TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MESSINA 
 
    Riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei sigg.ri: 
        1) Dott. Nicola Mazzamuto, Presidente; 
        2) Dott. Carmelo Ioppolo, Mag. Sorv.; 
        3) Dott. Luigi Lucchesi, Esperto; 
        4) Dott. Vittorio Crupi, Esperto. 
    Sciogliendo la riserva di decidere espressa  all'udienza  del  16
luglio 2014 nel procedimento di sorveglianza promosso da M.S., nato a
M.B.  in  Tunisia  il  //,  in  atto  internato   presso   l'Ospedale
Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in  esecuzione
della misura di sicurezza detentiva della Casa  di  cura  e  custodia
prevista fino al 3 maggio 2015, con  atto  d'appello  ricevuto  il  2
maggio 2014 avverso l'ordinanza del 28 febbraio 2014  del  Magistrato
di sorveglianza di Messina che rigettava istanza di revoca anticipata
di tale misura; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Premesso che con ordinanza dell'8 ottobre 2012 il  Magistrato  di
sorveglianza di Palermo  disponeva  l'applicazione  della  misura  di
sicurezza detentiva della Casa di cura e custodia, a  seguito  di  un
complesso iter motivazionale che ricostruiva la vicenda  individuale,
familiare, sociale, psichiatrica e giudiziaria del M. ed esaminava il
tentativo omicidiario e la sua criminogenesi alla luce della sentenza
di condanna e delle risultanze peritali. 
    In  particolare,  il  Magistrato   di   sorveglianza   di   prima
applicazione sottolineava che «Con richiesta del 5  gennaio  2011  la
Procura della  Repubblica  di  Palermo,  chiedeva  al  Magistrato  di
Sorveglianza  di  procedere  all'accertamento   della   pericolosita'
sociale del predetto M.S. ai fini dell'applicazione della  misura  di
sicurezza della Casa di Cura e Custodia per anni  2,  ordinata  dalla
Corte di Appello di Palermo con sentenza emessa  il  17  marzo  2009,
irrevocabile il 4 maggio 2009, che gli ha inflitto la pena di anni  4
e mesi 8 di reclusione per il reato di tentato omicidio, riconosciuta
la diminuente di  cu  all'art.  89  cp.,  ritenuta  equivalente  alla
contestata aggravante di aver agito con crudelta'  e  della  recidiva
reiterata  (fatto  commesso  il  20  marzo  2007  in  danno   di   un
connazionale). 
    Con la medesima pronuncia e' stato disposto che a pena espiata il
M.S. fosse ricoverato in una casa di cura e custodia per un tempo non
inferiore ad anni due. 
    Tanto premesso, deve osservarsi come a carico del M.  oltre  alla
condanna da cui discende la misura  di  sicurezza  in  contestazione,
gravi un precedente per il reato di interruzione di  un  servizio  di
pubblica utilita' e danneggiamento (f.c. 15 luglio 2000)  e  una  per
lesione personale continuata e porto di armi (f.c. 1° maggio 2006). 
    Quanto ai fatti di cui alla condanna in esecuzione si rileva come
si sia trattato di una condotta di tentato omicidio posta  in  essere
ai danni di un connazionale, cui il M. seguito di una banale  lite  -
ha inferto reiterati colpi al capo, tenendolo  immobilizzato  con  il
peso del proprio corpo, e proseguendo l'aggressione anche  quando  la
vittima era ormai inerme e priva di sensi. 
    In ordine, poi, al grado di imputabilita' del  M.  dalla  perizia
medico legale espletata nel corso  del  giudizio  di  cognizione,  e'
emersa la presenza di una  patologia  definibile  "come  discontrollo
degli impulsi in soggetto  con  esiti  di  trauma  cranico";  a  tale
riguardo viene rappresentato che il soggetto, a seguito di  un  grave
sinistro  occorsogli  nell'anno  1999,  e'  stato  sottoposto  ad  un
intervento di craniectomia per l'evacuazione di ematoma  extradurale,
con permanenza di postumi invalidanti pari al 25% della capacita'  di
lavoro, dipendente dal lieve deterioramento mentale post  traumatico,
secondario al grave insulto che  l'encefalo  ha  subito,  comportante
disturbi  della  volonta',  dell'attenzione,  deficit  di   capacita'
critica e di autocontrollo, disturbi mnesici  e  modificazioni  della
personalita'. Secondo  il  perito  il  disturbo  diagnosticato  come.
"discontrollo degli impulsi in soggetto con esiti di trauma  cranico"
era compatibile con il tipo di trauma cranico sofferto dal  soggetto,
evidenziando come nella causazione di accessi di violenza come quello
che ha causato i fatti di cui alla condanna in esecuzione (al pari di
altro episodio avvenuto il 1° maggio 2006 per cui il M. ha  riportato
condanna per lesione personale e porto  di  armi)  giocava  un  ruolo
scatenante la concomitante assunzione di bevande alcoliche, anche non
in dose massiccia, che  innestandosi  nella  patologia  in  atto,  ne
amplificava le manifestazioni di tipo violento. Sulla scorta di  tali
considerazioni  medico  legali  all'esito  del  giudizio  e'   stato.
ritenuto che il disturbo di personalita' presente nel soggetto  fosse
tale da incidere in modo  oggettivo  sulla  capacita'  d'intendere  e
volere dello stesso, con conseguente  applicazione  della  diminuente
prevista dall'art. 89 c.p.. 
    Viceversa, durante il periodo di detenzione, protrattosi fino  al
23  aprile  2011,   il   condannato   ha   mantenuto   una   condotta
sostanzialmente regolare (ad eccezione di  un  episodio  trasgressivo
posto in essere il 10 febbraio 2011), si e' rapportato  correttamente
con agenti penitenziari e  compagni  di  detenzione,  ha  svolto  con
impegno e serieta' l'attivita' lavorativa di giardiniere in modalita'
di articolo 21 O.P. ed ha fluito di tre permessi premio giornalieri. 
    Dopo la scarcerazione, tuttavia, dopo aver vissuto in  situazioni
precarie e problematiche  per  alcuni  mesi,  il  soggetto  ha  fatto
perdere le proprie tracce. 
    Lo stesso, infatti, in un primo tempo ha  vissuto  a  Mazara  del
Vallo,  ove  ha  ripreso  a  svolgere  l'attivita'  di  marinaio  sui
pescherecci, senza pero' riuscire a reperire, neppure con l'aiuto dei
servizi sociali territoriali, compulsati anche da questo Ufficio, una
sistemazione abitativa stabile e  affidabile.  Dopo  alcuni  mesi  ha
fatto ritorno a Palermo, ove  e'  stato  ospite  presso  la  Missione
Speranza e Carita'. Dall'ultima relazione dell'UEPE del 21  settembre
2012, emerge, pero', che il M., dalla meta' circa del mese di  agosto
u.s. ha lasciato la Missione, senza fornire  indicazioni  o  recapiti
ove reperirlo. 
