Ricorso della Regione Lombardia (C.F. 80050050154), con  sede  in
Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia,  n.  1,  in  persona  del
Presidente pro tempore, Roberto Maroni, rappresentata  e  difesa,  in
forza di procura a margine del  presente  atto  ed  in  virtu'  della
Deliberazione di Giunta regionale n. 3150 del 18 febbraio 2015  (doc.
1), dal Prof. Avv. Francesco Saverio Marini del  foro  di  Roma  (CF.
MRNFNC73D28H501U;   pec:francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.org
fax. 06.36001570), presso il  cui  studio  in  Roma,  via  dei  Monti
Parioli, 48, ha eletto domicilio; 
    -ricorrente- 
    Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo
Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  con  domicilio  in  Roma  (00186),  via  dei
Portoghesi, 12; 
    -resistente- 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del
Bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  Stabilita'
2015)»,  pubblicata  nella  Gazzetta   Ufficiale   della   Repubblica
italiana, n. 300, Suppl. Ordinario  n.  99,  del  29  dicembre  2014,
limitatamente all'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557,  di
tale atto normativo. 
 
                                Fatto 
 
    1. La legge 23 dicembre 2014, n. 190, pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana n. 300, Suppl. Ordinario  n.  99,
del 29 dicembre  2014,  reca  «Disposizioni  per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'
2015)». 
    2. Molte delle norme  contenute  nella  citata  legge,  tuttavia,
incidono indebitamente su sfere di competenza e attribuzioni  che  la
Costituzione riserva alla Regione, nonche'  alle  Province  e  Citta'
metropolitane situate sul territorio di quest'ultima. 
    Si tratta, in particolare, delle seguenti previsioni normative: 
        l'art. 1, comma 20, che, a decorrere  dal  periodo  d'imposta
successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014,  aggiunge  all'art.
11 del d.lgs. n. 446  del  1997  (recante  "Istituzione  dell'imposta
regionale sulle  attivita'  produttive,  revisione  degli  scaglioni,
delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef  e  istituzione  di  una
addizionale  regionale  a  tale  imposta,  nonche'   riordino   della
disciplina dei tributi locali") il nuovo comma 4-septies. La norma in
questione, nel  disciplinare  le  modalita'  di  calcolo  della  base
imponibile ai fini IRAP, ammette in deduzione - per  le  societa'  di
capitali, gli enti commerciali, i  produttori  agricoli  titolari  di
reddito agrario di  cui  all'articolo  32  del  TUIR,  gli  esercenti
attivita' d'allevamento d'animali di cui  all'art.  78  del  predetto
TUIR - la differenza  tra  il  costo  complessivo  per  il  personale
dipendente con contratto a tempo indeterminato e  le  deduzioni  gia'
spettanti ai sensi dei commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis.1 e 4-quater
dello stesso art. 11. Per i produttori agricoli titolari  di  reddito
agrario di cui all'articolo 32 del  TUIR,  la  deduzione  e'  ammessa
altresi' per ogni lavoratore agricolo dipendente avente  i  requisiti
di cui al comma 1.1 dell'art. 11. 
        l'art. 1, comma 398, che novella il comma 6 dell'art. 46  del
d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge  n.  89
del 2014. 
    Per cio' che qui rileva, la disposizione incrementa il contributo
alla finanza pubblica dovuto dalle Regioni ordinarie,  per  gli  anni
2015-2018, di 3.452 milioni di euro annui, in ambiti di spesa  e  per
importi complessivamente proposti,  fermi  i  livelli  essenziali  di
assistenza, in sede di autocoordinamento dalle Regioni. La  posizione
espressa dalle Regioni, ai  sensi  della  norma  in  questione,  deve
successivamente essere recepita in un'intesa,  adottata  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31  gennaio  2015.
In caso non si addivenga ad intesa nel termine da ultimo  menzionato,
gli importi sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio
dei  ministri,  adottato  previa  deliberazione  del  Consiglio   dei
ministri, e sono assegnati ad ambiti di spesa  nonche'  alle  singole
Regioni, tenendo conto del PIL, della popolazione residente  e  delle
risorse destinate al finanziamento corrente  del  Servizio  Sanitario
Nazionale. 
        l'art. 1, comma 421, che  stabilisce  la  dotazione  organica
delle Citta' metropolitane e delle Province, a decorrere  dalla  data
di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, in  misura  pari
alla spesa del personale di ruolo alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge 7 aprile 2014, n. 56,  ridotta  del  30%  per  le  Citta'
metropolitane, del 50% per le Province, del 30% per le  Province  con
territorio interamente montano e confinanti con  Paesi  stranieri  di
cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014. 
        l'art. 1, comma 424, che, per gli anni 2015-2016, vincola  le
Regioni e gli enti locali a destinare le risorse per le assunzioni  a
tempo  indeterminato  all'immissione  nei  ruoli  dei  vincitori   di
concorso pubblicato collocati nelle  proprie  graduatorie  vigenti  o
approvate alla data di entrata in vigore della  legge  di  stabilita'
2015,   nonche'   alla   ricollocazione   in   ruolo   delle   unita'
soprannumerarie destinate ai processi di mobilita'. La norma  prevede
altresi' che siano affette da nullita' tutte le assunzioni effettuate
in violazione della previsione. 
