Ricorso della Regione Lombardia  (codice  fiscale:  80050050154),
con sede in Milano (20124), piazza  Citta'  di  Lombardia  n.  1,  in
persona del Presidente pro tempore Roberto  Maroni,  rappresentata  e
difesa, in forza di procura a margine del presente atto cd in  virtu'
della deliberazione di Giunta regionale n. X/2370  del  19  settembre
2014 (doc.1), dal  Prof.  Avv.  Giovanni  Guzzetta  (codice  fiscale:
GZZGNN66E16F158V; pec: giovanniguzzetta@ordineavvocatiroma.org;  fax:
06/6789560), presso il cui studio in Roma, via Federico Cesi  n.  72,
ha eletto domicilio  e  dall'Avv.  Viviana  Fidani  (codice  fiscale:
FDNVVN56L44D122W;   pec:    vivianafidani@milano.pecavvocati.it)    -
Ricorrente. 
    Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei Ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo
Chigi - Piazza Colonna n. 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  con  domicilio  in  Roma  (00186),  via  dei
Portoghesi n. 12 - resistente. 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'   costituzionale   del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante "Misure urgenti  per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive (Sblocca  Italia)",  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana del 12 settembre  2014,  n.  212,
limitatamente all'art. 35, di tale atto normativo. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133,  il  Governo  ha
varato "Misure ungenti per l'apertura dei cantieri, la  realizzazione
delle  opere   pubbliche,   la   digitalizzazione   del   Paese,   la
semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attivita' produttive", ritenuta, per quanto  qui
interessa,  "la  straordinaria  necessita'  e  urgenza   di   emanare
disposizioni in  materia  ambientale  per  (...)  il  superamento  di
eccezionali situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti". 
    2. In particolare, l'art. 35, dell'atto normativo  in  esame,  ha
introdotto "misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di
impianti di recupero di  energia,  dai  rifiuti  urbani  e  speciali,
costituenti  infrastrutture  strategiche  di   preminente   interesse
nazionale". 
    3. Il primo comma della norma in commento, affida ad  un  decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare,  su  proposta
del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del  Mare,
entro  novanta  giorni  dalla  data  di   entrata   in   vigore   del
decreto-legge, l'individuazione degli impianti di recupero di energia
e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali,  gia'  esistenti  sul
territorio nazionale, ovvero da realizzare  per  attuare  un  sistema
integrato  e  moderno  di  gestione  di  tali  rifiuti,  al  fine  di
conseguire l'autosufficienza nazionale e  superare  le  procedure  di
infrazione europea. Gli impianti  in  questione  vengono  qualificati
come infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale  ai
fini della tutela della salute e dell'ambiente. 
    4. Il secondo  comma  dell'art.  35,  stabilisce  che  tutti  gli
impianti, sia esistenti che da realizzare, devono essere  autorizzati
a saturazione del carico termico, imponendo alle competenti autorita'
di adeguare in questi termini le autorizzazioni integrate  ambientali
degli impianti esistenti, entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore del decreto-legge. 
    5. Il terzo comma della norma in esame, dedicato agli impianti di
futura realizzazione,  stabilisce  che  i  medesimi  dovranno  essere
realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero
energetico R1, di  cui  all'allegato  C  alla  parte  IV  del  Codice
dell'Ambiente. Per gli impianti gia'  esistenti,  invece,  il  quarto
comma dell'art. 35, impone alle competenti autorita'  di  verificare,
entro  sessanta  giorni  dalla  data  di  entrata   in   vigore   del
decreto-legge, la sussistenza dei  requisiti  per  la  qualificazione
degli impianti medesimi come  impianti  di  recupero  energetico  R1,
revisionando in tal senso e nello stesso termine di  sessanta  giorni
le  autorizzazioni  integrate  ambientali,   ove   ne   ricorrano   i
presupposti. 
    6. Ancora, il quinto comma della norma  in  commento  impone  che
negli  impianti  di  recupero  dovra'  essere   data   priorita'   al
trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e, a
saturazione del carico  termico,  potranno  essere  inoltre  trattati
rifiuti  speciali  non  pericolosi  o  pericolosi  a   solo   rischio
sanitario. Anche in questo caso, si impone alle competenti  autorita'
di adeguare in questi termini le autorizzazioni integrate  ambientali
degli impianti, nel medesimo termine di sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del decreto-legge. 
    7. Il sesto comma dell'art. 35, stabilisce  il  dimezzamento  dei
termini  di  espletamento  delle  procedure  di  espropriazione   per
pubblica  utilita',  di  valutazione  di  impatto  ambientale  e   di
autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1,
estendendo  il  dimezzamento  dei  termini  residui   anche   per   i
procedimenti che siano gia' in corso alla data di entrata  in  vigore
del decreto-legge. 
    8.  Da  ultimo,  il   settimo   comma   dell'art.   35,   prevede
l'applicazione del potere sostitutivo del Governo ex art. 8, legge n.
131/2003, nel caso di mancato rispetto dei termini di cui al comma  2
(modifica delle AIA con autorizzazione degli impianti  a  saturazione
del carico termico, entro sessanta giorni), al comma  4  (valutazione
della compatibilita' degli impianti esistenti con le  caratteristiche
degli  impianti  di  recupero  R1,  ed  eventuale  adeguamento  delle
relative AIA, entro sessanta giorni), al comma 5  (adeguamento  delle
AIA alle priorita' di trattamento dei  rifiuti  urbani  prodotti  nel
territorio nazionale nonche', a saturazione del carico  termico,  dei
rifiuti non pericolosi o pericolosi a solo rischio  sanitario,  entro
sessanta  giorni),  e  al  comma  6  (dimezzamento  dei  termini  dei
procedimenti di espropriazione per P.U., di V.I.A. e  di  A.I.A.,  in
corso o da eseguire in relazione agli impianti di cui al comma 1). 
    9. Le norme introdotte dall'art. 35, del d.l. n.  133  del  2014,
sono avvinte da numerosi profili di  illegittimita',  e  meritano  di
essere dichiarate incostituzionali da codesta Ecc.ma Corte alla  luce
dei seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    I. Incostituzionalita' del d.l. 12  settembre  2014,  n.  133,  e
dell'articolo  35,   di   tale   atto   normativo,   per   violazione
dell'articolo 77, comma 2, della Costituzione, in combinato  disposto
con gli articoli 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. 
    1. In primo luogo, l'art. 35, del d.l.  n.  133  del  2014,  deve
essere dichiarato incostituzionale per insussistenza dei  presupposti
di cui all'art. 77, secondo comma, della Costituzione, che ammette la
decretazione  d'urgenza  all'esclusivo  fine  di  fronteggiare   casi
straordinari di necessita' ed urgenza. 
    Come  ha  recentemente  chiarito  codesta  Ecc.ma  Corte  con  la
pronuncia n. 220 del 2013, l'adozione di un  decreto-legge  trova  la
propria  legittimazione  esclusivamente  nella  sussistenza  di  casi
straordinari che necessitino di essere  disciplinati  immediatamente,
in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessita'. 
