Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso 
 
 
                              Ordinanza 
 
    La Commissione ha emesso la seguente  Ordinanza  sul  ricorso  n.
617/13 proposto da Motors Giemme s.r.l. contro Agenzia delle entrate,
Dir. Prov. Uff. Controlli di Campobasso, sciogliendo  la  riserva  di
cui all'udienza del 20 maggio 2014, 
 
                                Fatto 
 
    La Motors Giemme s.r.l., corrente  in  Campobasso,  impugnava  il
provvedimento di revoca dell'autorizzazione a  effettuare  operazioni
intracomunitarie  e  di  contestuale  esclusione  dall'archivio  VIES
dell'agenzia   delle   entrate   di   Campobasso,    deducendo:    1)
1'annullabilita'/revocabilita'  del   provvedimento   impugnato   per
difetto dei presupposti di legge; 2) il difetto dei  presupposti  per
la    revoca    dell'autorizzazione    a    effettuare     operazioni
intracomunitarie e dell'esclusione dall'archivio VIES; 3) la nullita'
del provvedimento per contrarieta'  al  diritto  comunitario;  4)  la
nullita' del  provvedimento  impugnato  per  mancata  allegazione  di
provvedimenti presupposti; 5) la nullita' del provvedimento di revoca
per difetto dei presupposti di legge di cui all'art. 7 dello  Statuto
del contribuente. 
    Chiedeva, pertanto, l'annullamento del provvedimento  di  revoca,
previa sospensione dello stesso. 
    La  ricorrente  sollevava  altresi'  questione  di   legittimita'
costituzionale degli artt. 47 e 68 del decreto legislativo n.  546/92
nella parte in cui prevedono che il potere di sospensione  della  CTP
cessi con la sentenza di primo grado e la sentenza  di  primo  grado,
pronunciata in merito agli atti di diniego, non sia  provvisoriamente
esecutiva. 
    Lamentava, infatti, la ricorrente che la mancanza del  VIES  (Vat
Information Exchange System), sistema di  scambi  automatici  tra  le
amministrazioni finanziarie degli Stati membri  dell'Unione  europea,
la cui base giuridica e' il Regolamento UE 904/2010 -  pdf.,  che  ha
sostituito in data  7-10-2010  il  Regolamento  CE  1798/2003-  pdf.,
impedisce di fatto alla societa' di compiere  scambi  commerciali  in
ambito comunitario,  poiche'  le  societa'  venditrici,  mediante  un
semplice controllo  sul  sito  dell'agenzia  delle  entrate,  possono
verificare che la partita IVA della societa' non  e'  abilitata  agli
scambi nell'ambito del mercato comunitario. 
    La contribuente faceva rilevare, pertanto,  che,  come  sostenuto
dall'amministrazione, in base all'art.  47,  decreto  legislativo  n.
546/92, con la sentenza di primo grado, favorevole o sfavorevole  che
sia alla societa' ricorrente, venivano a cessare  gli  effetti  della
sospensione, limitati alla sentenza di  primo  grado,  che  non  deve
essere  considerata  esecutiva  ai  sensi   dell'art.   68,   decreto
legislativo n. 546/92, il quale  prevede  che  sono  provvisoriamente
esecutive le sole sentenze favorevoli  all'ufficio,  e/o  quelle  che
sanciscono l'annullamento di un atto impositivo di un tributo. 
    Evidenziava inoltre  la  Motors  Giemme  s.r.l.  l'illegittimita'
dell'art. 68 citato nella misura in cui crea un'inaccettabile  lacuna
di tutela cautelare, che impedisce alla societa' ricorrente,  pur  in
presenza  di  un'eventuale  pronuncia  favorevole,  di  continuare  a
effettuare scambi commerciali in ambito comunitario. 
    In quanto all'illegittimita' dell'art. 47, decreto legislativo n.
546/92, sosteneva che la ratio della tutela cautelare  e'  quella  di
garantire l'esigenza di evitare che la durata  del  processo  vada  a
danno dell'atto e/o del soggetto che ha ragione  e  che,  durante  il
tempo necessario all'accertamento in via ordinaria del  suo  diritto,
e' esposto al rischio di subire un danno irreparabile. 
