Ricorso  proposto  dalla  Regione  Veneto  (codice   fiscale   n.
80007580279,  Partita  I.V.A.  n.  02392630279),   in   persona   del
Presidente della Giunta Regionale dott.  Luca  Zaia  (codice  fiscale
ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della Giunta regionale n.
152 del 10 febbraio  2015  (all.  1),  rappresentato  e  difeso,  per
mandato  a  margine  del  presente  atto,  tanto  unitamente   quanto
disgiuntamente,   dagli   avv.ti   Ezio   Zanon    (codice    fiscale
ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (codice fiscale NTNLCU63E27D869I) del Foro di Milano e Luigi
Manzi  (codice  fiscale  MNZLGU34E15H501V)  del  Foro  di  Roma,  con
domicilio eletto presso  lo  studio  di  quest'ultimo  in  Roma,  via
Confalonieri, n. 5  (per  eventuali  comunicazioni:  fax  06/3211370,
posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org 
 
                               Contro 
 
    Il   Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,  n.  12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle  seguenti
disposizioni della  legge  n.  190  del  23  dicembre  2014  recante:
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)»,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014 - Suppl. Ordinario n. 99: 
    articolo 1, comma 359; 
    articolo 1, comma 398, lett. a) e b); 
    articolo 1, comma 398, lett. c), comma 414 e comma 556; 
    articolo 1, commi 431, 432, 433 e 434; 
    articolo 1, comma 609; 
    articolo 1, commi 611 e 612; 
    articolo 1, comma 629, lettera b), comma 632, comma 633; 
    Con istanza di sospensione dell'art. 1, commi 398, lett. a), b) e
c), 414 e 556, nonche' dell'art. 1 comma 629, lettera b), comma  632,
comma  633,  ai  sensi  dell'art.  35  della legge  n.  87/53,   come
sostituito dall'art. 9 della legge n. 131/2003, che tanto consente in
presenza  di  un  rischio  di  pregiudizio   grave   e   irreparabile
all'interesse pubblico o per i diritti dei cittadini. 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 1,  comma  359,  della
legge 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli art 3, 97,  117,
III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche'  del  principio
di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 1, comma 359, riduce di 8,9 milioni  di  euro  per  l'anno
2015 e di 10 milioni di euro a decorrere dal 2016 l'autorizzazione di
spesa di cui all'articolo 13, comma 12, della legge n. 67  del  1988,
finalizzata al finanziamento, per capitale e interessi, dei mutui che
sono autorizzati a contrarre le ferrovie in regime di  concessione  e
in gestione commissariale governativa (oggetto di delega,  in  quanto
servizi ferroviari di interesse regionale, alle Regioni,  per  quanto
concerne i compiti di programmazione e di  amministrazione,  in  base
all'art.8, comma 1, del decreto legislativo n. 422/1997). 
    In questi termini la disposizione riduce  il  contributo  statale
per gli ammortamenti dei mutui  per  investimenti  in  infrastrutture
ferroviarie,  risultando  applicabile  anche  a   investimenti   gia'
effettuati dalla Regione. 
    Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 3, della legge  22  dicembre
1986, n. 910, era stata  prevista  la  concessione  di  contributi  a
carico dello Stato in misura pari agli oneri per capitali e interessi
derivanti dall'ammortamento dei mutui garantiti dallo  Stato  che  le
ferrovie in  regime  di  concessione  ed  in  gestione  commissariale
governativa  potevano  contrarre  nel  limite   complessivo   di   L.
5.000.000.000.000 per la realizzazione  di  investimenti  ferroviari.
Con decreto del Ministero dei Trasporti e della Navigazione  n.  1334
del 9 luglio 1987 erano state fissate le modalita' per  l'attivazione
dei mutui in funzione di un piano di riparto preventivo relativo alle
entita' degli interventi previsti per le  varie  ferrovie.  Ai  sensi
dell'art. 1, comma 3 del decreto legge 4 ottobre 1996, n. 517 recante
«Interventi nel settore dei trasporti», convertito con  modificazioni
nella legge 4 dicembre  1996,  n.  611,  al  fine  di  consentire  il
completamento dei programmi di potenziamento ed ammodernamento  delle
ferrovie in concessione ed in gestione commissariale  governativa  di
cui al predetto articolo 2, comma 3, della predetta legge n. 910  del
1986, era stata autorizzata l'accensione di ulteriori mutui. Ai sensi
degli articoli 8 e 15 del decreto legislativo n. 422/1997  era  stata
quindi prevista la facolta' di stipulare accordi di programma tra  le
Regioni ed i Ministeri  competenti  per  la  delega  di  funzioni  in
materia di servizi ferroviari di  interesse  locale.  In  particolare
l'art. 15, comma 2-ter del  decreto  legislativo  n.  422/1997  aveva
disposto che le risorse necessarie all'attuazione  degli  accordi  di
programma  erano  state  depositate   presso   conti   di   tesoreria
infruttiferi  intestati  al  Ministero  delle  Infrastrutture  e  dei
Trasporti  con  vincolo  di  destinazione  alla  Regione.  Ai   sensi
dell'articolo 54 della legge 23 dicembre 1999,  n.  488  erano  stati
autorizzati ulteriori limiti di impegno  per  la  prosecuzione  degli
interventi  previsti  dalla  legge  4  dicembre  1996,  n.  611.  Con
deliberazioni della Giunta regionale 22 novembre 2002, n. 3334  e  13
dicembre 2002, n. 3613 era stato approvato lo schema  di  Accordo  di
Programma Stato - Regione Veneto per disciplinare realizzazione degli
interventi  di  ammodernamento  e  di   potenziamento   della   linea
ferroviaria Adria-Mestre. Tale Accordo di Programma ex  art.  15  del
decreto legislativo n. 422/1997 e' stato poi sottoscritto in data  17
dicembre 2002 tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e
la Regione del Veneto. Il valore complessivo degli interventi inclusi
nel richiamato Accordo di Programma e' ammontato ad €  49.162.101,68,
da quanto risulta dall'ultima  rimodulazione  apportata  al  relativo
piano con decreto del Ministro delle Infrastrutture e  dei  Trasporti
del  6  ottobre  2005,  n.  4090.  Per  finanziare  una  parte  degli
investimenti la regione Veneto e'  ricorsa  al  mercato  finanziario,
contraendo in data 24  dicembre  2003  tre  contratti  di  mutuo  per
l'ammontare complessivo  di  €  34.033.213,30,  con  atti  ai  rogiti
dell'Ufficiale Rogante della Regione Veneto Giunta Regionale Rep.  n.
5504, Rep. n. 5503 e  Rep.  n.  5502  (registrati  a  Venezia  il  30
dicembre 2003, rispettivamente ai  numeri  4236,  4238  e  4237  Atti
Pubblici) a fronte dei seguenti tre limiti di impegno pluriennali. 
    Piu' precisamente: 
    il contratto rep. n. 5504 e' stato sottoscritto per l'importo  di
€  11.343.190,09  a  fronte  del  primo   limite   d'impegno   di   €
1.285.276,54; 
    il contratto rep. n. 5503 e' stato sottoscritto per l'importo  di
€  14.529.952,71  a  fronte  del  secondo  limite  di  impegno  di  €
1.224.002,85; 
        il contratto rep. n. 5502 e' stato sottoscritto per l'importo
di €  8.160.070,50  a  fronte  del  terzo  limite  di  impegno  di  €
687.404,13. 
    Sulla scorta del finanziamento ottenuto, in data 8 aprile 2004 la
Regione  del  Veneto  ha  potuto   sottoscrivere   con   la   Sistemi
Territoriali  S.p.a.,  soggetto  gestore  della  linea  Adria-Mestre,
nonche' attuatore degli interventi, giusta D.G.R. n. 899 del 6 aprile
2004, una convenzione per disciplinare le modalita' di  realizzazione
degli interventi previsti  dal  citato  Accordo  di  Programma.  Tale
convenzione e' stata successivamente modificata ed integrata con atti
del 16 novembre 2004 del 13 luglio 2005 e del 17 novembre  2009.  Gli
interventi  programmati  sono  stati  completamente  realizzati   dal
soggetto  attuatore  e  rimangono  a  carico  della  regione  Veneto.
Attualmente sono ancora in essere i contratti di mutui rep.  n.  5503
del 24 dicembre 2003 e rep.  5502  del  24  dicembre  2003,  entrambi
scadenti il 31 dicembre  2016,  per  i  quali  devono  essere  ancora
corrisposte le annualita' 2015 e 2016. 
    La riduzione dell'autorizzazione di spesa  operata  dall'art.  1,
comma 359, incide quindi retroattivamente  su  impegni  gia'  assunti
dalla regione Veneto e determina una irragionevole alterazione  della
programmazione gia' compiuta dalla Regione. Rende in tal modo carenti
di provvista  le  obbligazioni  da  questa  assunte  e,  violando  il
legittimo  affidamento,  incide  sull'equilibrio  finanziario   della
Regione, senza peraltro che sia stata prevista alcuna  partecipazione
della Conferenza  Stato-Regioni,  con  lesione,  anche  sotto  questo
particolare profilo, del principio di leale collaborazione. 
    E' utile ricordare che questa ecc.ma Corte nella sentenza n.  326
del 2010, nel tutelare i principi di  certezza  delle  entrate  e  di
affidamento delle Regioni ha dichiarato  la  parziale  illegittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 187, della legge 23 dicembre  2009,
n. 191  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato. Legge finanziaria  2010)  perche'  la  norma
«palesa  una  irragionevolezza  che  si  riverbera  sulla   autonomia
finanziaria delle  Regioni  e  degli  enti  locali  come  ridisegnata
dall'art. 119 Cost. ... lasciando privo di copertura  finanziaria  e,
comunque, di una regolamentazione sia pure transitoria, un settore di
rilievo, qual e' quello degli  investimenti  strutturali  a  medio  e
lungo  termine  effettuati  mediante   la   stipulazione   di   mutui
originariamente "garantiti" dal finanziamento statale». 
    Non rileva, invece, nel caso in esame, quanto precisato da questa
ecc.ma Corte nella sentenza n. 207 del 2011 dal momento che in quella
situazione «oggetto dell'intervento sono (erano) risorse del bilancio
dello Stato non ancora impegnate», motivo per cui «non e' sostenibile
che esse abbiano  dato  vita  a  rapporti  gia'  consolidati,  mentre
proprio la mancanza di concreti  atti  di  impegno,  in  presenza  di
risorse assegnate ma non utilizzate in un arco di tempo circoscritto,
non breve, giustifica che l'intervento sia stato  effettuato  proprio
su quelle risorse». 
    Anzi, al contrario, dato che nel caso di specie si tratta proprio
di  somme  gia'  impegnate  e  programmate   dalla   Regione,   anche
quest'ultima pronuncia conferma la violazione, da parte  dell'art.  1
comma 359 qui impugnato, degli art. 3 e 97 per lesione del  principio
di affidamento della Regione e del principio di proporzionalita', con
una lesione che ridonda sulle competenze  regionali,  peraltro  anche
direttamente violate, di cui agli artt. 117, III e IV comma, 118,  in
tema di servizi ferroviari di interesse  regionale  e  dell'art.  119
Cost in relazione all'autonomia finanziaria, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art.120 Cost. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 398, lett. a)
e b) della legge 23  dicembre  2014,  n.  190  per  violazione  degli
articoli 3,117, II, III e IV comma, 118 e 119 Cost. e  del  principio
di leale collaborazione di cui all'art.120 Cost. 
    L'art. 1, comma 398, lettere a) e  b)  della  legge  23  dicembre
2014, n. 190, ha disposto la modifica  dell'art.  46,  comma  6,  del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che stabilisce le modalita'  e  il
periodo di riferimento della riduzione della spesa per beni e servizi
delle  Regioni  disposta  dall'art.  8,   comma   4,   dello   stesso
decreto-legge n. 66/2014. 
    In particolare la lettera a), oltre a  espungere  il  riferimento
alle Regioni speciali e alla Province autonome di Trento  e  Bolzano,
modifica in questi termini  l'art.46,  comma  6,  del  decreto  legge
66/2014: 
        "la parola: «2017» e' sostituita dalla seguente:  «2018»;  le
parole: «tenendo anche conto del  rispetto  dei  tempi  di  pagamento
stabiliti dalla direttiva  2011/7/UE,  nonche'  dell'incidenza  degli
acquisti centralizzati,» sono soppresse". 
    Con la lettera b) si dispone che, in merito allo stesso  comma  6
dell'art. 46 del decreto legge 66/2014: 
        "al secondo periodo, la parola: «eventualmente» e' soppressa"
rendendo quindi certo che, a seguito della distribuzione statale  del
taglio, sono rideterminati i livelli di finanziamento regionali e  le
modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. 
    In questi termini,  quindi,  oltre  al  contributo  alla  finanza
pubblica pari a 500 milioni di euro per l'anno  2014,  viene  imposto
alle Regioni a statuto ordinario un contributo, a valere sulla  spesa
per beni e servizi, di 750 milioni di euro per  ciascuno  degli  anni
dal 2015 al 2018. 
    In sintesi: l'art. 1, comma 398, lettera a), allunga quindi di un
anno, estendo anche al 2018,  il  periodo  originariamente  stabilito
dalle disposizioni dell'articolo 46 del decreto legge n. 66 del  2014
per il taglio alla spesa per beni e servizi previsto dall'art.  8  di
quest'ultimo decreto  legge;  la  lett.  b)  dispone  la  conseguente
rideterminazione del finanziamento  degli  ambiti  individuati  e  le
modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. 
    Le violazioni costituzionali sono evidenti sotto diversi profili. 
        i) Va in  primo  luogo  precisato  che  tale  inserimento  di
un'annualita' aggiuntiva  e'  disposto  all'interno  di  un  contesto
normativo gia' caratterizzato dall'evidente lesione del principio  di
leale collaborazione. 
    L'articolo 42, comma 1, del decreto legge n. 133/2014, convertito
con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, aveva infatti
anticipato in modo del tutto arbitrario  e  irragionevole  (e  questa
Regione ha provveduto a impugnare tale disposizione  con  la  DGR  n.