        l'art. 1, comma 555, che, in  attuazione  del  Patto  per  la
salute per gli anni 2014-2016  di  cui  all'intesa  10  luglio  2014,
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
Regioni e le Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  dichiara
applicabili le disposizioni di cui ai commi da 556 a 588 del medesimo
art. 1 della legge n. 190 del 2014. 
        l'art. 1, comma 556, che fissa il livello  del  finanziamento
del SSN cui concorre lo Stato in 112.062.000.000 euro per l'anno 2015
e  in  115.444.000.000  euro  per  l'anno   2016,   salve   eventuali
rideterminazioni in attuazione dell'articolo 46, comma 6, del d.l. n.
66 del 2014, come modificato dal comma 398 della legge di  stabilita'
2015. 
        l'art. 1, comma  557,  il  quale  novella  il  terzo  periodo
dell'art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, prevedendo che gli
eventuali risparmi nella gestione del SSN  conseguiti  dalle  Regioni
rimangono nella disponibilita' delle  Regioni  stesse  per  finalita'
sanitarie. 
    3.  Tutto  cio'  premesso,  la  Regione  Lombardia,  come   sopra
rappresentata e difesa, ritenuta la lesione della proprie  competenze
costituzionali  per  effetto  della  richiamata  disciplina  statale,
impugna l'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557 della  legge
n. 190 del 2014, alla luce dei seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    Preliminarmente, per  quanto  riguarda  la  legittimazione  della
Regione  a  far  valere  in  sede  di  giudizio  in  via   principale
l'interesse degli  enti  locali  situati  sul  suo  territorio,  deve
ricordarsi la consolidata giurisprudenza della Corte  costituzionale,
secondo cui "le  Regioni  sono  legittimate  a  denunciare  la  legge
statale anche per la lesione delle attribuzioni  degli  enti  locali,
indipendentemente  dalla   progettazione   della   violazione   della
competenza legislativa regionale.  Questa  Corte,  infatti,  ha  piu'
volte affermato il principio che la suddetta legittimazione  sussiste
in  capo  alle  Regioni,  in  quanto  da  stretta   connessione,   in
particolare [...] in tema di  finanza  regionale  e  locale,  tra  le
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie  locali  consente  di
ritenere che la lesione delle competenze  locali  sia  potenzialmente
idonea a determinare una  vulnerazione  delle  competenze  regionali»
(sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417  del  2005  e  n.  196  del
2004). Tale giurisprudenza si riferisce, in modo evidente, a tutte le
attribuzioni costituzionali delle  Regioni  e  degli  enti  locali  e
prescinde, percio', dal titolo di competenza  legislativa  esclusivo,
concorrente o residuale eventualmente invocabile  nella  fattispecie.
Essa, in particolare, non richiede, quale condizione  necessaria  per
la denuncia da parte della Regione  di  un  vulnus  delle  competenze
locali, che sia dedotta la violazione delle attribuzioni  legislative
regionali (cfr. sent. n. 298 del 2009, e, negli stessi termini  anche
la piu' recente sent. n. 220 del 2013). 
    Cio' chiarito, si passera' ora all'analisi dei singoli profili di
illegittimita' costituzionale delle norme impugnate. 
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 20,  della  legge
n. 190 del 2014, in relazione agli artt. 81, 119 e  al  principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 120 cost. 
    1. Come anticipato in narrativa, il comma  20,  a  decorrere  dal
periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31  dicembre  2014,
aggiunge all'art. 11 del d.lgs. n.  446  del  1997,  il  nuovo  comma
4-septies. La norma in questione, nel disciplinare  le  modalita'  di
calcolo della base imponibile ai fini IRAP, ammette  in  deduzione  -
per le societa' di  capitali,  gli  enti  commerciali,  i  produttori
agricoli titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR,
gli esercenti attivita' d'allevamento d'animali di  cui  all'art.  78
del predetto TUIR - la differenza tra il  costo  complessivo  per  il
personale  dipendente  con  contratto  a  tempo  indeterminato  e  le
deduzioni gia' spettanti ai sensi dei commi  1,  lettera  a),  1-bis,
4-bis.1 e 4-quater dello stesso art. 11. Per  i  produttori  agricoli
titolari di reddito agrario di  cui  all'articolo  32  del  TUIR,  la
deduzione e' ammessa altresi' per ogni lavoratore agricolo dipendente
avente i requisiti di cui al comma 1.1 dell'art. 11. 
    Cosi' disponendo, il comma 20 determina  una  grave  compressione
della finanza regionale, illegittima ai sensi degli artt. 81,  119  e
120 Cost. 
    2.  In  particolare,  la  disposizione  censurata   importa   una
decurtazione del gettito IRAP atteso compresa  fra  il  20,15%  e  il
23,7% del totale, per importi che oscillano fra i 18 e i  24  milioni
di Euro (doc. 2, p. 1). Ora, se si considera che  l'IRAP  rappresenta
una delle principali fonti di gettito regionale,  pari  al  4-5%  del
totale  delle  entrate,  e  che  la  decurtazione  ridurra'   dell'1%
l'ammontare degli introiti  complessivi  previsti  (doc.  2,  p.  4),
emerge con  evidenza  come  il  comma  20  produca  un  significativo
squilibrio nella finanza regionale, su base  annuale  e  pluriennale.