    Ebbene, sulla base di tale compendio di  elementi,  tenuto  conto
che si tratta di soggetto nei cui confronti e' stata evidenziata  una
patologia che si sostanzia  in  un  "discontrollo  degli  impulsi  in
soggetto con esiti di trauma cranico", in  cui  e'  insito  un  forte
grado   di   pericolosita',   posto   che,   specie   se    associata
all'assunzione, anche minima, di sostanze alcoliche  (cui  il  M.  e'
dedito) puo' dar luogo a reazioni molto violente e incontrollate, cui
si aggiunge che e' senza fissa dimora, senza occupazione, ed e' privo
di punti di riferimento familiare che gli possano offrire una  sponda
di stabilita', non resta  confermare  il  giudizio  di  pericolosita'
sociale ed applicare la misura di sicurezza ordinata con la  sentenza
citata, per la durata di anni due.". 
    Con  l'ordinanza  del  28  febbraio   2014   il   Magistrato   di
sorveglianza di Messina, rigettando l'istanza di revoca anticipata di
tale misura, sottolineava che "Agli atti emerge  che  l'internato  e'
affetto da "discontrollo degli  impulsi  in  soggetto  con  esiti  di
trauma cranico"; il fatto per cui e' sottoposto  a  misura  e'  stato
posto in essere ai danni di un connazionale, colpito ripetutamente al
capo, anche quando la vittima era priva di sensi, e cio' a seguito di
una banale lite. 
    Dalla relazione dell'O.P.G. del 4 febbraio  2014  emerge  che  il
soggetto "appare tranquillo e disponibile al colloquio, non  emergono
alterazioni della senso percezione ne' del  pensiero.  Umore  congruo
allo  status  ansia  patologica.  Lavora  con  profitto,   buono   il
comportamento in reparto. Si mantiene senza terapia". 
    Si riferisce che accede volentieri al  colloquio,  in  merito  al
reato ha pero' assunto un atteggiamento evasivo;  attualmente  svolge
attivita' lavorativa quale inserviente di reparto. Era in possesso di
permesso di soggiorno, allo stato scaduto.  Non  e'  stato  possibile
predisporre un progetto terapeutico perche' non e' possibile la presa
in carico, non essendo residente  nel  territorio.  L'equipe  ritiene
opportuno in ogni caso procedere ad una sperimentazione graduale  sul
territorio attraverso la partecipazione a gite socio-terapeutiche  di
reparto, con accompagnamento di operatori o volontari e la  fruizione
di licenze orarie e giornaliere in ambito protetto. 
    Ritenuto, alla luce delle complessive risultanze istruttorie, che
allo stato, stante l'assenza di progetto concreto  e  considerata  la
necessita' di osservazione e sperimentazione graduale sul territorio,
che non possa accedersi alla richiesta di revoca della misura". 
    Con provvedimento dell'11 aprile 2014 la Direzione dell'O.P.G. di
Barcellona Pozzo di Gotto, nel presupposto delle  stabili  condizioni
psichiche del M. e del suo comportamento corretto,  lo  ammetteva  al
lavoro esterno ex art. 21 della legge n. 354/75. 
    Con atto d'appello del 16 aprile  2014  il  M.,  tramite  il  suo
difensore, chiedeva la revoca anticipata della  misura  di  sicurezza
detentiva, anche ai fini del suo rientro nel Paese d'origine,  e,  in
via subordinata, l'applicazione della liberta' vigilata. 
    All'udienza il P.G. e la  difesa  concludevano  come  da  verbale
allegato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Ai fini del  presente  giudizio,  si  appalesa  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1 della legge n. 81/2014 di conversione  del  decreto-legge
31 marzo 2014 n. 52,  recante  disposizioni  urgenti  in  materia  di
superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari,  nelle  parti  in
cui stabilisce che l'accertamento  della  pericolosita'  sociale  "e'
effettuato sulla base delle qualita' soggettive della persona e senza
tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma,
numero 4, del codice penale" e che " non costituisce elemento  idoneo
a supportare il giudizio di pericolosita' sociale la sola mancanza di
programmi terapeutici individuali", per contrasto con gli artt. 1, 2,
3, 4, 25, 27, 29, 30, 31, 32, 34, 77 e 117 della Costituzione, 
    A) Sotto il profilo  della  rilevanza,  l'interdizione  normativa
dell'uso  prognostico  di  essenziali  fattori,  come  le  condizioni
individuali, familiari e sociali e l'assenza di progetti  terapeutici
individuali, incide in modo determinante e  profondamente  discorsivo
sul giudizio in  corso,  impedendo  una  valutazione  compiuta  della
concreta pericolosita' sociale del soggetto  interessato  e  del  suo
grado attuale. 
    Invero, il M. affetto da "discontrollo degli impulsi in  soggetto
con esiti di trauma cranico", nel corso dell'esecuzione della  misura
di sicurezza detentiva presso l'O.P.G. di Barcellona Pozzo di  Gotto,
ha evidenziato condizioni psichiche stabili ed ha tenuto una positiva
condotta,  partecipando  alle  attivita'  trattamentali  con  valenza
terapeutica, con recente ammissione al lavoro ex art. 21  O.P.  (cfr.
provvedimento acquisito  agli  atti),  a  fronte  di  una  situazione
individuale, familiare e socio-assistenziale caratterizzata in chiave
negativa dalla lontananza della famiglia residente in Tunisia,  dalla
mancanza  di  concreta  prospettiva  lavorativa  e   risocializzante,
essendo sprovvisto  di  permesso  di  soggiorno  in  quanto  scaduto,
nonche' dalla mancanza della presa in carico  da  parte  dei  servizi
sanitari territoriali in quanto non residente e  dall'assenza  di  un
progetto   terapeutico   e   socio-riabilitativo   (cfr.    relazione
penitenziaria e psichiatrica di sintesi del 4 febbraio 2014). 
    Risulta evidente che, dovendo  fondare  il  giudizio  prognostico
sulla  base  delle  qualita'  soggettive  della   persona   ignorando
forzatamente  i  fattori  prognostici  interdetti   dalla   normativa
denunziata,  ancorche'  acquisiti  alla  cognizione   del   fascicolo
processuale, la stessa prognosi risulta  impossibile  o  radicalmente
alterata, in quanto tale prognosi altro non e' che la  previsione  in
chiave  probabilistica  dei  comportamenti  che  il  soggetto  potra'
assumere  proprio  nel   contesto   delle   condizioni   individuali,
familiari, socio-assistenziali e sanitarie di cui la norma  prescrive
di  non  tener  conto,  con  la  conseguenza  che   sara'   ardua   e
profondamente incerta ed  affidata  ad  un  volontarismo  giudiziario
arbitrario,    cognitivamente    inadeguato    e     teleologicamente
disorientato, la scelta di se e di quale misura mantenere o  adottare
e del suo contenuto prescrittivo. 