2470 del 23 dicembre 2014), senza peraltro che esistesse alcun  reale
presupposto di necessita' e urgenza, dal 31 ottobre al  31  settembre
2014, il termine originariamente previsto dall'art. 46, comma 6,  del
decreto legge n. 66 del 2014, per l'intesa sul riparto dei  tagli  in
Conferenza  Stato-Regioni.  Tale  disposizione,  quindi,  entrata  in
vigore il 13 settembre 2014, ha improvvisamente anticipato di un mese
-  rendendola  quindi  abnormemente  breve:  17   giorni   e   quindi
impossibile concretamente da rispettare - la scadenza originariamente
prevista per una delicatissima  e  rilevante  intesa.  Questa  doveva
evitare, attraverso l'autocoordinamento regionale, l'applicazione del
criterio di riparto di riduzione della spesa pubblica  stabilito  dal
comma 6 dell'art.46 del decreto legge  66/2014,  che  individua  come
criteri  il  Pil  e   la   popolazione   residente,   particolarmente
penalizzanti per la regione Veneto. 
    Ma non solo. 
    L'originaria previsione del comma  6  dell'art.  46  del  decreto
legge 66/2014 (peraltro anch'essa gia' impugnata  da  questa  Regione
deducendo molteplici violazioni costituzionali con la DGR n. 1322 del
28 luglio 2014) e' diventata ora il contenitore di una nuova  manovra
(realizzata includendo  un'altra  annualita'  di  taglio  al  periodo
originariamente previsto), rispetto  alla  quale  e'  pero'  preclusa
completamente  la  possibilita'  dell'intesa,  perche'   il   termine
previsto dal comma 6 dell'art. 46 (peraltro  appunto  arbitrariamente
anticipato) e' appunto da tempo decorso (31 settembre 2014). 
    In altre parole, l'intervento legislativo qui impugnato inserisce
nuove misure di taglio in un  testo  normativo  che  reca  ancora  la
previsione di un'intesa,  i  termini  per  la  cui  conclusione  sono
tuttavia da tempo spirati: in  questo  modo  il  legislatore  usa  il
riferimento all'intesa (ormai impossibile) per  imporre  nuovi  tagli
solo prima facie oggetto di leale cooperazione. 
    Risulta quindi violato, sotto questo  profilo,  il  principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
        ii) Il secondo aspetto che deve essere considerato e' poi  il
carattere elusivo  dell'intervento  rispetto  ai  principi  enucleati
dalla  giurisprudenza  di  questa  ecc.ma  Corte  in  relazione  alla
funzione di coordinamento della finanza pubblica. 
    Infatti, nella sentenza n.  193  del  2012  (e  nella  successiva
sentenza n. 79 del  2014)  e'  affermata  con  cristallina  chiarezza
l'incostituzionalita', per violazione  dell'articolo  119  Cost.,  di
«misure restrittive  in  riferimento  alle  Regioni  ordinarie,  alle
Province  ed  ai  Comuni  senza  indicare  un   termine   finale   di
operativita' delle misure stesse», in quanto possono essere  ritenute
principi fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme  che
"si  limitino  a  porre  obiettivi  di  riequilibrio  della   finanza
pubblica,  intesi  nel   senso   di   un   transitorio   contenimento
complessivo, anche se  non  generale,  della  spesa  corrente  e  non
prevedano  in  modo  esaustivo   strumenti   o   modalita'   per   il
perseguimento dei suddetti  obiettivi  (sentenza  n.  148  del  2012;
conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del  2010)».
La sentenza aveva quindi fissato in un triennio il  limite  temporale
massimo delle manovre di contenimento della spesa pubblica  a  carico
delle Regioni. Ora e' evidente  che  risulta  del  tutto  elusiva  di
questa giurisprudenza la tecnica  normativa  di  fissare  un  termine
triennale ai tagli (1) , ma poi estenderlo - peraltro, come detto,  a
intesa «chiusa»: si rimanda al riguardo a quanto argomentato sub a) -
con successivi interventi normativi, ad  annualita'  ulteriori:  tale
tecnica, infatti, rende tamquan non esset quel limite  temporale  che
costituisce   la   condizione    di    legittimita'    costituzionale
dell'intervento statale di coordinamento della finanza pubblica. 
    Il carattere potenzialmente permanente del taglio (e in ogni caso
l'arbitraria  estensione  di  un'annualita')  che  deriva   da   tale
disposizione risulta quindi violare sia la previsione dell'art.  117,
III comma, sul coordinamento della  finanza  pubblica,  sia  menomare
l'autonomia  di  spesa  della  Regione   violando   l'art.119   della
Costituzione. 
        iii) Il terzo aspetto che deve essere considerato e'  poi  il
carattere  meramente  lineare  del  taglio,  imposto,   come   detto,
aggiungendo un'ulteriore annualita' a quanto originariamente previsto
dagli artt. 8 e 46 del decreto legge n. 66 del 2014. 
    Come gia' questa difesa ha evidenziato nell'impugnativa  relativa
al decreto legge n. 66  del  2014,  nessuna  distinzione  qualitativa
viene, infatti, effettuata in merito all'obbligo di contenimento,  in
ogni settore, della spesa pubblica regionale per acquisti di  beni  e
servizi. Questa viene, infatti, incisa da una  misura  dal  carattere
assolutamente generico, idoneo a ricomprendere non solo la cosiddetta
«spesa cattiva» (quella spesa cioe'  la  cui  riduzione,  nell'ambito
delle manovre e' senz'altro opportuna), ma anche la cosiddetta «spesa
buona»; ad esempio, la misura  di  contenimento  ricomprende  sia  la
spesa corrente che quella in conto capitale (che dal 2010 al 2013  in
Italia, per l'effetto di manovre di taglio lineare analoghe a  quella
in oggetto, si e' ridotta di circa 20 miliardi (allegato n. 2) ,  che
erano gestiti, per oltre il 70% a livello sub statale: si' tratta  di
un dato sintomatico, che evidenzia il perverso effetto prodotto dalle
manovre che hanno scacciato la «spesa buona» e  sono  risultate  poco
efficaci sulla «spesa cattiva»). 
    Inoltre, il taglio che viene realizzato e' potenzialmente  idoneo
a interferire in ambiti inerenti  a  fondamentali  diritti  civili  e
soprattutto sociali (date le competenze, ad  esempio  in  materia  di
assistenza sociale, costituzionalmente assegnate alle Regioni),  dove
lo Stato dovrebbe, invece, esplicare la propria fondamentale funzione
di coordinamento attraverso la determinazione dei livelli  essenziali
delle prestazioni, proprio al fine di evitare la messa a  repentaglio
quel livello di erogazione dei servizi che deve essere  uniformemente
garantito su tutto il territorio nazionale. 
    Sulla necessita' che il coordinamento della finanza  pubblica  si
strutturi attraverso la predeterminazione normativa  da  parte  dello
Stato dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i  diritti
civili  e  sociali  codesta  ecc.ma  Corte  e'  peraltro  piu'  volte
intervenuta, gia' dalla sentenza n. 320 del 2004 e fino alla  recente
sentenza n.  273  del  2013  dove  si  evidenzia  la  gravita'  della
inattuazione, da parte dello Stato, della individuazione dei  livelli
essenziali delle prestazioni relative all'assistenza,  all'istruzione
e al trasporto pubblico locale che «costituiscono pertanto condizione
necessaria  ai  fini  della  compiuta  attuazione  del   sistema   di
finanziamento  delle  funzioni  degli  enti   territoriali   previsto
dall'art. 119 Cost.». 
    Mancando la determinazione dei livelli essenziali  nelle  materie
(come appunto l'assistenza sociale)  interessate  dal  nuovo  taglio,
risulta quindi  evidente  che  lo  Stato  non  ha  effettuato  alcuna
verifica  sulla  sostenibilita'  del  taglio  stesso  rispetto   alla
erogazione dei servizi, anche  se  connessi  a  fondamentali  diritti
civili e sociali. Ne deriva quindi  che  la  misura  di  contenimento
viene scaricata sulle Regioni senza l'esercizio di  alcuna  reale  ed
effettiva funzione di coordinamento della finanza pubblica  da  parte
dello Stato. 
    Inoltre,  da  un  altro  punto  di  vista,  il  mancato  corretto
esercizio della funzione statale di coordinamento e' confermato dalla
circostanza che la previsione di ulteriore contenimento  della  spesa
regionale non contiene alcun riferimento a livelli standard di  spesa
efficiente, applicandosi invece in modo  generalizzato  senza  alcuna
considerazione dei livelli di spesa storica sostenuti  dalle  singole
Regioni e senza  alcuna  valutazione  sulla  relativa  appropriatezza
(eppure i bilanci delle Regioni riclassificati  in  modo  omogeneo  -
permettendo quindi l'analisi delle singole voci di spesa - sono ormai
disponibili  (2) dal 2009 in base alla  previsione  di  cui  all'art.
19-bis del decreto legge n. 135 del 2009). 
    In questo modo il nuovo taglio lineare e' potenzialmente  idoneo,
dal  momento  che  nessuna  verifica  di  sostenibilita'   e'   stata
effettuata a  livello  centrale,  a  compromettere  l'erogazione  dei
servizi, soprattutto in quelle realta' regionali che  hanno  adottato
da tempo misure di contenimento della  spesa  riducendola  a  livelli
difficilmente ulteriormente comprimibili senza un vulnus  al  sistema
dei servizi sociali. 
    In  questi  termini  le  disposizioni  impugnate  travalicano  la
funzione  del   «coordinamento»   della   finanza   pubblica   e   si
concretizzano  in  misure  di  indiscriminato  «contenimento»,  cosi'
risultando pero' prive degli indispensabili elementi di razionalita',
di efficacia e di sostenibilita' che dovrebbero quantomeno  informare
la funzione  di  coordinamento  della  finanza  pubblica.  E'  quindi
singolare dover constatare che la mancata individuazione dei  livelli
essenziali  delle  prestazioni  (la  cui  determinazione  era   stata
prevista  in  Costituzione  per  garantirne  una  tutela  a   livello
centrale),  e'  quindi  paradossalmente  divenuta  un'occasione   per
introdurre  misure  di   contenimento   finanziario   in   grado   di
compromettere quegli stessi livelli. 
    Da questo punto di  vista  risultano  violati:  il  principio  di
ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.  con  una  diretta  ricaduta
sull'autonomia regionale che risulta limitata nella propria capacita'
organizzativa e finanziaria; l'art. 117, II e  III  comma,  Cost.  in
quanto sono indebitamente travalicate la  funzione  di  coordinamento
della finanza pubblica e le regole che presiedono alla  garanzia  dei
livelli essenziali; gli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost.
in quanto e' indebitamente incisa l'autonomia di spesa della  Regione
e conseguentemente anche la funzione legislativa della stessa che  si
deve svolgere nel rispetto degli equilibri di un  quadro  finanziario
che viene illegittimamente alterato. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  398,  lett.  c),
comma 414 e comma 556 della legge  23  dicembre  2014,  n.  190,  per
violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II, III e IV comma,  118  e
119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui
all'art.120 Cost. 
    La lettera c) dello stesso comma 398 dell'art. 1 della  legge  23
dicembre 2014, n. 190, ha poi ulteriormente  modificato  il  comma  6
dell'art.46 del decreto legge 66/2014, aggiungendo in fine i seguenti
periodi: 
        «Per gli anni 2015-2018 il contributo delle regioni a statuto
ordinario, di cui al primo periodo, e' incrementato di 3.452  milioni
di euro annui in ambiti  di  spesa  e  per  importi  complessivamente
proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in  sede
di autocoordinamento dalle regioni da  recepire  con  intesa  sancita
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di  Bolzano,  entro  il  31  gennaio
2015. A seguito della predetta intesa sono rideterminati i livelli di
finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione
delle risorse da parte dello Stato. In assenza di tale  intesa  entro
il predetto termine del 31 gennaio 2015, si applica  quanto  previsto
al secondo  periodo,  considerando  anche  le  risorse  destinate  al
finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale». 
    In questi termini, per ciascuno degli anni dal 2015  al  2018  e'
incrementato, a carico delle Regioni a statuto  ordinario,  di  3.452
milioni di euro annui il taglio, sulla spesa per beni e  servizi,  di
750 milioni di euro gia'  stabilito  dalle  precedenti  disposizioni,
disponendo che il relativo riparto tra le Regioni avvenga per importi
complessivamente proposti, nel rispetto pero' dei livelli  essenziali
di assistenza, da una intesa da raggiungere entro il 31 gennaio  2015
in sede di Conferenza Stato Regioni. 
    Qualora invece tale intesa non venga raggiunta - e al momento non
e' stata raggiunta - la norma dispone che tale  ulteriore  contributo
e' ripartito dallo Stato  tra  le  Regioni  (e'  tale  l'effetto  del
rimando,  operato  dalla  norma,  al  secondo  periodo  del  comma  6
dell'art. 46 del decreto legge n. 66/2014), tenendo anche  conto  del
Pil e della popolazione residente. In questo  caso,  la  disposizione
prevede, da un lato, che siano considerate anche le risorse destinate
al  finanziamento  corrente  del  Servizio  sanitario  nazionale   e,
dall'altro, che rimanga pero' in ogni caso fermo il vincolo, a carico
delle Regioni, del rispetto dei Lea, dal momento che la  disposizione
non  ne  prevede  alcuna  rideterminazione.  Il  comma  414  prevede,
infatti, che comunque le  Regioni  assicurino  il  finanziamento  dei
livelli essenziali di assistenza, sebbene eventualmente rideterminato
ai  sensi  del  comma  398,  e  il  comma  556  prevede   l'eventuale
rimodulazione del livello del finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale a cui concorre lo Stato. 
    Tali disposizioni realizzano anch'esse un  sistema  di  ulteriori
tagli sulla spesa per acquisti di beni e servizi  della  Regione  che
risulta  costituzionalmente  illegittimo   sotto   diversi   profili,
analiticamente esposti qui di seguito. 
    Quanto al primo periodo  della  lettera  c)  del  comma  398,  e'
preliminare ribadire  il  carattere  meramente  lineare  del  taglio,
rispetto   al   quale   viene   meno   il   criterio,   per   effetto
dell'abrogazione  disposta  dalla  lett.  a)  dello   stesso   comma,
originariamente previsto nel comma 6 dell'art.46 del decreto legge n.
66/2014 che  comportava,  in  sede  di  intesa  con  le  Regioni,  la
considerazione «del rispetto dei tempi di pagamento  stabiliti  dalla
direttiva   2011/7/UE,   nonche'   dell'incidenza   degli    acquisti
centralizzati». Valgono quindi pienamente anche in relazione a questa
disposizione le argomentazioni esposte,  in  relazione  al  carattere
meramente lineare del taglio, al punto precedente (sub 1 c). 
    Ma vi e' di piu'. 