Squilibrio che assume un carattere di indiscussa  gravita',  tale  da
ingenerare una consistente alterazione del  rapporto  tra  risorse  e
bisogni regionali, ove lo si ponga in rapporto con  tutti  gli  altri
oneri imposti alle Regioni - cui  non  corrisponde  alcuna  forma  di
compensazione  -  dalla  legge  n.  190  del  2014.  Il  riferimento,
ovviamente, non e' solo agli incrementati obblighi  di  contribuzione
alla finanza pubblica, ma pure, fra l'altro, all'obbligo (di  cui  al
comma 424) di riassorbire, a valere su risorse proprie, il  personale
sovrannumerario delle Province. Senza contare, poi,  che  nell'ambito
del processo di riordino avviato dalla legge n. 56 del 2014, e' assai
verosimile che alla Regione  vengano  intestate  nuove  ed  ulteriori
funzioni. 
    Tutto cio' si pone in contrasto sia con  l'obbligo  di  copertura
delle spese, di cui all'art. 81, comma 3, Cost.; sia con  l'art.  119
Cost., il quale  prescrive  che  siano  assicurate  alle  Regioni  le
risorse necessarie all'integrale finanziamento delle funzioni. Non e'
senza significato, del resto, che l'art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011
- nell'attuare quanto gia' prescritto dall'art. 2, comma 2, lett.  t)
della legge n. 42 del 2009 -  disponga  a  chiare  lettere  che  "gli
interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi
regionali di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2),
della citata legge n. 42  del  2009  sono  possibili,  a  parita'  di
funzioni amministrative conferite, solo se prevedono  la  contestuale
adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica  di
aliquota o attribuzione di altri tributi". 
    La disciplina di cui al  comma  20  e'  altresi'  illegittima  in
relazione al principio di leale collaborazione, sancito dall'art. 120
Cost. e costituente il perno del federalismo fiscale, a partire dalla
summenzionata legge n. 42 del 2009, infatti,  l'intervento  sull'IRAP
e' stato deliberato dallo Stato al di fuori di qualunque  forma,  pur
minima,  d'interlocuzione  con  le  Regioni.  Anzi:  di  fronte  alla
rilevazione, in sede di Conferenza Unificata del  10  dicembre  2014,
della mancata copertura delle minori entrate IRAP, lo  Stato  non  ha
alcun modo dato seguito alle proposte regionali (doc. 3, pp. 6-7). 
    3. Per i  suesposti  motivi,  si  insiste  per  la  dichiarazione
d'incostituzionalita' del comma censurato. 
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 398, 555, 556  e
557 della legge n.  190  del  2014,  in  relazione  al  principio  di
ragionevolezza di cui all'art. 3, nonche' agli artt. 117, comma 6,  e
119 cost. 
    1. Con il comma 398, il legislatore statale novella  il  comma  6
dell'art. 46 del d.l. n. 66 del 2014,  convertito  con  modificazioni
dalla legge n. 89 del 2014. 
    La disposizione incrementa il contributo  alla  finanza  pubblica
dovuto dalle Regioni ordinarie, per  gli  anni  2015-2018,  di  3.452
milioni  di  euro  annui,  in  ambiti  di   spesa   e   per   importi
complessivamente proposti, fermi i livelli essenziali di  assistenza,
in sede di autocoordinamento dalle  Regioni.  La  posizione  espressa
dalle  Regioni,   ai   sensi   della   norma   in   questione,   deve
successivamente essere recepita in un'intesa,  adottata  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31  gennaio  2015.
In caso non si addivenga ad intesa nel termine da ultimo  menzionato,
gli importi sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio
dei  ministri,  adottato  previa  deliberazione  del  Consiglio   dei
ministri, e sono assegnati ad ambiti di spesa  nonche'  alle  singole
Regioni, tenendo conto del PIL e della popolazione residente, nonche'
considerando le  risorse  destinate  al  finanziamento  corrente  del
Servizio sanitario nazionale (SSN). 
    La previsione in questione si  mostra  illegittima  in  relazione
agli artt. 3, 117, comma 6, e 119  Cost.  Essa  si  rivela,  inoltre,
contraddittoria rispetto al disposto di cui all'art.  1,  commi  555,
556 e 557 della medesima legge di stabilita' 2015, in forza dei quali
- come rilevato in narrativa - gli eventuali risparmi nella  gestione
del SSN conseguiti dalle Regioni rimangono  nella  disponibilita'  di
queste per scopi sanitari. 