    Si aggiunga che,  nel  caso  di  specie,  non  e'  esperibile  la
soluzione invocata  dall'appellante  della  revoca  anticipata  della
misura di sicurezza detentiva al fine  di  rientrare  nel  suo  Paese
d'origine,    mancando    le    garanzie,    necessarie    ai    fini
specialpreventivi, sia dell'effettivita' di tale rientro - in difetto
di una misura prefettizia di' espulsione in  quanto  annullata  (cfr.
verbale  d'udienza  in  atti)  e  stante  l'impossibilita',  per   il
principio di tipicita' che non consente, della  trasformazione  della
misura  di  sicurezza  "psichiatrica"  in  corso  con  la  misura  di
sicurezza "non  psichiatrica"  dell'espulsione  dello  straniero  dal
territorio dello Stato (cfr. Cass. S.U. del 28 aprile 2011 n.  34091)
- sia della stabile permanenza nel Paese d'origine e del  conseguente
non rientro in Italia. 
    Invero, premessa la necessaria presenza  del  M.  nel  territorio
nazionale, ai fini della valutazione prognostica e della  conseguente
decisione  giudiziaria  nei   suoi   confronti,   non   puo'   essere
indifferente  -  indifferentismo  cui  irragionevolmente  rischia  di
condurre la normativa denunziata - se lo si valuti  "soggettivamente"
pericoloso e si scelga di mantenerlo nell'ambito  penitenziario,  ove
riceve assistenza e trattamento  terapeutico  e  socio-riabilitativo,
come sopra riscontrato, ovvero se  lo  si  ritenga  "soggettivamente"
inoffensivo o con pericolosita' sociale "scemata" e lo si collochi in
liberta' affidato a se stesso o in liberta' vigilata,  nonostante  la
mancanza di punti di  riferimento  familiari,  socio-assistenziali  e
terapeutici - con il rischio consistente che le  componenti  violente
ed aggressive  insite  nella  sua  personalita'  e  nel  suo  vissuto
esistenziale,   rimaste   latenti   in    ambiente    protetto,    si
"slatentizzino" in assenza di adeguati presidi  ed  in  presenza  di'
fattori scatenanti e di agenti provocatori,  come  gia'  accaduto  in
occasione dell'episodio criminoso sopra descritto - oppure ancora  se
lo si collochi in liberta' o in  liberta'  vigilata  in  un  contesto
adeguato sotto i profili,  tra  loro  strettamente  correlati,  delle
condizioni di vita individuale (vitto, alloggio,  sobrieta'  nell'uso
di   bevande   alcoliche,   impegno   in   attivita'   lavorative   e
risocializzative etc.), familiare (la lontananza della famiglia  puo'
trovare un  valido  sostitutivo  nell'ospitalita'  di  una  comunita'
d'accoglienza), sociale (la collocazione in un  contesto  urbano  non
degradato caratterizzato dalla presenza di agenzie  di  aggregazione,
come  la  parrocchia  o  i  centri  sociali,  e  di  un  tessuto   di
solidarieta'  umana,  come  il  buon  vicinato)  e  delle  condizioni
socio-assistenziali  e  terapeutiche  (presa  in  carico  del  D.S.M.
competente secondo un progetto individualizzato di cura  psichiatrica
e di' riabilitazione sociale). 
    Fuori  di  una  realistica  e  globale  prospettiva  prognostica,
ridotta alla valutazione monca, isolata  e  decontestualizzata  delle
qualita'  soggettive  della  persona,  non  resta  che  l'alternativa
arbitraria se considerare il soggetto - si perdoni e  si  giustifichi
l'uso in funzione icastica delle seguenti metafore  letterarie  -  un
"Lupo cattivo" in ragione  del  grave  reato  commesso  e  della  sua
malattia mentale, rimasto tale nelle  sue  potenzialita'  criminogene
("delinquenti,  matti  o  signori  si  nasce  e  non  si   diventa"),
nonostante i trattamenti intramurari  dispensati  -  si  osservi  per
incidens che anche l'intramoenia dell'O.P.G.  configura  un  contesto
istituzionale,   assistenziale   e   terapeutico,   con   determinate
condizioni di vita individuale,  familiare  e  sociale  -  oppure  se
considerarlo un "Lupo buono" divenuto tale in corso  d'opera,  grazie
alla  buona  condotta  penitenziaria  ("delinquenti,  matti  o  bravi
cittadini non si nasce, si diventa"), senza tuttavia  saper  bene  (o
non sapendo affatto) in virtu' di quali fattori (endogeni o esogeni?)
sia avvenuta tale trasformazione, se tali fattori siano transitori  o
duraturi, tali cioe' da permanere in ambiente libero, con o senza  la
vigilanza delle forze dell'ordine, l'aiuto degli assistenti sociali e
le prescrizioni specialpreventive e terapeutiche  di  una  misura  di
sicurezza, senza sapere bene (o non sapendo affatto) a quali pericoli
si espongono nel Bosco, di cui  dover  ignorare  le  condizioni,  sia
Cappuccetto rosso, che rischia di essere divorata insieme alla Nonna,
sia lo stesso Lupo che  rischia  di  venire  ucciso  dal  Cacciatore,
ovvero  ancora  se  considerarlo  un  "soggetto  dimezzato"  come  il
Visconte di calviniana memoria che rischia di combinar guai, per  se'
e per gli altri, sia nella versione cattiva, sia  paradossalmente  in
quella  buona  della  sua  personalita'  dimidiata  o,   infine,   se
osservarlo come il Giano bifronte, che tra passato e futuro resta  in
mezzo al guado, sulla soglia  della  porta  che  dall'O.P.G.  conduce
verso la citta' libera. 
    Invero,  fuor  di  metafore,  senza  un   approccio   globale   e
multifattoriale, garantito dalla normativa previgente  ed  interdetto
dalla novella legislativa, casi come quello di M. non possono trovare
soluzioni adeguate che soddisfino in modo equilibrato le  compresenti
diverse esigenze costituzionalmente rilevanti. 