    La disposizione impugnata  prevede,  infatti,  che  solo  qualora
venga raggiunta l'intesa, il taglio non  riguardi  anche  le  risorse
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale.
Tuttavia, riguardo a questa ipotesi (esclusione  quindi  della  spesa
sanitaria), occorre considerare che la spesa  extra  sanitaria  delle
Regioni e' quella che ha maggiormente subito l'impatto delle  manovre
di finanza pubblica. Come risulta, infatti, dal Primo rapporto Copaff
(Commissione  tecnica  per  l'attuazione  del  federalismo  fiscale),
Condivisione tra i livelli di governo  dei  dati  sull'entita'  e  la
ripartizione delle misure di consolidamento della  finanza  pubblica,
del 16 gennaio 2014,  approvato  (allegato  n.  3)  dalla  Conferenza
permanente per il coordinamento  della  finanza  pubblica  (istituita
dall'art. 5 della legge n. 42 del 2009) in data 14 febbraio 2014,  il
comparto della spesa extra sanitaria delle  Regioni  ha  subito,  per
effetto cumulato delle manovre di finanza pubblica dal 2008 al  2013,
una riduzione pari al 38,7% (contro il 13,4 dello Stato, il 14,3  dei
Comuni, il 27,8 delle Province). 
    La situazione e' tale che al momento  l'importo  stabilito  della
lettera  c)  del   comma   398   non   trova   capienza   all'interno
dell'ammontare della spesa primaria  (extra  sanitaria)  per  beni  e
servizi delle Regioni. 
    Come si evince dalla tabella (allegato n. 4: elaborazione Cinsedo
su dati Copaff 2013) la spesa complessiva per beni  e  servizi  delle
Regioni nel 2013 ammonta a € 5.323.938.776,02. Dal momento  che  tale
aggregato di spesa comprende, per un importo pari a 1.529 milioni  di
Euro, i corrispettivi riconosciuti dalle  Regioni  per  garantire  il
contratto di servizio stipulato con  Trenitalia,  al  netto  di  tale
importo, pertanto, l'ammontare di spesa per beni e servizi  sostenuta
nel 2013 dalle RSO risulta pari a 3.795 milioni di Euro,  da  cui  si
devono detrarre gli ulteriori tagli strutturali 2014 e 2015 (art.  16
del decreto  legge  n.  95/2012  e  dell'art.  8  del  decreto  legge
66/2014). Per assolvere al maggiore contributo  richiesto  dal  comma
398 (maggiori tagli per 3.452 milioni di euro), le Regioni dovrebbero
pertanto ridurre, considerando il dato al 2013 (esposto nell'allegato
4), del 91% la spesa sostenuta per  l'acquisto  di  beni  e  servizi;
mentre si supera nettamente la capienza stessa della spesa per beni e
servizi se si considera anche il  dato  comprensivo  dei  tagli  gia'
disposti, sulla spesa per beni e servizi, per il 2014 e il 2015. 
    Da cio' discende la palese  irragionevolezza  della  disposizione
impugnata, la cui attuazione comporterebbe di fatto la compromissione
della stessa potesta' legislativa e  amministrativa  regionale  nelle
materie, extra sanita', di propria  competenza,  ridondando  pertanto
sull'autonomia regionale. Peraltro, qualora, invece, si intendesse  -
ma il testo della disposizione non legittima tale  interpretazione  -
il taglio previsto dal suddetto primo  periodo  della  lett.  c)  del
comma 398, come inerente anche  alla  spesa  relativa  alla  sanita',
valgono in questo caso le argomentazioni  esposte,  in  relazione  ai
profili di incostituzionalita' per irragionevolezza,  violazione  dei
criteri di determinazione e finanziamento dei  livelli  essenziali  e
per la mancata considerazione dei costi standard, qui di  seguito  al
successivo punto del ricorso  in  relazione  a  quanto  disposto  dal
secondo periodo della lettera c) del comma 398. 
    Ne deriva quindi la violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II,
III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Quanto al secondo periodo della  lettera  c)  del  comma  398,  i
profili di incostituzionalita' si evidenziano su diversi versanti. 
        i) In primo  luogo  in  questo  caso  (assenza  di  intesa  e
inclusione della spesa sanitaria) il criterio di riparto  del  taglio
viene commisurato tenendo anche  conto  del  Pil  regionale  e  della
popolazione residente (come detto  e'  tale  l'effetto  del  rimando,
operato dalla norma, al secondo periodo del comma 6 dell'art. 46  del
decreto legge n. 66/2014). E' di tutta evidenza non  solo  come  tali
criteri non abbiano una attinenza costituzionalmente corretta con  lo
scopo  della  norma  che  e'  quello  del   coordinamento   (rectius:
contenimento) della spesa regionale, ma soprattutto che addossare, in
questi termini, un maggiore  onere  alle  Regioni  con  un  Pil  piu'
elevato travalica l'ambito dell'art. 119 della Costituzione. 
    Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo  di  precisare  con  chiarezza
nella sentenza n. 79 del 2014, in relazione all'art. 16 del  d.l.  n.
95 del 2012, che un taglio alle risorse regionali applicato in misura
proporzionale anche alle spese sostenute per i consumi intermedi, nel
senso di imporre maggiori riduzioni  a  quelle  Regioni  che  abbiano
effettuato maggiori spese per i suddetti consumi intermedi,  realizza
«un effetto perequativo implicito,  ma  evidente,  che  discende  dal
collegare la riduzione dei trasferimenti statali all'ammontare  delle
spese per i  consumi  intermedi,  intese  quali  manifestazioni,  pur
indirette, di ricchezza delle Regioni». In questi termini la sentenza
n. 79 del 2014  ha  ritenuto  che  «una  simile  misura  perequativa,
tuttavia, contrasta con l'art. 119 Cost. in  quanto  non  soddisfa  i
requisiti ivi prescritti,  in  particolare  al  terzo  ed  al  quinto
comma». 
    Nel richiamare la propria consolidata giurisprudenza, la suddetta
sentenza ha precisato, infatti, che «gli interventi  statali  fondati
sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere  gli  squilibri
economici e sociali, devono seguire le  modalita'  fissate  dall'art.
119, quinto comma,  Cost.,  senza  alterare  i  vincoli  generali  di
contenimento  della  spesa  pubblica,  che  non  possono  che  essere
uniformi (sentenze n. 46 del 2013 e n.  284  del  2009)».  Ha  quindi
ribadito "che,  ove  le  risorse  acquisite  siano  destinate  ad  un
apposito fondo perequativo, esse devono essere  indirizzate  ai  soli
«territori con minore capacita'  fiscale  per  abitante»  (art.  119,
terzo comma, Cost.)". 
    Nella previsione del secondo periodo della lett. c) del comma 398
qui impugnata, il legislatore statale ha sostituito il riferimento ai
consumi intermedi con quello al Pil regionale (e  alla  popolazione).
Tale riferimento, tuttavia, non vale in  alcun  modo  a  superare  la
sostanza della censura che era contenuta nella  sentenza  n.  79  del
2014,  ma  ricade  anzi  pienamente  nella  stessa  medesima   logica
censurata. 
    Nella  sentenza  n.  79  del  2014,  infatti,  codesta  Corte  ha
precisato che «mentre il concorso agli obiettivi di finanza  pubblica
e' un obbligo indefettibile di tutti gli enti  del  settore  pubblico
allargato di cui anche le Regioni devono farsi carico  attraverso  un
accollo  proporzionato  degli  oneri  complessivi  conseguenti   alle
manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52  del  2010),
la perequazione degli squilibri economici in  ambito  regionale  deve
rispettare le modalita' previste dalla Costituzione, di modo  che  il
loro impatto sui conti consolidati  delle  amministrazioni  pubbliche
possa essere fronteggiato ed eventualmente  redistribuito  attraverso
la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti  dal  vigente
ordinamento finanziario e contabile (sentenza n. 176 del 2012)». 
    La previsione del secondo periodo del comma  398,  addossando  un
maggiore onere a  carico  delle  Regioni  che  abbiano  un  Pil  piu'
elevato, determina pertanto,  dal  punto  di  vista  sostanziale,  la
stessa  alterazione  dei  corretti   criteri   costituzionali   della
perequazione che codesta ecc.ma Corte ha censurato nella sentenza  n.
79 del 2014 (e' di tutta evidenza, ad esempio, che il  dato  del  Pil
sia, in ogni caso, cosa diversa dalla  capacita'  fiscale  -  cui  fa
riferimento l'art.119 Cost - che implica  invece  il  riferimento  ai
dati standardizzati  di  gettito  delle  imposte  e  che  quindi  non
sussiste una correlazione necessaria tra  Pil  e  capacita'  fiscale,
esistendo elementi che  concorrono  a  determinare  il  Pil  che  non
rientrano  necessariamente,  o  nello  stesso  modo,  nella  dinamica
impositiva). 
    Anche in relazione alla disposizione del comma 398 qui  impugnata
non risultano quindi in alcun modo rispettate le condizioni richieste
della sentenza n. 79 del 2014, le cui conclusioni ben possono  essere
specularmente riportate in relazione al caso di specie, posto che  le
disposizioni qui censurate, anch'esse "non contengono alcun indice da
cui possa trarsi la conclusione che le risorse in tal modo  acquisite
siano  destinate  ad  un  fondo  perequativo  indirizzato   ai   soli
«territori con minore capacita'  fiscale  per  abitante»  (art.  119,
terzo comma, Cost),  ne'  che  esse  siano  volte  a  fornire  quelle
«risorse aggiuntive», che lo Stato - dal quale, peraltro,  dovrebbero
provenire - destina esclusivamente a «determinate» Regioni per «scopi
diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119,  quinto
comma, Cost.: ex plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006;
n. 107 del 2005; n. 423, n. 320,  n.  49  e  n.  16  del  2004),  con
riferimento  a  specifici  ambiti  territoriali  e/o  a   particolari
categorie svantaggiate". 
    La suddetta disposizione del comma 398  risulta  quindi  violare,
sotto questo  profilo,  l'art.117,  III  comma  e  l'art.  119  e  in
particolare i commi III e V. 
        ii) Ma non solo. Come detto in  caso  di  mancata  intesa  la
disposizione  del  comma  398  qui  impugnata   prevede   che   siano
considerate anche le risorse destinate al finanziamento corrente  del
Servizio sanitario nazionale. Tuttavia essa profila anche  in  questo
caso un carattere meramente lineare del taglio, che assume in  questa
fattispecie un carattere tanto piu' grave quanto si consideri che per
il riparto del fondo sanitario nazionale, il decreto  legislativo  n.
68 del 2011, articoli da 25 a 32, prevede il riferimento ai costi e i
fabbisogni standard regionali. Tale criterio, nonostante le richieste
avanzate dalle regioni nel corso dei lavori parlamentari sulle  legge
di stabilita', e' stato completamente trascurato. 
    E' opportuno precisare, al  riguardo,  che  tra  gli  emendamenti
trasmessi al Parlamento con nota del  6  novembre  2014,  le  Regioni
avevano chiesto  di  sostituire  la  disposizione  impugnata  con  la
seguente: «In assenza di tale Intesa entro il predetto termine del 31
gennaio 2015, con decreto del Presidente del Consiglio dei  Ministri,
da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,  entro
20 giorni dalla scadenza dei predetti termini, i  richiamati  importi
sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole  Regioni
e Province autonome di Trento e  Bolzano,  tenendo  conto  dei  costi
standard:» (allegato n. 5 Nota Cinsedo 6 novembre 2014). 
    Nessun adeguato criterio di razionalizzazione della distribuzione
del taglio viene invece previsto dalla  disposizione  impugnata,  che
quindi si presta  a  incidere  in  modo  indiscriminato  tanto  sulle
realta' efficienti, dove minimo e' il livello di spreco e  quindi  la
possibilita'  di  razionalizzazione  della  spesa,  tanto  su  quelle
inefficienti, dove invece elevato e' il livello di spreco e  alta  la
possibilita' di razionalizzazione. 
    Questo prevede la disposizione  impugnata,  nonostante  la  forte
disomogeneita' che caratterizza, sotto  questo  profilo,  il  sistema
della sanita' regionale  italiana  sia  stata  piu'  volte  messa  in
evidenza dai numerosi interventi della  Corte  dei  Conti,  dai  piu'
autorevoli studi  (3)  e  da,  anche  recenti,  indagini  conoscitive
concluse dal Parlamento  (4) 
    Ma vi e' di piu'. 
    Il comma 414  prevede  che  comunque  le  Regioni  assicurino  il
finanziamento dei livelli essenziali di assistenza  e  il  comma  556
prevede la rideterminazione, in conseguenza del taglio,  del  livello
del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre  lo
Stato. 
    Nel loro complesso, quindi, tali disposizioni mantengono a carico
delle Regioni l'obbligo di garantire il finanziamento dei Lea, la cui
determinazione risale pero' al lontano 2001 - DPCM 29 novembre  2001,
poi modificato dal DPCM 5 marzo 2007 - senza che, ad oggi,  l'art.  5
del decreto legge n. 158 del 2012 che ne aveva prevista la  revisione
entro il 31 dicembre 2012 sia stato ancora attuato. 
    E' evidente quindi lo scollamento che si realizza tra un  livello
di finanziamento che viene pesantemente ridotto e una  determinazione
dei livelli essenziali che non e' stata rivista da parte dello Stato. 
    In   cio'   si   realizza   una   arbitraria   violazione,    per
irragionevolezza e difetto di proporzionalita', anche  del  comma  II
dell'art.117 Cost. e dell'art. 32 essendo in questo modo  compromessa
la possibilita' di garantire  i  livelli  essenziali  in  materia  di
diritto alla salute. 
    E' significativo al riguardo citare le conclusioni del  documento
finale delle Commissioni riunite V e XII della Camera  dei  Deputati,
approvato nell'ambito dell'Indagine  conoscitiva  sulla  sfida  della
tutela della salute  tra  nuove  esigenze  del  sistema  sanitario  e
obiettivi di finanza pubblica, del 4 giugno 2014,  dove  si  afferma:
«Peraltro, negli ultimi anni alla riduzione delle  risorse  destinate
al Fondo sanitario nazionale si e' sommata la riduzione di quelle per
le politiche socio assistenziali e per le non autosufficienze.  Tutto
cio' ha fatto  emergere  la  piena  consapevolezza  che  il  Servizio
Sanitario Nazionale non puo'  sopportare  ulteriori  definanziamenti,
pena l'impossibilita' di garantire i libelli di assistenza  e  quindi
l'equita' nell'accesso alle prestazioni socio  sanitarie».  (allegato
n. 6). 
