Ricorso per la Regione  Veneto  (C.F.  80007580279  e  P.  I.V.A.
02392630279), in persona del Presidente della  Giunta  Regionale  pro
tempore, dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), in giudizio  giusta
deliberazione di Giunta Regionale di data 24 febbraio  2015,  n.  227
(doc. 1), rappresentato e difeso,  come  da  mandato  a  margine  del
presente atto, dall'avv. prof. Luigi Garofalo (c.f. GRFLGU56A24L407D)
del Foro di Treviso, con domicilio eletto presso  il  suo  studio  in
Roma,  Foro  Traiano  n.  1/A  (per  eventuali   comunicazioni:   fax
0422.411045,   PEC   segreteria@pec.studiogarofalo.eu)   contro    il
Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore,  rappresentato  e
difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la  quale
e'  domiciliato  in  Roma,  via  dei  Portoghesi  n.   12,   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della 1.  23  dicembre
2014, n. 190, pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica
Italiana  in  data  29  dicembre  2014,  n.  300,  avente  a  oggetto
"Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato", limitatamente all'art. 1, commi 418,  435  e  459,  per
violazione 
        - con riguardo all'art. 1, comma 418, 1. n.  190/2014:  degli
artt. 2, 3, 5, 117 e 119 Cost.; 
        - con riguardo all'art. 1, commi 435 e 459, 1.  n.  190/2014:
degli artt. 2, 3, 5, 117, 118 e 119 Cost.; 
    nei modi e per i profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    Lo scorso 29 dicembre 2014 e'  stata  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 300 (Supplemento Ordinario  n.
99) la 1. 23 dicembre 2014, n. 190, avente  a  oggetto  "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato"  e
meglio nota come Legge di Stabilita' 2015. 
    Detto testo normativo ricomprende, in un unico articolo  composto
a sua volta di ben  735  commi,  alcune  disposizioni  meritevoli  di
censura innanzi a codesta Ecc.ma Corte. 
    La prima di queste,  racchiusa  nel  comma  418,  nell'imporre  a
Province e Citta' Metropolitane (pur con alcune eccezioni di  cui  si
dira' in  seguito)  consistenti  riduzioni  della  spesa  corrente  e
correlativi obblighi di trasfusione  delle  risorse  risparmiate  "ad
apposito capitolo di entrata del  bilancio  dello  Stato",  non  solo
introduce un meccanismo distorto di tagli a carico dei predetti  enti
territoriali e di correlativi trasferimenti delle risorse risparmiate
in favore dell'Erario statale, ma integra la patente  violazione  dei
basilari canoni di solidarieta',  uguaglianza,  adeguatezza,  nonche'
dei principi costituzionali dell'autonomia (anche finanziaria)  degli
enti locali, del decentramento e di sussidiarieta'. 
    In piu', vi sono fondate ragioni per ritenere che il legislatore,
attraverso la disposizione in commento, abbia travalicato le  proprie
prerogative, introducendo limitazioni all'autonomia  di  spesa  degli
enti  territoriali  poc'anzi  menzionati  con  misure  di   carattere
effettivamente  permanente  (e,  dunque,  non  tese  a  sopperire  ad
esigenze contingenti e temporalmente circoscritte). 
    Quanto ai commi 435 e  459  dell'art.  1,  l.  n.  190/2014  (che
parimenti vengono impugnati in questa sede), essi, incidendo in senso
deteriore sulla dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale e  sulle
modalita' di riparto del medesimo, vanno a privare gli enti  comunali
delle risorse minime di cui i  medesimi  necessitano  per  assicurare
l'esercizio delle rispettive funzioni istituzionali: cio', in  totale
spregio dei diritti della platea  dei  soggetti  amministrati  e  con
grave repentaglio per l'operativita' degli enti in parola. 