    Per questo motivo, peraltro, il legislatore  ordinario,  con  una
norma di portata generale, ha previsto  che  il  decreto-legge  debba
contenere "misure di immediata applicazione" (art. 15, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400). La Consulta ha  riconosciuto  come  la
norma  in  esame,  pur  non  avendo,   sul   piano   formale,   rango
costituzionale,  esprime  ed  esplicita  cio'  che   deve   ritenersi
intrinseco alla natura stessa del decreto-legge,  che  entrerebbe  in
contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni
destinate ad avere effetti pratici differiti  nel  tempo,  in  quanto
recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla  costruzione
di un nuovo sistema di gestione dei rifiuti (cfr. sentenza n. 22  del
2012). 
    Per quanto riguarda il caso qui in esame,  deve  Osservarsi  che,
sebbene il preambolo del d.l. n. 133/2014 riconosca "la straordinaria
necessita' e urgenza di emanare disposizioni  in  materia  ambientale
per (...) il superamento di eccezionali situazioni di crisi  connesse
alla gestione dei rifiuti", in realta', il  problema  della  gestione
dei rifiuti sia tutt'altro che eccezionale e accidentale. 
    E' fin troppo noto, infatti,  che  la  necessita'  di  interventi
strutturali sul sistema della gestione  dei  rifiuti  sul  territorio
italiano non sia affatto una circostanza accidentale e  sopravvenuta,
che puo' essere ricollegata ad un "caso straordinario", passibile, in
quanto tale, di essere disciplinato in via d'urgenza. 
    Ne sono conferma le varie procedure di  infrazione  gia'  avviate
dall'Unione europea contro  l'Italia  per  mancato  adeguamento  alle
direttive di settore, nonche' i numerosi interventi del  legislatore,
nazionale e regionale, in materia, come pure i tristemente noti fatti
di cronaca anche piu' recente. 
    Di conseguenza,  affidare  la  risoluzione  di  una  problematica
radicata e strutturale alla decretazione d'urgenza, si mostra elusivo
dei principi di cui all'art. 77, secondo comma, della Costituzione. 
    2.  La  "risposta"  operata  con  il  decreto-legge  in  oggetto,
peraltro,  non  si  presenta  nemmeno   in   termini   di   soluzione
"emergenziale" in attesa di una ipotetica revisione complessiva della
disciplina, ma si propone - in modo incompatibile con  i  presupposti
costituzionali richiesti e con la conseguente  natura  circostanziata
delle soluzioni normative divisate  -  di  realizzare  e  attuare  un
"sistema integrato e moderno di  gestione  di  tali  rifiuti  atto  a
conseguire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza e superare  le
procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di
settore"  qualificando,  altresi',  gli  impianti  interessati   come
"infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale ai fini
della tutela della salute e dell'ambiente". 
    In questa prospettiva non si puo' non cogliere una  finalita'  di
riassetto ordinamentale, del tutto estranea alla natura  del  vettore
normativo utilizzato, con conseguente illegittima compressione  delle
competenze legislative e amministrative che alle Regioni spettano  in
relazione a tali interventi di carattere "ordinamentale". 
    Con riserva di ulteriore approfondimento in seguito, non si  puo'
negare, infatti, che l'intervento intersechi,  anche  sulla  base  di
quanto  chiarito  da  codesta  eccellentissima  Corte,   profili   di
competenza materiale quali la tutela della  salute,  il  governo  del
territorio (e in particolare la localizzazione degli impianti)  e  la
produzione dell'energia (attesa la finalita' del decreto, rivolto  "a
conseguire   la   sicurezza   nazionale    nell'autosufficienza"    -
evidentemente anche energetica - ed a  potenziare  gli  "impianti  di
recupero energetico di cui al punto R1  (nota  4),  allegato  C,  del
decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152"; anche  mediante  l'imposto
utilizzo "a saturazione del carico termico"). 
    Quella  che  vorrebbe  introdursi  attraverso   la   decretazione
d'urgenza, insomma, costituisce una vera e propria riforma organica e
di sistema, volta a risolvere un problema  "strutturale"  del  nostro
Paese, che come tale non puo' trovare la propria legittimazione in un
decreto-legge. 
    Sotto ulteriore, ma concorrente profilo, le misure introdotte dal
contestato art. 35, del resto, non possono  nemmeno  considerarsi  di
immediata applicazione, anche in considerazione dei profili  e  delle
competenze  tecnico-amministrative  ad  esse   connesse,   le   quali
presuppongono  tempi  ed   accertamenti   istruttori   amministrativi
complessi. 
    Si chiede, dunque,  che  venga  dichiarata  l'incostituzionalita'
dell'art. 35, del d.l. n. 133/2014, sotto il profilo in esame. 
    3.  In  secondo  luogo,  il  d.l.   n.   133/2014,   come   pure,
specificamente, il relativo art. 35, meritano  di  essere  dichiarati
incostituzionali per difetto  di  omogeneita'  e  di  coerenza  delle
misure introdotte dal Governo. 
    Quanto all'intero atto normativo, l'estrema  eterogeneita'  degli
interventi   adottati   e'   ravvisabile   sin   dall'epigrafe    del
provvedimento  ("Misure  urgenti  per  l'apertura  dei  cantieri,  la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione  del  Paese,
la   semplificazione   burocratica,    l'emergenza    del    dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive"). 
    Essa e' resa ancora piu' evidente dal relativo, ampio, preambolo,
ove si attesta la straordinaria necessita' ed urgenza  di  provvedere
con misure volte tanto ad "accelerare e semplificare la realizzazione
di  opere  infrastrutturali  strategiche,  indifferibili  e  urgenti,
nonche' per favorire il potenziamento delle reti  autostradali  e  di
telecomunicazioni e migliorare la funzionalita' aeroportuale", quanto
a disciplinare la "materia ambientale per la mitigazione del  rischio
idrogeologico, la salvaguardia degli ecosistemi, l'adeguamento  delle
infrastrutture idriche e il superamento di eccezionali situazioni  di
crisi connesse alla  gestione  dei  rifiuti,  nonche'  di  introdurre
misure per garantire l'approvvigionamento energetico  e  favorire  la
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali', quanto,  infine,
a realizzare la "semplificazione burocratica, il rilancio dei settori
dell'edilizia e immobiliare, il sostegno  alle  produzioni  nazionali
attraverso misure  di  attrazione  degli  investimenti  esteri  e  di
promozione del Made in Italy, nonche' per  il  rifinanziamento  e  la
concessione degli ammortizzatori sociali  in  deroga  alla  normativa
vigente al fine di assicurare  un'adeguata  tutela  del  reddito  dei
lavoratori e sostenere la coesione sociale". 
    Ad  analoghe  conclusioni  si  perviene,  ovviamente,   in   base
all'analisi delle disposizioni introdotte  dai  ben  dieci  capi  del
decreto-legge impugnato. 
