TRIBUNALE DI VERONA 
 
 
                              Ordinanza 
 
    Il giudice, dott. Giorgio Piziali, nel procedimento a  carico  di
Andrioli Gabriele + 4,  oltre  ad  altri  reati  qui  non  rilevanti,
risultano contestati le seguenti violazioni dell'art. 181 comma 1-bis
lett. a) del dlvo 42 del 2004: 
        a Gabriele Andrioli e  Chiara  Salzani  (capo  b)  per  avere
realizzato in assenza della prescritta  autorizzazione  paesaggistica
un mutamento di  destinazione  d'uso  da  annesso  rustico  a  civile
abitazione di un immobile da loro realizzato in  zona  dichiarata  di
notevole interesse pubblico e sottoposta a vincolo paesaggistico  con
DM 23.5.1957; 
        ancora a Gabriele Andrioli e  Chiara  Salzani  (capo  b)  per
avere  realizzato  in   assenza   della   prescritta   autorizzazione
paesaggistica una piscina parzialmente interrata sempre nella  stessa
zona dichiarata di notevole interesse pubblico e sottoposta a vincolo
paesaggistico con DM 23.5.1957; 
        ancora a Gabriele Andrioli e  Chiara  Salzani  (capo  e)  per
avere pavimentato con colate di calcestruzzo un tratto di capezzagna,
in  assenza  della  prescritta  autorizzazione,  nella  stessa   zona
dichiarata di notevole interesse  pubblico  e  sottoposta  a  vincolo
paesaggistico con DM 23.5.1957; 
        infine  a  Gabriele  Andrioli,  Pietro  Venturini  e  Michele
Giacopuzzi (capo e) per aver  realizzato  un  corpo  di  fabbrica  in
difformita' dalla prescritta autorizzazione, per essere l'opera  piu'
alta di 40 cm rispetto a quanto autorizzato, nella zona dichiarata di
notevole interesse pubblico e sottoposta a vincolo paesaggistico  con
DM 23.5.1957; 
        rispetto  a  queste  violazioni  la  difesa  degli   imputati
Gabriele Andrioli e Chiara Salzani, con memoria  depositata  in  data
3.6.2014, ha eccepito  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma
sanzionatoria  cosi'  contestata,  nella   parte   in   cui   esclude
l'operativita' della sanatoria prevista dai commi  1-ter  e  1-quater
dello stesso art. 181 citato,  malgrado  il  carattere  minore  degli
interventi eseguiti, avendo documentato nel corso del giudizio che la
locale Sovrintendenza ha espresso  un  «parere  favorevole  circa  la
compatibilita' delle opere ...rispetto al contesto  paesaggistico  di
riferimento». 
    Sentite le parti all'udienza del 5.6.2014 osserva quanto segue. 
1. Rilevanza. 
    In  atti  (prodotto  all'udienza  del  18.7.2013   dalla   difesa
Giacopuzzi) risulta effettivamente il parere reso in  data  19.4.2011
dalla  locale  Sovrintendenza  e  confluito  anche  nel  permesso  di
costruire in  sanatoria  con  il  quale  e'  stato  espresso  «parere
favorevole  circa  la  compatibilita'  delle  opere  ...rispetto   al
contesto paesaggistico di riferimento» in  relazione  alle  modifiche
prospettiche e degli esterni di cui alle opere confluire nel capo  di
imputazione. 
    In aggiunta a cio' e', altresi', emerso dall'istruttoria  che  la
piscina di cui al capo b) e' stata rimossa. 
    Si  deve,  quindi,  convenire  che   ove   effettivamente   fosse
illegittima l'esclusione delle violazioni dell'art. 181  comma  1-bis
del dlvo 42 del 2004 dalla disciplina  dai  commi  1-ter  e  1-quater
dello stesso art. 181 l'esito del procedimento sarebbe diverso per le
opere   comprese   nel   citato   parere   favorevole   reso    dalla
Sovrintendenza. 
    Ma  va  aggiunto  che  l'esito  sarebbe  diverso  anche  per   la
realizzazione  della  piscina,  ove  si  estendesse,  per  l'evidente
omogeneita', la medesima eccezione anche  al  comma  1-quinquies,  il
quale in caso di rimessione in pristino delle aree o  degli  immobili
soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che
venga disposta d'ufficio dall'autorita'  amministrativa,  e  comunque
prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui  al  comma
1, ma non quello di cui al comma 1-bis. 