    2. Il comma 398 contrasta, innanzitutto, con l'art. 117, comma  6
Cost., che, nelle materie concorrenti quale e' il coordinamento della
finanza pubblica, assegna alle  Regioni  la  potesta'  regolamentare:
essa, infatti, attribuisce ad una fonte  normativa  secondaria  dello
Stato - nel caso di mancato raggiungimento  dell'intesa  in  sede  di
Conferenza - sia l'individuazione degli importi e dei relativi ambiti
di  destinazione,   sia   la   rideterminazione   dei   "livelli   di
finanziamento  degli  ambiti  individuati  e  [del]le  modalita'   di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato scelta  degli  ambiti
di assegnazione". 
    Non pare dubbio che il d.P.C.M.  cui  la  disposizione  censurata
rinvia sia atto sostanzialmente normativo, in  quanto  preordinato  a
disciplinare  in  via  generale  e  astratta   sia   i   livelli   di
finanziamento degli ambiti di spesa che  le  regole  di  acquisizione
delle risorse da parte dello Stato. Peraltro,  l'assenza  di  criteri
stringenti cui il decreto deve attenersi nell'individuare  tanto  gli
importi quanto gli ambiti di assegnazione -  fatta  eccezione  per  i
vaghi riferimenti al PIL, alla popolazione residente e  alle  risorse
per  il  SSN  -   lasciano   allo   Stato   amplissimi   margini   di
discrezionalita', rivelando la natura squisitamente politica,  e  non
meramente "tecnica", del decreto in parola. 
    Ebbene, se cosi' e', risulta chiara l'illegittimita' della  norma
censurata  rispetto   all'art.   117   comma   6:   per   consolidata
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, nelle materie concorrenti gli
atti statali sub-legislativi in tanto sono legittimi e vincolanti per
le Regioni, in quanto abbiano carattere  amministrativo  e  contenuto
esclusivamente tecnico, ponendosi come immediatamente  attuativi  dei
principi fondamentali della  materia;  viceversa,  ove  l'atto  abbia
contenuto normativo ed implichi ampi margini  discrezionali,  la  sua
previsione  e'  illegittima   alla   luce   dell'evocato   parametro,
comportando una violazione del riparto costituzionale della  potesta'
regolamentare (cfr., fra le molte, la sentt. nn. 39 del  2014  e  278
del 2010). 
    3.1. Il comma 398 della legge n. 190 del 2014 e' poi  illegittimo
nella parte in cui, sempre  nell'ipotesi  di  mancato  raggiungimento
dell'intesa con le Regioni, vincola il d.P.C.M.  ad  individuare  gli
ambiti e le Regioni beneficiarie del contributo aggiuntivo secondo  i
(vaghissimi) criteri di cui al primo periodo dell'art. 46,  comma  6,
del d.l. n. 66 del 2014:  vale  a  dire,  il  PIL  e  la  popolazione
residente, in aggiunta, poi, alle "risorse destinate al finanziamento
corrente del Servizio sanitario nazionale". 
    Come  e'  evidente,  l'adozione  di  tali  criteri  -  gli  unici
legislativamente  imposti  ad  un  decreto   altrimenti   del   tutto
discrezionale  nei  contenuti   -   porta   ad   una   penalizzazione
irragionevole delle Regioni piu' virtuose, censuratile ex artt.  3  e
119 Cost. 
    Infatti, il PIL e la popolazione residente non possono  in  alcun
modo essere assunti a parametro per tagli ai fondi che  finanziano  i
livelli  essenziali  delle  prestazioni:  un'operazione  di  spending
review in questo settore non potrebbe  che  poggiare  sul  costo  del
fabbisogno standard. Adottando, invece, i criteri censurati di cui al
comma 398, il legislatore statale ha ritenuto -  per  dirla  con  una
frase - che "se il territorio produce tanto PIL ed e' molto  popolato
allora  produce   tanti   sprechi":   si   tratta   di   un'equazione
assolutamente irragionevole, se non addirittura risibile. 
    Ad   aggravare   ulteriormente    i    profili    d'irragionevole
penalizzazione delle Regioni piu' virtuose, peraltro, concorre  anche
l'eliminazione dei criteri  del  "rispetto  dei  tempi  di  pagamento
stabiliti dalla direttiva  2011/7/UE,  nonche'  dell'incidenza  degli
acquisti centralivati", contenuti nell'art. 46, comma 6, del d.l.  n.
66 del 2014 e  abrogati  dal  censurato  comma  398.  E'  d'immediata
evidenza  che  il  venir  meno  di  tali  criteri  rende  aggredibili
indistintamente dalla spending review anche le Regioni  piu'  attente
al contenimento degli sprechi e al  corretto  impiego  delle  risorse
pubbliche, disincentivando cosi' le gestioni virtuose. 