    Cio' detto, giova preliminarmente chiarire  il  contesto  da  cui
prende le mosse il presente ricorso, prima di passare all'esposizione
degli  argomenti  di  carattere  tecnico-giuridico  che  inducono   a
ritenere  costituzionalmente  illegittime  le  disposizioni  poc'anzi
menzionate. 
    Ebbene, le misure in contestazione si inseriscono in una  spirale
di interventi  legislativi  che,  negli  anni,  ha  creato  crescenti
distorsioni nei meccanismi di trasferimento di risorse tra  Stato  ed
enti locali (e viceversa), finendo per esautorare questi ultimi della
capacita' di esercitare le funzioni istituzionali loro demandate, per
difetto dei mezzi a cio' necessari. 
    I "tagli" alla spesa e la riduzione dei trasferimenti di  risorse
economiche apportati dall'ultima Legge di  Stabilita'  costituiscono,
dunque, l'ultimo e decisivo "anello" di una "catena" che  ostacola  -
in modo ormai irreparabile  -l'attivita'  degli  enti  locali  e  che
portera', in tempi brevissimi, gli stessi alla totale incapacita'  di
operare: e cio', sia per l'assenza di fondi a disposizione,  sia  per
l'impossibilita' di  superare  gli  stringenti  vincoli  imposti  dal
vigente Patto di Stabilita' interno. 
    Inoltre, si ritiene che le criticita'  che  verranno  evidenziate
sotto forma di specifica censura all'art. 1, commi 418, 435 e 459, 1.
n. 190/2014, ben suggeriscano  l'abnormita'  e  la  sproporzione  dei
sacrifici imposti dal legislatore al comparto delle autonomie locali,
oltre  che   la   sperequazione   esistente   tra   diverse   realta'
territoriali. 
    Si assiste, dunque, all'assurdo per  cui  a  territori,  come  il
Veneto, che vantano ridotti livelli di spesa e  di  indebitamento  (e
che, pertanto, non possono essere ritenuti i principali  responsabili
del dissesto della finanza pubblica cui si tenta di rimediare con  le
recenti manovre  di  austerity)  vengono  ciononostante  richiesti  i
sacrifici maggiori, in termini di contenimento alla spesa corrente  e
di progressiva erosione dei trasferimenti Stato-autonomie locali:  il
tutto,  senza  che  il  legislatore  sia  in  grado  di  (o   voglia)
valorizzare la virtuosita' delle predette realta' territoriali. 
    Gli  enti  locali  veneti,  da  un  lato,   sostanzialmente   non
dispongono piu' di alcuna "compartecipazione al gettito  dei  tributi
erariali riferibili al loro territorio"  (come,  invece,  sarebbe  ai
medesimi garantito dall'art. 119 Cost.) e, dall'altro lato, subiscono
l'onere di una crescente contribuzione alle finanze  centrali,  anche
sotto forma di prelievo statale sui tributi comunali. 
    Si arriva, per tale via,  a  quanto  lucidamente  rilevato  dalla
Corte dei Conti,  Sezione  delle  Autonomie,  nella  Relazione  sulla
gestione finanziaria 2013 degli enti territoriali, ove si afferma che
e' stato "richiesto alle Autonomie territoriali (a  quelle  regionali
in  particolare)  uno  sforzo  di   risanamento   non   proporzionato
all'entita' delle risorse gestibili  dalle  stesse,  a  vantaggio  di
altri comparti  amministrativi  che  compongono  il  conto  economico
consolidato delle Amministrazioni pubbliche" (cfr.  doc.  2,  p.  VII
delle Premesse); con  la  conseguenza  che  "le  predette  misure  di
austerita', riducendo gravemente le possibilita' di intervento  e  di
gestione degli enti  territoriali,  hanno  inciso  profondamente  sul
grado di autonomia finanziaria e funzionale  ad  essi  garantiti  dal
Titolo V, della Parte II, della Costituzione" (cfr. doc. 2  cit.,  p.
15). 
    Da cio' la necessita' di proporre il presente gravame. 