    Come  noto,  codesta  Ecc.ma  Corte  collega  il   riconoscimento
dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'art. 77,  secondo
comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in  un
decreto-legge, o dal punto di vista  oggettivo  e  materiale,  o  dal
punto di vista funzionale e finalistico (cfr. sentt. n. 171 del 2007,
n. 121 del 2008). 
    Recentemente codesta  Corte  ha  ulteriormente  evidenziato,  sul
punto, che l'art. 15, comma 3, della legge 23  agosto  1988,  n.  400
(Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della  Presidenza
del Consiglio dei Ministri) - la' dove prescrive che il contenuto del
decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo  e  corrispondente  al
titolo» - pur non avendo, in se' e  per  se',  rango  costituzionale,
costituisce esplicitazione della ratio implicita  nel  secondo  comma
dell'art. 77 Cost.,  il  quale  impone  il  collegamento  dell'intero
decreto-legge al caso straordinario di necessita' e urgenza,  che  ha
indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare
la  funzione  legislativa  senza  previa  delegazione  da  parte  del
Parlamento (Corte cost., sent. n. 22 del 2012). 
    Il difetto di coerenza e di omogeneita' riguarda anche le singole
disposizioni contenute nell'art. 35,  che  impongono  alle  autorita'
competenti  regionali  e  locali  il  rispetto  di  tempistiche   non
coordinate e in potenziale conflitto fra  loro.  In  particolare,  ai
sensi dei commi 2, 4 e 5, della disposizione in esame, le  competenti
autorita' dovranno adeguare le  autorizzazioni  integrate  ambientali
degli impianti entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore
del  decreto-legge,  e  cioe'  prima  ancora  che  il  Governo  abbia
individuato, con il D.P.C.M. di cui al comma  1,  da  emanarsi  entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, gli
impianti di recupero e smaltimento esistenti o da realizzare. 
    4. Deve evidenziarsi, da ultimo, quanto all'ammissibilita'  della
presente eccezione, che  i  vizi  sopra  denunciati  ridondano,  come
anticipato, nella menomazione delle attribuzioni costituzionali della
Regione Lombardia e  nel  vulnus  della  sua  autonomia  finanziaria,
costituzionalmente tutelati dagli articoli 117, terzo  comma,  e  119
della Costituzione. 
    In particolare, la disciplina introdotta dal Governo incide sulle
competenze  regionali  in  materia  di  governo  del  territorio,  di
pianificazione territoriale ed urbanistica, di tutela  della  salute,
di produzione dell'energia, di coordinamento della finanza  regionale
e del sistema tributario, di servizi pubblici locali. 
    Piu'  precisamente,  le  norme  contestate  recano  significative
ripercussioni sulla  programmazione  regionale  lombarda  di  recente
approvazione,  in  particolare  sull'autosufficienza  riguardante  lo
smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti indifferenziati.
Peraltro, nel quadro degli obiettivi della nuova  pianificazione,  la
Regione  ha  attivato  dei  tavoli  di   lavoro   con   operatori   e
amministratori locali per la gestione delle istruttorie di rispettiva
competenza, anche al  fine  di  sperimentare  la  decommissioning  di
alcuni impianti. 
    Inoltre,  l'autorizzazione  generalizzata  degli   impianti   con
saturazione del carico termico, con le conseguenti  ripercussioni  in
termini di  emissioni,  puo'  risultare  penalizzante  rispetto  alle
specifiche condizioni sanitarie delle aree interessate dalla presenza
di  questi  impianti,  specie  nel  territorio  del  bacino   padano,
caratterizzato da condizioni climatiche favorevoli all'accumulo degli
inquinanti. La misura, dunque, incide sulla competenza  regionale  in
materia  di  tutela  della  salute,  vanificando   gli   accertamenti
istruttori gia'  compiuti  dalle  competenti  autorita'  all'atto  di
concessione dell'autorizzazione integrata degli impianti. 
    Da ultimo, deve rilevarsi  che  il  sistema  di  smaltimento  dei
rifiuti in Regione Lombardia e' stato gestito in modo tale da  creare
delle condizioni concorrenziali, che hanno ottimizzato la tariffa  di
smaltimento per il servizio al cittadino;  la  disciplina  introdotta
dalle norme impugnate, con il conseguente  ingresso  nel  mercato  di
ulteriori rifiuti a costi nuovamente negoziabili, potrebbe comportare
anche  l'aggravio  della  tariffa  per  i  cittadini  lombardi,   con
conseguente compressione dell'autonomia finanziaria di entrata  della
Regione. 
    Da  quanto  detto  discende   l'ammissibilita'   della   presente
questione di legittimita' costituzionale. Codesta Corte, infatti, con
giurisprudenza costante, ritiene che le Regioni possano impugnare  un
decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione  dell'art.
77  Cost.,  "ove  adducano  che  da  tale   violazione   derivi   una
compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del
2004; cfr. anche sentt. nn. 128 del 2011, 326 del 2010, 116 del 2006,
280 del 2004). Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono,  si
insiste  per  la  declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 35, del d.l. 12 settembre  2014,  n.  133,  per  violazione
dell'art.  77,  secondo  comma,  della  Costituzione,  in   combinato
disposto con gli articoli 117, commi secondo e terzo, e 119, Cost. 
II. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014,  n.
133,  per  violazione  degli  articoli  11  e  117,  comma  1,  della
Costituzione, in relazione alla direttiva 2001/42/CE (c.d.  Direttiva
VAS), in combinato disposto con l'art. 117, secondo  e  terzo  comma,
Cost. 
    1. Come si e' anticipato in fatto, l'art. 35, del d.l. n. 133 del
2014, contempla un vero e proprio programma integrato  nazionale  per
la gestione dei  rifiuti  urbani  e  speciali  mediante  impianti  di
recupero energetico. La norma stabilisce, infatti, che  gli  impianti
di recupero inseriti nel D.P.C.M. di cui al comma 1, sono qualificati
come infrastrutture di preminente interesse nazionale, che i medesimi
devono  essere  autorizzati  ad  operare  a  saturazione  del  carico
termico, che dovranno rispondere alle caratteristiche degli  impianti
R1, e che, non  sussistendo  vincoli  di  bacino,  all'interno  degli
stessi dovra' essere data priorita' al trattamento dei rifiuti urbani
provenienti dall'intero territorio nazionale. 
    Insomma, quello individuato dalla norma impugnata costituisce  un
vero e proprio atto di pianificazione  in  materia  di  gestione  dei
rifiuti. 
    Come tale, allora, alla luce della direttiva 2001/42/CE, recepita
nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo n. 152/2006,  detto
piano avrebbe dovuto essere assoggettato alla valutazione  ambientale
strategica, la quale deve precedere, ex art. 3,  par.  2,  lett.  a),
della citata direttiva,  "tutti  i  piani  e  i  programmi  che  sono
elaborati (...) per la valutazione della gestione dei rifiuti" (negli
stessi termini dispone Part. 6, comma  2,  lett.  a),  dell'attuativo
d.lgs. n. 152/2006). 