    Posto che il contributo aggiuntivo  sia  da  un  punto  di  vista
letterale, sia da un punto di vista logico-sistematico, non ha e  non
potrebbe avere una finalita' perequativa - come dimostra, ad esempio,
la radicale inconciliabilita' fra  strumento  del  taglio  lineare  e
scopo redistributivo - i vizi  d'incostituzionalita'  non  verrebbero
meno, anche se si volesse far finta che si tratti  di  una  forma  di
perequazione. Infatti, il PIL e la popolazione residente non  possono
ritenersi indici sintomatici oggettivi e inequivoci  della  capacita'
fiscale degli abitanti, la quale e' il parametro centrale - questo si
realmente espressivo della ricchezza e dei bisogni - del  sistema  di
perequazione disegnato dall'art. 119 Cost. Ancor piu' irragionevole e
distorsivo e' il riferimento alla spesa corrente per il SSN: l'indice
in  questione  non  puo'   che   portare   a   premiare,   attraverso
l'assegnazione dei fondi, le  Regioni  con  una  piu'  ingente  spesa
sanitaria, senza distinguere pero' - e in cio' sta il paradosso - fra
Regioni che spendono di piu' a causa di  una  piu'  ingente  mole  di
servizi  erogati,  e  Regioni  che  spendono  di  piu'  a  causa   di
diseconomie e inefficienze organizzative e funzionali. 
    Nel  complesso,  dunque,  i   criteri   latissimi   fissati   dal
legislatore statale non solo  non  sono  espressivi  della  obiettiva
realta' economica  delle  diverse  Regioni,  ma  producono  dinamiche
irragionevoli, che premiano gli enti meno virtuosi  e  disincentivano
quelli   piu'   rispettosi   del   principio   del   buon   andamento
amministrativo. 
    3.2. Ancora, sempre ai sensi degli artt. 3 e 119 Cost., il  comma
398 si pone in irriducibile contrasto con i commi  555,  556  e  557,
attuativi del cd. "Patto per la salute" per gli  anni  2014-2016,  di
cui all'intesa 10 luglio 2014, sancita  dalla  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano. 
    Il contrasto appare evidente ove si consideri che, da un lato, ai
sensi del comma 398,  il  d.P.C.M.  individua  importi  e  ambiti  di
destinazione del contributo aggiuntivo  delle  Regioni  "considerando
anche le risorse destinate al  finanziamento  corrente  del  Servizio
sanitario nazionale"; dall'altro lato, il comma  557,  nel  novellare
l'art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011,  prevede  che  "fermo
restando quanto previsto dall'articolo 2, comma 80,  della  legge  23
dicembre 2009, n. 191, eventuali risparmi nella gestione del Servizio
sanitario  nazionale  e  effettuati  dalle  regioni  rimangono  nella
disponibilita' delle regioni stesse per finalita' sanitarie". 
    Ebbene, non si vede come la norma introdotta dal comma 557  possa
razionalmente conciliarsi con quella recata dal comma 398,  la'  dove
la prima esclude il trasferimento allo Stato dei risparmi  conseguiti
nella gestione del SSN; la seconda, invece, non solo  li  ricomprende
fra le risorse allocabili dal  d.P.C.M.  nell'ambito  del  contributo
regionale alla finanza pubblica, ma rimette altresi'  allo  Stato  la
scelta circa la finalita' cui destinarli. 
    Tale discrasia determina una irragionevolezza interna che inficia
sia il comma 398, sia i commi 555-557, e produce  una  grave  lesione
all'autonomia finanziaria regionale, dal momento  che  si  rende  del
tutto nebuloso e incerto il quadro delle risorse su cui impostare  la
programmazione finanziaria. 
    4. Infine, il comma 398 e' illegittimo alla luce  dell'art.  119,
comma 6 - nella denegata ipotesi in cui si ritenga che esso introduce
un contributo perequativo - poiche' impone alla Regione di  riversare
allo Stato fondi, ma al  di  fuori  delle  forme  e  delle  modalita'
prescritte dalla Costituzione. 
    In particolare, piu' volte codesta Ecc.ma  Corte  ha  evidenziato
come «gli interventi perequativi e solidali devono garantire  risorse
aggiuntive rispetto a quelle reperite per l'esercizio  delle  normali
funzioni",  devono  avere  uno  specifico  ambito   territoriale   di
localizzazione"  ed  essere  destinate   a   "particolari   categorie
svantaggiate destinatarie" (cfr., fra le molte,  sentt.  nn.  79  del
2014, 254 del 2013, 176 del 2012). 
    Nel caso di specie, tali condizioni non sono rispettate. Infatti,
il comma  398  introduce  un  ulteriore  obbligo  di  riversamento  -
aggiuntivo e distinto rispetto agli  importi  di  contribuzione  alla
finanza pubblica - privo di qualsivoglia  indicazione,  sia  rispetto
agli specifici  ambiti  territoriali  interessati,  sia  rispetto  ai
soggetti destinatari. 
    5. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la  dichiarazione
d'incostituzionalita' sia del comma 398 che dei commi 555, 556 e 557. 
III. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  421,  della
legge n. 190 del 2014, in relazione agli artt. 3, 97, 117, 118 e  119
cost. 
    1. Come  rilevato  in  narrativa,  il  comma  421  stabilisce  la
dotazione organica delle Citta' metropolitane  e  delle  Province,  a
decorrere dalla data di entrata in vigore della legge  di  stabilita'
2015, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla  data  di
entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta  del  30%
per le Citta' metropolitane, del 50% per le Province, del 30% per  le
Province con territorio interamente montano e  confinanti  con  Paesi
stranieri di cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n.