    B) Sotto  il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni di costituzionalita' sollevate dalla normativa  denunziata,
occorre premettere che in materia di misure di sicurezza e di giudizi
di pericolosita' - che formano il presupposto cognitivo  e  giuridico
dell'applicazione, trasformazione, proroga o revoca di tali misure  -
la Corte costituzionale ha elaborato fondamentali  insegnamenti,  che
costituiscono l'habitat giuridico-costituzionale e l'humus  culturale
e assiologico della presente eccezione e che si riassumono intorno ad
un nucleo essenziale rinvenibile nella sentenza  "odigitria"  n.  253
del  2003,   laddove   statuisce   "l'equilibrio   costituzionalmente
necessario" 'fra le  diverse  esigenze  che  deve  ...necessariamente
caratterizzare questo tipo di fattispecie", "le esigenze  di  cura  e
tutela  della  persona  interessata  e   di   controllo   della   sua
pericolosita' sociale", attraverso "misure a contenuto  terapeutico",
"ragionevolmente...   atte   a   contenere    tale    pericolosita'",
"manifestatasi nel compimento  di  fatti  costituenti  oggettivamente
reato e valutata prognosticamente  in  occasione  e  in  vista  delle
decisioni giudiziarie conseguenti " ed a "tutelare  la  collettivita'
dalle sue ulteriori possibili manifestazioni pregiudizievoli", "in un
ordinamento  ispirato  al  principio  personalista  (art.   2   della
Costituzione), in quanto  rispondano  contemporaneamente  a  entrambe
queste finalita', collegate e non scindibili (cfr.  sentenza  n.  139
del 1982), di cura e tutela dell'infermo e di contenimento della  sua
pericolosita' sociale", sicche' "un sistema che  rispondesse  ad  una
sola di queste finalita' (e cosi' a quella di controllo  dell'infermo
'pericoloso"),   e   non   all'altra,    non    potrebbe    ritenersi
costituzionalmente ammissibile". 
    Invero, la  normativa  scrutinata  si  rivela  strutturalmente  e
concettualmente mancante del "necessario equilibrio", in una  materia
governata dal principio di ragionevolezza che  esige  un  sapiente  e
delicatissimo "bilanciamento delle diverse' esigenze costituzionali",
onde la lesione di tale equilibrio, posto a  presidio  di  essenziali
beni della persona e  della  comunita',  e'  foriera  di  plurimi  ed
interconnessi profili di grave incostituzionalita',  che  di  seguito
partitamente si illustrano. 
    1) Violazione degli artt. 1 e 4 della Costituzione: 
        la normativa denunziata  viola  il  principio  giuslavorista,
giacche',  censurando  a  fini  prognostici  le  condizioni  di  vita
individuale, familiare e sociale, impone di  non  tener  conto  della
circostanza se la persona svolga o non svolga (o abbia o non abbia la
prospettiva di svolgere) un'attivita' lavorativa che costituisce  una
delle  fondamentali  condizioni  di  vita  individuale,  familiare  e
sociale ed un potente fattore di prevenzione criminale, ove il lavoro
onesto  e'  presente,  ovvero,  al  contrario,  un  potente   fattore
criminogeno, ove tale lavoro non  e'  presente  o  assume  persino  i
caratteri di attivita' illecite  o  criminali;  si  aggiunga  che  il
lavoro  costituisce  un   formidabile   strumento   del   trattamento
penitenziario,  rieducativo,  risocializzativo  e  terapeutico  degli
autori  di  reati,  che  assume   speciale   valenza   ergonomica   e
riabilitativa  nei  confronti  dei  soggetti  affetti  da   patologie
psichiatriche e che il novello Legislatore,  negandone  la  rilevanza
prognostica, rischia di precluderne le possibilita' di accesso  e  di
inibirne l'effettivita' dell'esercizio. 
    2) Violazione dell'art. 2 della Costituzione: 
        l'istituto della pericolosita' sociale,  siccome  "dimidiato"
nelle sue componenti essenziali e nei confronti della generalita' dei
reati e degli autori inimputabili e semimputabili, espone  diritti  e
beni fondamentali delle persone e  della  comunita'  a  gravi  rischi
razionalmente e giudizialmente non piu' controllati e  controllabili,
a causa dell'irragionevole rinunzia a strumenti cognitivi e normativi
necessari al fine di un loro adeguato controllo,  con  ingiustificata
compressione della discrezionalita'  giudiziale  normativamente  male
orientata  attraverso  l'imposizione  di  "rigidi  vincoli"  che  non
consentono l'apprezzamento  globale  della  situazione  concreta  del
soggetto  e  determinano  la  conseguente  impossibilita'   o   grave
difficolta' nella scelta della  misura  idonea  a  fronteggiare  tali
rischi; 
    si aggiunga  che  la  normativa  scrutinata,  censurando  a  fini
prognostici le condizioni di vita individuale, familiare  e  sociale,
lede il diritto inviolabile della persona  a  vedere  riconosciuta  e
giudizialmente apprezzata la sua condizione di vita sia come singolo,
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'. 
    3) Violazione dell'art. 3 della Costituzione: 
        a) in ordine al principio sovraordinato di ragionevolezza, la
normativa  denunziata  mostra  tutta  la  sua  irrazionalita'   sotto
molteplici angoli visuali e disciplinari; 
    il  riduzionismo   cognitivo   di   una   pericolosita'   sociale
"dimezzata" si rivela irragionevole sotto il  profilo  giuridico,  in
quanto   determina   una   rottura   dell'equilibrio   costituzionale
necessario in subiecta materia secondo l'ineludibile insegnamento del
Giudice supremo  delle  Leggi,  giacche'  compromette  o  addirittura
vanifica le finalita' costituzionalmente necessarie delle  misure  di
sicurezza:  quella  di  difesa  sociale,  restituendo   la   liberta'
extramuraria a soggetti ritenuti  fino  a  ieri  pericolosi  o  molto
pericolosi  alla  luce  di  un  giudizio  prognostico  globale,  oggi
normativamente censurato, quella terapeutica, rimettendo in  liberta'
soggetti bisognevoli di cure psichiatriche, che  bene  o  male  nelle
strutture  penitenziarie  vengono  oggi  dispensate,  nonostante   la
concreta  assenza  di  progetti  terapeutici  e   socio-riabilitativi
individualizzati e contestualizzati nei territori di appartenenza e/o
di reinserimento. 
    Si aggiunga che tale "pericolosita' sociale  decontestualizzata",
avulsa  cioe'  dal  contesto  ambientale,  imponendo  al  giudice  di
"astrarre" dai  fattori  estromessi  dalla  base  cognitiva  del  suo
giudizio prognostico, gli impedisce l'accertamento in concreto  della
reale pericolosita' (o non  pericolosita')  sociale  del  soggetto  e
finisce con  l'introdurre  una  forma  mascherata  e  surrettizia  di
irragionevole   e    costituzionalmente    censurabile    presunzione
legislativa di pericolosita' (o  di  non  pericolosita'),  senza  una
valida giustificazione scientifica, come meglio si dira' in seguito. 