    Ma, in modo ancor piu' ampio, l'esito  del  procedimento  sarebbe
del  tutto  diverso,  incidendo   direttamente   anche   sul   regime
sanzionatorio e sui termini di prescrizione, per tutte  le  condotte,
anche  quelle  non  comprese   nel   parere   favorevole   circa   la
compatibilita' delle opere ...rispetto al contesto  paesaggistico  di
riferimento» o non rimosse,  se  emergesse  un'ancora  piu'  radicale
illegittimita' costituzionale della differenziazione  realizzata  dal
comma 1-bis lettera a) rispetto al  comma  1,  e  rispetto  anche  al
disposto  dell'art.  734   c.p.,   nonche',   per   altro   verso   ,
dell'identita' di disciplina dettata  nel  comma  1-bis  tra  i  casi
assolutamente incomparabili di cui alla lettera a) e  quelli  di  cui
alla lettera b). 
    Aspetto quest'ultimo, che involge  piu'  radicalmente  il  regime
sanzionatorio, sul quale, come si  vedra'  subito,  appare  parimenti
fortemente fondato il dubbio di illegittimita' costituzionale. 
2. Non manifesta infondatezza. 
    Fermo quanto detto circa la rilevanza, si  ritiene  che  non  sia
manifestamente infondata, in relazione al parametro costituzionale di
cui  agli  artt.  3  e  27   della   Costituzione,   l'eccezione   di
illegittimita' dell'art. 181, commi 1-ter e 1-quater del dlvo 2004 n.
42, nonche' la questione di legittimita' dello stesso art. 181, comma
1-quinquies, nella parte in cui ne e' esclusa l'operativita' rispetto
alle condotte di cui al comma 1-bis, lettera a) dell'art. 181. 
    Ma, in modo anche  piu'  radicale,  come  si  e'  anticipato,  si
ritiene che non sia manifestamente infondata, sempre in relazione  al
parametro costituzionale di cui agli artt. 3 e 27 della  Costituzione
anche la questione relativa alla differenza sanzionatoria tra i fatti
di cui al comma 1 e quelli di cui  al  comma  1-bis  lettera  a)  del
citato art. 181, e, per converso, l'omogeneita' sanzionatoria  tra  i
fatti di cui al comma 1-bis lettera a) e quelli di cui al comma 1-bis
lettera b) del citato art. 181. 
2.a Il tessuto normativo di riferimento. 
    Per affrontare  la  questione  e'  necessario,  in  primo  luogo,
ricostruire il tessuto normativo di riferimento. 
    L'art. 181  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,
dedicato alle «opere eseguite  in  assenza  di  autorizzazione  o  in
difformita' da essa», prevede al comma  l  che  «chiunque,  senza  la
prescritta autorizzazione o in difformita' di essa, esegue lavori  di
qualsiasi genere su beni paesaggistici e' punito con le pene previste
dall'articolo 44,  lettera  c),  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». Pene di natura contravvenzionale. 
    Al comma 1-bis, invece, e' sanzionata  con  la  piu'  grave  pena
«della reclusione da uno a quattro anni» la condotta di chi esegue  i
medesimi lavori di cui al  comma  1,  se  (lettera  a)  «ricadano  su
immobili od aree che per le loro caratteristiche paesaggistiche siano
stati  dichiarati  di  notevole  interesse  pubblico   con   apposito
provvedimento emanato in epoca  antecedente  alla  realizzazione  dei
lavori», oppure, disgiuntamente, se (lettera b) «ricadano su immobili
od aree tutelati per legge ai  sensi  dell'articolo  142  ed  abbiano
comportato un aumento dei manufatti superiore  al  trenta  per  cento
della volumetria della costruzione originaria o, in  alternativa,  un
ampliamento della  medesima  superiore  a  settecentocinquanta  metri
cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con  una
volumetria superiore ai mille metri cubi». 
    La differenza sanzionatoria tra il comma 1 e il comma 1-bis e' da
ricondurre all'intervento effettuato  con  l'articolo  1,  comma  36,
della legge 15 dicembre 2004, n. 308, che ha  aggiunto,  appunto,  il
comma  1-bis,  unitamente  ai  successivi  commi  1-ter  1-quater   e
1-quinquies. 
    Commi ulteriori il cui contenuto e' il seguente: 
        «1-ter.  Ferma   restando   l'applicazione   delle   sanzioni
amministrative  pecuniarie   di   cui   all'articolo   167,   qualora
l'autorita'  amministrativa  competente  accerti  la   compatibilita'
paesaggistica secondo le procedure  di  cui  al  comma  1-quater,  la
disposizione di cui al comma l non si applica: 
          a) per  i  lavori,  realizzati  in  assenza  o  difformita'
dall'autorizzazione  paesaggistica,  che  non   abbiano   determinato
creazione di superfici  utili  o  volumi  ovvero  aumento  di  quelli
legittimamente realizzati; 
          b)   per   l'impiego   di    materiali    in    difformita'
dall'autorizzazione paesaggistica; 
          c)  per  i  lavori  configurabili   quali   interventi   di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo  3  del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. 