    La previsione di un potere di  sospensione  dell'atto  impugnato,
limitata allo sbarramento temporale della sentenza  di  primo  grado,
rende illegittima la previsione processuale nella misura in cui,  per
tutti quegli atti non impositivi, e in particolare per  gli  atti  di
diniego, pur in presenza di una pronuncia favorevole alla ricorrente,
sarebbe preclusa la possibilita' di sospendere in via  cautelare  gli
effetti pregiudizievoli di un provvedimento illegittimo. 
    Faceva  rilevare  quindi  che  tale  previsione  si  appalesa  in
contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, nella  misura
in  cui  appare  irragionevole,  irrispettosa  del  principio   della
ragionevole durata del processo e del diritto  di  difesa  nella  sua
accezione piu' sostanziale. 
    A sostegno dell'illegittimita' dell'art. 68, decreto  legislativo
n. 546/92, eccepiva  che  questo  non  prevede  che  nell'ipotesi  di
accoglimento del ricorso per atti di diniego il  provvedimento  venga
caducato nei suoi effetti. 
    Tale  mancata  previsione  comporta  un'assoluta   illegittimita'
costituzionale della disposizione normativa nella misura in cui,  pur
in presenza di un  giudicato  favorevole  al  ricorrente,  continuano
comunque a prodursi gli effetti sfavorevoli dell'atto di revoca. 
    Anche detta  previsione  normativa,  secondo  la  ricorrente,  si
appalesa in contrasto con gli artt. 3, 24 e  111  della  Costituzione
nella misura in cui, da un lato,  prevede  un  trattamento  giuridico
illegittimamente e ingiustificatamente favorevole all'amministrazione
finanziaria, la quale per l'ipotesi in  cui  risulti  vittoriosa  nel
giudizio, puo' addirittura iscrivere a ruolo  quote  progressivamente
crescenti di  tributo,  all'esito  dei  diversi  gradi  di  giudizio;
dall'altro lato, priva di fatto il contribuente della possibilita' di
avvalersi degli effetti favorevoli della pronuncia  di  primo  grado,
per tutti quegli atti non imponitivi, tra i quali i provvedimenti  di
diniego, per i quali l'art. 68, decreto  legislativo  n.  546/92  non
contempla espressamente una provvisoria esecutivita' della  pronuncia
di primo grado. 
    E del tutto evidente, conclude la ricorrente, la  violazione  del
diritto di difesa sostanziale costituzionalmente garantito  dall'art.
24 della  Costituzione  e  la  violazione  delle  regole  del  giusto
processo ex art. 111 della Costituzione,  nella  sua  accezione  piu'
lata, ossia di garantire un processo giusto e di ragionevole  durata,
evitando,  mediante  il  ricorso  alla  tutela  cautelare,   che   le
lungaggini processuali possano anecare  pregiudizio  alla  parte  poi
eventualmente vittoriosa nel giudizio di merito. 
    Chiedeva, pertanto, dichiararsi non manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 47 e 68, decreto
legislativo n. 546/92, per violazione degli artt. 3, 24 e  111  della
Costituzione, sospendendo conseguentemente il processo  e  rimettendo
gli atti alla Corte costituzionale. 
 
                               Osserva 
 
    Tanto  premesso,  la  Commissione   Tributaria   Provinciale   di
Campobasso  ritiene  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
rilevante e non manifestamente infondata e con la presente  ordinanza
la prospetta inviando gli  atti  alla  Corte  costituzionale  per  le
seguenti ragioni. 
    Per quanto attiene alla rilevanza della  questione  nel  presente
giudizio, questo collegio osserva che, dopo aver ritenuto  plausibile
l'assunto del contribuente in sede di delibazione sommaria incidenter
tantum e limitatamente ai  fini  cautelari,  per  la  presenza  nella
fattispecie dei requisiti del fumus boni juris  e  del  periculum  in
mora, sussisterebbero altresi' i presupposti per  l'accoglimento  del
ricorso proposto dalla societa' Motors Giemme s.r.l. 
    Tuttavia il riconoscimento  delle  ragioni  del  contribuente  da
parte di questo giudicante non  consentirebbe  di  rendere  giustizia
alla ricorrente. 