    Ma anche la Corte dei Conti nella delibera del 29 dicembre  2014,
Relazione  sulla  gestione  finanziaria  degli   enti   territoriali,
(allegato n. 7) ha chiaramente precisato che al comparto  degli  enti
territoriali e' stato richiesto, nelle  manovre  degli  ultimi  anni,
«uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entita'  delle  loro
risorse», in base a scelte andate «a vantaggio degli  altri  comparti
che compongono il conto economico consolidato  delle  amministrazioni
pubbliche.» Ed ha quindi auspicato (ma evidentemente non e' avvenuto)
che «futuri interventi di contenimento della spesa  assicurino  mezzi
di copertura  finanziaria  in  grado  di  salvaguardare  il  corretto
adempimento dei livelli essenziali delle  prestazioni  nonche'  delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali» (5) 
    Nella dinamica di questo sviluppo  normativo  della  legislazione
statale e' evidente un  fenomeno  di  abnorme  deresponsabilizzazione
dello Stato, che, chiamato ad assumersi  la  responsabilita'  di  una
riduzione dei Lea a seguito del venir meno delle risorse disponibili,
ha scelto invece la strada di lasciare, da un lato, invariati i  Lea,
e dall'altro di perpetrare un  sistema  di  tagli  lineari,  in  cio'
venendo meno - come si e' argomentato anche sub 1.c (in  questo  caso
anziche'  l'omessa  definizione,   si   deve   riscontrare   l'omesso
aggiornamento per oltre dieci anni) - ad  un  corretto  esercizio  di
quella funzione di coordinamento della finanza pubblica che e' invece
richiesto dall'art. 117, III, comma. 
    Le disposizioni impugnate,  per  i  motivi  esposti,  contrastano
quindi con gli art. 3, 32,  97  Cost.,  secondo  una  violazione  che
ridonda in una lesione delle competenze  riconosciute  alle  Regioni,
anche direttamente lese per violazione degli articoli 117, II  e  III
comma, 118 e 119, Cost. e del principio di  leale  collaborazione  di
cui all'art. 120 Cost. 
    A cio' va aggiunto, a ulteriore  dimostrazione  della  violazione
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., che,
sia nella fattispecie di cui al punto 1 che in quella  del  punto  2,
nessun coinvolgimento, nonostante le espresse richieste della regione
Veneto (allegato n. 8), e' avvenuto della (pur  istituita:  la  prima
convocazione e' avvenuta il 10 ottobre  2013)  Conferenza  permanente
per il coordinamento della finanza pubblica,  il  cui  coinvolgimento
nella definizione  della  manovre  di  finanza  pubblica  e'  imposto
dall'art. 5, comma 1, della legge n. 42 del 2009: «a)  la  Conferenza
concorre alla definizione degli obiettivi  di  finanza  pubblica  per
comparto, anche in relazione ai livelli di  pressione  fiscale  e  di
indebitamento;» e poi ribadito dall'art. 33 del  decreto  legislativo
n.  68  del  2011  che  la  definisce  quale  «organismo  stabile  di
coordinamento della finanza pubblica  fra  comuni,  province,  citta'
metropolitane, regioni e Stato». 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  431,  432,  433,
434 della legge n. 190 del 23  dicembre  2014  per  violazione  degli
articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della  Costituzione,  nonche'
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    I commi 431, 432, 433, 434 dell'art. 1 della Legge n. 190 del  23
dicembre  2014,  disciplinano  la  predisposizione  e   il   relativo
meccanismo  di  finanziamento  di   un   Piano   nazionale   per   la
riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate. 
    In particolare, il comma 431 prevede  che:  «i  comuni  elaborano
progetti di riqualificazione costituiti da un insieme  coordinato  di
interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione  e
degrado sociale, nonche' al miglioramento della qualita'  del  decoro
urbano e del tessuto sociale ed ambientale. Entro il 30 giugno  2015,
i comuni interessati trasmettono i  progetti  di  cui  al  precedente
periodo alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  secondo  le
modalita' e la procedura stabilite con apposito bando, approvato  con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,  su  proposta  del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,  di  concerto  con  il
Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dei  beni  e
delle attivita' culturali e del turismo, da adottare entro  tre  mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge». 
    Il comma 432, invece, definisce il  complesso  contenuto  che  il
suddetto d.P.C.M. viene ad assumere all'interno  della  realizzazione
del Piano. 
    Esso infatti dovra' istituire e  disciplinare  il  funzionamento,
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un  Comitato  per
la valutazione dei progetti di riqualificazione sociale  e  culturale
(lett. a); tale comitato e' costituito da: 
    due rappresentanti della Presidenza del Consiglio  dei  ministri,
di cui uno con funzioni di presidente, 
    due rappresentanti  del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, 
    due rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze, 
    due rappresentanti del  Ministero  dei  beni  e  delle  attivita'
culturali e del turismo; 
    nonche' da: 
    un rappresentante dei Dipartimenti della Presidenza del Consiglio
dei ministri per gli affari regionali, le autonomie e lo sport e  per
la programmazione e il coordinamento della politica economica, 
    un rappresentante dell'Agenzia del demanio, 
    un  rappresentante   dell'Associazione   nazionale   dei   comuni
italiani, 
        un rappresentante della  Conferenza  delle  regioni  e  delle
province autonome. 
    Dovra'  poi  definire  la  documentazione  che  i  comuni  devono
allegare ai progetti (lett. b) e la procedura  per  la  presentazione
dei progetti (lett. c). 
    Soprattutto al d.P.C.M. viene affidato il compito di  definire  i
criteri di valutazione dei progetti, tra i quali  in  ogni  caso,  il
comma 432 individua direttamente i seguenti (lett. d): 
    1) la  riduzione  di  fenomeni  di  marginalizzazione  e  degrado
sociale; 
    2) il miglioramento  della  qualita'  del  decoro  urbano  e  del
tessuto  sociale  ed  ambientale,  anche   mediante   interventi   di
ristrutturazione edilizia, con particolare riferimento allo  sviluppo
dei servizi sociali ed educativi e alla  promozione  delle  attivita'
culturali, didattiche e sportive; 
    3) la tempestiva esecutivita' degli interventi; 
        4) la capacita' di coinvolgimento di soggetti e finanziamenti
pubblici e privati e di attivazione di un effetto moltiplicatore  del
finanziamento pubblico nei confronti degli investimenti privati. 
    La procedura per la selezione dei progetti comunali  da  inserire
nel  Piano  e'  poi  disciplinata  dal  successivo  comma   433   che
stabilisce: «con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio  dei
ministri sono individuati i progetti da inserire nel  Piano  ai  fini
della stipulazione di convenzioni o accordi di programma con i comuni
promotori dei  progetti  medesimi.  Tali  convenzioni  o  accordi  di
programma definiscono i soggetti partecipanti alla realizzazione  dei
progetti, le risorse finanziarie, ivi incluse  quelle  a  valere  sul
Fondo di cui al comma 434, e  i  tempi  di  attuazione  dei  progetti
medesimi, nonche' i criteri per la revoca dei finanziamenti  in  caso
di inerzia realizzativa.  Le  Amministrazioni  che  sottoscrivono  le
convenzioni o gli accordi di programma si impegnano  a  fornire  alla
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e   al   Ministero   delle
infrastrutture e dei trasporti i dati e  le  informazioni  necessarie
all'espletamento della attivita' di monitoraggio degli interventi». 
    Il comma 434 istituisce, invece, il Fondo  per  l'attuazione  del
Piano nazionale per la riqualificazione  sociale  e  culturale  delle
aree urbane degradate, a decorrere dall'esercizio finanziario 2015  e
fino al 31 dicembre 2017, nello stato  di  previsione  del  Ministero
dell'economia e delle finanze, contenente le somme da trasferire alla
Presidenza del Consiglio dei ministri. A tal fine e'  autorizzata  la
spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e 75 milioni di euro  per
ciascuno degli anni 2016 e 2017. 
    Si tratta di disposizioni la  cui  illegittimita'  si  deduce  in
relazione ai seguenti motivi. 
    Nei termini sopra descritti, infatti, i commi 431, 432, 433 e 434
dell'art. 1,  senza  alcun  adeguato  coinvolgimento  delle  Regioni,
istituiscono un Piano nazionale per  la  riqualificazione  sociale  e
culturale delle aree urbane degradate e un correlativo fondo  statale
a destinazione vincolata nell'ambito  di  materie  non  riconducibili
alle competenze statali di cui all'art. 117, II comma, Cost. 
    Quanto  alle  materie  infatti,  sia  il  Piano  che  il   Fondo,
attengono, come si evince dai commi 431  e  432,  al:  «miglioramento
della qualita' decoro urbano e del  tessuto  sociale  ed  ambientale,
interventi di ristrutturazione edilizia, con particolare  riferimento
allo sviluppo dei servizi sociali  ed  educativi  e  alla  promozione
delle attivita' culturali, didattiche e sportive». 
    E' evidente, quindi che il Piano e il Fondo attengono  a  materie
concorrenti  (governo  del  territorio,  promozione  delle  attivita'
culturali,  istruzione)  e  soprattutto  residuali   regionali   come
«assistenza sociale». 
    In  questo  modo  viene  istituita,  in  materie  di   competenza
concorrente e residuale regionale, una forma  di  intervento  statale
che  prescinde  completamente  dall'adeguato   coinvolgimento   delle
Regioni, in violazione degli artt. 117, III e IV, comma; 118; 119,  V
comma, Cost. 
    Questa  ecc.ma  Corte,  infatti,  nella  sent.  n.  49  del  2004
particolare, ha precisato  che  "per  quanto  attiene  alle  funzioni
amministrative, la legge statale puo' solo disciplinare le  «funzioni
fondamentali» degli enti locali territoriali  e  puo'  dettare  norme
nelle sole materie di competenza esclusiva  elencate  nell'art.  117,
secondo comma,  e  principi  fondamentali  in  quelle  di  competenza
concorrente elencate nell'art.117, terzo comma». 
    E' utile precisare che materie come «promozione  delle  attivita'
culturali e sportive», nel cui ambito anche verte il Piano  nazionale
per  la  riqualificazione  sociale  e  culturale  delle  aree  urbane
degradate, non rientrano  nelle  funzioni  fondamentali  dei  comuni,
cosi' come definite dall'art. 19 del decreto legge n. 95 del 2012. 
    Inoltre, piu' genericamente le  materie  cui  inerisce  il  Piano
rientrano, come detto,  nella  competenza  concorrente  e  in  quella
regionale residuale. 
    Diventa quindi dirimente considerare che la  predisposizione  del
Piano avviene senza alcuna forma di intesa con  le  Regioni,  la  cui
partecipazione al Comitato (che potrebbe assumere una funzione semmai
aggiuntiva,  ma  non  sostitutiva  dell'intesa),  anziche'  rivestire
natura paritetica, e' peraltro limitata ad un solo  rappresentante  a
fronte dei dieci assegnati all'amministrazione statale. 
    In piu'  occasioni  questa  ecc.ma  Corte  ha  affermato  che  il
principio di leale collaborazione deve necessariamente intervenire in
ipotesi  tipiche,  che  spaziano  dai  casi  di  c.d.   chiamata   in
sussidiarieta', a quelli in cui vi sia un intreccio inestricabile  di
materie non risolvibile con il criterio della  prevalenza.  L'intesa,
quindi, costituisce la «condizione minima e  imprescindibile  per  la
legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale  che
effettui  la   "chiamata   in   sussidiarieta'"   di   una   funzione
amministrativa  in  materie  affidate  alla  legislazione  regionale»
(sent. n. 383 del 2005; ma cfr. anche n. 179 del 2012, 39 del 2013). 
    Ma vi e' di piu'. 
    Il comma 434 istituisce  un  Fondo  per  l'attuazione  del  Piano
nazionale per la riqualificazione  sociale  e  culturale  delle  aree
urbane degradate. 
    Si tratta quindi di un trasferimento a destinazione vincolata che
viene istituito in violazione  degli  art.117,  III  e  IV  comma,  e
dell'art.119, V comma, Cost. 
    E' utile ricordare che secondo la Costituzione lo Stato puo' solo
destinare risorse  aggiuntive  ed  effettuare  interventi  finanziari
speciali  «in  favore  di  determinati   Comuni,   Province,   Citta'
metropolitane  e  Regioni»  per  gli  scopi  indicati  nel  comma   5
dell'art.119, o «diversi dal normale esercizio delle loro funzioni». 
    In  cio'  le  norme   impugnate   disattendono   palesemente   le
indicazioni di questa ecc.ma Corte costituzionale che, nella sentenza
n. 16 del 2004, che aveva gia' dichiarato  l'incostituzionalita'  del
Fondo statale per la riqualificazione  urbana  dei  Comuni,  che  per
oggetto e' del tutto simile al fondo in questione; cosi' come  quelle
della   sentenza   n.   49   del   2004,   che    aveva    dichiarato
l'incostituzionalita' del Fondo per il  sostegno  alla  progettazione
delle  opere  pubbliche  delle  Regioni  e  degli  enti  locali,  che
strutturava una forma di intervento statale del  tutto  analoga,  per
procedura,  a  quella  prefigurata  dalle  norme   impugnate   (nello
specifico si trattava dell'istituzione del  Fondo  nazionale  per  il
sostegno alla progettazione delle opere  pubbliche  delle  Regioni  e
degli enti locali, cui  questi  enti  potevano  accedere  presentando
apposita domanda venendo poi selezionati dal Ministero  dell'economia
e finanze gli interventi da finanziare). 
    Nel caso  di  specie  al  Fondo  in  oggetto,  cosi'  come  nella
fattispecie  oggetto  della  sentenza  n.  49   del   2004,   possono
«astrattamente  accedere  tutti  gli  enti»,   quindi   i)   non   e'
pregiudicato il carattere della generalita' e ii) per quanto riguarda
l'oggetto del finanziamento non si  tratta  di  funzioni  chiaramente
inquadrabili al fuori dal normale esercizio cui fa riferimento  il  V
comma dell'art. 119, Cost. 