        1-quater. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi
titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di  cui
al comma 1-ter presenta apposita domanda all'autorita' preposta  alla
gestione del vincolo ai fini dell'accertamento  della  compatibilita'
paesaggistica degli interventi medesimi.  L'autorita'  competente  si
pronuncia sulla domanda entro il termine  perentorio  di  centottanta
giorni, previo parere vincolante  della  soprintendenza  da  rendersi
entro il termine perentorio di novanta giorni. 
        1-quinquies. La rimessione in pristino  delle  aree  o  degli
immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del  trasgressore,
prima che venga disposta d'ufficio dall'autorita'  amministrativa,  e
comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato  di  cui
al comma 1». 
    L'effetto complessivo che residua all'innesto effettuato nel 2004
con la legge n. 308 e', quindi, una disciplina che sanziona  in  modo
estremamente piu' contenuto le  condotte  poste  in  essere  su  beni
paesaggistici cosi'  definiti  per  legge,  rispetto  alle  identiche
condotte poste in essere su beni  dichiarati  di  notevole  interesse
pubblico con apposito provvedimento e che ammette, rispetto alle sole
condotte poste in essere su beni  paesaggistici  cosi'  definiti  per
legge, sia eventi estintivi del reato (la rimessione in pristino) che
vere e proprie  sanatorie  successive  (in  questo  caso  con  alcuni
limiti). 
2.b Irragionevolezza del trattamento deteriore che  subisce  l'autore
del reato di cui al comma 1-bis lettera a). 
    Ora, questo serio  aggravio  di  pena,  e  l'esclusione  di  ogni
successiva  sanatoria  o  estinzione  del  reato,  e'   evidentemente
comprensibile e ragionevole per gli interventi di cui alla lettera b)
dell'art. 181 comma 1-bis, perche' in questo caso si e'  in  presenza
di opere di impatto estremamente rilevante, per  aver  comportato  un
aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della  volumetria
della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento  della
medesima superiore a settecentocinquanta metri  cubi,  ovvero  ancora
abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore
ai mille metri cubi. 
    L'identico aggravio di pena, invece, appare del  tutto  privo  di
giustificazione razionale rispetto alla  lettera  a)  della  medesima
norma, perche' e' inspiegabile e ingiustamente iniquo il  trattamento
deteriore che subisce l'autore  del  reato  di  cui  al  comma  1-bis
lettera a), rispetto all'autore della condotta di cui al comma 1. 
    E cio': 
        a) sia rispetto al  soggetto  che  pone  in  essere  condotte
materialmente identiche, su beni non dichiarati di notevole interesse
pubblico con apposito provvedimento, ma che quell'interesse  pubblico
hanno in forza della legge; 
        b) sia rispetto al soggetto che pone in essere  le  ben  piu'
gravi condotte di cui alla ricordata lettera b) dell'art.  181  comma
1-bis. 
        a) Infatti, per dirlo con riferimento al caso  specifico  qui
in esame, per aver realizzato un corpo di fabbrica piu' alto di 40 cm
rispetto a quanto autorizzato, viene integrato un delitto e  non  una
contravvenzione, e senza la possibilita' di  godere  ai  fini  penali
dell'autorizzazione successivamente  rilasciata  in  sanatoria,  solo
perche' la zona  in  cui  e'  ubicato  l'immobile  e'  dichiarata  di
notevole interesse pubblico e sottoposta a vincolo paesaggistico  con
un apposito provvedimento, nel caso  il  DM  23.5.1957,  e  non  gia'
dichiarata tale ex lege. 
        Gia'  per  questo  aspetto  il  confronto  non  trova  alcuna
giustificazione razionale comprensibile,  perche',  anzi,  dovrebbero
semmai essere i beni la cui evidenza paesaggistica e' talmente chiara
e importante da avere un riconoscimento generale e astratto di  fonte
direttamente legislativa a meritare una tutela maggiore, non gia'  un
bene il cui  rilievo  paesaggistico  non  deriva  direttamente  dalla
legge, ma da un atto amministrativo. 