    Infatti, l'art. 47 del decreto legislativo n. 546/92 prevede  che
il potere di' sospensione della CTP cessi con la  sentenza  di  primo
grado e  l'art.  68,  stesso  decreto  legislativo,  dispone  che  la
sentenza di primo grado, pronunciata in merito agli atti di  diniego,
non sia provvisoriamente esecutiva. 
    Pertanto,  pur  in  presenza  di  una  sentenza  di  primo  grado
favorevole alla societa' ricorrente, verrebbero a cessare gli effetti
della sospensione, essendo questi limitati, per effetto dell'art.  47
citato, alla sentenza di primo grado; inoltre la sentenza  dei  primi
giudici non e' esecutiva ai sensi dell'art. 68,  decreto  legislativo
n. 546/92, il quale prevede che sono  provvisoriamente  esecutive  le
sole sentenze  favorevoli  all'ufficio,  e/o  quelle  che  sanciscono
l'annullamento di un atto impositivo di un tributo. 
    Ritiene invece la Commissione che la ratio della tutela cautelare
(art. 47) e' quella di garantire l'esigenza di evitare che la  durata
del processo vada a danno dell'atto e/o del soggetto che ha ragione e
che, durante il tempo necessario all'accertamento  in  via  ordinaria
del  suo  diritto,  e'  esposto  al  rischio  di  subire   un   danno
irreparabile. 
    La previsione di un potere di  sospensione  dell'atto  impugnato,
limitata allo sbarramento temporale della sentenza  di  primo  grado,
rende illegittima la previsione processuale nella misura in cui,  per
tutti quegli atti non impositivi, e in particolare per  gli  atti  di
diniego, pur in presenza di una pronuncia favorevole alla ricorrente,
sarebbe preclusa la possibilita' di sospendere in via  cautelare  gli
effetti pregiudizievoli di un provvedimento illegittimo. 
    L'art. 68 citato, dal canto suo, crea un'inaccettabile lacuna  di
tutela cautelare, che impedisce  alla  societa'  ricorrente,  pur  in
presenza  di  un'eventuale  pronuncia  favorevole,  di  continuare  a
effettuare scambi commerciali in ambito comunitario. 
    Detto  art.  68,infatti,  non   prevede   che   nell'ipotesi   di
accoglimento del ricorso per atti di diniego il  provvedimento  venga
caducato nei suoi effetti. 
    Tale mancata previsione comporta  che,  pur  in  presenza  di  un
giudicato favorevole al ricorrente, continuano  comunque  a  prodursi
gli effetti sfavorevoli dell'atto di revoca. 
    Da osservare infine che nella legge delega n.  23  dell'11  marzo
2014 «Delega al Governo recante disposizioni per un  sistema  fiscale
piu' equo,  trasparente  e  orientato  alla  crescita»  e'  prevista,
all'art. 10, n. 10, l'immediata  esecutorieta',  estesa  a  tutte  le
parti in causa, delle sentenze delle Commissioni Tributarie. 
    Gli articoli da 106 a 109 del  titolo  I  del  libro  quarto  del
Codice del Processo Tributario prevedono, per  l'appunto,  che  venga
data piena attuazione a tale direttiva. 
    In particolare e' previsto il  riconoscimento  dell'efficacia  di
titolo esecutivo, con l'apposizione della relativa formula, per tutte
le sentenze di condanna, ancorche' non ancora passate in giudicato. 
    La questione e', pertanto, rilevante. 
    In quanto alla non manifesta infondatezza della questione. 
    Dato che l'art. 47 del decreto legislativo n. 546/92 esclude  che
l'esecuzione  dell'atto  impugnato  possa  essere  sospesa  dopo   la
sentenza, va innanzitutto rilevato  che  l'efficacia  esecutoria  del
medesimo risulta ritmata dall'art.  68  stesso  decreto  legislativo.
Resta pero' da vedere se un sistema processuale  che  nega  qualsiasi
tutela cautelare dopo le decisioni delle Commissioni Tributarie possa
ritenersi esente da critiche soltanto perche' garante degli interessi
erariali. 