    Proprio in relazione al V comma dell'art. 119 Cost. questa ecc.ma
Corte, infatti, nella sentenza n. 16 del 2004 ha precisato  che  «non
possono trovare oggi spazio interventi finanziari diretti dello Stato
a favore  dei  Comuni,  vincolati  nella  destinazione,  per  normali
attivita' e compiti di competenza di questi ultimi, fuori dall'ambito
dell'attuazione di  discipline  dettate  dalla  legge  statale  nelle
materie di propria competenza,  o  della  disciplina  degli  speciali
interventi finanziari in favore di determinati Comuni, ai  sensi  del
nuovo articolo 119, quinto comma. Soprattutto  non  sono  ammissibili
siffatte forme di intervento nell'ambito di materie e funzioni la cui
disciplina spetta invece alla legge regionale, pur eventualmente  nel
rispetto  (quanto   alle   competenze   concorrenti)   dei   principi
fondamentali della legge dello Stato». 
    Inoltre, la sentenza n.  49  del  2004  questa  ecc.ma  Corte  ha
ribadito: «gli interventi di cui alle norme impugnate si atteggiano -
conformemente a quanto rilevato dalla sentenza  di  questa  Corte  in
precedenza  richiamata  -  come  prosecuzione  di  una   pratica   di
trasferimento diretto di risorse dal bilancio dello Stato  agli  enti
locali in base a  criteri  stabiliti  dall'amministrazione  centrale,
senza tenere presente che, per quanto riguarda  la  disciplina  della
spesa ed il trasferimento di risorse dal bilancio statale,  lo  Stato
deve agire in conformita' al nuovo riparto di competenze e alle nuove
regole, disponendo i  trasferimenti  senza  vincoli  di  destinazione
specifica, passando, se del caso, attraverso il filtro dei  programmi
regionali  e  coinvolgendo  le  regioni  interessate   nei   processi
decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei  fondi,  nel
rispetto dell'autonomia di spesa degli enti locali».  Cfr.  anche  n.
254 del 2013:  «Tali  misure,  infatti,  possono  divenire  strumenti
indiretti, ma pervasivi,  di  ingerenza  dello  Stato  nell'esercizio
delle  funzioni  delle  Regioni  e  degli  enti  locali,  nonche'  di
sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente  a
quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali  di
propria competenza» (sentenza n. 168 del 2008,  nonche',  in  termini
sostanzialmente coincidenti, ex plurimis, sentenze n. 50 del 2008, n.
201 del 2007 e n. 118 del 2006)». 
    Ma anche a prescindere da questa considerazione, va rilevato  che
quand'anche si rientri - ma questo non avviene nel caso del fondo  in
oggetto - nell'ambito degli interventi speciali di  cui  al  V  comma
dell'articolo 119, la stessa sentenza n. 16 del 2004 ha in ogni  caso
sottolineato «l'esigenza  di  rispettare  il  riparto  costituzionale
delle competenze legislative fra Stato e Regioni» con la  conseguenza
che «quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza  delle
Regioni,   queste   siano   chiamate   ad   esercitare   compiti   di
programmazione  e  di  riparto  dei  fondi  all'interno  del  proprio
territorio». 
    Orbene, non vi e' dubbio, come si e' visto, che  la  disposizione
attiene a materie  concorrenti  e  residuali  regionali,  poiche'  il
finanziamento  in  esame  e'  finalizzato,  infatti,  in  parte  alla
promozione di progetti di riqualificazione diretti alla riduzione  di
fenomeni di  degrado  sociale  e  in  parte  al  miglioramento  della
qualita'  del  tessuto  sociale  ed   ambientale,   con   particolare
riferimento allo sviluppo dei servizi sociali, educativi,  culturali,
e sportivi. 
    Quindi, come affermato  dalla  giurisprudenza  di  questa  ecc.ma
Corte, il  rispetto  dei  compiti  di  programmazione  delle  regioni
comporterebbe  quantomeno  la  previsione  dell'intesa,  se  non   un
procedimento  di  erogazione  dei  fondi  articolato  su  un  duplice
passaggio: in primis,  l'erogazione  delle  risorse  dallo  Stato  in
favore delle Regioni, e successivamente, il riparto, da  parte  delle
Regioni medesime, di tali risorse fra gli Enti locali interessati. 
    Detti profili, pertanto, per  loro  stessa  natura,  nell'attuale
assetto costituzionale della ripartizione delle competenze tra  Stato
e Regioni non possono non comportare un diretto coinvolgimento  delle
Regioni, in quanto anche esse titolari di potesta' legislativa  nelle
specifiche materie. Di tale esigenza non tiene, evidentemente,  conto
l'impugnata norma di cui all'art. 1, commi 431, 432, 433, 434,  della
legge n. 190 del 2014. Non viene infatti prevista alcuna  intesa  ne'
riguardo alla definizione del Piano, ne' alla emanazione del d.P.C.M.
di cui al comma 431, ne' riguardo ai successivi d.P.C.M.  di  cui  al
comma 433. 
    In cio' la disciplina contraddice anche  quanto  affermato  nella
sentenza n. 79 del  2011  dove  questa  ecc.ma  Corte  ha  nuovamente
sottolineato  come  solo  la   chiamata   in   sussidiarieta'   possa
legittimare  l'istituzione  di  un  fondo  statale  con  vincolo   di
destinazione  in  materia  di  competenza  regionale  concorrente   o
residuale ex art. 117, commi 3 e 4, Cost., solo ed esclusivamente  se
siano previsti meccanismi preventivi di intesa  con  le  regioni  sui
relativi criteri di riparto (nello stesso senso, la  sentenza  n.  16
del 2010). 
    E'  evidente  quindi  nelle  disposizioni  impugnate  il   vulnus
all'autonomia regionale, con violazione degli artt.  117,  III  e  IV
comma, e 119 Cost., data l'inerenza  delle  materie  alle  competenze
legislative regionali in cui sia il piano che il fondo  intervengono,
espropriando   la   Regione   della   possibilita'   di    esercitare
correttamente i compiti di normazione  e  programmazione  all'interno
del proprio territorio, sovrapponendo ad essi politiche  e  indirizzi
governati centralmente. 
    Da ultimo, e' opportuno precisare che non fa, invece, testo,  nel
caso oggetto della presente impugnativa, la sent. n. 307 del 2004  di
questa  ecc.  ma  Corte  che  riguardava  una  forma  di   intervento
finanziario statale del tutto differente (a favore dei privati) e che
si concretizzava «nella mera previsione di contributi finanziari,  da
parte dello Stato, erogati con carattere di automaticita'  in  favore
di soggetti individuati in base all'eta' o al reddito  e  finalizzati
all'acquisto di  personal  computer  abilitati  alla  connessione  ad
"internet",  in  un'ottica  evidentemente   volta   a   favorire   la
diffusione,  fra  i  giovani  e   nelle   famiglie,   della   cultura
informatica.  Siffatto  intervento,  non   accompagnato   da   alcuna
disciplina  sostanziale  riconducibile  a  specifiche  materie,   non
risulta invasivo di competenze legislative regionali». 
    In  quel  caso  questa  ecc.ma  Corte  non  ha  rilevato   alcuna
interferenza con le competenze legislative regionali,  in  quanto  si
trattava di fondi statali messi a disposizione di privati; in  questo
caso, invece la disciplina  impugnata  si  sovrappone  chiaramente  a
quella regionale impedendone l'esercizio. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 609, della  legge
n. 190 del 23 dicembre 2014 per violazione degli artt. 3, 117, III  e
IV comma, 118, 123 della Costituzione, nonche' dell'art. 3, comma  2,
dello Statuto della regione Veneto. 
    Il comma 609 contiene disposizioni in materia di servizi pubblici
locali che apportano modifiche alla disciplina di cui all'art.  3-bis
del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla  legge  14
settembre  2011,  n.  148,  al  fine  di  «promuovere   processi   di
aggregazione e di rafforzare  la  gestione  industriale  dei  servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica». 
    E' utile rilevare che la disposizione del comma 1 dell'art. 3-bis
del decreto legge d.l. n. 138/2011 conteneva gia'  l'obbligo  per  le
Regioni di istituire o designare gli enti di governo degli  ambiti  o
bacini territoriali ottimali  e  omogenei  per  l'organizzazione  dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza  economica  entro  il  30
giugno 2012. 
    L'aggiunta operata dal comma  609  dell'art.  1  della  legge  n.
190/2014  modifica  in  questi  termini  (indicati  in  neretto)   il
successivo comma 1-bis: «Le funzioni di  organizzazione  dei  servizi
pubblici locali  a  rete  di  rilevanza  economica,  compresi  quelli
appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma  di
gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza  per  quanto  di
competenza, di affidamento della gestione e relativo  controllo  sono
esercitate unicamente dagli enti di governo  degli  ambiti  o  bacini
territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai  sensi  del
comma 1  del  presente  articolo  cui  gli  enti  locali  partecipano
obbligatoriamente, fermo restando quanto  previsto  dall'articolo  1,
comma 90, della legge 7  aprile  2019,  n.  56»  (nuovo  comma  1-bis
dell'art. 3-bis, d.l. n. 138/2011). 
    La novella apportata dalla legge  n.  190/2014  introduce  quindi
l'obbligatorieta'  dell'adesione  degli  enti  locali  agli  enti  di
governo degli ATO. Tale obbligatorieta' viene peraltro rafforzata  da
un  procedimento  sostitutivo  posto  in  capo  al  Presidente  della
Regione. Il comma 1-bis dell'art. 3-bis dispone infatti: «Qualora gli
enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo  entro  il  1°
marzo  2015  oppure  entro   sessanta   giorni   dall'istituzione   o
designazione dell'ente di governo dell'ambito  territoriale  ottimale
ai sensi del comma 2 dell'articolo 13 del decreto-legge  30  dicembre
2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27  febbraio
2014, n. 15, il Presidente della  regione  esercita,  previa  diffida
all'ente locale ad adempiere entro il termine  di  trenta  giorni,  i
poteri sostitutivi.» 
    I profili  d'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione,
cosi' come strutturata, sono molteplici. 
    In   primo   luogo,   occorre   rilevare   che   la    previsione
dell'obbligatorieta', per gli enti locali, di aderire  agli  enti  di
governo degli ATO e' da ritenersi illegittima  per  violazione  delle
competenze costituzionalmente  riconosciute  alle  Regioni  ai  sensi
degli artt. 117, III e IV comma, Cost. 
    E invero, se il decreto legge n. 138/2011 rimetteva alle  Regioni
la perimetrazione degli ambiti e  l'istituzione  o  designazione  dei
relativi   enti   di   governo,   lasciando   alle    stesse    piena
discrezionalita' in ordine alla forma organizzativa degli stessi,  il
comma  609  impone,  invece,  un  modello  di  governance  che   deve
necessariamente includere tutti gli enti locali. 
    Giova peraltro precisare che per enti locali, secondo il disposto
di cui all'art. 2, decreto legislativo n.  267/2000  (c.d.  Tuel)  si
intendono  «i  comuni,  le  province,  le  citta'  metropolitane,  le
comunita' montane, le comunita' isolane e le unioni di Comuni». 
    Pertanto, l'obbligatoria adesione agli enti di governo degli  ATO
viene a riguardare, a ben vedere, tutti gli enti locali ricadenti nel
perimetro degli ambiti definiti a livello regionale, coinvolgendo non
solo le Province e i Comuni, ma anche le loro  unioni,  le  comunita'
montane e isolane e le Citta' metropolitane. 
    L'estensione dell'obbligo non solo a comuni e province, ma  anche
a tutti gli enti locali, incluse ad  esempio  le  comunita'  montane,
esula dalla competenza statale inerente l'elencazione di cui all'art.
117, comma 2, lett. p), Cost. e risulta quindi violare la  competenza
residuale delle Regioni di cui all'art. 117,  IV  comma,  Cost.  come
precisato da questa ecc.ma Corte nelle sentenze nn. 237 del 2009 e 91
del 2011. 
    Quanto sopra, oltre a difettare di ogni ragionevolezza, contrasta
inoltre,  evidentemente,  anche  con   i   principi   sussidiarieta',
adeguatezza e di differenziazione di cui all'art. 118, comma 1, Cost.
e con l'art. 3 dello Statuto della Regione Veneto  secondo  cui:  «La
Regione riconosce,  promuove  e  garantisce  l'autonomia  degli  enti
locali nelle sue diverse manifestazioni»  (art.  3,  comma  2,  legge
regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1). 
    In  base  alle  norme  sopra  richiamate,  dovrebbe  riconoscersi
infatti ai suddetti enti locali ampia discrezionalita'  sul  percorso
da intraprendere, in ordine alle forme di organizzazione gli enti  di
governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali ed omogenei. 
    E questa e' stata la scelta  operata  dalla  Regione  Veneto  con
riferimento alle discipline introdotte con la propria legislazione in
merito ai servizi di trasporto pubblico locale,  idrico  integrato  e
gestione dei rifiuti. 
    Infatti, in attuazione della Legge regionale 30 ottobre 1998,  n.
25  recante  Disciplina  ed  organizzazione  del  trasporto  pubblico
locale, la Delibera di Giunta regionale n. 2048 del 19 novembre  2013
(allegato  n.  9),  oltre  a  definire  il   perimetro   dei   bacini
territoriali ottimali e omogenei dei servizi  di  trasporto  pubblico
locale, ha infatti individuato la convenzione  di  cui  all'art.  30,
decreto legislativo n. 267/2000 quale modalita' organizzativa per  la
costituzione volontaria di  un  ente  di  governo  per  ciascuno  dei
bacini, da designare quale soggetto di cui all'art.  3-bis,  d.l.  n.
138/2011. (6) 
    E'  dirimente  a  questo  punto  ricordare  che  la  materia  del
trasporto pubblico locale e' assegnata, come ha riconosciuto in  piu'
occasioni questa ecc.ma Corte, alla  competenza  regionale  residuale
(cfr., per tutte, sentenza n. 222 del 2005 dove  si  afferma  che  la
materia del  trasporto  pubblico  locale  rientra  nell'ambito  delle
competenze residuali delle Regioni di cui al quarto  comma  dell'art.
117 Cost., "come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della
riforma del Titolo V della Costituzione, il  decreto  legislativo  19
novembre 1997, n. 422 [...] aveva  ridisciplinato  l'intero  settore,
conferendo alle Regioni  ed  agli  enti  locali  funzioni  e  compiti
relativi a tutti  i  «servizi  pubblici  di  trasporto  di  interesse
regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi
forma affidati» ed escludendo solo i trasporti pubblici di  interesse
nazionale"). 
    La legislazione regionale, pertanto,  nell'ambito  della  propria
autonomia ha  optato  per  diverse  formule  organizzative,  come  la
sottoscrizione di una  convenzione  tra  gli  enti,  quale  strumento
prodromico per la successiva costituzione dell'ente di governo. 