    Ancora, l'art. 4 della direttiva, rubricato "Obblighi  generali",
stabilisce che "la valutazione ambientale  di  cui  all'art.  3  deve
essere effettuata durante  la  fase  preparatoria  del  piano  o  del
programma ed  anteriormente  alla  sua  adozione  o  all'avvio  della
relativa procedura legislativa". 
    Ai sensi degli articoli da 5 a  12  della  menzionata  direttiva,
poi, la procedura di VAS  deve  comprendere  lo  svolgimento  di  una
verifica   di   assoggettabilita',   l'elaborazione   del    rapporto
ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano
o del programma, del rapporto  e  degli  esiti  delle  consultazioni,
l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione e
il monitoraggio. 
    Alla luce di quanto precede, l'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014,
si mostra incostituzionale, per violazione dell'art.  117,  comma  1,
della Costituzione, in relazione ai suddetti obblighi stabiliti dalla
Direttiva VAS, in quanto adotta un vero e proprio programma nazionale
in materia di gestione integrata dei rifiuti, senza aver  dato  luogo
alla necessaria  procedura  di  VAS,  con  cio'  violando  gli  scopi
perseguiti dal legislatore europeo. 
    2. Ne' si dica che le suddette norme in  materia  di  valutazione
ambientale strategica  non  riguarderebbero  l'attivita'  legislativa
degli Stati membri. 
    In senso contrario depongono, in primo luogo, gli articoli 2 e  4
della direttiva. Il primo stabilisce  che  per  "piani  e  programmi"
devono intendersi  anche  quelli  "che  sono  previsti  di  posizioni
legislative" (art. 2, lett. a); il secondo, come  accennato,  prevede
che la procedura di VAS debba essere avviata "anteriormente all'avvio
della procedura legislativa" di adozione del piano o programma.  Alle
considerazioni di ordine testuale si aggiunga anche che, ad  accedere
a siffatta interpretazione, gli obblighi imposti  a  livello  europeo
sarebbero facilmente eludibili dallo Stato,  che  potrebbe  occultare
sotto il nomen juris dell'atto normativo un provvedimento che reca in
se' i connotati essenziali di un atto di programmazione generale,  il
quale  deve  essere  obbligatoriamente  sottoposto  alla   prescritta
valutazione di impatto. 
    E' appena il caso di dire che una diversa  interpretazione  della
direttiva  in   contrasto   con   il   suo   significato   letterale,
richiederebbe  a  codesta  Corte   di   investire   mediante   rinvio
pregiudiziale ex art. 267 TFUE  la  Corte  di  Giustizia  dell'Unione
europea. 
    In secondo luogo, anche  a  voler  ritenere  che  il  legislatore
statale sia sottratto,  nell'esercizio  della  funzione  legislativa,
all'Osservanza delle procedure in  materia  di  VAS,  in  cui  queste
ultime possano  essere  esperite  al  momento  dell'attuazione  della
legge, la norma impugnata sarebbe comunque illegittima. 
    L'art. 35, del  d.l.  n.  133/2014,  infatti,  non  contempla  in
assoluto l'esperimento di siffatte  procedure,  nemmeno  nel  momento
attuativo, e specificamente per l'adozione del decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri chiamato ad individuare  gli  impianti  di
recupero esistenti o da realizzare sul territorio nazionale,  per  il
raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla norma.  E'  evidente,
infatti,  che  la  scelta  degli  impianti   da   considerare   quali
infrastrutture di preminente interesse nazionale ("il Presidente  del
Consiglio dei ministri, su  proposta  del  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del  territorio  e  del  mare,  individua,  con  proprio
decreto, gli impianti di recupero di energia  e  di  smaltimento  dei
rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare", art. 35, comma
1, del d.l., evidenziatura aggiunta), con  le  conseguenze  delineate
dal legislatore in termini di  operativita'  al  massimo  del  carico
termico  e  di  trattamento  dei  rifiuti  provenienti  da  tutto  il
territorio  nazionale  al  fine   di   garantire   l'autosufficienza,
costituisca un'operazione di rilevantissimo impatto ambientale. 
    La  circostanza,  infatti,  che,  nell'esercizio  della   propria
discrezionalita' amministrativa, l'Autorita' competente a  rilasciare
l'autorizzazione abbia stabilito un vincolo per un livello di  carico
sub-massimo,   richiederebbe   quanto   meno   di    verificare    se
un'utilizzazione a pieno regime non abbia ricadute ambientali nocive. 
    Il Governo, dunque, avrebbe dovuto necessariamente prevedere  che
la  stessa  venisse  assoggettata  a  VAS,  anche  alla  luce   della
necessita'  di  definire  criteri  univoci   per   la   distribuzione
territoriale degli impianti,  e  per  la  valutazione  degli  impatti
discendenti dalle scelte localizzative  da  assumere.  La  disciplina
censurata,  insomma,  elude  le  finalita'  perseguite  dalla  citata
direttiva, quali quella di garantire un elevato livello di protezione
dell'ambiente e di contribuire all'integrazione delle  considerazioni
ambientali    all'atto     dell'elaborazione,     dell'adozione     e
dell'approvazione dei piani e programmi, assicurando che  i  medesimi
siano coerenti e contribuiscano  alle  condizioni  per  uno  sviluppo
sostenibile. 
    3. Anche in questo caso, da ultimo, e' bene  evidenziare  che  le
dedotte violazioni arrecano un vulnus alle competenze attribuite alla
Regione Lombardia. 
    In particolare,  come  si  e'  gia'  ampiamente  argomentato  nel
precedente motivo, la disciplina introdotta dal Governo incide  sulle
competenze  regionali  in  materia  di  governo  del  territorio,  di
pianificazione   territoriale   ed   urbanistica,    di    produzione
dell'energia, di servizi  pubblici  locali,  nonche'  in  materia  di
tutela della salute, attratte alla competenza legislativa concorrente
e residuale delle Regioni. Per onere di brevita', si rimanda dunque a
tutte le considerazioni gia' esposte nel  I  motivo  di  ricorso,  le
quali confermano l'ammissibilita' della presente eccezione, in quanto
la normativa censurata determina, anche a fronte  delle  censure  qui
dedotte, una  lesione  delle  competenze  regionali  stabilite  dalla
Costituzione. 
    4. Ne' potrebbe in senso contrario sostenersi che, a fronte della
finalita'  anche  di  tutela  ambientale  dell'intervento,  la  quale
costituisce, secondo l'interpretazione  di  codesta  Corte,  un  c.d.
"materia trasversale", le attribuzioni  regionali  dovrebbero  subire
una indiscriminata  compressione,  sino  alla  totale  pretermissione
rispetto all'interesse ambientale. 
    Tale premessa infatti non potrebbe essere condivisa per  distinte
e concorrenti ragioni. 
    Innanzitutto, perche' la  finalita'  ambientale  non  e'  l'unica
perseguita  dall'intervento  normativo  statale.   Il   primo   comma
dell'art. 35,  infatti,  non  menziona  nemmeno,  esplicitamente,  la
finalita' ambientale, ma si sofferma sulla  finalita'  di  assicurare
"la sicurezza nazionale nell'autosufficienza e superare le  procedure
di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore",
soggiungendo, a proposito  dell'individuazione  degli  impianti,  che
"l'obiettivo e' quello di progressivo  riequilibrio  socio  economico
fra le aree del territorio nazionale", ai  fini  del  concorso  "allo
sviluppo della  raccolta  differenziata  e  al  riciclaggio",  mentre
deprimono "il fabbisogno di discariche". 