    Nessuno, infatti, dubita che l'interesse dello Stato a riscuotere
le imposte sia un interesse pubblico; ma questo non significa che  le
esigenze di  cassa  dell'erario  possano  soffocare  l'interesse  del
singolo volto a far si che il fondamento della pretesa  erariale  sia
esente da censure. Non e' ragionevolmente ammissibile, pertanto,  che
il contribuente possa essere  costretto  a  pagare  un'imposta  anche
quando questa non sia  correlata  alla  sua  capacita'  contributiva,
ovvero, quando, esiste il rischio di danno grave e irreparabile. 
    Infatti, nemmeno il precedente decreto n. 636 del 1972  prevedeva
la tutela cautelare; eppure la tenacia di alcuni Pretori e di  alcuni
Tribunali Amministrativi, nell'affermare che  la  potesta'  cautelare
costituisce una componente essenziale della  tutela  giurisdizionale,
ha indotto i supremi ordini  di  giustizia  a  rivedere  le  iniziali
posizioni di chiusura. E dopo avere affermato il contrario, la  Corte
costituzionale ha, infatti,  riconosciuto  che,  ogni  qualvolta  sia
lecito dedurre che il diritto assistito  dal  fumus  boni  iuris  sia
minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile a motivo  della
lunghezza dei tempi processuali per farlo  valere,  il  giudice  deve
poter emanare tutti quei provvedimenti che risultino piu'  idonei  ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della  decisione  sul  merito
(Corte cost.: nn. 336/99, 326/97, 249/96, 190/95). 
    L'enunciato della Consulta e' stato poi espresso con la  sentenza
n. 165/2000 con la quale si e' ribadito quanto segue:  «questa  Corte
ha piu' volte affermato che la  disponibilita'  di  misure  cautelari
costituisce  componente  essenziale  della   tutela   giurisdizionale
garantita dall'art.  24  della  Costituzione  (sent.  n.  336/99;  n.
326/97; n.  249/96;  n.  293/94;  n.  190/95).  Enunciazione  questa,
sicuramente riferibile, per la sua  generalita',  anche  al  processo
tributario, e che si spiega con l'esigenza di evitare che  la  durata
del processo vada a danno di chi ha ragione e che, durante  il  tempo
occorrente per l'accertamento in via ordinaria del  suo  diritto,  e'
esposto al rischio di subire un  danno  irreparabile»  (anche  se  la
stessa Corte ha poi affermato che la  garanzia  costituzionale  della
tutela cautelare deve ritenersi imposta soltanto fino al  momento  in
cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga
- con efficacia esecutiva - la domanda). 
    Pertanto, si e' detto:  «non  e'  azzardato  sostenere  che,  nei
limiti in cui la potesta' cautelare e' diretta a evitare il periculum
in  mora,  essa  continua  ad  essere  una  componente  essenziale  e
ineliminabile della tutela giurisdizionale. Tra l'altro,  questo  che
si  afferma,  non  e'  principio  estraneo  al   nostro   ordinamento
giuridico, visto che di esso si trova compiuta  regolamentazione  sia
nel processo civile che in quello  amministrativo,  e,  sotto  questo
aspetto l'esclusione di una tale opportunita' del processo tributario
non e' altrimenti giustificata». 
    Si e', poi, specificamente affermato, sulla base  delle  premesse
ora esposte, che: «la disciplina dell'art. 47 del decreto legislativo
n. 546/92, e' costituita dal I comma di tale articolo, che indica  la
Commissione  tributaria  provinciale  quale  organo   al   quale   il
ricorrente puo' chiedere la sospensione dell'atto impugnato e dal VII
comma, il quale dispone che la sospensione cessa con la pubblicazione
della sentenza di I grado. Tali dati normativi, che si riferiscono al
procedimento di I grado, non escluderebbero pero'  che  dello  stesso
potere sia dotato il giudice  di  appello.  Infatti,  questi  non  ha
poteri menomati rispetto a quelli del giudice di I grado, dato che, a
norma dell'art. 61 del citato decreto legislativo,  nel  procedimento
di appello si osservano le medesime nonne che, nello stesso  decreto,
sono dettate per il procedimento di I grado. L'art. 61,  invero,  non
richiama specificamente le  nonne  nel  Capo  I  del  Titolo  II  del
medesimo decreto (artt. da 18 a 46), ma, in generale, tutte le  norme
- dettate  per  il  procedimento  di  I  grado  -.  E  tale  dizione,
contrariamente a chi sostiene che siano richiamate soltanto le  nonne
contenute nel Capo I, comprende indubbiamente anche  quelle  dettate,
per  il  I  grado,  nel  Capo  II.  Ne'  vale  opporre,  contro  tale
conclusione, che l'art. 47 considera solo il  procedimento  cautelare
dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, e cio' perche', come
si evince  dalla  «Relazione  Ministeriale  allo  schema  di  decreto
legislativo,»  il  Capo  II  e'  composto  da  due   soli   articoli,
riguardanti, rispettivamente, i procedimenti cautelari e  preventivo,
prevedendo espressamente nell'art. 48 che la conciliazione giudiziale
puo' aver luogo solo  davanti  alla  Commissione  provinciale;  senza
alcuna limitazione in tal  senso  per  quanto  concerne,  invece,  la
sospensione. 