 
                               Diritto 
 
    Come e' noto, la Regione e' pacificamente legittimata a  proporre
ricorso in via principale  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale di norme che ledono le prerogative costituzionali  non
soltanto proprie,  ma  anche  degli  enti  territoriali  diffusi  sul
proprio territorio (cfr.  Corte  Cost.,  sent.,  n.  298/2009;  Corte
Cost., sent., n. 169/2007; Corte  Cost.,  sent.,  n.  95/2007;  Corte
Cost., sent., n. 417/ 2005; Corte Cost., sent., n. 196/2004). 
    E' stato osservato da codesta  Ecc.ma  Corte,  infatti,  che  "la
stretta  connessione  ...  in  tema  di  finanza  regionale  tra   le
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie  locali  consente  di
ritenere che la lesione delle competenze  locali  sia  potenzialmente
idonea a determinare una  vulnerazione  delle  competenze  regionali"
(cfr. Corte  Cost.,  sent.,  n.  236/2013;  Corte  Cost.,  sent.,  n.
311/2012):   il   che,   evidentemente,    legittima    la    Regione
all'impugnazione in via principale per rimuovere tale vulnus. 
    Inoltre, e' pacifico che la Regione sia legittimata a  denunciare
la legge statale anche per la lesione di parametri diversi da  quelli
relativi al  riparto  delle  competenze  legislative,  "ove  la  loro
violazione comporti una compromissione delle  attribuzioni  regionali
costituzionalmente garantite o  ridondi  sul  riparto  di  competenze
legislative" (cfr. Corte Cost.,  sent.,  n.  128/2011;  Corte  Cost.,
sent., n. 33/2011; Corte Cost., sent., n. 156/2010). 
    Nel caso di specie, come subito si avra'  modo  di  spiegare,  la
politica di tagli generalizzati alla spesa e alle risorse degli  enti
territoriali - di cui la  recente  Legge  di  Stabilita'  rappresenta
l'ultimo afflato - impedisce a questi ultimi di svolgere le  funzioni
loro deferite: il che si riverbera, evidentemente, sulle garanzie che
la Costituzione assicura a tali enti per l'esercizio delle rispettive
funzioni. 
I) Sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 418,  1.  23
dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 117 e  119
Cost. 
    L'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014 dispone che "le Province e le
Citta' metropolitane concorrono al contenimento della spesa  pubblica
attraverso una riduzione della spesa corrente  di  1.000  milioni  di
euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016  e  di
3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017.  In  considerazione
delle riduzioni di spesa  di  cui  al  periodo  precedente,  ciascuna
provincia e  Citta'  metropolitana  versa  ad  apposito  capitolo  di
entrata del bilancio dello Stato un  ammontare  di  risorse  pari  ai
predetti risparmi di spesa. Sono escluse dal  versamento  di  cui  al
periodo  precedente,  fermo  restando  l'ammontare  complessivo   del
contributo dei periodi  precedenti,  le  Province  che  risultano  in
dissesto alla data del 15 ottobre 2014. Con  decreto  di  natura  non
regolamentare  del  Ministero  dell'Interno,  di  concerto   con   il
Ministero dell'Economia e delle  Finanze,  da  emanare  entro  il  15
febbraio 2015, con il supporto tecnico della Societa' per  gli  studi
di settore - SOSE  S.p.a.,  sentita  la  Conferenza  Stato-Citta'  ed
autonomie locali, e'  stabilito  l'ammontare  della  riduzione  della
spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del  corrispondente
versamento tenendo conto anche della differenza tra spesa  storica  e
fabbisogni standard". 
    Giova osservare,  innanzitutto,  che  la  disposizione  impugnata
impone a Province e Citta' metropolitane consistenti tagli alla spesa
corrente,  non  parametrati  ad  analoghe  riduzioni  degli   esborsi
sostenuti da  altri  comparti  (in  particolare  dell'Amministrazione
centrale dello Stato). 
