risulta ritmata dall'art. 68 stesso decreto legislativo. Resta pero' da vedere se un sistema processuale che nega qualsiasi tutela cautelare dopo le decisioni delle Commissioni Tributarie possa ritenersi esente da critiche soltanto perche' garante degli interessi erariali. Nessuno, infatti, dubita che l'interesse dello Stato a riscuotere le imposte sia un interesse pubblico; ma questo non significa che le esigenze di cassa dell'erario possano soffocare l'interesse del singolo volto a far si che il fondamento della pretesa erariale sia esente da censure. Non e' ragionevolmente ammissibile, pertanto, che il contribuente possa essere costretto a pagare un'imposta anche quando questa non sia correlata alla sua capacita' contributiva, ovvero, quando, esiste il rischio di danno grave e irreparabile. Infatti, nemmeno il precedente decreto n. 636 del 1972 prevedeva la tutela cautelare; eppure la tenacia di alcuni Pretori e di alcuni Tribunali Amministrativi, nell'affermare che la potesta' cautelare costituisce una componente essenziale della tutela giurisdizionale, ha indotto i supremi ordini di giustizia a rivedere le iniziali posizioni di chiusura. E dopo avere affermato il contrario, la Corte costituzionale ha, infatti, riconosciuto che, ogni qualvolta sia lecito dedurre che il diritto assistito dal fumus boni iuris sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile a motivo della lunghezza dei tempi processuali per farlo valere, il giudice deve poter emanare tutti quei provvedimenti che risultino piu' idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (Corte cost.: nn. 336/99, 326/97, 249/96, 190/95). L'enunciato della Consulta e' stato poi espresso con la sentenza n. 165/2000 con la quale si e' ribadito quanto segue: «questa Corte ha piu' volte affermato che la disponibilita' di misure cautelari costituisce componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall'art. 24 della Costituzione (sent. n. 336/99; n. 326/97; n. 249/96; n. 293/94; n. 190/95). Enunciazione questa, sicuramente riferibile, per la sua generalita', anche al processo tributario, e che si spiega con l'esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno di chi ha ragione e che, durante il tempo occorrente per l'accertamento in via ordinaria del suo diritto, e' esposto al rischio di subire un danno irreparabile» (anche se la stessa Corte ha poi affermato che la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi imposta soltanto fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga - con efficacia esecutiva - la domanda). Pertanto, si e' detto: «non e' azzardato sostenere che, nei limiti in cui la potesta' cautelare e' diretta a evitare il periculum in mora, essa continua ad essere una componente essenziale e ineliminabile della tutela giurisdizionale. Tra l'altro, questo che si afferma, non e' principio estraneo al nostro ordinamento giuridico, visto che di esso si trova compiuta regolamentazione sia nel processo civile che in quello amministrativo, e, sotto questo aspetto l'esclusione di una tale opportunita' del processo tributario non e' altrimenti giustificata». Si e', poi, specificamente affermato, sulla base delle premesse ora esposte, che: «la disciplina dell'art. 47 del decreto legislativo n. 546/92, e' costituita dal I comma di tale articolo, che indica la Commissione tributaria provinciale quale organo al quale il ricorrente puo' chiedere la sospensione dell'atto impugnato e dal VII comma, il quale dispone che la sospensione cessa con la pubblicazione della sentenza di I grado. Tali dati normativi, che si riferiscono al procedimento di I grado, non escluderebbero pero' che dello stesso potere sia dotato il giudice di appello. Infatti, questi non ha poteri menomati rispetto a quelli del giudice di I grado, dato che, a norma dell'art. 61 del citato decreto legislativo, nel procedimento di appello si osservano le medesime nonne che, nello stesso decreto, sono dettate per il procedimento di I grado. L'art. 61, invero, non richiama specificamente le nonne nel Capo I del Titolo II del medesimo decreto (artt. da 18 a 46), ma, in generale, tutte le norme - dettate per il procedimento di I grado -. E tale dizione, contrariamente a chi sostiene che siano richiamate soltanto le nonne contenute nel Capo I, comprende indubbiamente anche quelle dettate, per il I grado, nel Capo II. Ne' vale opporre, contro tale conclusione, che l'art. 47 considera solo il procedimento cautelare dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, e cio' perche', come si evince dalla «Relazione Ministeriale allo schema di decreto legislativo,» il Capo II e' composto da due soli articoli, riguardanti, rispettivamente, i procedimenti cautelari e preventivo, prevedendo espressamente nell'art. 48 che la conciliazione giudiziale puo' aver luogo solo davanti alla Commissione provinciale; senza alcuna limitazione in tal senso per quanto concerne, invece, la sospensione. Orbene, a parere di questa commissione, non puo' non aderirsi alle predette argomentazioni perche' esaustive, con un'analisi profonda, coerente e piu' idonea per l'applicazione equa dei principi del nostro ordinamento. Non si puo', peraltro, escludere che l'ottica attuale nell'ambito delle norme tributarie, anche processuali, sia pure orientata in tal senso, specie alla stregua di una convincente normativa desumibile dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, secondo cui: art. 1: «Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate e modificate solo espressamente e mai da leggi speciali; art. 2, comma II: le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie debbono menzionarne l'oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l'oggetto delle disposizioni ivi contenuti (cio' in relazione a quanto si e' osservato in premessa con riferimento alla natura ed all'oggetto delle norme in esame sulla base di quanto osservato dalla relazione ministeriale al decreto legislativo n. 546/92). Non puo' non richiamarsi, altresi', quanto previsto dall'art. 111 della Costituzione novellato ed entrato in vigore il 7 gennaio 2000, secondo cui «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti al giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». E, come si e' esattamente osservato; «a questi principi deve uniformarsi anche il processo tributario, per evitare possibili, anche future, eccezioni di incostituzionalita'. L'esigenza del giusto processo e dell'effettivo esercizio del diritto di difesa (art. 24 della Cost.) deve conciliarsi con l'esigenza dello Stato di riscuotere le imposte (art. 53 della Cost.); e per trovare l'equilibrio senza penalizzare le parti' in causa, e' necessario rispettare alcuni principi fondamentali». D'altronde, che anche il pensiero del legislatore sia in tal senso, puo' desumersi, anzitutto, da quanto espresso nella stessa Relazione Ministeriale al decreto legislativo all'art. 47, in cui si legge, pure, che detta norma «in stretta osservanza a quanto disposto dall'art. 30 lettera h della legge delega, disciplina la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato. Trattasi, come e' chiaro, di uno dei punti piu' significativi della nuova normativa sul processo tributario che risolve, nel modo migliore, forse la piu' travagliata delle problematiche mai riscontrate in materia...» e all'uopo, si e' affermato che la meditata giurisdizionalizzazione del contenzioso tributario, in un momento di riflessione che ha condotto all'integrale revisione degli strumenti cautelari nello stesso processo di cognizione ordinaria dinanzi al giudice civile (si veda la legge 26 novembre 1990, n. 353) ha determinato una innovazione la cui necessita' era stata segnalata dalla dottrina e dalla pratica». In secondo luogo, non puo' non tenersi presente quanto si desume dal disegno di legge governativo, presentato dal Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e col Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, comunicato alla Presidenza del Senato il 7 ottobre 1999 e relativo a modifiche e integrazioni ai decreti legislativi 31 dicembre 1992, n. 545 e n. 546, concernenti il riordino del contenzioso tributario. Va altresi' rilevato che nel processo tributario hanno immediata efficacia esecutiva, secondo la disciplina dettata dall'art. 68, decreto legislativo n. 546/92, le sentenze che hanno a oggetto l'impugnativa di atti di imposizione relativi all'esistenza e all'entita' del tributo; cioe' le sentenze concernenti la determinazione e il pagamento del tributo dovuto. Non hanno immediata efficacia esecutiva, invece, e percio' sono eseguibili solo dopo il passaggio in giudicato, le sentenze di condanna dell'ente impositore, tanto se obbligano l'amministrazione al pagamento di somme, quanto se impongono un comportamento diverso. Ugualmente non hanno immediata efficacia esecutiva le sentenze concernenti provvedimenti diversi da quelli innanzi considerati, quali le sentenze attinenti alla spettanza