    Orbene, a parere di questa commissione,  non  puo'  non  aderirsi
alle  predette  argomentazioni  perche'  esaustive,  con   un'analisi
profonda, coerente e piu' idonea per l'applicazione equa dei principi
del nostro ordinamento. 
    Non si puo', peraltro, escludere che l'ottica attuale nell'ambito
delle norme tributarie, anche processuali, sia pure orientata in  tal
senso, specie alla stregua di una  convincente  normativa  desumibile
dalla legge 27 luglio  2000,  n.  212,  disposizioni  in  materia  di
statuto dei diritti  del  contribuente,  secondo  cui:  art.  1:  «Le
disposizioni della presente legge, in attuazione  degli  articoli  3,
23, 53 e  97  della  Costituzione,  costituiscono  principi  generali
dell'ordinamento tributario e possono essere  derogate  e  modificate
solo espressamente e mai da leggi speciali;  art.  2,  comma  II:  le
leggi  e  gli  altri  atti  aventi  forza  di  legge  che  contengono
disposizioni tributarie debbono menzionarne l'oggetto nel titolo;  la
rubrica  delle  partizioni  interne  e  dei  singoli  articoli   deve
menzionare  l'oggetto  delle  disposizioni  ivi  contenuti  (cio'  in
relazione a quanto si e' osservato in premessa con  riferimento  alla
natura ed all'oggetto delle norme  in  esame  sulla  base  di  quanto
osservato dalla relazione  ministeriale  al  decreto  legislativo  n.
546/92). 
    Non puo' non richiamarsi, altresi', quanto previsto dall'art. 111
della Costituzione novellato ed entrato in vigore il 7 gennaio  2000,
secondo cui «La giurisdizione si attua mediante  il  giusto  processo
regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra
le parti, in condizioni di  parita',  davanti  al  giudice  terzo  ed
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». E,  come  si
e' esattamente osservato; «a questi principi deve  uniformarsi  anche
il  processo  tributario,  per  evitare  possibili,   anche   future,
eccezioni di incostituzionalita'. L'esigenza del  giusto  processo  e
dell'effettivo esercizio del diritto di difesa (art. 24 della  Cost.)
deve conciliarsi con l'esigenza dello Stato di riscuotere le  imposte
(art. 53 della Cost.); e per trovare l'equilibrio  senza  penalizzare
le  parti'  in  causa,  e'  necessario  rispettare  alcuni   principi
fondamentali». 
    D'altronde, che anche il pensiero  del  legislatore  sia  in  tal
senso, puo' desumersi, anzitutto, da  quanto  espresso  nella  stessa
Relazione Ministeriale al decreto legislativo all'art. 47, in cui  si
legge, pure, che detta norma «in stretta osservanza a quanto disposto
dall'art. 30 lettera h della legge delega, disciplina la  sospensione
dell'esecuzione dell'atto impugnato. Trattasi, come e' chiaro, di uno
dei punti piu'  significativi  della  nuova  normativa  sul  processo
tributario che risolve, nel modo migliore, forse la piu'  travagliata
delle problematiche mai riscontrate in materia...» e all'uopo, si  e'
affermato che la  meditata  giurisdizionalizzazione  del  contenzioso
tributario,  in  un  momento   di   riflessione   che   ha   condotto
all'integrale  revisione  degli  strumenti  cautelari  nello   stesso
processo di cognizione ordinaria dinanzi al giudice civile  (si  veda
la legge 26 novembre 1990, n. 353) ha determinato una innovazione  la
cui necessita' era stata segnalata dalla dottrina e dalla pratica». 