    La  normativa  statale  qui  impugnata,  invece,  stabilendo   un
immediato  obbligo  di  partecipazione   agli   organi   di   governo
indebitamente  incide  e  interferisce  sulle  scelte  attuate  dalla
legislazione regionale di settore. 
    In secondo luogo,  il  censurato  comma  609  contraddice  quanto
stabilito dall'art. 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014 n. 56,  la
cui  previsione  viene  esplicitamente  salvaguardata   dalla   norma
impugnata. 
    Tale norma prevede che: «Nello specifico caso in cui disposizioni
normative statali o  regionali  di  settore  riguardanti  servizi  di
rilevanza  economica  prevedano   l'attribuzione   di   funzioni   di
organizzazione  dei  predetti  servizi,  di  competenza  comunale   o
provinciale,  ad   enti   o   agenzie   in   ambito   provinciale   o
sub-provinciale,  si  applicano   le   seguenti   disposizioni,   che
costituiscono  principi  fondamentali  della   materia   e   principi
fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  ai   sensi
dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione: a) il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma  92  ovvero  le
leggi  statali  o  regionali,  secondo  le   rispettive   competenze,
prevedono la soppressione di tali enti  o  agenzie  e  l'attribuzione
delle funzioni alle province nel  nuovo  assetto  istituzionale,  con
tempi, modalita' e forme di coordinamento con regioni  e  comuni,  da
determinare nell'ambito del processo di riordino di cui ai  commi  da
85 a 97, secondo i principi di adeguatezza  e  sussidiarieta',  anche
valorizzando, ove possibile, le autonomie funzionali» (art. 1,  comma
90, lett. a), legge n. 56/2014). 
    In altri termini, tale disposizione della legge n.  56  del  2014
prevede  l'avvio   di   un   deciso   processo   di   semplificazione
istituzionale diretto  a  far  si'  che  qualora  con  riferimento  a
specifici servizi di rilevanza economica  di  competenza  comunale  e
provinciale siano stati delimitati  ambiti  o  bacini  provinciali  o
sub-provinciali  e  le  funzioni  di   organizzazione   siano   state
attribuite ad enti o agenzie, questi ultimi debbano essere oggetto di
soppressione  con  contestuale  attribuzione  delle   funzioni   alle
Province. 
    Tanto viene sollecitato dalla suddetta norma questo  processo  di
semplificazione che si stabilisce nella successiva lett. b) del comma
90 dell'art. 1 della legge n. 56/2014: «per le regioni che  approvano
le leggi che riorganizzano le funzioni  di  cui  al  presente  comma,
prevedendo la soppressione  di  uno  o  piu'  enti  o  agenzie,  sono
individuate misure premiali con decreto del Ministro dell'economia  e
delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari  regionali,
previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui  all'articolo  8
del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281,  e  successive
modificazioni, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». 
    In questi termini si  evidenzia  un  insanabile  contrasto  della
norma impugnata con riferimento alla tale disposizione della legge n.
56/2014, che pure viene espressamente fatta salva. 
    Difatti, mentre il comma 90 dell'art. 1 della  legge  n.  56/2014
avvia - al punto addirittura di  prevedere  misure  premiali  per  le
Regioni che dispongano in tal senso - un processo di soppressione  di
enti o agenzie con funzioni di organizzazione di servizi a  rilevanza
economica di competenza comunale o provinciale e l'attribuzione delle
relative  funzioni  alle  Province,  il  comma  609  rafforza  invece
l'adesione  degli  enti  locali  (tutti,  ovvero  Comuni,   Province,
Comunita' montane, comunita' isolane  e  Citta'  metropolitane)  agli
enti di governo degli  ATO  prevedendone  persino  la  partecipazione
obbligatoria. 
    Ma  non  solo:  l'obbligatorieta'  e'  pure  presidiata  da   una
sanzione, costituita, come  si  ha  gia'  avuto  modo  di  precisare,
dall'esercizio del potere sostitutivo da parte del  Presidente  della
Regione. 
    In questi termini la disposizione impugnata configura un vizio di
ragionevolezza (al punto da rendere anche  impossibile  stabilire  la
portata normativa derivante dalla coesistenza delle  due  discipline)
che ridonda nella lesione della  sfera  costituzionalmente  garantita
alle Regione dagli articoli 117, III e IV comma e 118 Cost. 
6) Illegittimita'  costituzionale  art.  1,  commi  611  e  612,  per
violazione degli artt. 3, 97, 117, III e IV comma, 118  e  119  della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost. 
    Il comma 611 dell'art. 1 della legge n. 190/2014 prevede che: «le
regioni, le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  gli  enti
locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura,
le universita' e gli istituti di istruzione universitaria pubblici  e
le autorita' portuali, a decorrere dal 1° gennaio  2015,  avviano  un
processo di razionalizzazione delle societa' e  delle  partecipazioni
societarie  direttamente  o  indirettamente  possedute,  in  modo  da
conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015». 
    Tale processo, per espressa  previsione  normativa,  deve  tenere
conto «anche» dei seguenti criteri: 
        «a)  eliminazione  delle  societa'  e  delle   partecipazioni
societarie  non  indispensabili  al   perseguimento   delle   proprie
finalita' istituzionali,  anche  mediante  messa  in  liquidazione  o
cessione; 
    b) soppressione delle societa' che  risultino  composte  da  soli
amministratori o da un numero di amministratori  superiore  a  quello
dei dipendenti; 
    c) eliminazione delle partecipazioni  detenute  in  societa'  che
svolgono attivita' analoghe o  similari  a  quelle  svolte  da  altre
societa' partecipate o da enti pubblici strumentali,  anche  mediante
operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni; 
    d)  aggregazione  di  societa'  di  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica; 
    e)  contenimento  dei  costi  di  funzionamento,  anche  mediante
riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo  e  delle
strutture aziendali, nonche' attraverso la riduzione  delle  relative
remunerazioni.» 
    Quanto sopra al fine espresso  di  «assicurare  il  coordinamento
della  finanza  pubblica,  il  contenimento  della  spesa,  il   buon
andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza  e
del mercato». 
    Per raggiungere l'obiettivo di razionalizzazione,  il  successivo
comma 612 dispone che: «I presidenti delle regioni e  delle  province
autonome di Trento e di  Bolzano,  i  presidenti  delle  province,  i
sindaci e gli altri organi di vertice delle amministrazioni di cui al
comma  611,  in  relazione  ai  rispettivi  ambiti   di   competenza,
definiscono e approvano, entro il 31 marzo 2015, un  piano  operativo
di razionalizzazione delle societa' e delle partecipazioni societarie
direttamente o indirettamente possedute, le modalita' e  i  tempi  di
attuazione,  nonche'  l'esposizione  in  dettaglio  dei  risparmi  da
conseguire.» 
    La norma prevede,  altresi',  l'intervento  di  un  organo  terzo
individuato nella competente sezione  regionale  di  controllo  della
Corte dei conti, stabilendo che  il  suindicato  piano  operativo  di
razionalizzazione delle societa' e  delle  partecipazioni  societarie
«corredato  di  un'apposita  relazione  tecnica,  e'  trasmesso  alla
competente sezione regionale di controllo della  Corte  dei  conti  e
pubblicato  nel  sito  internet  istituzionale   dell'amministrazione
interessata. Entro il 31 marzo 2016,  gli  organi  di  cui  al  primo
periodo predispongono una relazione sui risultati conseguiti, che  e'
trasmessa alla competente sezione regionale di controllo della  Corte
dei   conti   e   pubblicata   nel   sito   internet    istituzionale
dell'amministrazione  interessata.  Con  la  precisazione  che:   «La
pubblicazione del piano e  della  relazione  costituisce  obbligo  di
pubblicita' ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33». 
    Le  disposizioni   impugnate,   sebbene   in   astratto   dirette
all'obiettivo   pienamente   condivisibile   di   razionalizzare   il
preoccupante e  ingiustificato  fenomeno  di  abnorme  proliferazione
delle societa' partecipate, si palesano in concreto come  viziate  di
incostituzionalita' sotto molteplici profili, al punto da  inficiarne
la stessa idoneita' rispetto al raggiungimento di tale obiettivo. 
    E' preliminare, infatti, precisare che la regione Veneto, ha gia'
da tempo avviato processi di razionalizzazione  delle  partecipazioni
regionali, sia dirette che dirette. 
    Quanto alle prime e' opportuno ricordare che gia' la DGR  n.  138
del 2010, poi  adottata  con  Deliberazione  Consiglio  regionale  n.
44/2011 (allegato  n.  10),  ha  concretizzato  un  processo  che  ha
portato: i) alla ricognizione di tutte  le  partecipazioni  detenute,
ii)  alla  valutazione,  per  ciascuna  societa'  partecipata,  della
presenza  dei  requisiti   della   stretta   necessarieta'   per   il
perseguimento dei fini istituzionali dell'ente o della produzione  di
servizi d'interesse generale; iii) alla cessione,  secondo  procedure
ad  evidenza  pubblica,  delle  partecipazioni  detenute  in   quelle
societa' che non presentavano i requisiti suddetti. 
    Ad essa sono seguite azioni concrete che hanno condotto sia  alla
dismissione  di  societa'  non  necessarie,  sia  ad  accorpamenti  e
razionalizzazioni di societa'  necessarie  che  svolgevano  finalita'
analoghe o similari. 
    Quanto alle seconde, la Giunta Regionale ha adottato  le  DGR  n.
259 del 5 marzo 2013 (allegato n. 11) e n. 1931 del 28  ottobre  2013
(allegato n. 12), con le quali sono state emanate  direttive  rivolte
alle societa' a partecipazione diretta per la dismissione delle  loro
partecipate, determinando la soppressione di trentotto di queste, con
una riduzione  quindi  del  numero  delle  partecipate  indirette  da
settantuno a trentatre'. 
    E' stata poi approvata recentemente la legge regionale n. 24  del
2014, recante Norme  in  materia  di  societa'  partecipate  da  enti
regionali,  che  ha  ulteriormente  implementato   il   processo   di
razionalizzazione disponendo, fra l'altro che:  «Agli  enti  pubblici
regionali ivi comprese le aziende, gli enti  del  Servizio  sanitario
nazionale e le amministrazioni  controllate  dalla  Regione,  non  e'
consentito costituire societa' e detenere partecipazioni in societa',
salvo espressa autorizzazione  della  Giunta  regionale,  sentite  le
competenti commissioni consiliari, esclusivamente  in  ragione  della
accertata convenienza economica della  detenzione  stessa»  (art.  1,
comma 2, l.r. n. 24/2014). 
    Vieppiu', il medesimo provvedimento normativo, oltre a  stabilire
una  serie  di  misure  volte  al   contenimento   delle   spese   di
funzionamento e alla dismissione delle  partecipazioni  precisa  che:
«Entro novanta giorni dall'entrata in vigore  della  presente  legge,
gli enti regionali di cui all'articolo  1,  comma  2,  presentano  al
Consiglio regionale e alla Giunta  regionale  l'elenco  di  tutte  le
partecipazioni societarie detenute  direttamente  ed  indirettamente,
con  una  motivata  proposta  di  mantenimento  di  quelle   ritenute
strategiche, indicando  altresi'  il  valore  nominale  e  il  valore
stimato di ciascuna di esse, nonche'  la  relazione  tra  l'attivita'
della societa' partecipata  e  la  specifica  funzione  istituzionale
dell'ente regionale partecipante» e  «a  partire  dal  sessantunesimo
giorno dalla ricezione della proposta, tutte le partecipazioni, fatta
eccezione per quelle espressamente confermate,  sono  dismesse  senza
indugio» (art. 3, commi 1 e 3, l.r. n. 24/2014). 
    Le disposizioni impugnate, pertanto,  non  considerano  in  alcun
modo questo processo gia' avviato a  livello  regionale  e  impongono
invece un ulteriore e generalizzato  percorso,  dove  sono  stabiliti
criteri e modalita' che impongono alla Regione oneri aggiuntivi (come
l'obbligo di trasmissione della relazione tecnica e  della  relazione
sui  risultati  conseguiti  alla  competente  sezione  regionale   di
controllo della Corte dei conti) e impongono  termini  perentori  per
l'adozione di piani da parte delle Regioni e per la dismissione delle
partecipazioni detenute. Stabilendo, ad esempio,  il  criterio  della
«soppressione  delle  societa'  che  risultino   composte   da   soli
amministratori o da un numero di amministratori  superiore  a  quello
dei  dipendenti»  -  criterio  in  se'  e  in  astratto   del   tutto
ineccepibile -, in realta' le norme impugnate non permettono in alcun
modo di considerare quelle situazioni in cui le  societa'  presentano
si' tali caratteristiche, ma solo perche' dirette alla gestione,  per
conto della Regione, di consistenti  patrimoni  (e  non  necessitando
quindi di numeroso  personale  dipendente),  generando  utili  e  non
presentando, quindi, alcuno  di  quei  profili  di  inefficienza  che
potrebbero giustificarne la soppressione. 
    Ma non solo. 
    Nel definire i tempi delle dismissioni, le disposizioni censurate
non tengono minimamente  conto  della  critica  situazione  economica
generale che rende difficile attuare, per le condizioni del mercato e
il rischio di speculazioni private, - in un contenuto lasso temporale
e in termini vantaggiosi per le Pubbliche Amministrazioni coinvolte -
ogni   sforzo   gia'   intrapreso   a   seguito   dei   provvedimenti
amministrativi sopra citati adottati dalla Regione del  Veneto  negli
ultimi sette anni. 
    Sotto questo profilo, e'  opportuno  peraltro  segnalare  che  la
Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con
la Deliberazione n. 48/2008 (allegato n. 13) ha gia'  avuto  modo  di
intervenire   sul   problema:   «Il   cedere   obbligatoriamente   le
partecipazioni vietate entro un termine legale, produrrebbe occasioni
di speculazione privata tesa al ribasso del prezzo  di  acquisto,  in
una prospettiva del tutto contraria all'interesse pubblico alla  sana
e  corretta  gestione  del   patrimonio   e   delle   risorse   della
collettivita'.  Inoltre,  a  seguito  dell'attivita'  ricognitiva  in
materia di partecipazioni vietate, le grandi realta'  territoriali  o
gli enti istituzionali di maggiori dimensioni, potrebbero trovarsi  a
dover contemporaneamente gestire un elevato  numero  di  dismissioni,
senza   poter   oggettivamente   approdare   in   tempi   brevi    al
perfezionamento delle procedure di cessione. In  tali  evenienze,  in
conformita' con la  delibera  autorizzativa,  occorrera'  stilare  un
accurato programma  che  scandisca  i  tempi  e  le  modalita'  delle
previste dismissioni». 