56 del 2014. 
    Cosi' facendo, la previsione in parola da un  lato  realizza  una
indebita  ingerenza  dello  Stato  nella   materia   "ordinamento   e
organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali",  la
quale rientra nella potesta' legislativa residuale delle  Regioni  ai
sensi dell'art. 117, comma 4, Cost.; dall'altro  lato,  introduce  un
taglio lineare e indiscriminato della dotazione organica delle Citta'
metropolitane e delle Province, che non tiene  conto  delle  funzioni
esercitate da tali enti, ponendoli di  fatto  nell'impossibilita'  di
operare appieno. 
    2. In particolare, sotto il primo  profilo,  piu'  volte  codesta
Ecc.ma Corte  ha  evidenziato  come  l'organizzazione  amministrativa
degli enti locali rientri nella potesta' legislativa residuale  delle
Regioni (cfr. sentt. nn. 326 del 2008, 233 del  2006;  cfr.  altresi'
indicazioni in tal senso nelle sentt. nn. 397 del 2006, 456 e 244 del
2005): posto che il testo costituzionale - come noto  -  ha  cura  di
riservare al legislatore statale la sola disciplina  dell'ordinamento
e  dell'organizzazione  amministrativa  dello  Stato  e  degli   enti
pubblici nazionali (art. 117,  lett.  g),  nonche'  degli  organi  di
governo e delle funzioni fondamentali degli enti  locali  (art.  117,
lett. p), la materia innominata in questione viene necessariamente  a
rientrare, in forza della clausola di residualita', entro l'art. 117,
comma 4. 
    Peraltro, l'esorbitanza della norma impugnata rispetto all'ambito
di competenza del legislatore statale  e'  ulteriormente  accentuata,
nel caso di specie, dalla circostanza che il comma 421  riduce  anche
le dotazioni organiche da destinarsi alle funzioni  non  fondamentali
che la Regione ha allocato  e  allochera'  a  livello  provinciale  e
metropolitano. In altre parole, la disposizione  censurata  non  solo
viola il riparto di competenze costituzionalmente stabilito, ma opera
anche un taglio drastico del personale  da  impiegare  nell'esercizio
delle funzioni non fondamentali, che in base alla Costituzione spetta
alla Regione allocare: con la conseguenza che quest'ultima si  vedra'
posta di fronte all'alternativa diabolica di riassumere  le  funzioni
che  erano  trasferite  alle  Province  o   di   affidarle   a   enti
strutturalmente inidonei a esercitarle; scelta  che,  in  ogni  caso,
produce esiti contrari rispetto sia al principio del  buon  andamento
di  cui  all'art.  97  Cost.,  sia  ai  principi  di  sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118 Cost. 
    3. Sotto il secondo profilo,  occorre  subito  osservare  che  la
norma, benche' operi un richiamo (puramente nominale) alla  legge  n.
56 del 2014, mostra, in effetti, di non  tenere  in  alcun  conto  il
riordino delle  funzioni  di  tali  livelli  di  governo  operato  da
quest'ultima legge. Anzi, a ben  vedere,  almeno  con  riguardo  alle
Citta' metropolitane, la rafia ispiratrice della legge n. 56 del 2014
e quella della  disposizione  censurata  si  pongono,  fra  loro,  in
irriducibile   contraddizione.   E'   del   tutto    paradossale    e
irragionevole, infatti, che una riforma, la quale  aumenta  poteri  e
funzioni delle Citta' metropolitane, sia "attuata" da  una  normativa
che, muovendosi in  senso  diametralmente  opposto,  riduce  in  modo
consistente le risorse organiche dell'ente. In  altri  termini:  come
puo' ritenersi ragionevole la scelta di ridurre la dotazione organica
delle Citta'  metropolitane,  nell'ambito  del  medesimo  disegno  di
riforma che ne moltiplica  le  funzioni,  configurandole  quali  enti
centrali del governo d'area vasta? 
    Venendo ad analizzare piu' nello specifico  il  comma  421,  esso
opera una riduzione aprioristica, rigida e uguale per tutti gli  enti
della dotazione organica, slegando la situazione di sovrannumero  dei
dipendenti dal dato della loro  afferenza  a  settori  connessi  alle
funzioni fondamentali degli enti, o a quelle  che  ad  essi  verranno
successivamente attribuite in aderenza ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza.  E  del  resto,  non  essendo  ancora
concluso  il  procedimento  di  individuazione  delle  funzioni   non
fondamentali delle Province e delle Citta' metropolitane, non si vede
in che modo la legge di stabilita' 2015  possa  pretendere  di  tener
conto del riordino avviato dalla legge n. 56 del 2014. 
    L'asimmetria che cosi'  si  determina  fra  risorse  organiche  e
funzioni implica tutta una serie  di  conseguenze  costituzionalmente
illegittime. 
    Innanzitutto, l'imposizione di tagli uguali per  tutti  gli  enti
esprime una pretesa di omogeneita' assolutamente priva di  fondamento
razionale: infatti, la realta' strutturale e  funzionale  degli  enti
locali italiani e' ben lungi dall'essere  uniforme,  presentando  una
moltitudine di situazioni distinte e  fra  loro  non  commensurabili.