di benefici fiscali, alla chiusura delle liti pendenti, al classamento degli immobili, ecc. Il decreto legislativo n. 546/92 nulla prevede per tali sentenze, ma - escluso che sia applicabile il principio di immediata esecutivita' sancito dall'art. 337 c.p.c. alla conclusione negativa sembra doversi pervenire in base al principio generale sancito dall'alt. 2909 del codice civile, per cui gli effetti della sentenza si producono quando si sia formato il giudicato formale. Su questa disciplina, che consente di procedere all'esecuzione coattiva solo delle sentenze da cui derivi un credito dell'erario, grava il sospetto di incostituzionalita' sotto il profilo della violazione degli alt 3, 24 e 111 cost. Infatti, la disparita' di trattamento tra fisco e contribuente, non sembra giustificata, non potendo l'esecuzione della sentenza fare leva su un diverso tenore delle statuizioni in esso contenute, laddove il beneficiario delle stesse sia l'ente impositore oppure il contribuente; ne' d'altro canto tale irrazionale scelta del legislatore fiscale puo' essere giustificata da un eventuale diverso spessore dei contrapposti interessi che si fronteggiano in giudizio. Per compiutezza di analisi, stante la oggettiva complessita' del problema, questa commissione non puo' omettere un'ulteriore argomentazione che si ritiene notevolmente rilevante perche' riferentesi anche ai principi del diritto comunitario europeo. Invero, parte della dottrina rinvenuta dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 165 del 31 maggio 2000, di cui si e' fatto gia' cenno, ha osservato, a proposito di tale sentenza, che: «con riguardo all'art. 24 della Costituzione, il Giudice delle leggi, dopo aver ribadito quanto in precedente giurisprudenza della stessa Corte affermato sulla disponibilita' di misure cautelari come componente essenziale della tutela giurisdizionale anche nel processo tributario, ha statuito che la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi imposta dalla Costituzione solo fino al giudizio di merito che accolga con efficacia esecutiva la domanda, rendendo superflua l'adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga; negando in tal modo la sussistenza del diritto e, dunque, il presupposto della pronuncia della tutela cautelare; per concludere, poi, che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudizio successive alla decisione nel merito «deve ritenersi rimessa alla discrezionalita' del legislatore». Mentre, a parere della stessa dottrina: «se la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive esige che quella tutela sia piena ed effettiva, non v'e' dubbio che debba essere tale, per tutta la durata del processo, per evitare che chi ha ragione non subisca un irrimediabile pregiudizio nel tempo occorrente a procurarsi la tutela in via ordinaria». Inoltre, si e' aggiunto, dalla stessa dottrina, che: «a differenza di quanto affermato dalla Corte, il requisito della irragionevolezza delle scelte legislative puo' essere preso in considerazione ai fini della decisione anche se non espressamente richiesto dai giudici emittenti, cosi' come si era verificato nel caso sottoposto al vaglio della medesima Corte e comunque, si e' concluso: «da parte della suddetta dottrina, che la ragionevolezza non puo' essere scelta tale da provocare un vuoto di tutela». In linea generale, per quanto osservato in proposito dalla dottrina teste richiamata, e' doveroso, da parte di questa commissione, riportare quanto ormai e' chiaramente espresso in tema nelle sedi piu' qualificate della Comunita' europea e degli organi di giustizia di detta Comunita'. Tra le sentenze piu' significative che applicano chiaramente quanto espresso nelle sedi qualificate, teste richiamate, e' opportuno ricordare la sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 1978 (causa 106/77) Min. Finanze italiano vs. Simmenthal, secondo cui: «il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando, all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale»; inoltre, la sentenza 19 giugno 1990 (causa 213/1989) - Due, Pres. ; Tesauro, Avv. Gen. - rinvio pregiudiziale della House of Lords, Segretario di Stato per i trasporti del Regno Unito /societa' Factortame, secondo cui: «il giudice nazionale deve disapplicare le leggi nazionali che gli impediscano di emettere provvedimenti provvisori di indole cautelare a tutela di diritti fondati sulle nonne comunitarie, quando cio' sia necessario al fine di garantire la