    In secondo luogo, la finalita' di "potenziamento e  creazione  di
impianti di recupero energetico"  anche  al  fine  di  deprimere  "il
fabbisogno di discariche",  mostrano  da  parte  del  legislatore  la
volonta' di perseguire  le  finalita'  ambientali  privilegiando  una
delle modalita' possibili e consentite, la quale  pero'  si  realizza
attraverso la produzione di energia, ed e'  pertanto,  dal  punto  di
vista  delle   "materie"   interessate,   ad   essa   intrinsecamente
intrecciata. 
    Infine,  com'e'  noto,  codesta   Corte,   nel   riconoscere   la
particolare rilevanza costituzionale della tutela dell'ambiente nelle
politiche legislative, e la sua idoneita' a giustificare  alterazioni
del riparto  costituzionale  (su  cui  si  tornera'  infra  al  punto
successivo), ha costantemente e contestualmente riconosciuto che tali
alterazioni non debbano  essere  necessariamente  assolute  (cfr.  C.
cost., 58/2013; 93/2013), ma  che  vadano  accompagnate  da  adeguate
giustificazioni  in  termini   di   ragionevolezza,   adeguatezza   e
proporzionalita', nonche' da garanzie,  innanzitutto  procedimentali,
di tipo collaborativo. Sotto il primo profilo, ad esempio, la  Corte,
pur quando ha riconosciuto la prevalenza della  specifica  disciplina
statale  in  presenza  di  esigenze  ambientali  incomprimibili,   ha
comunque ammesso la residua potesta' delle Regioni di assicurare,  ad
esempio, livelli di tutela maggiori di quelli  previsti  dallo  Stato
(cfr. ad es. sent. 58/2013). 
    La questione e' vieppiu'  complessa  se  si  considera  che,  dal
complessivo intervento - finalizzato,  come  si  e'  detto,  anche  a
consentire (o comunque  a  non  escludere)  una  redistribuzione  dei
carichi di smaltimento tra le varie  Regioni  italiane  -  la  tutela
ambientale non si presenta in termini di un'operazione "win-win",  il
cui esito  comporta  un  "trade-off"  tra  l'ipotetico  miglioramento
ambientale complessivo sul territorio nazionale e la possibilita'  di
un concreto peggioramento relativo delle condizioni ambientali  delle
Regioni, sulle quali l'impatto della nuova disciplina  produrra'  con
certezza i propri effetti in conseguenza del riequilibrio imposto tra
le aree e le condizioni di smaltimento. Se si considera che lo stesso
decreto-legge dichiara che tale riequilibrio non viene  operato  solo
per ragioni  ambientali,  ma  anche  per  finalita'  "di  progressivo
n'equilibrio socio economico fra le aree  del  territorio  nazionale"
(art. 35,  primo  comma,  d.l.),  ben  si  comprende  come  si  debba
escludere che l'intervento possa risolversi in una  pura  e  semplice
espropriazione  delle  competenze   legislative   ed   amministrative
regionali, senza peraltro alcuna "compensazione collaborativa". 
    Stante quanto precede, la disciplina introdotta dall'art. 35, del
d.l. n. 133 del 2014, deve  essere  dichiarata  incostituzionale  per
violazione  dell'art.  117,  primo  comma  della   Costituzione,   in
relazione agli obblighi in materia di  VAS  imposti  dalla  direttiva
2001/42/CE, in combinato disposto con l'art. 117, commi 2 e 3, Cost. 
III. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014, n.
133, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con gli  articoli  118  e  120  della  Costituzione.  Violazione  del
principio di leale collaborazione. 
    1. Come noto, per costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  la
disciplina  dei  rifiuti  si   colloca   nell'ambito   della   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva  statale  ex
art.  117,  comma  2,  lett.   s),   della   Costituzione.   Tuttavia
quest'ultima interferisce, per la sua natura, con altri  interessi  e
competenze, di talche', mentre deve intendersi riservato  allo  Stato
il  potere  di  fissare  livelli  di  tutela   uniforme   sull'intero
territorio  nazionale,  resta  comunque  ferma  la  competenza  delle
Regioni alla cura di interessi funzionalmente  collegati  con  quelli
propriamente ambientali (cfr. sent. n. 62 del 2008). 
    Alla luce della pervasivita'  della  materia  in  esame,  codesta
Consulta ha sottolineato come, qualora si  tratti  di  verificare  la
compatibilita'  costituzionale   di   norme   statali   che   abbiano
disciplinato il fenomeno della gestione dei rifiuti,  "e'  necessario
valutare se  l'incidenza  della  normativa  sulle  materie  regionali
immediatamente  contigue  sia  tale  da  compromettere   il   riparto
costituzionale di cui al titolo V della Parte II della  Costituzione,
oltre il limite della adeguatezza, rispetto alla citata finalita'  di
fissazione dei livelli di tutela uniformi" (in termini, sent. n.  249
del 2009; cfr. anche sent. 378 del 2007). 
    2. Cio' posto, l'art. 35, del d.l. n. 133/2014, introduce  misure
in materia di gestione dei rifiuti, che coinvolgono le competenze  di
diversi livelli di Governo. Vengono in rilievo, in  primo  luogo,  le
competenze regionali e locali in materia di governo  del  territorio,
di pianificazione urbanistica ed edilizia, di produzione di  energia,
di gestione dei servizi pubblici  locali,  nonche'  di  tutela  della
salute. 
    L'intervento normativo in  esame,  tuttavia,  nel  perseguire  un
livello  uniforme  di  tutela  a  livello  nazionale  nella   materia
ambientale, compromette senz'altro, oltre il limite dell'adeguatezza,
le suddette sfere di competenza regionale. 
    Per quanto riguarda gli impatti sulla  pianificazione  regionale,
si osservi come le misure introdotte dal contestato  art.  35,  hanno
significative ripercussioni sulla programmazione regionale di recente
approvazione,  in  particolare  sull'autosufficienza  riguardante  lo
smaltimento tramite recupero energetico dei rifiuti  indifferenziati.
Piu' precisamente, la Giunta regionale  lombarda,  su  indirizzo  del
Consiglio, ha adottato specifiche disposizioni (DGR n. 497/2013, doc.
2 e l.r. n. 9/2013, doc. 3), per evitare un  sovradimensionamento  di
impianti di trattamento dei rifiuti urbani  indifferenziati,  esubero
gia'  evidente  nelle  analisi  a  supporto  del  processo  di  nuova
pianificazione regionale e di cui allo  scenario  di  Piano  al  2020
(doc. 4). 
    In tale scenario,  e  nell'ambito  degli  obiettivi  della  nuova
pianificazione per la gestione dei rifiuti,  la  Regione  inoltre  ha
attivato dei tavoli di lavoro con operatori e  amministratori  locali
per la valutazione tecnica di un'ipotesi di decommissioning di alcuni
impianti. 