Tale situazione, peraltro, e' stata non solo espressamente  recepita,
ma anche valorizzata dal legislatore  costituzionale  del  2001,  che
all'art. 118 ha inserito  il  principio  di  differenziazione  fra  i
criteri  guida  per  l'allocazione  delle  funzioni   amministrative.
Dunque, puo' ben dirsi che la radicale omogeneizzazione che la  norma
censurata pretende di imporre e' irragionevole rispetto all'effettivo
assetto degli enti locali, ed illegittima alla luce dei  principi  di
struttura del sistema italiano delle autonomie territoriali. 
    In secondo luogo, il taglio netto e  aprioristico  delle  risorse
organiche, operato a riassetto del complessivo quadro delle  funzioni
non ancora compiuto, pone  le  Citta'  metropolitane  e  le  Province
nell'impossibilita' di esercitare le attribuzioni  proprie  e  quelle
conferite in modo efficace ed efficiente: il che si  pone  in  chiara
frizione rispetto al principio di buon andamento sancito dall'art. 97
Cost., riverberandosi anche in danno degli stessi enti territoriali -
specie le Regioni, come visto sopra - conferenti le funzioni. 
    Ma non e' tutto. Se si  mettono  a  sistema  la  riduzione  delle
dotazioni organiche di cui al  censurato  comma  421,  con  l'ingente
risparmio di spesa imposto dal comma 418 (pari  a  1.000  milioni  di
euro per l'anno 2015, a 2.000 milioni di euro per  l'anno  2016  e  a
3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno  2017),  risulta  che  la
legge n. 190 del 2014 lede  gravemente  l'autonomia  finanziaria  sia
delle Citta' metropolitane che delle  Province:  ai  sensi  dell'art.
119, tali enti devono infatti disporre di risorse tali da "finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite".  La  condizione
in discorso non puo' dirsi certo rispettata dalla legge di stabilita'
del 2015, che, al contrario, nell'imporre  agli  enti  provinciali  e
metropolitani  oneri  finanziari  cosi'  gravosi  e  sin  die  -   in
contrasto, quindi, pure con il limite della necessaria transitorieta'
del vincolo piu' volte sancito dalla Corte (cfr. da ultimo  sent.  n.
79 del 2014) - finisce per  "devitalizzarli"  tramite  un  esasperato
drenaggio di risorse. Cio' non e' ovviamente possibile,  giacche',  a
Costituzione  vigente,   questi   restano   enti   costituzionalmente
necessari e beneficiano di garanzie di esistenza  non  aggirabili  in
modo surrettizio dal legislatore ordinario. 
    4. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la  dichiarazione
d'incostituzionalita' del comma impugnato. 
IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 424, della legge
n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 117, commi 3 e 4,  118  e
119 cost. 
    1. Il comma 424 della legge n. 190 del 2014 -  come  si  e'  gia'
anticipato in narrativa - vincola le Regioni e gli enti  locali,  per
gli anni 2015-2016, a destinare le risorse per le assunzioni a  tempo
indeterminato all'immissione nei  ruoli  dei  vincitori  di  concorso
pubblicato collocati nelle proprie graduatorie  vigenti  o  approvate
alla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  stabilita'  2015,
nonche' alla ricollocazione in  ruolo  delle  unita'  soprannumerarie
destinate ai processi di mobilita'. La  norma  prevede  altresi'  che
siano  affette  da  nullita'  tutte  le  assunzioni   effettuate   in
violazione della previsione. 
    Si deve osservare che il comma censurato - non  diversamente  dal
comma 421 - si pone ictu oculi in contraddizione rispetto alle  linee
di riforma poste dalla legge 56 del 2014. 
    In particolare, l'art. 1,  commi  92-96  della  legge  da  ultimo
citata stabilisce che le Province devono trasferire, agli enti che ne
assorbano il personale sovrannumerario, le  corrispondenti  dotazioni
economiche. Tutto all'opposto, il comma 424 della legge  n.  190  del
2014 sancisce che le Regioni e gli altri enti locali che assorbono il
personale in mobilita'  devono  far  fronte  ai  relativi  costi  con
risorse proprie: precisamente, quelle  destinate  alle  assunzioni  a
tempo  indeterminato,  nelle  percentuali  fissate  dalla   normativa
vigente. 
    In disparte la paradossale e irragionevole distonia fra riforma e
attuazione della riforma, il  comma  424  si  espone  a  insuperabili
censure, in relazione agli artt. 117, commi 3 e 4, 118 e 119 Cost. 