piena efficacia satisfattiva della finale decisione di merito e di assicurare una applicazione uguale ed uniforme delle norme comunitarie nei confronti di tutti i destinatari dei vari Stati». La sentenza della Corte di Giustizia teste' richiamata - in particolare e, correlativamente, ad altre piu' generiche - e' stata considerata come «l'emergere - lento ma efficace - di una serie di principi che puo' dirsi di "diritto processuale comunitario; nell'ambito dei quali, e' stato detto: non poteva che spettare un ruolo preminente alla problematica vivissima, non solo in Italia, della tutela cautelare urgente. E chi pure non sia incline all'enfasi, difficilmente potra' negare alla stessa sentenza il rango di pronunciamento giurisprudenziale di portata storica o non ravvedervi una tappa attesa e importante nella costruzione del nuovo diritto europeo, che tocca infine, a pieno, la dimensione processuale. In relazione alla medesima sentenza, infine, si e' anche rilevato, nel contesto di un commento a due ordinanze pretorili emesse ex art. 700 nei confronti dell'amministrazione finanziaria, che, alla stregua delle statuizioni della sentenza Factortame, dovrebbe riconoscersi al giudice tributario (per cio' che riguarda, ovviamente, il relativo contenzioso) il potere di disapplicare tutte le norme di diritto interno che gli precludano la possibilita' di concedere misure cautelari. Comunque, sembra ormai pacifico che la Corte di Giustizia, piu' in generale, abbia una giurisprudenza particolarmente abbondante sviluppatasi sull'alt 6 della Convenzione europea, a stregua del quale chiunque ha diritto a che la sua causa sia giudicata equamente da un giudice indipendente ed imparziale. Per quanto sopra evidenziato, ritiene, questa commissione, che, in base agli artt. 30 lettera h) della L. 30 dicembre 1991 n. 413 e 47 del decreto legislativo n. 546/1992 - piu' volte richiamati - con un'adeguata interpretazione letterale, logica e sistematica, il potere di sospensione non debba con certezza considerarsi normativamente limitato al giudizio di primo grado. In quanto - come, tra l'altro si e' gia' detto, nell'esame di quest'ultima norma - anzitutto, non possono essere decisive in tal senso, ne' l'indicazione della commissione tributaria di primo grado alla quale per tale sospensiva non poteva non rivolgersi il contribuente in quel grado del giudizio; ne' la cessazione degli effetti della sospensione dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, riferendosi cio', ovviamente, alla procedura cautelare nei limiti di quel grado del giudizio. Aggiungasi,inoltre, sia quanto disposto dall'art. 61 del decreto legislativo n. 546/1992, cosi' come interpretato da parte della dottrina e della giurisprudenza tributaria, con riferimento al rinvio delle norme del giudizio di primo grado applicabili anche in appello; sia quanto enucleabile da tutta la disciplina del nuovo processo tributario, tendenzialmente protesa all'adeguamento e all'integrazione di tale rito, rispetto a quello previsto dal c.p.c.; senza poter trascurare, infine, la sottesa ratio desumibile da un'adeguata lettura della legge delegante del 30 dicembre 1991, n. 413, art. 30 lett. g) (Adeguamento delle norme del processo tributario con quelle del processo civile) e art. 1, comma 2 del decreto legislativo n. 546/1992 (I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del c.p.c.); e, inoltre, con particolare attenzione, i principi dell'ordinamento costituzionale italiano e di quello comunitario. Tale soluzione del problema non incide negativamente, a parere di questa Commissione, sull'interpretazione di quella parte della dottrina e della giurisprudenza, gia' riportata, circa il collegamento degli artt.47, 49 e 68 del decreto legislativo n. 546/92, in ordine all'esecuzione delle sentenze emesse dal giudice tributario. Invero, il combinato disposto di dette norme puo' considerarsi immune da rilievi, nei casi in cui non ricorrano, comunque, gli estremi dell'eccezionale urgenza, del fumus e del periculum in mora, che comportano, invece, la valutazione del caso, in relazione alle richieste del contribuente e alle ragioni del Fisco, dinanzi al giudice. Si e' d'avviso, quindi, che con le conclusioni sopra riportate da parte di questa Commissione, si possa far riferimento ad interpretazioni orientate, non solo col nostro sistema costituzionale nel suo complesso, ma anche con i principi consolidati del diritto comunitario in tema, come sopra precisati.