    Le misure introdotte dall'art. 35, dunque, incidono e  vanificano
gli sforzi e gli  obiettivi  di  pianificazione  e  attuazione  delle
politiche regionali di questi anni, che hanno portato ad una tendenza
alla  diminuzione  della  produzione  di  rifiuti  urbani  pro-capite
stimabile intorno al -2%  (doc.  4),  e  alla  definizione  di  nuovi
obiettivi inerenti l'incremento della  raccolta  differenziata  e  di
prevenzione nella produzione  del  rifiuto,  obiettivi  previsti  nel
piano di prossima approvazione. 
    Si consideri, sempre sotto il profilo in esame, come l'intervento
normativo contestato riguarda in particolare la Regione Lombardia, la
quale conta ben 11 impianti di  incenerimento  di  Piano/per  rifiuti
urbani (che costituiscono la piu'  ampia  dotazione  regionale  nella
gestione dei rifiuti urbani indifferenziati presente nel Paese). 
    3. Quanto, ancora, agli impatti sulla  tutela  della  salute,  va
Osservato come gli impianti della Regione Lombardia hanno ottimizzato
il  processo,  l'adozione   di   sistemi   di   presidio   ambientale
(abbattimento fumi e recupero  scorie),  e  il  recupero  del  calore
mediante reti di teleriscaldamento, in relazione  alle  tipologie  di
rifiuti  raccolti  e  alle  caratteristiche  di  questi  ultimi.   La
variazione  della  qualita'  del  rifiuto  alimentato   all'impianto,
conseguente  alla  normativa   introdotta   dal   Governo,   ridurra'
l'efficienza dei processi ottimizzati e aggravera' i relativi impatti
ambientali e sanitari. 
    Analogamente, va ancora una volta ribadito,  la  saturazione  del
carico termico sugli impianti che, ad oggi,  presentano  limitazioni,
imposta dall'art.  35,  non  tiene  in  alcun  conto  le  motivazioni
ambientali, territoriali e di tutela della salute che  hanno  indotto
l'Autorita'  competenze  all'apposizione  di  specifici  vincoli.  In
particolare, l'autorizzazione ad operare con saturazione  del  carico
termico potrebbe risultare penalizzante per le  condizioni  sanitarie
delle aree interessate dalla presenza di questi impianti, specie  nel
bacino  padano,  territorio   caratterizzato   da   forti   pressioni
antropiche e  condizioni  orografiche  e  meteoclimatiche  favorevoli
all'accumulo degli inquinanti, che in  caso  di  massima  saturazione
renderebbero difficile  il  conseguimento  del  rispetto  dei  valori
limite di qualita' dell'aria. 
    Stante   quanto   precede,   e'   evidente   come   il   Governo,
nell'introdurre la contestata disciplina uniforme, abbia  travalicato
i   limiti   di   adeguatezza   al   medesimo   imposti   a    fronte
dell'interferenza nelle sfere di attribuzione regionale,  vanificando
altresi' il  lavoro  pluriennale  svolto  in  Regione  Lombardia  per
ottenere l'autosufficienza in materia di gestione dei rifiuti, e  per
contenere, anche attraverso  il  rispetto  dei  principi  europei  di
prossimita',  le  conseguenze  a  livello  di  impatto  ambientale  e
sanitario derivanti dai processi di trattamento dei rifiuti. 
    4. Le considerazioni che precedono impongono la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014,
per violazione dei principi  costituzionali  in  materia  di  riparto
delle competenze sanciti dall'art. 117, commi secondo e terzo,  della
Costituzione. 
    Concorrono con la predetta  violazione  anche  ulteriori,  gravi,
profili  di  illegittimita'  delle  disposizioni  impugnate.  Ci   si
riferisce al fatto che  la  disciplina  contestata,  la  quale,  come
detto, incide su diverse materia di competenza  regionale,  quali  la
tutela della salute e il governo del territorio, non  prevede  alcuna
forma di collaborazione, a nessun livello, con le Regioni e  con  gli
altri enti territoriali  interessati  dal  sistema  di  gestione  dei
rifiuti pianificato dal legislatore. 
    Come noto, in materia di tutela  dell'ambiente  questa  Corte  ha
riconosciuto che "non si puo' discutere di materia in senso  tecnico,
perche'  la  tutela  ambientale   e'   da   intendere   come   valore
costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta  di
«materia trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze
diverse, anche regionali, fermo restando che allo Stato  spettano  le
determinazioni  rispondenti  ad  esigenze  meritevoli  di  disciplina
uniforme sull'intero territorio nazionale" (ex  multis:  sentenza  n.
171/2012, n. 235/2011, n. 225/2009, n. 12/2009). Ne consegue  che  il
legislatore statale e' tenuto  a  garantire  il  principio  di  leale
collaborazione, "che per la sua elasticita' consente di aver riguardo
alle peculiarita' delle singole  situazioni"  ed  impone  alla  legge
statale di predisporre adeguati  strumenti  di  coinvolgimento  delle
regioni, a salvaguardia delle loro competenze (ex plurimis,  sentenze
n. 50/2005, n. 231/2005, 213/2006, n. 133/2006). 
    Nulla di tutto cio' e' stato previsto nel caso di specie. 
    Ci si riferisce, in primo luogo, alla disciplina recata dal primo
comma dell'art. 35. Quest'ultimo incarica il Presidente del Consiglio
dei Ministri di individuare con decreto  (su  proposta  del  Ministro
dell'Ambiente),  quali  saranno  gli  impianti  di  trattamento  gia'
esistenti  o  da  costruire,  da  qualificare   come   infrastrutture
strategiche di preminente interesse nazionale. 
    Come si vede, per l'individuazione degli  impianti  in  questione
non e' previsto alcun  coinvolgimento  delle  Regioni  e  degli  enti
locali, ne' in forma individuale, ne'  attraverso  il  sistema  delle
conferenze, sebbene si tratti di una scelta  che  incide,  in  misura
rilevante, sulle competenze  regionali  in  materia  di  governo  del
territorio e di  pianificazione  urbanistica  ed  edilizia  (per  gli
impianti di nuova costruzione),  nonche'  su  quelle  in  materia  di
produzione dell'energia e di tutela della salute  (per  gli  impianti
gia' esistenti che dovranno  essere  autorizzati  a  saturazione  del
carico termico). 