        Con questa soluzione legislativa, per dirlo  con  riferimento
al caso specifico, risulta piu' grave  alzare  di  40  centimetri  un
edificio sito nella Valpolicella, che non realizzare un  aumento  dei
manufatti  entro  il  trenta  per  cento   della   volumetria   della
costruzione originaria, oppure realizzare una nuova  costruzione  con
una volumetria entro i  mille  metri  cubi  sul  territorio  costiero
compreso in una fascia della profondita' di 300 metri dalla linea  di
battigia. 
        E cio' in quanto  il  territorio  costiero  compreso  in  una
fascia della profondita' di 300 metri dalla linea di battigia  riceve
una tutela  ex  lege,  per  cui  per  ogni  opera  su  esso  eseguita
l'intervento  sanzionatorio  previsto  e'  di  natura  esclusivamente
contravvenzione, per di piu' sanabile, a meno  che  non  ricorrano  i
casi della lettera b) del comma 1-bis dell'art. 181. 
        Quindi l'affermazione che e' stabilmente fatta dalla Corte di
cassazione per  cui  la  differenziazione  del  regime  sanzionatorio
complessivo tra il comma 1 e il comma 1 si  giustificherebbe  perche'
«si tratta di una scelta del legislatore e che riguarda situazioni in
realta' non omogenee» (ad esempio  Sez.  3,  Sentenza  n.  33542  del
19/6/2012) e' altamente  insoddisfacente,  perche'  se  davvero  sono
situazioni non omogenee  (e  cio',  come  si  vedra',  e'  fortemente
dubbio) di certo ad essere trattate  in  maniera  deteriore  sono  le
situazioni semmai meno gravi,  perche'  riguardano  beni  di  rilievo
ambientale inferiore, in quanto non qualificate come tali dalla legge
per l'intrinseca valenza ambientale che li caratterizza. 
        E certamente non e' tollerabile da un  sistema  sanzionatorio
che si incentra ex art. 27 Cost. sulla  finalita'  rieducativa  della
pena che vi siano esiti sanzionatori cosi' macroscopicamente ingiusti
sul piano della comparazione delle situazioni, perche'  esisti  cosi'
macroscopicamente ingiusti rendono la pena ingiusta  e,  quindi,  non
rieducativa. 
        b) Ma vi e' dell'altro, perche'  un'altra  evidente  distonia
del sistema sanzionatorio  emerge  dal  raffronto  interno  alle  due
lettere del comma 1-bis dell'art. 181,  queste  si'  relative  a  due
situazioni del tutto non omogenee,  ma  trattate,  sotto  il  profilo
penale, allo stesso modo. 
        Infatti, per restare sempre  al  caso  di  specie,  per  aver
realizzato un corpo di fabbrica piu' alto di 40 cm rispetto a  quanto
autorizzato, in ragione del solo  fatto  che  l'intervento  e'  stato
effettuato in una zona dichiarata di notevole  interesse  pubblico  e
sottoposta a vincolo paesaggistico con un  apposito  provvedimento  e
non gia' ex  lege,  il  trattamento  sanzionatorio  viene  ad  essere
identico a quello previsto per l'esecuzione, su  beni  dichiarati  di
notevole interesse pubblico e sottoposti a vincolo  paesaggistico  ex
lege, di opere di straordinario impatto ambientale:  come  effettuare
un  aumento  dei  manufatti  superiore  al  trenta  per  cento  della
volumetria della costruzione originaria o, in  alternativa,  eseguire
un ampliamento della medesima superiore a  settecentocinquanta  metri
cubi,  ovvero  ancora  realizzare  una  nuova  costruzione  con   una
volumetria superiore ai mille metri cubi. 
        Anche cio'  e'  certamente  non  tollerabile  da  un  sistema
sanzionatorio che per la  finalita'  rieducativa  che  la  pena  deve
avere, come  detto,  non  puo'  ammettere  esiti  sanzionatori  cosi'
macroscopicamente  ingiusti  sul  piano  della   comparazione   delle
situazioni. 
        c) Ma vi e' in aggiunta da segnalare, a questo riguardo,  che
il  trattamento  sanzionatorio  dettato  dall'art.  181  comma  1-bis
lettera a),  tanto  piu'  risulta  incomprensibile,  in  presenza  di
situazioni in cui l'amministrazione preposta alla tutela del  vincolo
ritiene il bene non leso, se  lo  si  confronta  con  il  trattamento
sanzionatorio previsto dall'art. 734 c.p., che si occupa del caso  in
cui   le   bellezze   naturali   soggette   a   speciale   protezione
dell'Autorita' siano state distrutte o alterate. 