    Possono ripetersi  mutatis  mutandis  le  calzanti  parole  delle
sentenza n. 153/2003, ancorche'  dettate  in  riferimento  a  diversa
fattispecie: 
    "La legge qui adotta un modello che  esclude  ogni  apprezzamento
della situazione da parte del giudice, per imporgli un'unica  scelta,
che puo' rivelarsi, in concreto, lesiva del necessario equilibrio fra
le diverse esigenze che deve invece  necessariamente  caratterizzare,
questo tipo di fattispecie, e persino tale da pregiudicare la  salute
dell'infermo: cio' che, come si  e'  detto,  non  e'  in  alcun  caso
ammissibile". 
    Tale    riduzionismo,    se    non    bastasse     il     rilievo
giuridico-costituzionale, si rivela irragionevole anche  sotto  altri
profili: 
        "sotto il profilo  filosofico  e  antropologico",  in  quanto
stacca e isola l'uomo dall'ambiente e dimentica che l'essere umano e'
costitutivamente zoon politikon, essere  relazionale  e  sociale  che
vive in costante rapporto, biologicamente e storicamente  necessario,
con  l'ambiente  umano,  animale,  vegetale,   minerale   e   cosmico
circostante e che ogni  giudizio  significativamente  predicabile  di
ogni  "qualita'  soggettiva"  non  puo'  prescindere  da   tale   sua
condizione ontologica; 
        "sotto il profilo gnoseologico ed epistemologico", in  quanto
"separa" e "sterilizza" una categoria di pregiate conoscenze di  alto
valore  predittivo,  pur  acquisite  e   acquisibili   al   processo,
tendendole giudizialmente inutilizzabili  senza  una  valida  ragione
scientifica, ed isola la componente delle "qualita' soggettive" della
persona in un simulacro di giudizio prognostico in vitro che perde la
concretezza dell'adaequatio rei et intellectus; 
        "sotto  il  profilo  sociologico",  in  quanto  configura  il
paradosso di una pericolosita'  "sociale"  senza  la  "societa'"  che
devesi iussu legis ignorare, chiude  le  porte  al  contributo  delle
scienze sociali, oblitera nella criminogenesi e nell'eziopatogenesi i
fattori esogeni della realta' socio-ambientale, vanifica  l'inchiesta
socio-familiare dell'U.E.P.E. prescritta  in  materia  di  misure  di
sicurezza dal 2° comma, lettera  a),  dell'art.  72  della  legge  n.
354/75, incentra il giudizio prognostico sui fattori  endogeni  delle
"qualita' soggettive", ossia sulla costituzione fisica e biopsichica.
dell'individuo, dimenticando che quasi  mai  il  reato  e'  un  fatto
individuale isolato, bensi' quasi sempre  il  prodotto  di  complesse
cause  sociali,  oltre  che  individuali,   e   manda   in   soffitta
fondamentali  verita'   riassunte   nelle   formule   archetipe   che
riconoscono il ruolo della societa' nella genesi del delitto e vedono
l'ambiente familiare e sociale come possibile  specifico  terreno  di
coltura della criminalita'; 
        "sotto il profilo psichiatrico", in quanto - esautorando  dal
compendio  prognostico   il   "programma   terapeutico   individuale"
considerato  elemento  inidoneo   a   sopportare   il   giudizio   di
pericolosita' - disattende il dato di comune  esperienza  in  ragione
del quale e' fattore determinate ai fini della prognosi nei confronti
di una persona affetta da patologie psichiatriche la  circostanza  se
la  stessa  sia  sottoposta  o   meno   a   trattamento   terapeutico
individualizzato e la circostanza correlata se tale  trattamento  sia
affidato alla buona  volonta'  dell'interessato,  spesso  carente  di
coscienza di malattia e di conseguente compliance terapeutica, oppure
imposta  attraverso  il  regime  prescrizionale  di  una  misura   di
sicurezza; 
    si  aggiunga  che  tale  esautoramento  del  momento  terapeutico
dall'orizzonte predittivo rischia di aumentate  il  "peso  specifico"
che la malattia mentale ha  nella  bilancia  prognostica,  in  quanto
principale  "qualita'  soggettiva"  della  persona   inimputabile   o
semimputabile, e rischia di alimentare il pregiudizio secondo cui  il
malato di mente e' pericoloso  in  quanto  tale,  pericoloso  perche'
malato di mente, pregiudizio atavico e binomio automatico di  cui  la
migliore psichiatria forense ha ampiamente dimostrato  l'infondatezza
scientifica; 
    invero, la trama delle relazioni tra  fatto  di  reato,  malattia
mentale,  imputabilita'  e  pericolosita'  sociale  e'   assai   piu'
complessa e multiforme di quanto tale riduzionismo unilaterale mostra
e consente di comprendere; 
        "sotto il profilo criminologico"  (che  costituisce  l'ambito
disciplinare  di  competenza  specifica  in  materia  di  giudizi  di
prognosi criminale), in quanto dimentica che la pericolosita'  e'  un
concetto elastico e dinamico, frutto di un giudizio  multifattoriale,
interattivo, relazionale,  risultante  combinatoria  e  sintetica  di
complesse variabili del rapporto biunivoco di interazione  necessaria
tra l'individuo e  l'ambiente,  in  cui  assumono  rilievo  centrale,
secondo le prospettive piu' avanzate della moderna  criminologia,  il
concetto di "pericolosita' situazionale", che considera la persona ed
il suo  eventuale  potenziale  criminogeno  a  seconda  dei  contesti
relazionali in cui e' inserita o in cui puo' o deve  essere  inserita
(la stessa persona puo'  essere  pericolosa  in  un  contesto  e  non
esserlo in un contesto diverso, anche nello stesso  arco  temporale),
il concetto di "criminogenesi", come visione organica di un  processo
che comprende predisposizione (soma), carattere (psiche)  e  ambiente
(physis) ed il concetto di "causalita' circolare"  dei  vari  fattori
criminogenetici e prognostici, che reciprocamente si influenzano e si
condizionano; 
    invero, l'uomo non e' un'isola o una monade  e  la  pericolosita'
sociale non e' uno status soggettivo, una stimmate biopsichica  o  un
marchio  individuale,  sibbene  un  concetto  relazionale   complesso
necessariamente "contestualizzato", sicche' non ha senso predicare la
qualita' soggettiva di una persona come socialmente pericolosa se non
con riferimento al contesto concreto in cui vive ed opera o in cui e'
destinata a vivere e ad operare; 
    la normativa scrutinata adombra, invece, un modello criminologico
tendenzialmente "unifattoriale" di tipo individualistico - incentrato
in  via  principale  o  esclusiva   sui   fattori   endogeni,   sulla
personalita' del singolo individuo e sulle sue "qualita' soggettive",
ossia   sulle   sue   caratteristiche   personali,   psicologiche   e
psichiatriche - impone di ignorare le condizioni di vita individuale,
familiare e sociale e l'ambivalenza del loro significato prognostico,
potendo  fungere  tali  condizioni,  a   seconda   dei   casi,   come
determinanti fattori criminogeni ovvero, al contrario,  come  potenti
leve di promozione, reinserimento e recupero, e spezza cosi' l'unita'
organica del giudizio prognostico consacrata dall'art. 133 del codice
penale, in cui i vari fattori  endogeni  ed  esogeni  sono  tra  loro
strettamente  correlati  e  interdipendenti,  interdice  la  naturale
consequenzialita' tra la valutazione prognostica globale e la  scelta