    Ora, in un recente  precedente,  codesta  Corte  ha  ritenuto  la
compatibilita' con il dettato costituzionale dell'art. 195, comma  1,
lett. f), del Codice  dell'Ambiente,  censurato  per  violazione  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 118 e 120  Cost.,
proprio perche' quest'ultimo, attribuendo allo Stato l'individuazione
con  D.P.C.M.  degli  impianti  di  recupero  e  di  smaltimento   di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e
lo sviluppo del Paese, aveva previsto la previa  consultazione  della
Conferenza Unificata. In quell'occasione, la Corte ha ritenuto che la
norma non eludesse il principio di leale  collaborazione,  in  quanto
"la  norma  impugnata   prevede   che   la   predetta   funzione   di
individuazione degli impianti sia esercitata "sentita  la  conferenza
unificata di cui all'art. 8, del decreto legislativo 28 agosto  1997,
n. 281", e tale forma di coinvolgimento delle Regioni  e  degli  enti
locali  si  rivela  adeguata,  incidendo  la  predetta  attivita'  su
competenze regionali (governo del territorio,  tutela  della  salute)
concorrenti, in ordine alle quali spetta comunque allo Stato  dettare
i principi fondamentali" (sent. n. 249 del 2009). 
    Le considerazioni che precedono acquistano ancor  piu'  rilevanza
se si considera, come detto, che la policy messa in atto dal  Governo
e' destinata a creare una tensione "interna" alla finalita' di tutela
dell'ambiente, in quanto  finisce  per  mettere  in  contrapposizione
l'esigenza di tutela "nazionale" con  quella  di  livello  regionale.
Cio' rende evidente l'importanza di una collaborazione tra  gli  enti
interessati, volta a consentire - tramite l'apporto di  ognuno  -  il
raggiungimento di un punto di equilibrio - tra i tanti  astrattamente
possibili - quanto  piu'  prossimo  ad  un  "ottimo  paretiano",  con
esclusione di soluzioni che sacrifichino eccessivamente un interesse,
senza assicurare una soddisfazione relativamente ottimale dell'altro. 
    5. Ma la violazione dei principi di  sussidiarieta'  e  di  leale
collaborazione di cui agli articoli 118 e 120 Cost. riguarda anche le
ulteriori disposizioni dell'art. 35. 
    Come si e'  premesso  in  fatto,  queste  ultime  impongono  alle
autorita' competenti al rilascio delle AIA, il  relativo  adeguamento
entro  sessanta  giorni  dalla  data  di  entrata   in   vigore   del
decreto-legge,   consentendo   l'operativita'   degli   impianti    a
saturazione del carico termico, qualificandoli, qualora ne  ricorrano
le condizioni, come impianti di recupero R1, nonche' adattandoli alle
priorita' di smaltimento di cui al comma 5 (e cioe' con priorita'  di
recupero per i rifiuti urbani  provenienti  da  tutto  il  territorio
nazionale e per quelli non  sanitari).  Inoltre  viene  imposto  alle
Autorita' competenti al rilascio dei provvedimenti AIA e VIA, nonche'
a quelle competenti per le procedure di espropriazione per  P.U.,  il
dimezzamento dei termini dei procedimenti eventualmente gia' in corso
e di quelli futuri. 
    L'ultimo comma dell'art. 35 stabilisce che, in  caso  di  mancato
rispetto dei predetti termini, si applica il  potere  sostitutivo  di
cui all'art. 8, della legge n. 131 del 2003 e s.m.i. 
    Ebbene, questa Corte ha chiarito in diverse  occasioni  che  deve
desumersi  da  quanto  previsto  dall'art.  118  Cost.  -  il   quale
attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte  le  materie,  le
funzioni amministrative, ma riserva la  possibilita'  che  esse,  per
assicurarne l'esercizio unitario, siano  conferite,  sulla  base  dei
principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza,  ai
livelli territoriali di governo di dimensioni piu' ampie -  anche  la
previsione di "eccezionali sostituzioni di un livello ad un altro  di
governo per il compimento di specifici atti o attivita',  considerati
dalla legge necessari per il perseguimento  degli  interessi  unitari
coinvolti,  e  non  compiuti  tempestivamente  dall'ente  competente"
(sentenza n. 43 del 2004). In  questa  prospettiva,  si  e'  tuttavia
precisato che non puo' farsi discendere dall'art. 120, secondo comma,
Cost. una riserva a favore della legge statale di ogni disciplina del
potere sostitutivo, dovendosi viceversa  riconoscere  che  "la  legge
regionale, intervenendo  in  materie  di  propria  competenza  e  nel
disciplinare, ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  e  quarto  comma,  e
dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost., l'esercizio di  funzioni
amministrative  di  competenza  dei  Comuni,  preveda  anche   poteri
sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti  o
attivita' obbligatorie, nel caso di inerzia  o  di  inadempimento  da
parte  dell'ente  competente,  al  fine  di  salvaguardare  interessi
unitari che sarebbero compromessi dall'inerzia  o  dall'inadempimento
medesimi" (sentenza n. 43 del 2004). 
    Le norme impugnate,  prevedendo  l'intervento  sostitutivo  dello
Stato nel caso in cui le autorita' competenti (Comuni, Province)  non
realizzino gli interventi contemplati dalla  norma,  realizza  dunque
una ipotesi di sostituzione statale che  si  attiva  direttamente  in
caso di inerzia  degli  enti  locali  in  riferimento  ad  ambiti  di
competenza regionale,  senza  che  sia  consentito  alle  Regioni  di
esercitare il proprio potere  sostitutivo,  con  conseguente  lesione
delle relative attribuzioni (cfr. sentenza n. 249 del 2009). 
    Si  insiste,  dunque,  per  la  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014, sotto tutti  i
profili innanzi esposti. 
IV. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014,  n.
133, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con  l'art.  3  della  Costituzione.  Violazione  del  principio   di
ragionevolezza. 
    1. Come si e' ampiamente argomentato  nei  precedenti  motivi  di
ricorso, le norme introdotte dall'art.  35,  del  d.l.  n.  133/2014,
incidono su sfere di competenza della Regione, e coinvolgono, a vario
titolo, le competenze amministrative delle  autorita'  competenti  al
rilascio delle autorizzazioni integrate ambientale,  alla  conduzione
delle procedure di VIA e delle operazioni di espropriazione per P.U. 
    Tali sfere e ambiti di competenza, oltre  ad  essere  lesi  sotto
tutti i profili sopra  evidenziati,  si  mostrano  altresi'  menomati
dalla  manifesta  irragionevolezza  e  contraddittorieta'  intrinseca
delle varie disposizioni contenute nell'art. 35, le quali si mostrano
non coordinate e in potenziale conflitto tra loro. 
    2. In particolare, il secondo e  il  terzo  comma  dell'art.  35,
impongono alle competenti autorita'  di  adeguare  le  autorizzazioni
integrate  ambientali  degli  impianti  di  recupero  e   smaltimento
(rispettivamente per l'operativita' a saturazione del carico termico,
e per  la  qualificazione  quali  impianti  di  recupero  R1),  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il
primo comma dell'art. 35,  invece,  stabilisce  che  il  D.P.C.M.  di
individuazione  degli  impianti  di   recupero   e   smaltimento   da
qualificarsi come infrastrutture strategiche di preminente  interesse
nazionale, dovra' essere adottato entro novanta giorni dalla data  di
entrata in vigore del d.l. 