        In forza  dell'art.  734  c.p.,  infatti,  la  pena  per  chi
distrugge  o  altera  le  bellezze  naturali  soggette   a   speciale
protezione dell'Autorita' e' della sola ammenda fino a 6197,00 euro. 
        A questo giudice non sfugge che  puo'  essere  opportuno,  in
termini di corretta finalita' della pena, sanzionare maggiormente  un
reato di pericolo, per anticipare la soglia di tutela del bene, ma di
certo non pare tollerabile, nel confronto con l'art. 27 Cost.  e  con
l'art. 3 Cost., che chi abbia omesso di chiedere l'autorizzazione  (o
abbia disatteso l'autorizzazione chiesta) per eseguire opere in  zone
soggette  a  speciale   protezione   dell'Autorita'   per   la   loro
caratteristica di bellezza naturale possa subire una condanna fino  a
quattro anni di reclusione, malgrado l'amministrazione preposta  alla
tutela del bene ritenga questo non leso, e, invece, ove il  bene  sia
distrutto o alterato, incorra  nella  sanzione  dell'ammenda  fino  a
6197,00 euro. 
2b. Possibile ratio della differenza di regime sanzionatorio. 
    E' necessario, pero', che ci si confronti anche con l'assunto per
cui la logica di questo sistema sanzionatorio  differenziato  sarebbe
da ricercare proprio nel fatto che l'ordinamento intenderebbe  punire
piu' gravemente chi pone in essere la  medesima  condotta  pericolosa
per il paesaggio se questa riguarda un bene dichiarato espressamente,
con un apposito  provvedimento,  di  rilievo  paesaggistico,  proprio
perche' la presenza di un provvedimento  espresso,  adottato  con  le
forme pubbliche e partecipate dettate dagli artt. 136 ss del dlvo  in
esame 2004/42, darebbe al bene un  rilievo  ed  un'evidenza  maggiore
rispetto alle aree che sono, invece, protette «solo» ex lege. 
    Rispetto all'ipotesi che sia questa la spiegazione  della  strana
differenza sanzionatoria, occorre, pero', per prima  cosa,  segnalare
che nella versione originaria probabilmente il comma 1-bis  in  esame
intendeva effettivamente ispirarsi a questa  idea,  visto  che  nella
lettera a) il regime sanzionatorio deteriore  era  riferito  ai  beni
dichiarati   di   specifico   interesse   paesaggistico   «ai   sensi
dell'articolo 136»: ossia  in  esito  ad  una  procedura  pubblica  e
partecipata definita nel dettaglio dall'art. 136 del dlvo 2004/42. 
    Tuttavia, con l'articolo 28 del d.lgs.  24  marzo  2006,  n.  157
quell'inciso e' stato soppresso, rendendo, quindi,  evidente  che  il
regime sanzionatorio deteriore  si  applica  ai  beni  dichiarati  di
specifico interesse paesaggistico con qualsiasi provvedimento,  anche
diverso da quello pubblico e partecipato di cui all'art. 136, e nello
specifico con tutti i provvedimenti gia' resi  in  passato  in  varie
forme e fatti salvi dall'art. 157 del Codice in esame. 
    In conseguenza, infatti, la Corte di cassazione ha affermato  che
«il delitto paesaggistico previsto dall'art.  18,  comma  primo  bis,
lett. a), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (esecuzione di lavori  di
qualsiasi genere su beni paesaggistici ricadenti su immobili od  aree
che, siano  stati  dichiarati  di  notevole  interesse  pubblico  con
apposito   provvedimento   emanato   in   epoca   antecedente    alla
realizzazione dei lavori), e' configurabile anche se la dichiarazione
di notevole interesse  pubblico  sia  intervenuta  con  provvedimento
emesso ai sensi delle disposizioni previgenti. (Fattispecie  relativa
all'abusiva  realizzazione  di  una  pista  di  atterraggio  in  zona
vincolata, dichiarata di notevole  interesse  pubblico  con  D.M.  21
febbraio 1958)» (sez, III, sentenza n. 9278 del 26/01/2011). 
    A fronte di cio' l'unico dato differenziante tra i casi del comma
1 e del comma  1-bis  lettera  a)  sarebbe  allora  semplicemente  da
ricercare nella fonte del vincolo, da  riportare  al  comma  1 se  la
fonte e' la legge e da riportare al comma 1-bis se la  fonte  e'  uno
specifico provvedimento. 