della misura da adottare e del suo contenuto prescrittivo,  stravolge
la ferrea logica di una grundnorm del sistema penale,  introducendovi
aspetti di  profonda  irrazionalita'  proprio  nella  sua  dimensione
prognostico-preventiva; 
    in particolare, si appalesa  l'intrinseca  contraddittorieta'  di
poter tenere conto  del  carattere  del  reo,  che  e'  il  risultato
dinamico dell'interazione tra il  temperamento  e  l'ambiente,  e  di
dover non tenere conto proprio delle condizioni ambientali su cui  il
carattere del reo agisce e che sul  carattere  del  reo  influiscono,
schizofrenica  criteriologia  che  si  inscrive  proprio  nella  fase
prognostica    del    reinserimento    ambientale    del     soggetto
dall'istituzione totale alla societa' libera; 
    inoltre, risulta  davvero  contraddittorio  e  paradossale  poter
tenere conto delle condizioni di vita "anteatta" del reo e dover  non
tenere conto delle sue condizioni di' vita individuali,  familiari  e
sociali  "attuali",  ancorche'  criminogene  ed,   anzi,   anche   se
favorevoli; 
    censurate le condizioni di cui al n. 4 del 2° comma dell'art. 133
c.p. e rese di per se' irrilevanti  ai  fini  giudiziali  le  risorse
terapeutiche territoriali, residuano i fattori prognostici immutabili
e cristallizzati come la gravita' del fatto di reato contemplata  dal
1° comma, i motivi a delinquere previsti dal n. 1  del  2°  comma,  i
precedenti penali e giudiziari, la condotta e la vita antecedenti  al
reato previsti dal n. 2 e la condotta contemporanea al reato prevista
dal n. 3,  e  si  riducono  i  fattori  prognostici  modificabili  in
progress come il carattere del reo previsto dal n. 1  e  la  condotta
susseguente al reato prevista dal n. 3, tuttavia ormai  devitalizzati
e decontestualizzati in quanto sganciati dalle condizioni di  cui  al
n. 4 che  costituiscono  il  pendant  necessario  di  ogni  dinamismo
evolutivo della personalita' di un  soggetto,  del  suo  carattere  e
della sua condotta; 
    il rischio e' che l'intento del legislatore  verso  una  maggiore
deistituzionalizzazione nel trattamento dei malati di mente autori di
reato si inveii in pratica nel suo contrario, se prendera' corpo  una
cultura del "soggettivismo criminologico" socialmente  disancorato  e
del "cronicismo  psichiatrico"  terapeuticamente  disincantato  e  se
aumentera' la propensione dei giudici a  motivare  sulla  base  delle
qualita' soggettive desunte dai fattori immutabili ed a  svalorizzare
i fattori dinamici ed evolutivi, cosi' da perpetuare la  misura  piu'
restrittiva in una sorta  di  "conservatorismo  giudiziario"  con  la
prospettiva di nuove proroghe seriali sine die e di  nuovi  ergastoli
bianchi,  non  piu'  aperti  al  sopraggiungere  di  fattori  esogeni
positivi, bensi' blindati nel fissismo di motivazioni  cristallizzate
sui fattori endogeni immodificabili; 
    tale scenario  prefigura  una  pericolosita'  rigida,  statica  e
autoconservativa,  non  piu'  elastica,  dinamica   e   aperta   alle
trasformazioni, e ridisegna il settore delle misure di sicurezza  non
piu' come laboratorio giudiziale, sociale ed istituzionale  di  works
in progress, bensi' come galleria stereotipata di crisalidi criminali
fissate nel tempo e nello  spazio,  magari  con  la  copertura  della
nuovelle vague del "genetismo neuro-scientifico"; 
    l'irragionevole irrigidimento normativa del giudizio  prognostico
rischia  cosi'  di  determinare  una  sorta  di  "scotomizzazione  (o
dissonanza)  cognitiva"  che  incide  sulle  concrete  condizioni  di
psicologia giudiziaria in cui il decidente e' chiamato a svolgere  il
suo delicatissimo compito, con la forte tentazione  di  una  criptica
interpretatio abrogans in fraudem legis  conseguente  alla  discrasia
tra  il  motivo  reale  della  decisione,  inconfessabile  in  quanto
censurato, ed il motivo apparente esternato sotto le mentite  spoglie
di una diversa categoria prognostica, con la  probabile  conseguenza,
in damnosis per il soggetto interessato, che la motivazione apparente
sia piu' sfavorevole di quella reale, come nei casi in cui la  prima,
a differenza della seconda, e' fondata su  fattori  immutabili,  come
tali non suscettivi di modifiche giudiziali nel tempo. 
        b) in ordine alla irragionevole ed ingiustificata  disparita'
di trattamento tra casi simili, la normativa denunziata viola  l'art.
3 della Costituzione, giacche'  nei  confronti  degli  imputabili  la
pericolosita' sociale continua ad essere accertata  nella  globalita'
ed interezza dei fattori  prognostici,  mentre  nei  confronti  degli
inimputabili  e   dei   semimputabili   tale   accertamento   risulta
"dimidiato",  con  l'aggravante  che  gli  imputabili  hanno  maggior
dominio dei fattori ambientali, a differenza degli infermi  di  mente
che subiscono maggior condizionamento dall'ambiente ed  hanno  minore
capacita' di controllo rispetto agli influssi  ambientali,  onde  nei
loro riguardi a fortiori si impone una valutazione giudiziale,  nella
pienezza dei fattori prognostici, che tenga conto in modo particolare
proprio delle condizioni "censurate" di cui al  n.  4  del  2°  comma
dell'art. 133 del codice penale e del loro grande valore predittivo; 
    si aggiunga che con riguardo alla  categoria  dei  semimputabili,
come nel caso di  che  trattasi,  l'irragionevole  ed  ingiustificata
disparita' di  trattamento  risulta  ancor  piu'  eclatante,  ove  si
consideri che nei confronti dello stesso soggetto, a  seconda  se  si
versi nella fase esecutiva della pena o  della  misura  di  sicurezza
detentiva psichiatrica, muta il quadro prognostico di riferimento con
effetti disfunzionali e paradossali di palmare evidenza; 
    invero, quale che sia l'ordine  esecutivo  delle  due  misure  ai
sensi dell'art. 220 c.p., la pericolosita' sociale del  semimputabile
che fino al giorno prima deve essere valutata alla luce di  tutte  le
circostanze di cui all'art. 133 c.p.,  il  giorno  dopo  deve  essere
rimodulata alla stregua dei nuovi criteri introdotti dalla  normativa
denunziata,  con  la  possibile  e  irrazionale  conseguenza  che  un
soggetto ritenuto  pericoloso  o  non  pericoloso  ieri  diviene  non
pericoloso o pericoloso oggi; 
    inoltre, analoga situazione con effetti  parimenti  irragionevoli
si verifica nel caso ricorrente di coesistenza di una  pluralita'  di
titoli esecutivi in capo allo stesso soggetto, il quale  figura  come
imputabile  con  riguardo  ad  alcuni  di  essi  ed  inimputabile   o
semimputabile con riguardo agli altri; 
    si  osservi,  infine,  che  l'irragionevole   ed   ingiustificata
disparita' di trattamento raggiunge il suo acme nei casi dei soggetti
imputabili cui  e'  sopravvenuta  una  infermita'  psichica  tale  da
comportarne il ricovero in O.P.G. ai sensi dell'art.  148  c.p.:  nei
loro confronti, essendo in espiazione di pena, non sara'  applicabile
la "nuova" pericolosita' sociale, a differenza dei loro  compagni  di
internamento e, magari, di cella, in quanto sottoposti  a  misura  di
sicurezza detentiva di carattere psichiatrico. 