    2.  In  primo  luogo,   nel   prevedere   in   modo   dettagliato
l'allocazione  delle  risorse  regionali  e  locali  destinate   alle
assunzioni a tempo indeterminato, la norma realizza un intervento  di
coordinamento della finanza  pubblica  che  esorbita  dalla  potesta'
attribuita allo Stato dall'art. 117,  comma  3,  limitata  alle  sole
disposizioni di principio. Infatti, la legge statale vincola, in modo
puntuale  e  senza  lasciare  margine  alcuno  di   discrezionalita',
l'impiego delle risorse a due sole "destinazioni": l'assorbimento dei
dipendenti provinciali in  esubero  e  l'immissione  "nei  ruoli  dei
vincitori di concorso pubblico collocati  nelle  proprie  graduatorie
vigenti o approvate alla data di entrata  in  vigore  della  presente
legge". In questo modo, peraltro, il  limite  in  discorso  introduce
surrettiziamente un blocco generalizzato delle nuove assunzioni. 
    Nel caso di specie, dunque, e' ben lungi dall'esser rispettata la
regola, che codesta Ecc.ma Corte ha costantemente  ribadito,  secondo
cui le disposizioni statali devono limitarsi a porre solo criteri  ed
obiettivi cui  dovranno  attenersi  le  Regioni  e  gli  enti  locali
nell'esercizio della  propria  autonomia  finanziaria,  senza  invece
imporre loro precetti specifici, puntuali ed esaustivi (fra le molte,
si vedano le sentt. nn. 95 del 2007, 449 del 2005 e  390  del  2004).
Cio' anche ove si tratti di interventi di  contenimento  della  spesa
del personale: in termini  chiarissimi,  codesta  Ecc.ma  Corte,  nel
giudicare una norma statale che - con densita' prescrittiva analoga a
quella del  comma  424  -  limitava  il  ricorso  alle  procedure  di
mobilita' entro percentuali non superiori al 50% delle cessazioni dal
servizio avvenute nel 2002, ha  ritenuto  che  un'analoga  previsione
"non si limita a fissare un principio di coordinamento della  finanza
pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della
copertura delle vacanze verificatesi nel  2002,  imponendo  che  tale
copertura non sia superiore al 50 per cento:  precetto  che,  proprio
perche' specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in  una
indebita  invasione,  da  parte  della   legge   statale,   dell'area
(organizzazione della  propria  struttura  amministrativa)  riservata
alle autonomie regionali e degli enti locali,  alle  quali  la  legge
statale puo' prescrivere criteri  [...]  ed  obiettivi  (ad  esempio,
contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel  dettaglio  gli
strumenti concreti da utilizzare  per  raggiungere  quegli  obiettivi
(cfr., la sent. n. 390 del 2004; ma si vedano altresi' le sentt.  nn.
159 e 120 del 2008). 
    3. In secondo luogo, la  normativa  statale,  proprio  tramite  i
vincoli di destinazione imposti alle risorse per i dipendenti  e  con
il blocco surrettizio delle assunzioni,  incide  profondamente  sulle
dotazioni organiche delle Regioni e degli enti locali,  invadendo  la
materia "ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni  e
degli enti locali»,  la  quale  rientra  nella  potesta'  legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost.  (cfr.
ancora le sentt. nn. 326  del  2008,  233  del  2006;  cfr.  altresi'
indicazioni in tal senso nelle sentt. nn. 397 del 2006, 456 e 244 del
2005). Infatti - come si e' gia' avuto modo di dire in riferimento al
comma  421  -  al  legislatore  statale  spetta  la  sola  disciplina
dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa dello  Stato  e
degli enti pubblici nazionali (art.  117,  lett.  g),  nonche'  degli
organi di governo e delle funzioni  fondamentali  degli  enti  locali
(art. 117, lett. p). 
    4. Infine, il comma 424 crea  un  disallineamento  fra  ammontare
delle risorse, struttura organizzativa e  funzioni,  illegittimo  sia
rispetto all'art. 118 che all'art. 119 Cost. 
    Quanto all'art. 118, la circostanza che le procedure di mobilita'
e il blocco della contrattazione siano imposti prima ancora  che  sia
completato il processo di allocazione  delle  funzioni  osta  ad  una
distribuzione delle stesse coerente con i principi di sussidiarieta',
differenziazione  e  adeguatezza.  Tale  distribuzione,  infatti,  si
trovera' a dover tener conto piu' della  dislocazione  delle  risorse
organiche, che dei criteri sanciti dalla Costituzione. 
    Ben potra' accadere, poi, che i lavoratori in  esubero  assorbiti
da un ente in una situazione di  totale  incertezza  in  ordine  alla
definitiva riarticolazione delle funzioni,  debbano  poi  transitare,
una volta conclusosi il predetto processo, in un ente diverso,  dando
cosi' - vita a una costosa e inefficiente catena di trasferimenti. 
    Con riguardo all'art. 119, i vincoli al  personale  assumibile  e
l'obbligo di assunzione a valere sui fondi disponibili degli enti  di
destinazione,  oltre  ad  erodere  i  fondi  per  la   contrattazione
integrativa, importano limiti finanziari e obblighi di riassorbimento
slegati dalla riallocazione delle funzioni: col rischio  di  produrre
oneri ingiustificati o, all'opposto, l'impossibilita'  di  assicurare
la integrale copertura, in termini  economici  e  di  risorse,  delle
atttibuzioni regionali e locali. 
    5. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la  dichiarazione
d'incostituzionalita' del comma impugnato.