    Ma  questo  esito  impone  numerose  ulteriori  osservazioni  che
confermano l'assoluta assenza di ragionevolezza di fondare una  cosi'
grave differenziazione sanzionatoria sulla fonte da  cui  promana  il
vincolo. 
        a) La prima osservazione e' che,  in  questo  modo,  contando
solamente (per giustificare la sanzione piu' elevata) la  presenza  o
meno di un provvedimento specifico di vincolo, si finisce, di  fatto,
con il sanzionare maggiormente una condotta solo perche'  include  il
mancato rispetto del provvedimento (amministrativo) che il vincolo ha
deliberato. 
        In tal modo,  pero',  si  realizza  un'evidente  sproporzione
anche rispetto al sistema sanzionatorio complessivo nel punire  cosi'
gravemente quell'inottemperanza, perche', ad esempio, in  materie  di
rango  costituzionale  almeno  pari  al  paesaggio  e   all'ambiente,
l'inottemperanza ai provvedimenti amministrativi comporta pene  assai
piu' contenute: si veda per tutti l'art. 650 c.p. 
        b) La seconda osservazione e' che quella differenza di regime
sanzionatorio e' ancora meno giustificabile nei  casi  in  cui,  come
quello qui in esame, il provvedimento che ha dichiarato  il  bene  di
notevole  interesse  pubblico  e   lo   ha   sottoposto   a   vincolo
paesaggistico  investe  un'area  di  dimensioni  estese,  com'e'   la
Valpolicella, e non solo un singolo e specifico bene. 
        Quel vincolo, infatti, in questo modo  viene  ad  essere  del
tutto identico ad alcuni di quelli di fonte legislativa e non  dotato
di quella  delimitazione,  specificita'  e  individuabilita'  da  cui
discenderebbe  un'ipotetica  giustificazione   del   maggior   rigore
sanzionatorio. 
        Col paradosso evidente e inaccettabile che  la  Valpolicella,
per stare sempre ancorati al processo in  cui  la  questione  si  sta
ponendo, se dovesse diventare un parco  o  una  riserva  nazionale  o
regionale avrebbe una tutela penale inferiore rispetto a  quella  che
ha oggi,  proprio  perche'  e'  solo  dichiarata  area  di  interesse
paesaggistico, senza assurgere a parco o a riserva. 
        c) Ma la terza osservazione, che contribuisce a rendere tanto
piu' priva di giustificazione la differenza di  regime  sanzionatorio
tra comma 1 e comma 1-bis lettera  a)  dell'art.  181  dlvo  2004/42,
deriva dal fatto che l'art. 142 del dlgs 2004 n. 42,  che  elenca  le
«aree tutelate per legge», quindi ricomprese  nel  comma 1  dell'art.
181, include alcuni beni che hanno effettivamente rilievo  ambientale
in se stessi, per la  loro  stessa  natura  (stranamente  per  questo
ritenuti dal legislatore di minor valore) che sono:  a)  i  territori
costieri compresi in una fascia della profondita' di 300 metri  dalla
linea di battigia, anche  per  i  terreni  elevati  sul  mare;  b)  i
territori  contermini  ai  laghi  compresi  in   una   fascia   della
profondita' di 300  metri  dalla  linea  di  battigia,  anche  per  i
territori elevati sui laghi; d) le montagne per  la  parte  eccedente
1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e  1.200  metri
sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;  e)  i
ghiacciai e i circhi glaciali; g) i territori coperti da foreste e da
boschi, ancorche' percorsi o danneggiati dal fuoco, l) i vulcani. 
    Ma accanto a questi beni l'art. 142 qualifica  alcuni  beni  aree
tutelate per legge, e quindi ricompresi nel comma  1  dell'art.  181,
solo in quanto individuate da appositi  provvedimenti.  Cosi'  per  i
fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua (e  le  relative  sponde  o  piedi
degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna) quella qualita' di
area protetta per legge la  assumono  solo  se  si  tratta  di  corsi
d'acqua «iscritti  negli  elenchi  previsti  dal  testo  unico  delle
disposizioni di legge sulle acque ed  impianti  elettrici,  approvato
con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775». 
    Analogamente per le zone umide per acquisire la qualita' di  area
protetta per legge occorre che siano incluse nell'elenco previsto dal
decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448. 
    Per i parchi e  le  riserve  nazionali  o  regionali,  nonche'  i
territori di' protezione esterna dei parchi, tanto piu' e' proprio un
provvedimento che attribuisce quella qualita'. 
    Allo  stesso  modo  per  i  territori  sottoposti  a  vincolo  di
rimboschimento, come definiti dall'articolo  2,  commi  2  e  6,  del
decreto  legislativo  18  maggio  2001,  n.  227,  di  nuovo  e'   un
provvedimento che li individua. 