    4) Violazione degli artt. 25 e 27 della Costituzione: 
        nel testo costituzionale e nel  sistema  del  doppio  binario
adottato dal codice penale le  misure  di  sicurezza  si  distinguono
chiaramente dalle pene, avendo  presupposti,  contenuti  e  finalita'
diverse, quantunque entrambe astrette dalla comune natura di sanzioni
criminali e dal finalismo rieducativo che  deve  caratterizzare  ogni
trattamento sanzionatorio  e  sebbene  nella  prassi  esecutiva  tali
diverse sanzioni conoscano forme di ibridazione e fenomeni di  truffa
delle etichette; 
    la normativa scrutinata insinua e accentua,  invece,  una  logica
"confusiva", risultando evidente l'intentio  legislatoris  -  sottesa
all'amputazione  ortopedica  della  base   cognitiva   del   giudizio
prognostico, unitamente alla previsione della  durata  massima  delle
misure di sicurezza detentive commisurata al  limite  edittale  della
pena  prevista  per  il  reato  corrispondente,  in   una   impropria
prospettiva anticipatoria di un sistema a sanzione unica - di non far
pagare al reo infermo di mente il fio delle colpe della societa',  le
conseguenze sanzionatorie delle responsabilita' collettive della  non
accoglienza familiare, sociale e  istituzionale  e  delle  carenze  e
indisponibilita'   delle   strutture   sanitarie   e    psichiatriche
territoriali;  in  realta',  cosi'   normando,   con   l'intento   di
contrastare i fenomeni negativi degli  "ergastoli  bianchi"  e  delle
"proroghe seriali", si caricano le misure  di  sicurezza  di  valenze
retributive e punitive che devono  restare  loro  estranee  (cfr.  la
sentenza n. 153/2003 nella parte in  cui  condivide  l'argomento  del
giudice remittente che censura l'incostituzionalita' della  norma  in
quanto finisce per attribuire  alla  misura  di  sicurezza  "funzione
retributiva  anziche'   di   prevenzione   speciale"   ed   impedisce
"l'adozione di  soluzioni  idonee  a  difendere  la  collettivita'  e
insieme  a  curare  adeguatamente  un   soggetto   pericoloso"),   si
contrastano tali valenze negative in  modo  improprio,  giacche'  si'
"sanziona"  la  collettivita'  trasferendo  su  di  essa  il  rischio
giudizialmente  incontrollato  di  nuove   condotte   antisociali   e
criminose, si espone a gravi pericoli la vittima dello  stesso  reato
se  ancora  esistente  e/o  le  altre  vittime  potenziali,  con   la
conseguenza di fare pagare alla parte incolpevole della  societa'  il
prezzo della cattiva coscienza di un  trattamento  inadeguato  quando
non disumano del reo folle, si espone quest'ultimo ai  rischi  di  un
reinserimento forzoso in contesti familiari e sociali  impreparati  o
refrattari a riceverlo, si forza la  mano  attraverso  una  sorta  di
ricatto istituzionale per via legislativa al fine di costringere alle
"prese in carico" i territori renitenti,  non  si  percorre  fino  in
fondo la via maestra, pure presente  in  talune  disposizioni  felici
della  legge  in  esame  (cfr.  la  norma  che  "mette  in  mora"   i
Dipartimenti di salute mentale per  la  predisposizione  obbligatoria
dei programmi terapeutici individuali), della  "responsabilizzazione"
e della "non scotomizzazione" delle varie agenzie territoriali, della
loro adeguata e graduale preparazione, della paziente costruzione  di
strutture e reti socio-sanitarie e di protocolli condivisi, opera non
disgiunta dall'eventuale attivazione di  meccanismi  sanzionatori  in
presenza  di  persistenti  condotte  antigiuridiche  e  di   pratiche
d'inefficienza e/o di ostruzionismo da parte degli organi preposti; 
    la violazione degli artt. 25 e 27 della Costituzione si apprezza,
inoltre,  sotto  il  profilo  teleologico,  giacche'   la   normativa
denunziata - spezzando, a  livello  della  prognosi  giudiziaria,  il
rapporto inscindibile tra l'uomo e l'ambiente e rinunziando cosi'  al
dinamismo che da tale rapporto scaturisce,  dinamismo  necessario  in
ogni trattamento  progressivo,  in  ogni  processo  trasformativo  ed
evolutivo della persona, in ogni processo terapeutico, rieducativo  e
risocializzativo -  finisce  col  contrastare  le  stesse  essenziali
finalita'   delle   misure   di   sicurezza   sottese   al    sistema
costituzionale, come piu' volte ripensato e ricostruito  dal  Giudice
supremo delle Leggi; 
    si osservi ancora che la normativa scrutinata, in quanto  mira  a
disciplinare le misure di sicurezza in corso  di  applicazione  o  di
esecuzione, in relazione a fatti di reati posti in essere prima della
sua entrata in vigore, rischia  di  impingere  con  il  principio  di
irretroattivita' delle disposizioni penali sfavorevoli, che la  Corte
costituzionale ha esteso in talune pronunce alla materia delle misure
di sicurezza (cfr. sentenza n.  19/1974  e  ordinanza  n.  392/1987),
giacche'  la  censura  legislativa  dell'   uso   prognostico   delle
condizioni di cui al n. 4 del  2°  comma  dell'art.  133  del  codice
penale e' ambivalente e potenzialmente contra reum e quindi in  malam
partem; 
    invero, cadono sotto la scure della novella  legislativa  sia  le
condizioni sfavorevoli sia quelle favorevoli, con la conseguenza che,
estremizzando, un internato  che  mostra  le  sue  "cattive  qualita'
soggettive" - in ragione del reato commesso, della patologia  mentale
da cui e' affetto, del carattere difficile e della negativa  condotta
tenuta in un ambiente penitenziario controindicato  -  continuera'  a
restare segregato tendenzialmente sine die, nonostante la presenza di
condizioni  esterne  individuali,  familiari   e   socio-terapeutiche
favorevoli all'esperimento  di  un  suo  reinserimento  sociale,  con
evidente effetto in malam partem della nuova  disciplina,  mentre  un
internato che esibisce " buone qualita' soggettive" - in  virtu'  del
buon  compenso  psichico  raggiunto  in  ambito  penitenziario,   del
carattere  mite  ed   influenzabile   e   della   positiva   condotta
intramuraria - verra'  rimesso  in  ambiente  libero,  nonostante  le
condizioni   esterne   patogene   e   criminogene   e   le    carenze
socio-terapeutiche, ove l'effetto in bonam partem e'  piu'  apparente
che reale, se  si  considerano  i  condizionamenti  ambientali  ed  i
conseguenti rischi cui tale improvvido reinserimento espone lo stesso
soggetto,  la  sua  salute,  la  sua  incolumita',  la  sua  vita  di
relazione, la sua stessa liberta'. 