    Tale discrasia temporale  impone  alle  competenti  autorita'  di
operare  in  un  contesto  giuridico  incerto  (cioe'   prima   della
definitiva individuazione  degli  impianti  da  parte  dello  Stato),
sebbene le attivita'  di  revisione  delle  AIA  comportino  incisivi
impatti sulle competenze pianificatorie  di  Regioni  e  Province  in
materia di rifiuti, nonche' sulle  posizioni  giuridiche  consolidate
dei   soggetti   gestori   degli   impianti   interessati.    Inoltre
l'autorizzazione degli impianti a saturazione del carico termico, con
il  conseguente   aumento   delle   emissioni,   potrebbe   risultare
penalizzante per le condizioni sanitarie delle aree interessate dalla
presenza degli impianti, e cio' prima  ancora  che  gli  impianti  in
questione vengano inseriti nel D.P.C.M. di cui al comma 1,  dell'art.
35. 
    Il vizio di irragionevolezza e' ancora  maggiore  alla  luce  del
fatto che i termini per  l'attuazione  della  norma  da  parte  delle
autorita' competenti sono equivalenti a quelli per la conversione  in
legge del decreto, che - ovviamente - ben potrebbe essere nelle  more
modificato o anche non convertito dalle Camere. 
    Sempre sotto il profilo  dell'irragionevolezza,  il  sesto  comma
dell'art. 35 prevede il dimezzamento dei termini  per  l'espletamento
delle  procedure  di  espropriazione  per   pubblica   utilita',   di
valutazione di  impatto  ambientale  e  di  autorizzazione  integrata
ambientale  "degli  impianti  di  cui  al  comma  1",  cioe'   quelli
individuati con D.P.C.M., anche nel caso in  cui  "tali  procedimenti
sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto", e
cioe' con riferimento ad impianti che non risultano  ancora  inseriti
(e di cui allo stato non e' certo l'inserimento) nel D.P.C.M. di  cui
al comma 1. 
    Stante  quanto  precede,  si  insiste  per  la  declaratoria   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014,
anche sotto i profili appena esposti. 
V. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre  2014,  n.
133, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con gli articoli 81 e 119, comma 1, della Costituzione. 
    Da ultimo, l'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014 merita  di  essere
dichiarato incostituzionale per lesione dell'autonomia finanziaria di
entrata e di spesa  della  Regione  Lombardia,  nonche'  dei  vincoli
inerenti  il  bilancio  regionale,  rispettivamente  previsti   dagli
articoli 119 e 81 della Costituzione. 
    Come si e' gia' avuto modo di argomentare,  ad  altri  fini,  nei
precedenti motivi di ricorso, le misure introdotte dalla disposizione
impugnata  hanno  significative  ripercussioni  sulla  programmazione
regionale     di     recente     approvazione,     in     particolare
sull'autosufficienza  riguardante  lo  smaltimento  tramite  recupero
energetico (diretto o dopo trattamento) dei rifiuti indifferenziati. 
    In particolare, si ribadisce che gli sforzi di  pianificazione  e
attuazione delle politiche regionali di questi anni (cfr. DGR n.  497
del 2013, doc. 2 e l.r. n. 9 del 2013, doc. 3) hanno portato  ad  una
tendenza  alla  diminuzione  della  produzione  di   rifiuti   urbani
pro-capite stimabile intorno al -2% (doc. 4) e  alla  definizione  di
nuovi obiettivi inerenti l'incremento della raccolta differenziata  e
la prevenzione nella produzione del rifiuto. La l.r. n. 9  del  2013,
inoltre, ha sancito il principio di autosufficienza  regionale  nella
gestione dei rifiuti. 
    Ora,   le   misure    introdotte    dal    Governo    incideranno
significativamente sugli equilibri economici raggiunti, sotto diversi
profili. 
    In primo luogo, a fronte delle priorita' di  smaltimento  sancite
dal comma 5, dell'art. 35 (rifiuti urbani  provenienti  da  tutto  il
territorio nazionale e rifiuti sanitari), verra'  azzerato  l'attuale
surplus di potenzialita' di incenerimento  degli  impianti  lombardi,
che ad oggi soddisfa  il  fabbisogno  di  incenerimento  degli  altri
rifiuti speciali non ritenuti prioritari dal d.l. n. 133/2014. Questi
ultimi, dunque, dovranno trovare  altra  destinazione,  probabilmente
estera,  con  relative  conseguenze  di  natura  ambientale  (effetti
indiretti trasporto) ed economica. 
    Un primo profilo di criticita' connesso allo scenario  sta  anche
nel fatto che una parte non trascurabile  del  rifiuto  speciale  non
pericoloso  che  non   troverebbe   piu'   appropriata   destinazione
rappresenta la frazione  non  recuperatile  residuale  alla  raccolta
differenziata del  rifiuto  urbano;  in  tal  modo,  escludere  dalle
priorita' al conferimento agli  impianti  di  termotrattamento  anche
l'ultimo  segmento  della  filiera  gestionale  del  rifiuto   urbano
penalizza quella stessa prioritaria attenzione al rifiuto urbano  che
il comma 5 afferma. 
    Cio' e' tanto  piu'  irragionevole  anche  con  riferimento  alla
finalita' di tutela ambientale, perche' la priorita'  stabilita'  dal
decreto-legge in oggetto non appare in alcun  modo  corrispondere  ad
una coerente valutazione di pericolosita' sul piano  ambientale.  Con
il paradosso che, a fronte di un potenziamento dello  smaltimento  di
certi rifiuti, si rischia la creazione di un'eccedenza  di  altri,  e
della relativa necessita' di smaltimento, con  effetti  sull'ambiente
che  andrebbero   quantomeno   accertati   preliminarmente   in   via
istruttoria. 
    Inoltre, l'alterazione significativa dei  flussi  di  rifiuti  in
ingresso nella  Regione,  mettera'  in  crisi  il  sistema  di  mutuo
soccorso tra gli impianti della rete regionale, previsto per  i  casi
di manutenzione straordinaria (che solitamente si effettuano nel mese
di agosto), e per quelli di manutenzione occasionale ed  emergenziale
(vale a dire nelle ipotesi di fermo degli impianti). Anche in  questo
caso, sono evidenti le conseguenze anche economiche, che aggraveranno
i bilanci della Regione. 
    Infine, poiche' - come detto  -  il  sistema  di  smaltimento  in
Regione Lombardia e' attualmente gestito in modo tale da creare delle
condizioni  concorrenziali  che  hanno  ottimizzato  la  tariffa   di
smaltimento per il servizio al cittadino, le  misure  introdotte  dal
Governo, ed il conseguente ingresso nel mercato di ulteriore rifiuto,
a costi  nuovamente  negoziabili,  alterera'  l'equilibrio  economico
stabilito, con potenziale aggravio  della  tariffa  per  i  cittadini
lombardi. 
    Il tutto, preme  ribadirlo  una  volta  in  piu',  determina  una
lesione  sulle  competenze  regionali  in  materia  di  governo   del
territorio, di coordinamento della finanza regionale  e  del  sistema
tributario, di tutela dell'ambiente e di produzione dell'energia. 
    Alla luce di quanto  precede,  si  chiede  che  venga  dichiarata
l'incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. n. 133 del  2014,  anche
sotto i profili appena esposti.