    Infine, per le aree assegnate alle universita' agrarie e le  zone
gravate da usi civici ancora una volta sono provvedimenti specifici a
far sorgere quella qualita' e quindi la qualifica di area protetta. 
    Pertanto, rispetto a questi beni, che trovano si' la loro  tutela
nella definizione legale di aree tutelate, ma che per essere  inclusi
in quella tutela richiedono  un  provvedimento,  ancora  maggiormente
sfugge cosa possa giustificare la cosi' seria differenza  nel  regime
sanzionatorio penale che risulta dall'art. 181 in esame. 
2.C. Omogeneita' dei beni  per  come  disciplinati  nell'intero  dlvo
2004/42. 
    Da ultimo, infine, a confermare  l'irragionevolezza  del  sistema
sanzionatorio penale che residua  all'articolazione  dei  commi  1  e
1-bis lettera a) dell'art. 181 dlvo 2004/42 e' il fatto che in  tutto
il testo del  dlvo  2004/42  la  disciplina  dei  beni  di  interesse
paesaggistico e' esattamente identica,  senza  alcuna  differenza  in
ragione  del  fatto  che  siano  tutelati  dalla  legge,   in   forza
dell'articolo 142, oppure siano tutelati in  forza  di  provvedimenti
espressi ai sensi degli articoli 136, 143, comma  1,  lettera  d),  e
157. 
    Infatti, l'art. 146, ad esempio, sottopone  tutti  i  beni  cosi'
individuati  alla  medesima  disciplina  e,  anzi,  anche  sul  piano
lessicale distingue le aree tutelate ex art. 142 dalle altre in  modo
estremamente tenue, definendo le prime «tutelate dalla  legge»  e  le
altre tutelate «in base alla legge» a  termini  degli  articoli  136,
143, comma 1, lettera d), e 157. 
    Ma, soprattutto,  rilevante  e'  che  l'art.  167  disciplina  la
possibilita'  di  accedere  ad  una  valutazione  di   compatibilita'
paesaggistica    successiva    all'esecuzione    dell'opera,    senza
differenziare tra le opere che intervengono su beni tutelati ex  lege
o su beni tutelati con specifici provvedimenti,  escludendo,  invece,
questa possibilita' solo in  ragione  della  tipologia  delle  opere,
ammettendo la valutazione di compatibilita'  paesaggistica  solo:  a)
per i lavori, realizzati in assenza o difformita' dall'autorizzazione
paesaggistica, che non abbiano  determinato  creazione  di  superfici
utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b)
per  l'impiego  di  materiali  in   difformita'   dall'autorizzazione
paesaggistica;  c)  per  i  lavori   comunque   configurabili   quali
interventi  di  manutenzione  ordinaria  o  straordinaria  ai   sensi
dell'articolo 3 del decreto dei Presidente della Repubblica 6  giugno
2001, n. 380. 
    Con l'effetto che ai fini amministrativi per  le  opere  di  quel
tipo, anche se intervenute su  beni  riconducibili  al  disposto  del
comma 1-bis lettera a) dell'art. 181, e' possibile per  l'autore  del
reato ottenere la sanatoria, ma senza, pero', che detta sanatoria, in
questo  solo  caso,  precluda  l'applicazione  della  grave  sanzione
penale. 
    In conclusione, effettivamente, quindi, non  trova  sostegno,  al
confronto con gli artt. 3 e  27  della  Costituzione,  il  fatto  che
l'art. 181, comma 1-bis lettera a) del  decreto  legislativo  n.  42,
anche al di fuori  dei  casi  indicati  nell'art.  181,  comma  1-bis
lettera b) del medesimo  decreto  legislativo,  preveda  la  sanzione
della reclusione da uno a quattro anni, invece che le  pene  previste
dall'articolo 44,  lettera  c),  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, come stabilito per le  condotte  di
cui al comma 1 dell'art. 181. 
2.d. Questione subordinata. 
    Ma in ogni caso, oppure almeno  in  via  subordinata  al  rigetto
della questione principale (ove  questa  venisse  disattesa),  appare
altrettanto fondata la questione di legittimita' costituzionale,  per
contrarieta' all'art. 3 e all'art. 27 della  Costituzione,  dell'art.
181, commi 1-ter, 1-quater e 1-quinquies del decreto  legislativo  n.
42 del 2004, nella parte in cui queste previsioni non  operano  anche
rispetto ai casi indicati nell'art. 181, comma 1-bis lettera  a)  del
decreto legislativo n. 42 del 2004. 