    In secondo luogo, non puo' non tenersi presente quanto si  desume
dal disegno di  legge  governativo,  presentato  dal  Ministro  delle
finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e  col  Ministro
del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, comunicato
alla Presidenza del Senato il 7 ottobre 1999 e relativo a modifiche e
integrazioni ai decreti legislativi 31 dicembre 1992,  n.  545  e  n.
546, concernenti il riordino del contenzioso tributario. 
    Va altresi' rilevato che nel processo tributario hanno  immediata
efficacia esecutiva, secondo  la  disciplina  dettata  dall'art.  68,
decreto legislativo n.  546/92,  le  sentenze  che  hanno  a  oggetto
l'impugnativa  di  atti  di  imposizione  relativi  all'esistenza   e
all'entita'  del  tributo;   cioe'   le   sentenze   concernenti   la
determinazione e il pagamento del tributo dovuto. 
    Non hanno immediata efficacia esecutiva, invece, e  percio'  sono
eseguibili solo dopo  il  passaggio  in  giudicato,  le  sentenze  di
condanna dell'ente impositore, tanto se  obbligano  l'amministrazione
al pagamento di somme, quanto se impongono un comportamento diverso. 
    Ugualmente non hanno immediata efficacia  esecutiva  le  sentenze
concernenti provvedimenti  diversi  da  quelli  innanzi  considerati,
quali le sentenze attinenti alla spettanza di benefici fiscali,  alla
chiusura delle liti pendenti, al classamento degli immobili, ecc. 
    Il decreto legislativo n. 546/92 nulla prevede per tali sentenze,
ma  -  escluso  che  sia  applicabile  il  principio   di   immediata
esecutivita' sancito dall'art. 337 c.p.c. alla  conclusione  negativa
sembra doversi  pervenire  in  base  al  principio  generale  sancito
dall'alt. 2909 del codice civile, per cui gli effetti della  sentenza
si producono quando si sia formato il giudicato formale. 
    Su questa disciplina, che consente  di  procedere  all'esecuzione
coattiva solo delle sentenze da cui derivi  un  credito  dell'erario,
grava il sospetto  di  incostituzionalita'  sotto  il  profilo  della
violazione degli alt 3, 24 e 111  cost.  Infatti,  la  disparita'  di
trattamento tra fisco e contribuente, non  sembra  giustificata,  non
potendo l'esecuzione della sentenza fare leva su  un  diverso  tenore
delle statuizioni in esso contenute, laddove  il  beneficiario  delle
stesse sia l'ente impositore  oppure  il  contribuente;  ne'  d'altro
canto tale irrazionale scelta del  legislatore  fiscale  puo'  essere
giustificata  da  un  eventuale  diverso  spessore  dei  contrapposti
interessi che si fronteggiano in giudizio. 
    Per compiutezza di analisi, stante la oggettiva complessita'  del
problema,  questa  commissione   non   puo'   omettere   un'ulteriore
argomentazione  che  si  ritiene   notevolmente   rilevante   perche'
riferentesi anche ai principi del diritto comunitario europeo. 