    Da questo punto di vista le disposizioni dell'art. 1, commi 611 e
612, qui impugnate si dimostrano irragionevoli e  lesive  del  canone
del buon andamento della pubblica amministrazione, la cui  violazione
si riflette nelle  competenze  costituzionalmente  riconosciute  alle
Regioni, ledendone anche l'autonomia finanziaria di  cui  all'art.119
Cost. 
    Inoltre, non prevedendo alcuna differenziata  considerazione  dei
processi gia'  avviati  da  alcune  realta'  regionali  (come  invece
richiederebbero i principi di differenziazione e adeguatezza  di  cui
all'art. 118 Cost.)  e  nessun  coinvolgimento  delle  Regioni  nella
definizione del processo di razionalizzazione (in  violazione  quindi
del principio di leale collaborazione di cui all'art.120  Cost.),  le
norme  impugnate  risultano  lesive  della  materia   di   competenza
residuale regionale «organizzazione e funzionamento  della  Regione»,
riconducibile al quarto comma dell'art. 117 della Costituzione (fatte
salve le competenze che l'art.  123  Cost.  assegna  in  tale  ambito
materiale alla fonte statutaria). 
    Invero, come questa Ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di  rilevare:
«Non si puo'  evidentemente  negare  la  competenza  del  legislatore
statale in tema di organizzazione amministrativa dello Stato e  degli
enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma,  lettera  g,  della
Costituzione)  (...)  Per  cio'  che  concerne,  invece,  i   profili
organizzativi  delle  Regioni  e  delle  Province  autonome,   sembra
evidente che il legislatore statale non dispone  in  materia  di  una
propria competenza, la quale appartiene, invece, alle stesse  Regioni
e Province autonome.» (sent. n. 159/2008). 
    La compressione della competenza legislativa regionale, peraltro,
non puo'  nemmeno  giustificarsi  in  quanto  volta  a  garantire  il
rispetto di principi di coordinamento della finanza  pubblica,  posto
che le norme impugnate (che peraltro nemmeno si autoqualificano  come
norme di principio) invece recano disposizioni dettagliate e puntuali
non riconducibili ai predetti principi. 
    Come precisato dalla citata sentenza,  infatti,  «quand'anche  la
norma impugnata venga collocata  nell'area  del  coordinamento  della
finanza pubblica, e' palese che il  legislatore  statale,  vincolando
Regioni e Province autonome all'adozione di misure  analitiche  e  di
dettaglio, ne ha compresso illegittimamente l'autonomia  finanziaria,
esorbitando dal compito di formulare  i  soli  principi  fondamentali
della materia». 
    I commi  611  e  612,  quindi,  stabilendo  in  modo  puntuale  e
dettagliato (ma indifferenziato - senza quindi considerare i processi
gia' eventualmente avviati a livello regionale -) criteri,  modalita'
e tempi del processo di  razionalizzazione  delle  societa'  e  delle
partecipazioni societarie, risultano  costituzionalmente  illegittimi
per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione,  nonche'  degli
articoli 117, III e IV comma, 118, 119 della Costituzione, in  quanto
intersecano  e  interferiscono  indebitamente  con  un  processo   di
razionalizzazione gia' avviato dalla regione Veneto. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 629, lettera  b),
comma 632, comma 633, per violazione degli articoli 3, 97, 117, comma
I, 118 e 119 della Costituzione. 
    Il comma 629, lettera  b)  dell'art.1  della  Legge  n.  190/2014
modifica il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre  1972,
n.  633,  inserendovi  l'art.  17-ter  «Operazioni   effettuate   nei
confronti di enti pubblici» che dispone: «1. Per le cessioni di  beni
e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato,
degli organi dello Stato ancorche' dotati di personalita'  giuridica,
degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra  essi  costituiti
ai  sensi  dell'articolo  31  del  testo  unico  di  cui  al  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, delle
camere di commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura,  degli
istituti universitari, delle aziende  sanitarie  locali,  degli  enti
ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente
carattere  scientifico,  degli  enti   pubblici   di   assistenza   e
beneficenza e di  quelli  di  previdenza,  per  i  quali  i  suddetti
cessionari o committenti non sono debitori d'imposta ai  sensi  delle
disposizioni in materia d'imposta sul valore aggiunto,  l'imposta  e'
in ogni caso versata dai medesimi secondo modalita' e termini fissati
con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze». 
    Si introduce in tal modo il meccanismo del cd. split payment, per
cui nelle cessioni di beni e le prestazioni di servizi  eseguite  nei
confronti di enti pubblici l'imposta sul valore aggiunto e'  in  ogni
caso versata dai  medesimi  soggetti  pubblici  allo  Stato,  secondo
modalita' e termini fissati con decreto del Ministro dell'economia  e
delle finanze. Pertanto, i fornitori di beni e servizi alla  pubblica
amministrazione riceveranno  l'importo  del  corrispettivo  al  netto
dell'Iva che verra' cosi' versata, dai soggetti pubblici  cessionari,
direttamente all'erario. 
    In questi termini l'art. 1, comma 629, lett. b) impone anche alla
Regione e agli altri  enti  del  sistema  regionale  (ad  esempio  le
aziende sanitarie locali)  di  versare  l'IVA  non  piu'  al  proprio
fornitore ma direttamente allo Stato. 
    Tale misura e' stata adottata disponendone  l'entrata  in  vigore
dal 1°  gennaio  2015  senza  il  preventivo  assenso  del  Consiglio
dell'Unione Europea. Il comma  632,  infatti,  dispone:  «L'efficacia
delle disposizioni di cui  al  comma  629,  lettera  a),  numero  3),
capoverso d-quinquies), e' subordinata  al  rilascio,  da  parte  del
Consiglio dell'Unione europea, di  una  misura  di  deroga  ai  sensi
dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio,  del  28
novembre 2006, e successive modificazioni. Le disposizioni di cui  al
comma  629,  lettera  b),  nelle  more   del   rilascio,   ai   sensi
dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE, della misura di deroga
da  parte  del  Consiglio  dell'Unione  europea,   trovano   comunque
applicazione per le operazioni per  le  quali  l'imposta  sul  valore
aggiunto e' esigibile a partire dal 1° gennaio 2015». 
    Il successivo periodo del comma 632  poi  dispone:  «In  caso  di
mancato rilascio delle suddette misure di deroga,  con  provvedimento
del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli,  da  adottare
entro il 30 giugno 2015, l'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla
benzina con piombo, nonche' l'aliquota dell'accisa sul gasolio  usato
come  carburante,  di  cui  all'allegato  I  al  testo  unico   delle
disposizioni legislative concernenti le imposte  sulla  produzione  e
sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative,  di  cui  al
decreto  legislativo  26  ottobre  1995,   n.   504,   e   successive
modificazioni, sono aumentate in misura tale da determinare  maggiori
entrate nette non inferiori a 1.716 milioni di euro a  decorrere  dal
2015; il provvedimento e' efficace dalla data  di  pubblicazione  nel
sito internet dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli». 
    Il comma 633 commina, infine,  una  sanzione  amministrativa  per
omessi o tardivi versamenti. Dispone, infatti: «Nei  confronti  degli
enti pubblici  cessionari  o  committenti  nei  casi  previsti  dalle
disposizioni di  cui  al  comma  629,  lettera  b),  che  omettono  o
ritardano  il  versamento  dell'imposta  sul  valore   aggiunto,   si
applicano le sanzioni di cui all'articolo 13 del decreto  legislativo
18 dicembre 1997, n. 471, e  successive  modificazioni,  e  le  somme
dovute sono riscosse mediante l'atto di recupero di cui  all'articolo
1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311». 
    Da ultimo e' opportuno precisare che  in  attuazione  dei  citati
commi e' stato, emanato dal Ministero dell'economia e  delle  finanze
il decreto che disciplina le «Modalita' e termini per  il  versamento
dell'imposta  sul  valore   aggiunto   da   parte   delle   pubbliche
amministrazioni» (Gazzetta Ufficiale, Serie  Generale  n.  27  del  3
febbraio 2015). 
    In tale decreto si precisa, all'art. 9, comma 1 e 2, che  «1.  Le
disposizioni del presente decreto si applicano alle operazioni per le
quali e' stata emessa fattura a partire dal 1° gennaio 2015. 
    2. Fino all'adeguamento dei processi e  dei  sistemi  informativi
relativi alla gestione  amministrativo  contabile  e,  comunque,  non
oltre il 31 marzo  2015,  le  pubbliche  amministrazioni  individuate
nell'art. 1 del presente decreto sono tenute ad accantonare le  somme
occorrenti per il successivo versamento dell'imposta, da  effettuarsi
in ogni caso entro il 16 aprile 2015». 
    Si tratta di disposizioni  viziate  d'incostituzionalita'  per  i
profili che seguono. 
    Innanzitutto,  le   disposizioni   impugnate   risultano   lesive
dell'art.117, I comma, della Costituzione la  quale  impone  che  «la
potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto  della   Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». 
    Nel caso di specie, infatti,  a  fronte  della  presentazione  da
parte del Dipartimento delle finanze alla Commissione  europea  della
richiesta di una misura in deroga (il meccanismo dello split  payment
non e' infatti  contemplato  dalla  normativa  armonizzata  contenuta
nella direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 o direttiva IVA)  ai
sensi  dell'art.  395  della  direttiva  2006/112/CE,  la   normativa
impugnata ha  previsto  l'immediata  applicabilita'  della  stessa  a
partire dal 1° gennaio 2015, senza quindi, come detto,  attendere  la
preventiva autorizzazione del Consiglio dell'Unione europea. 
    L'art. 395 della direttiva 2006/112/CE, infatti  dispone  che  il
Consiglio «puo' autorizzare ogni Stato membro  ad  introdurre  misure
speciali di deroga alla presente direttiva allo scopo di semplificare
la riscossione dell'imposta o di evitare talune evasioni  o  elusioni
fiscali» senza prevedere in alcun modo la possibilita', per gli Stati
membri, di introdurre le suddette misure  prima  del  rilascio  della
suddetta autorizzazione (7) 
    E' utile precisare che nello stesso dossier n. 71, dicembre 2014,
del Servizio  bilancio  del  Senato,  Nota  di  Lettura.  A.S.  1698:
Disposizioni per la formazione del  bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015), e'  stato  precisato  che  lo
split payment e' invero subordinato alla  valutazione  del  Consiglio
dell'Unione europea (allegato n. 14). 
    E' quindi evidente  la  violazione  delle  regole  procedimentali
previste dalla direttiva 2006/112/CE. 
    La  violazione  della  suddetta  direttiva  e'  stata,  peraltro,
rilevata anche nella Documentazione per l'esame di Progetti di  legge
- Profili finanziari del 20 dicembre 2014  predisposta  dalla  Camera
dei  deputati  dove  si   afferma:   «in   merito   ai   profili   di
quantificazione appare  opportuna  una  valutazione  del  Governo  in
merito alla prudenzialita' della previsione, tenuto conto che in caso
di mancato rilascio dell'autorizzazione comunitaria, oltre al mancato
realizzo degli effetti  positivi  ascritti  alla  disposizione  sullo
split payment a decorrere dal  2015,  potrebbe  essere  attivata  una
procedura di infrazione nei confronti dell'Italia» (allegato n. 15). 
    La suddetta violazione dell'art. 117, I comma, Cost. si riverbera
sulla sfera di competenze delle Regioni per due ordini di motivi. 
        i) In primo luogo perche' le disposizioni impugnate impongono
fin da subito alle Regione e  agli  enti  del  sistema  regionale  un
irragionevole onere e costo  di  adeguamento  immediato  dei  sistemi
informativi  relativi   alla   gestione   amministrativo   contabile,
destinato a rivelarsi inutile qualora non avvenga il  rilascio  delle
suddette misure di deroga da parte delle autorita' europee. 
    Si tratta di costi non irrilevanti,  dato  l'obbligo  di  operare
tramite  fattura  elettronica  previsto  dal  decreto  del   Ministro
dell'economia e delle finanze del 3 aprile 2013, n. 55, con il  quale
e'  stato  adottato  il  regolamento   in   materia   di   emissione,
trasmissione e ricevimento della fattura  elettronica  da  applicarsi
alle amministrazioni pubbliche Occorre peraltro considerare che detti
costi sono stati sopportati da tutto il sistema regionale, quindi non
solo dalla Regione, ma anche da tutte  le  aziende  sanitarie  locali
(oltre che da tutto il sistema degli enti locali), per cui  l'impatto
finanziario complessivo dell'onere e' notevole. 
    Da questo punto di vista, oltre alla sopra evidenziata violazione
dell'art. 117, I comma, si evidenzia una lesione costituzionale anche
dei principi  di  ragionevolezza  e  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione di cui agli articoli 3 e 97  della  Costituzione.  Si
tratta di violazioni che,  nel  caso  di  specie,  ridondano  in  una
lesione dell'autonomia amministrativa e finanziaria regionale, di cui
agli artt. 118 e 119, costretta a far fronte, senza alcun  contributo
statale, al nuovo costo di adeguamento dei  sistemi  informatici.  Un
costo che, come visto, potrebbe rivelarsi del tutto  inutile  qualora
l'autorizzazione venisse negata. 
        ii) In secondo luogo, perche'  la  Regione,  cosi'  come  gli
altri enti del sistema regionale, non potranno piu' compensare  l'IVA
sugli acquisti con quella  sulle  vendite  e  dovranno  chiederne  il
rimborso allo Stato sostenendone l'onere (derivante dalla  necessita'
di accompagnare la richiesta di rimborso, in base a quanto prevede in
via generale la normativa vigente, da  fideiussione  o  da  visto  di
conformita'). Si determina quindi un'ulteriore lesione dell'autonomia
finanziaria regionale. 
    Questa evenienza si verifica in tutte quelle ipotesi  in  cui  la
Regione si trova a dovere applicare  l'IVA  nei  confronti  di  altri
soggetti pubblici: a titolo solo esemplificativo  si  consideri  che,
nell'ambito della gestione del BUR regionale (legge regionale  n.  29
del 27 dicembre 2011), la Regione vende gli spazi sul BUR a Comuni  e
ad altri locali  (8)  per cui in questi casi  non  riscuotera'  piu',
per effetto del meccanismo dello split payment, l'IVA  sulla  fatture
di vendita, che i suddetti Comuni ed enti  locali  verseranno  invece
direttamente allo Stato. In tutti questi casi, quindi, la  Regione  e
gli altri enti del sistema regionale non possono piu'  effettuare  la
compensazione e dovranno  richiedere  rimborso  alla  Stato  dell'Iva
sugli acquisti, con i relativi costi di cui sopra. 