    Cio' pare rispecchiare un modus  procedendi  ormai  tipico  delle
piu' recenti scelte legislative. 
    Gia' la Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, nella Relazione
sulla gestione finanziaria degli enti  territoriali  per  l'esercizio
2013, evidenziava il fatto che lo  sforzo  di  risanamento  richiesto
alle Amministrazioni  territoriali  risulta  sproporzionato  rispetto
all'entita' delle risorse gestibili dalle stesse, "il che ha prodotto
un drastico ridimensionamento  delle  funzioni  di  spesa  di  queste
ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono
il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche" (cfr.
doc. 2 cit., p. 15). 
    La  logica  di  "tagli"  perseguita   dal   legislatore   statale
determina,  pero',  un'evidente  disparita'  di  trattamento   e   di
sacrifici  tra  i  vari  comparti  di  cui  si  compone  la  Pubblica
Amministrazione:  disparita'  che  va  a  detrimento  delle  predette
autonomie locali, in violazione dei principi di  solidarieta'  e  del
canone costituzionale di uguaglianza recati dagli artt. 2 e 3  Cost.,
deducibili anche in relazione a enti pubblici. 
    Vero e' che codesta Ecc.ma Corte, in passato,  ha  affermato  che
"il legislatore  statale  puo',  con  una  disciplina  di  principio,
legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali,  per  ragioni
di  coordinamento  finanziario  connesse  ad   obiettivi   nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti territoriali"
(cfr. Corte Cost., sent., n. 182/2011). 
    Del pari vero  e'  che  detti  limiti,  imposti  dal  legislatore
statale nell'esercizio della funzione di coordinamento della  finanza
pubblica a lui riservata (ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.)
e al fine di garantire il  perseguimento  di  obiettivi  nazionali  -
anche condizionati da obblighi  comunitari  -,  possono  considerarsi
rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli  enti  locali  quando
stabiliscono "un limite complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi
ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i  diversi  ambiti  e
obiettivi di spesa" (cfr. Corte  Cost.,  sent.,  n.  182/2011;  Corte
Cost.,  sent.,  n.  297/2009);  tuttavia,  e'  anche  vero  che   "la
disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale
di  ragionevolezza  e  proporzionalita'   dell'intervento   normativo
rispetto all'obiettivo  prefissato"  (cfr.  Corte  Cost.,  sent.,  n.
236/2013). 
    Nel  caso  di  specie,  il  citato  canone  di  ragionevolezza  e
proporzionalita' dell'intervento normativo e' trasgredito, nei limiti
in cui il sacrificio imposto alle autonomie locali (peraltro in  modo
diseguale tra le stesse, poiche' esclude dalla misura le Province che
risultano in dissesto) non e' accompagnato - per quanto  detto  anche
in precedenza - da un pari sacrificio imposto ad altri  comparti  (in
particolar modo, alle Amministrazioni di livello centrale). 
    Ulteriore  profilo  di  incostituzionalita'  della   disposizione
impugnata si  percepisce  in  relazione  al  parametro  rappresentato
dall'art. 5 Cost. 
    Il dettato normativo, poiche' coarta le predette autonomie locali
a  uno  sforzo  di  riduzione  della  propria  spesa   corrente   non
parametrato ad analoghi sacrifici richiesti ad altri  comparti  della
P.A., finisce per  accordare  alle  prime  un  trattamento  deteriore
rispetto a questi ultimi, in violazione - non solo degli artt. 2 e  3
Cost., di cui si e' detto in precedenza, ma anche  -  delle  esigenze
basilari dell'autonomia e del decentramento. 
    Come noto, ai sensi dell'art. 5 Cost. la Repubblica ha il preciso
dovere  di  riconoscere  e  promuovere  le  autonomie  locali,  anche
adeguando "i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze
dell'autonomia e del decentramento''. 