    Invero, parte della dottrina rinvenuta  dopo  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 165 del 31 maggio 2000, di cui  si  e'  fatto
gia' cenno, ha osservato, a proposito di  tale  sentenza,  che:  «con
riguardo all'art. 24 della Costituzione, il Giudice delle leggi, dopo
aver ribadito quanto in precedente giurisprudenza della stessa  Corte
affermato sulla disponibilita' di misure  cautelari  come  componente
essenziale  della   tutela   giurisdizionale   anche   nel   processo
tributario, ha statuito che la garanzia costituzionale  della  tutela
cautelare deve ritenersi imposta  dalla  Costituzione  solo  fino  al
giudizio di merito che accolga con efficacia  esecutiva  la  domanda,
rendendo superflua l'adozione di ulteriori misure  cautelari,  ovvero
la respinga; negando in  tal  modo  la  sussistenza  del  diritto  e,
dunque, il presupposto della pronuncia della  tutela  cautelare;  per
concludere, poi, che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle
fasi di giudizio successive alla decisione nel merito «deve ritenersi
rimessa alla discrezionalita'  del  legislatore».  Mentre,  a  parere
della stessa dottrina: «se la garanzia  costituzionale  della  tutela
giurisdizionale delle posizioni soggettive esige  che  quella  tutela
sia piena ed effettiva, non v'e' dubbio che debba  essere  tale,  per
tutta la durata del processo, per evitare  che  chi  ha  ragione  non
subisca  un  irrimediabile  pregiudizio  nel   tempo   occorrente   a
procurarsi la tutela in via ordinaria». 
    Inoltre,  si  e'  aggiunto,  dalla  stessa  dottrina,   che:   «a
differenza di  quanto  affermato  dalla  Corte,  il  requisito  della
irragionevolezza  delle  scelte  legislative  puo'  essere  preso  in
considerazione ai fini della decisione  anche  se  non  espressamente
richiesto dai giudici emittenti, cosi' come  si  era  verificato  nel
caso sottoposto al vaglio della medesima  Corte  e  comunque,  si  e'
concluso: «da parte della suddetta dottrina,  che  la  ragionevolezza
non puo' essere scelta tale da provocare un vuoto di tutela». 
    In linea  generale,  per  quanto  osservato  in  proposito  dalla
dottrina  teste  richiamata,  e'  doveroso,  da   parte   di   questa
commissione, riportare quanto ormai e' chiaramente espresso  in  tema
nelle sedi piu' qualificate della Comunita' europea e degli organi di
giustizia di detta Comunita'. 
    Tra le sentenze  piu'  significative  che  applicano  chiaramente
quanto  espresso  nelle  sedi  qualificate,  teste   richiamate,   e'
opportuno ricordare la sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 1978
(causa 106/77) Min. Finanze italiano vs. Simmenthal, secondo cui: «il
giudice nazionale, incaricato di applicare, nell'ambito della propria
competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha  l'obbligo  di
garantire  la  piena  efficacia   di   tali   norme,   disapplicando,
all'occorrenza,  di  propria   iniziativa,   qualsiasi   disposizione
contrastante della legislazione nazionale,  anche  posteriore,  senza
doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o
mediante qualsiasi altro procedimento  costituzionale»;  inoltre,  la
sentenza 19 giugno 1990 (causa 213/1989) - Due, Pres. ; Tesauro, Avv.
Gen. - rinvio pregiudiziale della House of Lords, Segretario di Stato
per i trasporti del Regno Unito /societa'  Factortame,  secondo  cui:
«il giudice nazionale deve disapplicare le leggi  nazionali  che  gli
impediscano di emettere provvedimenti provvisori di indole  cautelare
a tutela di diritti fondati sulle nonne comunitarie, quando cio'  sia
necessario al fine di garantire la piena efficacia satisfattiva della
finale decisione di merito e di assicurare una applicazione uguale ed
uniforme delle norme comunitarie nei confronti di tutti i destinatari
dei vari Stati». 
    La sentenza della Corte  di  Giustizia  teste'  richiamata  -  in
particolare e, correlativamente, ad altre piu' generiche -  e'  stata
considerata come «l'emergere - lento ma efficace - di  una  serie  di
principi  che  puo'  dirsi  di  "diritto   processuale   comunitario;
nell'ambito dei quali, e' stato detto: non  poteva  che  spettare  un
ruolo preminente alla problematica vivissima,  non  solo  in  Italia,
della  tutela  cautelare  urgente.  E  chi  pure  non   sia   incline
all'enfasi, difficilmente potra' negare alla stessa sentenza il rango
di  pronunciamento  giurisprudenziale  di  portata  storica   o   non
ravvedervi una tappa attesa e importante nella costruzione del  nuovo
diritto  europeo,  che  tocca  infine,   a   pieno,   la   dimensione
processuale. In relazione alla medesima sentenza, infine, si e' anche
rilevato, nel contesto di  un  commento  a  due  ordinanze  pretorili
emesse ex art. 700 nei  confronti  dell'amministrazione  finanziaria,
che,  alla  stregua  delle  statuizioni  della  sentenza  Factortame,
dovrebbe riconoscersi al giudice tributario (per cio'  che  riguarda,
ovviamente, il relativo contenzioso) il potere di disapplicare  tutte
le norme di diritto interno che gli  precludano  la  possibilita'  di
concedere misure cautelari. 