    Da  ultimo,  riprendendo  quando  affermato  in  premessa   sulla
violazione  del   diritto   comunitario,   occorre   precisare   come
nell'ipotesi appena descritta (trattandosi  di  operazioni  tra  enti
pubblici)  non   sia,   peraltro,   in   alcun   modo   configurabile
l'applicabilita' del meccanismo del Quick Reation Mechanism - QRM  di
cui  all'art.  l  della  Direttiva  2013/42/UE,  che  modificando  la
direttiva 2006/112/CE ha introdotto l'art. 199-ter consentendo a  uno
Stato membro di introdurre  un  meccanismo  di  reazione  rapida  (ma
sempre previo consenso della Commissione) per combattere le frodi  in
materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), notificando  l'adozione
di una misura speciale che deroga alla norma generale prevista  dalla
direttiva 2006/112/CE, relativa al  soggetto  debitore  dell'IVA.  La
suddetta misura, infatti, consiste nell'applicazione  del  meccanismo
d'inversione contabile dell'IVA per  combattere  le  forme  di  frode
improvvisa e massiccia, che potrebbero condurre a perdite finanziarie
gravi e irreparabili. 
    Al riguardo occorre precisare che,  in  primo  luogo  il  Governo
italiano non ha dichiarato di avvalersi, ne' a rigore nemmeno avrebbe
potuto, del meccanismo QRM, ne' ha effettuato notifiche in tal  senso
alle autorita' europee. 
    In secondo  luogo  e'  del  tutto  evidente  che  in  ipotesi  di
operazioni tra Enti pubblici la prospettazione della condizione delle
frodi massicce e improvvise e' del tutto impossibile da configurare. 
    In conclusione, quindi, e' evidente che la  disciplina  censurata
interviene al di fuori dell'ambito di operativita' del QRM  e  dunque
non  puo'  ritenersi  in  alcun  modo   legittimata   in   forza   di
quest'ultimo. 
 
                       Istanza di Sospensione 
 
    La Regione del Veneto chiede che codesta ecc.ma Corte, nelle more
del giudizio di legittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  di
legge statale qui censurate, sospenda l'esecuzione dell'art. 1, commi
398, lett. a), b) e c), 414 e 556, nonche'  dell'art.  1  comma  629,
lettera b), comma 632, comma 633, ai sensi dell'art. 35  della  legge
n. 87/53, come sostituito dall'art. 9 della  lgge  n.  131/2003,  che
tanto consente in presenza di  un  rischio  di  pregiudizio  grave  e
irreparabile all'interesse pubblico o per i diritti dei cittadini. 
    Quanto all'art. 1, commi 398, lett. a), b) e c), 414  e  556,  si
tratta di un taglio alla spesa per beni  e  servizi  adottato,  sotto
molteplici  profili,  in  violazione  dei  criteri  stabiliti   dalla
giurisprudenza  di  questa  ecc.ma  Corte  costituzionale,   la   cui
attuazione, data l'abnorme entita' della misura (oltre 3 miliardi  di
euro) e sommandosi a quelle  in  precedenza  attuate  (rispetto  alle
quali la Corte dei Conti, delibera n. 29 del  29  dicembre  2014,  ha
gia' eppure evidenziato come alle Regioni sia  stato  richiesto  «uno
sforzo  di  risanamento  non  proporzionato  all'entita'  delle  loro
risorse»), determinerebbe, come piu' ampiamente motivato nel ricorso,
o il sostanziale azzeramento della spesa extra sanitaria per  beni  e
servizi delle Regioni, e/o la  messa  a  repentaglio,  come  rilevato
dalla Corte dei Conti sempre nella delibera n.  29  del  29  dicembre
2014, dell'adempimento dei livelli essenziali  delle  prestazioni  in
materia di diritto alla salute. 
    E' del tutto evidente (anche a prescindere dall'eventuale  futuro
raggiungimento di un'intesa con alcune Regioni - al momento  in  ogni
caso non raggiunta nei termini previsti), l'irreparabilita' del danno
che si verrebbe a verificare nelle more  ordinarie  del  giudizio  di
legittimita' costituzionale posto che, qualora l'udienza si svolgesse
non  prima  della  chiusura  dell'esercizio  finanziario  in   corso,
inevitabili ripercussioni si saranno verificate sui servizi erogati a
favore dei cittadini. 
    Quanto all'art. 1, comma 629, lettera b), comma 632,  comma  633,
si tratta dell'introduzione di un meccanismo, il  cd.  split  payment
adottato in violazione del diritto comunitario e  la  cui  attuazione
costringerebbe tutto il sistema regionale a sostenere  ingenti  spese
per  un  inutile  adeguamento  di  tutti  i  sistemi  informativi   e
contabili, con rilevanti  danni  ed  irreparabili  danni  al  sistema
regionale  (regione  e  aziende  sanitarie)  anche  in  relazione  al
rispetto dei tempi di pagamento delle imprese. 
    Risponde dunque all'interesse  generale  sospendere  l'esecuzione
delle suddette disposizioni, nelle more del giudizio di  legittimita'
costituzionale, dato il concreto rischio di un pregiudizio  grave  ed
irreparabile per i diritti dei cittadini, nonche' di un  irreparabile
pregiudizio all'interesse pubblico. 
    E' appena il caso di  notare  come  codesta  ecc.ma  Corte  abbia
recentemente  riconosciuto  la   cogenza   di   ragioni   di   tenuta
economico-finanziaria, nel contesto della sentenza n.  10  del  2015,
ove ha tenuto  «in  debita  considerazione  l'impatto  che  una  tale
pronuncia determina su altri  principi  costituzionali,  al  fine  di
valutare l'eventuale necessita'  di  una  graduazione  degli  effetti
temporali della propria decisione sui rapporti pendenti.» 
    Se in quel caso codesta Corte ha rammentato la necessita' che «la
Costituzione sia  garantita  come  un  tutto  unitario,  in  modo  da
assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» (sentenza  n.  264
del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione»,
al punto da graduare gli effetti delle proprie decisioni,  in  questo
caso  la  mancata  sospensiva,  e  dunque  le   dinamiche   meramente
processuali, potrebbero avere  effetti  ugualmente  irreparabili  sul
sistema finanziario regionale. 

(1) In realta' nemmeno  si  poteva  affermare  con  certezza  che  le
    disposizioni del decreto legge n. 66 del 2014 avessero  stabilito
    un vero e proprio limite temporale ai tagli, tanto che il Dossier
    n. 178 del 9 giugno 2014 del Servizio Bilancio della  Camera  dei
    Deputati, a pag. 47 si afferma: «Si rileva, infine, che le  norme
    recate dall'ultimo  periodo  del  comma  4  stabiliscono  che  le
    riduzioni di spesa hanno natura permanente mentre  l'articolo  47
    (46), che include le riduzioni di spesa recate  dall'articolo  in
    esame, fissa obiettivi di risparmio  per  gli  enti  territoriali
    solo fino al 2017. Appare, pertanto, necessario  che  il  Governo
    chiarisca se la riduzione delle spese prevista  dall'articolo  in
    esame abbia natura permanente» 

(2) Sono            annualmente            pubblicati             sul
    sito  http://www.mef.gov.it/ministero/commissioni/copaff/ 

(3) Cfr. per tutti, F. PAMMOLLI , G. PAPA, N. C.  SALERNO,  La  spesa
    sanitaria pubblica in Italia:  dentro  la  'scatola  nera'  delle
    differenze    regionali.     Il     modello     SaniRegio,     in
    http://www.astrid-online.it/Politiche-/Documenti/CERM
    Sanit-_26_10_09.pdf 

(4) CAMERA DEI DEPUTATI,  Commissioni  riunite  V  (Bilancio)  e  XII
    (Affari Sociali), Indagine conoscitiva sulla sfida  della  tutela
    della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi
    di finanza pubblica, 4 giugno 2014. 

(5) CORTE DEI CONTI, Relazione sulla gestione finanziaria degli  enti
    territoriali, Deliberazione n. 29 del 29 dicembre 2014, p. VII. 

(6) E ancora, la Legge  regionale  27  aprile  2012,  n.  17  recante
    Disposizioni  in  materia  di  risorse  idriche   nell'istituire,
    all'art. 3, i Consigli di bacino quali forme di cooperazione  tra
    i Comuni per la  programmazione  e  organizzazione  del  servizio
    idrico integrato ha stabilito che: 'Ai  fini  della  costituzione
    dei  Consigli  di  bacino,  i  comuni  ricadenti   negli   ambiti
    territoriali ottimali di  cui  all'articolo  2  sottoscrivono  la
    convenzione per la cooperazione previa presa d'atto della  stessa
    da parte di ciascun comune, in conformita'  al  proprio  statuto'
    (art. 3, comma  2,  l.r.  n.  17/2012).  Analogamente,  la  Legge
    regionale 31 dicembre 2012, n. 52 recante Nuove disposizioni  per
    l'organizzazione del servizio di gestione integrata  dei  rifiuti
    urbani ed attuative dell'articolo 2, comma 186 bis della legge 23
    dicembre  2009,  n.  191  'Disposizioni  per  la  formazione  del
    bilancio annuale e pluriennale  dello  stato  (legge  finanziaria
    2010), nel costituire, all'art.  4,  i  consigli  di  bacino,  ha
    disposto che:  'gli  enti  locali  ricadenti  in  ciascun  bacino
    territoriale approvano una apposita convenzione ai  sensi  e  per
    gli effetti dell'articolo 30 del decreto  legislativo  18  agosto
    2000, n. 267'.  La  suindicata  convenzione  prevede  inoltre  la
    costituzione  di  un'assemblea  di  bacino,  presieduta   da   un
    presidente espresso dalla maggioranza dei componenti  l'assemblea
    e formata dai rappresentanti degli enti  locali  partecipanti  al
    consiglio di bacino, o loro delegati (art. 4, commi 1 e  2,  l.r.
    n. 52/2012). 

(7) Art. 395, direttiva 2006/112/CE: '1.  Il  Consiglio,  deliberando
    all'unanimita' su proposta della  Commissione,  puo'  autorizzare
    ogni Stato membro ad introdurre misure speciali  di  deroga  alla
    presente direttiva, allo scopo  di  semplificare  la  riscossione
    dell'imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali.  Le
    misure  aventi  lo   scopo   di   semplificare   la   riscossione
    dell'imposta non devono influire, se non in misura  trascurabile,
    sull'importo complessivo delle entrate fiscali dello Stato membro
    riscosso allo stadio del consumo finale. 2. Lo Stato  membro  che
    desidera introdurre le misure di cui al  paragrafo  1  invia  una
    domanda alla Commissione fornendole tutti i dati necessari. Se la
    Commissione ritiene di non essere in possesso  di  tutti  i  dati
    necessari, essa contatta lo Stato membro  interessato  entro  due
    mesi dal ricevimento della domanda, specificando  di  quali  dati
    supplementari necessiti. Non appena  la  Commissione  dispone  di
    tutti i dati che ritiene necessari per la valutazione, ne informa
    lo Stato membro richiedente entro un mese e trasmette la domanda,
    nella lingua originale, agli altri Stati membri. 3. Entro  i  tre
    mesi successivi all'invio dell'informazione di cui  al  paragrafo
    2, secondo  comma,  la  Commissione  presenta  al  Consiglio  una
    proposta appropriata o, qualora  la  domanda  di  deroga  susciti
    obiezioni da parte sua, una comunicazione nella quale espone tali
    obiezioni. 4. La procedura di cui ai paragrafi 2 e 3 deve  essere
    completata, in ogni caso, entro otto mesi dal  ricevimento  della
    domanda da parte della Commissione» 

(8) Cfr. artt. 5, 11, 17 della Legge regionale n. 29 del 27  dicembre
    2011: Art. 5, Articolazione - parte terza: "1. Nella parte  terza
    del  BURVET  sono  pubblicati:  a)  le  richieste  di  referendum
    regionali e  la  proclamazione  dei  relativi  risultati;  b)  le
    sentenze  e  le  ordinanze  della  Corte   costituzionale   sulle
    questioni in cui la Regione e' parte; i ricorsi della Giunta e  i
    ricorsi  del  Governo  o  di  altre  regioni  su   questioni   di
    legittimita' costituzionale e per  i  conflitti  di  attribuzione
    davanti alla Corte costituzionale in cui la Regione e' parte;  c)
    le  ordinanze  con  cui  gli  organi  giurisdizionali   sollevino
    questioni di legittimita' costituzionale di leggi regionali; d) i
    bandi e gli avvisi di concorso della Regione e degli  altri  enti
    pubblici, la cui pubblicazione sia disposta da  leggi  statali  o
    regionali; e) i bandi e gli  avvisi  relativi  ad  appalti  della
    Regione e degli altri enti pubblici,  la  cui  pubblicazione  sia
    disposta da  leggi  statali  o  regionali;  f)  gli  avvisi  e  i
    comunicati  la  cui  pubblicazione  sia  disposta  dalla   Giunta
    regionale o dal suo Presidente; g)  gli  avvisi  e  i  comunicati
    finalizzati   alla   informazione,   alla   conoscenza   o   alla
    partecipazione al processo di  formazione  della  volonta'  della
    Regione, la cui pubblicazione sia  disposta  dal  Presidente  del
    Consiglio regionale; h) gli avvisi e i comunicati di  altri  enti
    pubblici e soggetti privati la cui pubblicazione sia prevista  da
    leggi statali o regionali.' Art. 11,  Tariffe  delle  inserzioni:
    «1. La pubblicazione degli  atti  della  Regione  effettuata  nel
    BURVET e' gratuita. 2. E', altresi',  gratuita  la  pubblicazione
    effettuata nel BURVET degli atti di altri enti ed amministrazioni
    che siano stati adottati per conto della Regione  o  su  incarico
    della stessa. 3. Salvo le ipotesi di cui  ai  commi  1  e  2,  la
    pubblicazione degli atti nel BURVET e' subordinata  al  pagamento
    di una tariffa stabilita dalla Giunta regionale." Art. 17,  Norma
    finanziaria:   1.   Le   entrate   derivanti    dall'applicazione
    dell'articolo 11 sono introitate nell'upb E0040 "Vendita di Beni"
    del bilancio di previsione 2011 e pluriennale 2011-2013