    Se, pero', si apportano tagli indiscriminati  ed  eccessivi  alle
risorse finanziarie a disposizione delle Amministrazioni locali - che
gia'  si  trovano  in  grave  difficolta',  sotto  il   profilo   del
reperimento dei fondi necessari a garantire l'erogazione dei  servizi
essenziali  ai  cittadini  -,  le  esigenze  dell'autonomia   e   del
decentramento  tutelate  dall'art.   5   Cost.   vengono   totalmente
vanificate. 
    Attraverso  il  drastico  taglio   delle   risorse   degli   enti
territoriali viene non solo gravemente compromessa l'autonomia  delle
realta' locali, ma altresi' pericolosamente minato  l'intero  assetto
ordinamentale che si regge  sui  principi  del  federalismo  e  della
sussidiarieta'. 
    In altri termini, se  e'  vero  che  l'art.  5  Cost.  impone  al
legislatore  statale  di  garantire  e  di  adeguarsi  alle  esigenze
dell'autonomia e del  decentramento,  tale  obiettivo,  pero',  viene
totalmente  vanificato  dall'adozione  della  disposizione  impugnata
(che, peraltro, si pone nel solco di svariati interventi  legislativi
che, negli anni, hanno  progressivamente  svuotato  gli  enti  locali
della loro  autonomia,  attraverso  la  progressiva  riduzione  delle
risorse a disposizione). 
    Il taglio alla spesa corrente ordinato dalla norma  in  commento,
l'imposizione del trasferimento  all'Erario  centrale  delle  risorse
risparmiate e, contestualmente, la  mancata  previsione  di  adeguati
trasferimenti statali che vadano a coprire il  depauperamento  subito
dagli enti  locali  (i  quali  non  solo  si  vedono  negate  risorse
trasferite dallo Stato ma, addirittura, sono chiamati essi  stessi  a
trasferire  le  proprie  risorse  al  livello  centrale,  secondo  un
meccanismo di  versamento  che  non  trova  addentellato  nel  nostro
ordinamento  costituzionale,  come  si  dira'  oltre),   pregiudicano
grandemente la programmazione  di  bilancio  degli  enti  medesimi  e
determinano l'impossibilita' per gli stessi di far fronte alle  spese
programmate,  con  grave  pregiudizio  dei  bisogni   primari   della
cittadinanza. 
    Ancora una volta e' la Corte dei Conti, Sezione delle  Autonomie,
nella piu' volte citata Relazione sulla  gestione  finanziaria  degli
enti locali per il 2013, a formulare espliciti dubbi sulla coerenza e
sostenibilita' di iniziative legislative che  impongono  tagli  cosi'
pesanti e indiscriminati,  tali  da  incidere  sull'esistenza  stessa
degli enti locali, nei termini in cui ha sottolineato che  le  misure
di austerita' determinate a livello statale, "riducendo gravemente le
possibilita' di intervento e di  gestione  degli  enti  territoriali,
hanno inciso profondamente  sul  grado  di  autonomia  finanziaria  e
funzionale ad essi garantiti dal Titolo  V,  della  Parte  II,  della
Costituzione. Cio' implica la necessita' che i  nuovi  interventi  di
contenimento della spesa, in assenza di uno stabile coordinamento tra
le misure di finanza pubblica varate dallo Stato  e  gli  ordinamenti
della finanza territoriale espressi dai diversi livelli istituzionali
di governo, siano adottati mediante  l'uso  di  strumenti  idonei  ad
assicurare che i mezzi di copertura finanziaria  vengano  individuati
salvaguardando, da un  lato,  il  corretto  adempimento  dei  livelli
essenziali delle  prestazioni  nonche'  delle  funzioni  fondamentali
inerenti ai diritti civili  e  sociali,  dall'altro,  assicurando  un
adeguato  concorso  finanziario  dello  Stato  per   gli   interventi
correttivi degli squilibri economico-sociali emersi  tra  le  diverse
aree del paese" (cfr. doc. 2 cit., p. 15). 