    Per questo aspetto, per prima cosa occorre richiamare quanto gia'
detto fin qui, perche' anche la previsione di cause di estinzione del
reato  o  di  sanatorie  che  escludono  la  punibilita'  entra   nel
complessivo impianto sanzionatorio, per cui, di nuovo, nulla consente
di comprendere la ragione per cui per l'identica (se non meno  grave)
condotta non sia possibile ottenere alcuna  sanatoria  o  conseguire,
con un comportamento ripristinatorio alcuna estinzione del reato. 
    Perche', per dirlo sempre con riferimento  ai  casi  oggetto  del
presente procedimento, non si comprende la ragione per cui  rimuovere
una piscina realizzata senza  autorizzazione  in  Valpolicella,  area
vincolata con apposito decreto ministeriale, non estingua  il  reato,
mentre rimuovere la stessa piscina realizzata senza autorizzazione  a
venti metri dalla linea di battigia estingua il reato. 
    Ma per questo aspetto  sembra  decisivo  quanto  osservato  dalla
stessa  Corte  costituzionale  con  l'ordinanza  n.  439  del   2007,
ripetitiva dell'ordinanza n. 144 del 2007. 
    Se, infatti, la corte ha chiarito  che  in  forza  della  propria
giurisprudenza costante «non e' possibile una pronuncia additiva tesa
ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno  che
non sussista piena identita' di funzione tra le  discipline  poste  a
raffronto (v., ex multis,  sentenza  n.  149  del  2005)»,  tuttavia,
proprio escludendo in  quel  caso  l'estendibilita'  alle  violazioni
edilizie dell'art. 181 comma 1-quinquies del dlvo 2004/42 la Corte ha
osservato che  in  quel  caso  «tale  estensione  non  e'  possibile,
trattandosi di fattispecie criminose  analoghe,  ma  non  identiche»,
soprattutto perche' «il reato edilizio previsto dall'articolo 44  del
d.P.R. n. 380 del 2001 ed il reato paesaggistico  previsto  dall'art.
181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, hanno  oggetti  giuridici
diversi». 
    Una valutazione che, infatti, deve certamente essere diversa  nel
raffronto tra le due previsioni sanzionatore incluse  nell'art.  181,
perche' qui l'oggetto giuridico e' esattamente identico. 
    Ma, soprattutto, la stessa Corte costituzionale ha, proprio nella
citata ordinanza, osservato: «che i reati  paesistici  ed  ambientali
tutelano il paesaggio e l'ambiente e cioe' dei beni  materiali  (cfr.
sentenze numeri 367 e 378 del 2007), mentre i reati edilizi  tutelano
il rispetto di un bene astratto, e cioe' la disciplina amministrativa
dell'uso del territorio; che, pertanto, pur avendo entrambi  i  reati
la natura di reati di pericolo (avendo il legislatore in ambo i  casi
ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia
di tutela degli interessi),  la  diversita'  degli  oggetti  "finali"
protetti  dai  due  reati  giustifica  discipline   sanzionatorie   e
fattispecie estintive differenziate; 
    che,    in    particolare,    la    materialita'     del     bene
paesaggistico-ambientale  conferisce  un   valore   essenziale   alla
rimessione in pristino del paesaggio e dell'ambiente, alla quale,  in
definitiva, tende l'intero sistema sanzionatorio in  questa  materia;
che, proprio in considerazione della straordinaria  importanza  della
tutela "reale" dei beni paesaggistici ed ambientali, il  legislatore,
nell'ambito delle sue scelte di politica legislativa,  ha  deciso  di
incentivarla in varie forme: sia riconoscendo attenuanti  speciali  a
favore di chi volontariamente ripari le conseguenze dannose dei reati
previsti a tutela delle acque (art. 140  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152, recante  "Norme  in  materia  ambientale"),  sia
subordinando  alla  riduzione  in   pristino   il   beneficio   della
sospensione condizionale della pena nei reati collegati alla gestione
del ciclo dei  rifiuti  (artt.  139,  255,  257  e  260  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006), sia,  infine,  riconoscendo,  come  nel
caso in esame, valore prevalente al ripristino del bene paesaggistico
rispetto alla stessa pretesa punitiva dello Stato». 
    Considerazioni  che  certamente  impongono  un   esito   diverso,
rispetto a quello adottato con la citata decisione, nel caso in  cui,
come qui  si  chiede,  venga  richiesto  di  estendere,  per  evitare
ingiustificate e irragionevoli disparita' di regime,  il  regime  del
comma 1-quinquies (ma analogo discorso deve  essere  compiuto  per  i
commi 1-ter e 1-quater) anche alle condotte di  cui  al  comma  1-bis
dell'art. 181.