    5) Violazione degli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione: 
        censurando  a  fini  prognostici  le   condizioni   di   vita
individuale, "familiare" e sociale e imponendo di ignorare l'ambiente
familiare che costituisce, come e' evidente, sia un  potente  fattore
di  prevenzione  criminale,  in  presenza  di  una   famiglia   sana,
accogliente e capace, sia, invece, un potente fattore criminogeno, in
presenza di una famiglia disastrata o incapace o  addirittura  dedita
al crimine, la normativa denunziata lede i diritti della famiglia, in
quanto  rischia  di  impedirle   di   esercitare   i   suoi   compiti
"genitoriali" di mantenimento, istruzione ed  educazione  dei  figli,
ancorche' malati di mente e autori di reato,  oppure,  al  contrario,
rischia di costringerla a subire il loro rientro, nonostante  le  sue
condizioni   affettive,   psicologiche,   psichiatriche,   educative,
culturali, esistenziali, economiche,  abitative,  socio-assistenziali
etc. siano controindicate, o, addirittura, di  agevolarla  nelle  sue
attivita' illecite o criminose, con la  conseguenza  che,  invece  di
sostenerla come prescrive il 2° comma dell'art. 30 Cost., si  finisce
con l'aggravarne le condizioni, senza giovamento anzi  con  danno  di
tutti i suoi membri e con grave pregiudizio sociale; si aggiunga  che
il rapporto con la famiglia costituisce un essenziale  strumento  del
trattamento   penitenziario,    rieducativo,    risocializzativo    e
terapeutico degli  autori  di  reati,  che  assume  speciale  valenza
affettiva, esistenziale e riabilitativa nei  confronti  dei  soggetti
affetti da patologie psichiatriche. 
    6) Violazione dell'art. 32 della Costituzione: 
        la rimessione in liberta' o in liberta' vigilata, per effetto
della nuova normativa, di soggetti affetti da patologie psichiatriche
e bisognevoli di assistenza e cure, sebbene  in  condizioni  di  vita
individuale, familiare e sociale controindicate, se non  criminogene,
ed in assenza di un progetto  terapeutico  individuale,  espone  tali
soggetti al rischio di commettere non solo atti eterolesivi ma  anche
atti autolesivi, pregiudicando la loro salute ed il  loro  diritto  a
trattamenti terapeutici e socio-riabilitativi adeguati. 
    7) Violazione dell'art. 34 della Costituzione: 
        censurando a fini prognostici le condizioni di cui  al  n.  4
del 2° comma dell'art. 133 del codice penale, con la  conseguenza  di
dovere ignorare la frequenza scolastica (o la possibilita' di essa) -
che costituisce, come e' evidente,  una  fondamentale  condizione  di
vita individuale, familiare  e  sociale  -  la  normativa  scrutinata
rischia di ledere il diritto del soggetto all'istruzione  scolastica,
perdendo  di  vista  il  grande  valore  predittivo  dei   gradi   di
alfabetizzazione  e  di  scolarizzazione  quali  potenti  fattori  di
prevenzione criminale; si  aggiunga  che  la  scuola  costituisce  un
essenziale  strumento  del  trattamento  penitenziario,  rieducativo,
risocializzativo e terapeutico degli  autori  di  reati,  che  assume
speciale  valenza  pedagogica  e  riabilitativa  nei  confronti   dei
soggetti affetti da patologie psichiatriche. 
    8) Violazione dell'art. 77 della Costituzione: 
        nell'ambito dell'iter legislativo  della  conversione  di  un
decreto-legge che dispone la proroga del termine  di  chiusura  degli
O.P.G., non si  ravvisa  la  necessita'  e  l'urgenza  di  introdurre
modifiche strutturali di  istituti  secolari  come  la  pericolosita'
sociale, disciplinata dalle norme cardinali degli artt. 133 e 203 del
codice penale, indirettamente stravolte dall'intervento  riformatore,
o   come   il   sistema   del   doppio   binario,    che    prevedeva
l'indeterminatezza  della  durata  massima  di  tutte  le  misure  di
sicurezza - spezzando il nesso di "interrelazione  funzionale"  e  di
"sostanziale omogeneita'" tra decreto-legge e legge di conversione  -
modifiche  varate  nel  contesto   di   un   dibattito   parlamentare
contrassegnato dalla  fretta  connessa  all'esigenza  politica  della
conversione "blindata" del decreto-legge (cfr. i resoconti dei lavori
parlamentari e le perspicue osservazioni in  subiecta  materia  della
sentenza n. 22/2012 della Corte costituzionale). 
    9) Violazione dell'art. 117 della Costituzione: 
        la normativa scrutinata, violando l'art. 2 Cost.,  nei  sensi
di cui si e' sopra argomentato, viola, altresi',  l'art.  117  Cost.,
nella parte in cui impegna il Legislatore  al  rispetto  dei  vincoli
derivanti   dall'ordinamento    comunitario    e    dagli    obblighi
internazionali, ed in particolare viola l'art. 3 della  Dichiarazione
universale dei diritti umani e l'art. 5 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo che tutelano il diritto alla sicurezza, esponendo a
gravi rischi non solo la sicurezza dei cittadini italiani,  ma  anche
la  sicurezza  di   tutti   i   cittadini   che   dalle   Convenzioni
internazionali ricevono protezione  giuridica  e  che,  per  le  piu'
svariate  ragioni,  possono  trovarsi  sul  territorio  dello   Stato
italiano.