    Il comma 418 dell'art. 1,  l.  n.  190/2014,  peraltro,  presenta
profili  di  illegittimita'  costituzionale  anche  con  riguardo  ai
parametri rappresentati dall'art. 119, primo, secondo, terzo e quarto
comma, cost. e dall'art. 117 Cost. 
    La disposizione in questione, infatti, attraverso una  logica  di
"tagli" sproporzionati e non ragionevoli imposti a Province e  Citta'
metropolitane, va a privare le  stesse  della  propria  autonomia  di
spesa,  incidendo  in  maniera  pregiudizievole  sull'equilibrio  dei
relativi bilanci (che sostanzialmente vengono "svuotati"), in spregio
di quanto sancito dal  primo  comma  dell'art.  119  Cost.;  inoltre,
imponendo alle medesime di versare "ad apposito capitolo  di  entrata
del  bilancio  dello  Stato"  le  risorse  risparmiate  attraverso  i
predetti tagli alla spesa corrente, non solo sostanzialmente  elimina
le risorse autonome di  cui  i  medesimi  enti  territoriali  possono
fruire,  ma  addirittura  distorce  e  capovolge  i   meccanismi   di
compartecipazione e di trasferimento  di  risorse  dallo  Stato  alla
periferia, in violazione dei commi  secondo  e  terzo  dell'art.  119
Cost. (giacche' e' lo Stato a fruire di trasferimenti di  risorse  da
parte degli enti territoriali sopradetti, e non viceversa). 
    La diretta conseguenza della misura contestata risiede nel  fatto
che Province e Citta' metropolitane si vedono private  delle  risorse
minime per  assicurare  il  finanziamento  integrale  delle  funzioni
pubbliche loro attribuite, in violazione del quarto  comma  dell'art.
119 Cost. 
    Giova osservare che la Costituzione non legittima  meccanismi  di
trasferimento di risorse economiche dal livello periferico  a  quello
centrale che siano  modulati  sulla  falsariga  del  modello  di  cui
all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014. 
    Se   davvero   l'obiettivo   del   legislatore,   attraverso   la
disposizione impugnata, fosse stato quello di  ridurre  la  spesa  di
Province e Citta' metropolitane, egli si sarebbe dovuto limitare alla
previsione di adeguati "tagli"; ma non  si  sarebbe  potuto  spingere
sino a prevedere l'obbligo, a  carico  degli  enti  territoriali,  di
versare i risparmi di spesa al bilancio  dello  Stato,  senza  alcuna
previsione   delle   modalita'   del   loro    impiego    da    parte
dell'Amministrazione centrale: cio' che, invece, ha fatto, nei limiti
in cui ha previsto che "in considerazione delle riduzioni  di  spesa"
normativamente imposte  dall'art.  1,  comma  418,  1.  n.  190/2014,
"ciascuna provincia e Citta' metropolitana versa ad apposito capitolo
di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse  pari  ai
predetti risparmi di spesa". 
    La misura criticata e'  costituzionalmente  illegittima,  allora,
non solo perche' impone un evidente sacrificio alle autonomie  locali
attraverso l'imposizione di tagli generalizzati alla  spesa  corrente
(senza, al contempo, sopperire a tale lacuna  di  risorse  prevedendo
correlativi trasferimenti statali  a  sostegno  dell'esercizio  delle
funzioni deferite agli enti territoriali), ma anche  perche'  obbliga
gli enti territoriali a trasferire allo Stato risorse proprie,  senza
prevedere come  queste  ultime,  una  volta  acquisite  dallo  Stato,
saranno impiegate. 