    Comunque, sembra ormai pacifico che la Corte di  Giustizia,  piu'
in generale,  abbia  una  giurisprudenza  particolarmente  abbondante
sviluppatasi sull'alt 6 della  Convenzione  europea,  a  stregua  del
quale chiunque ha diritto a che la sua causa sia giudicata  equamente
da un giudice indipendente ed imparziale. 
    Per quanto sopra evidenziato, ritiene, questa  commissione,  che,
in base agli artt. 30 lettera h) della L. 30 dicembre 1991 n.  413  e
47 del decreto legislativo n. 546/1992 - piu' volte richiamati -  con
un'adeguata  interpretazione  letterale,  logica  e  sistematica,  il
potere  di  sospensione   non   debba   con   certezza   considerarsi
normativamente limitato al giudizio di primo grado. In quanto - come,
tra l'altro si e' gia' detto,  nell'esame  di  quest'ultima  norma  -
anzitutto,  non  possono  essere   decisive   in   tal   senso,   ne'
l'indicazione della commissione tributaria di primo grado alla  quale
per tale sospensiva non poteva non rivolgersi il contribuente in quel
grado del giudizio; ne' la cessazione degli effetti della sospensione
dalla  data  di  pubblicazione  della  sentenza   di   primo   grado,
riferendosi cio', ovviamente, alla procedura cautelare nei limiti  di
quel grado del  giudizio.  Aggiungasi,inoltre,  sia  quanto  disposto
dall'art.  61  del  decreto  legislativo  n.  546/1992,  cosi'   come
interpretato  da  parte  della  dottrina   e   della   giurisprudenza
tributaria, con riferimento al rinvio delle  norme  del  giudizio  di
primo grado applicabili anche in appello; sia quanto  enucleabile  da
tutta la disciplina del nuovo  processo  tributario,  tendenzialmente
protesa all'adeguamento e all'integrazione di tale rito,  rispetto  a
quello previsto  dal  c.p.c.;  senza  poter  trascurare,  infine,  la
sottesa ratio desumibile da un'adeguata lettura della legge delegante
del 30 dicembre 1991, n. 413, art. 30  lett.  g)  (Adeguamento  delle
norme del processo tributario con quelle del processo civile) e  art.
1, comma 2 del decreto legislativo n. 546/1992 (I  giudici  tributari
applicano le norme del presente decreto e, per  quanto  da  esse  non
disposto e con esse compatibili, le norme del  c.p.c.);  e,  inoltre,
con   particolare    attenzione,    i    principi    dell'ordinamento
costituzionale italiano e di quello comunitario. 
    Tale soluzione del problema non incide negativamente, a parere di
questa  Commissione,  sull'interpretazione  di  quella  parte   della
dottrina  e  della   giurisprudenza,   gia'   riportata,   circa   il
collegamento degli artt.47,  49  e  68  del  decreto  legislativo  n.
546/92, in ordine all'esecuzione delle sentenze  emesse  dal  giudice
tributario.  Invero,  il  combinato  disposto  di  dette  norme  puo'
considerarsi immune da  rilievi,  nei  casi  in  cui  non  ricorrano,
comunque, gli estremi  dell'eccezionale  urgenza,  del  fumus  e  del
periculum in mora, che comportano, invece, la valutazione  del  caso,
in relazione alle richieste  del  contribuente  e  alle  ragioni  del
Fisco, dinanzi al giudice. 
    Si e' d'avviso, quindi, che con le conclusioni sopra riportate da
parte  di  questa  Commissione,   si   possa   far   riferimento   ad
interpretazioni orientate, non solo col nostro sistema costituzionale
nel suo complesso, ma anche con i principi  consolidati  del  diritto
comunitario in tema, come sopra precisati.