    Il contestato comma 418 dell'art. 1, l. n. 190/2014, infatti, non
chiarisce se le risorse locali frutto dei risparmi di spesa imposti a
Province e Citta' metropolitane verranno destinate all'incremento del
fondo perequativo indirizzato ai soli territori con minore  capacita'
fiscale per abitante (cosi' come previsto dall'art. 119, terzo comma,
Cost.),  ovvero  comunque  andranno  a  costituire   quelle   risorse
aggiuntive che lo Stato deve destinare esclusivamente  a  determinate
realta' territoriali, per il  raggiungimento  di  scopi  diversi  dal
normale esercizio delle loro funzioni (a mente dell'art. 119,  quinto
comma, Cost.). 
    L'impugnato comma 418, in altri termini, istituisce  un  percorso
illegittimo nelle modalita' di contribuzione a cui sono  chiamate  le
autonomie locali, poiche' non e' ammissibile nel  nostro  ordinamento
il riversamento allo Stato di risorse locali che vadano a  finanziare
genericamente la spesa statale (cfr. Corte Cost., sent., n.  79/2014;
a contrariis, anche Corte Cost., sent., n. 341/2009). 
    Con riguardo al parametro rappresentato  dall'art.  3  Cost.,  in
relazione agli artt. 117 e 119 Cost.,  merita  poi  sottolineare  che
l'esclusione degli enti territoriali in dissesto dal  meccanismo  del
versamento allo Stato  dei  risparmi  prodotti  dai  tagli  di  spesa
imposti dall'art.  1,  comma  418,  1.  n.  190/2014,  introduce  una
discriminazione tra Regioni e tra enti  territoriali  con  differenti
gradi di sviluppo. 
    Al riguardo, giova rammentare che "gli interventi statali fondati
sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere  gli  squilibri
economici e sociali, devono seguire le  modalita'  fissate  dall'art.
119, quinto comma, Cost." (fondo perequativo, destinazione di risorse
aggiuntive e interventi speciali ad opera dello Stato in favore delle
realta' svantaggiate), ma non possono prescindere dal  fatto  che  "i
vincoli generali di contenimento della spesa pubblica debbono  essere
uniformi" (cfr. Corte Cost., sent., n. 284/2009). 
    Nel  caso  di  specie,  il   legislatore   statale   non   poteva
semplicemente esentare gli enti in dissesto dall'obbligo di riversare
allo Stato le risorse finanziarie risparmiate in virtu'  dei  "tagli"
di cui all'art. 1, comma  418,  1.  n.  190/2014,  perche'  cosi'  ha
determinato una ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  enti:
viceversa,  egli  avrebbe  semmai  dovuto  sopperire  "a  valle"   al
sacrificio richiesto anche agli enti territoriali  in  dissesto,  non
gia' escludendoli a priori  dall'applicazione  della  misura  di  cui
all'art.  1,  comma  418,  1.  n.  190/2014,  bensi',  se  del  caso,
garantendo a questi ultimi risorse adeguate a colmare  il  sacrificio
patito, sotto forma  del  riconoscimento  di  interventi  speciali  o
comunque in virtu' dei meccanismi della perequazione. 
    Viceversa, la disposizione impugnata,  in  modo  discriminatorio,
finisce per accordare misure premiali proprio  agli  enti  che  hanno
dato prova di cattiva gestione della cosa pubblica 
    Ulteriore  profilo   di   illegittimita'   costituzionale   della
disposizione impugnata emerge in relazione  ai  parametri  costituiti
dagli artt. 117, commi 3 e  4,  e  119,  primo  comma,  Cost.,  sotto
l'aspetto della non transitorieta' della misura adottata. 
    Si rammenti che la riduzione della  spesa  corrente  imposta  dal
comma 418 dell'art. 1, 1. n. 190/2014, trova applicazione, nelle mire
del legislatore statale, "per l'anno  2015",  "per  l'anno  2016"  e,
infine, "a decorrere dal 2017". 
    Sotto questo specifico aspetto, ci si permette di  ricordare  che
codesta Ecc.ma Corte, sebbene abbia riconosciuto che  "e'  consentito
al legislatore statale imporre limiti alla  spesa  di  enti  pubblici
regionali" nell'esercizio del  proprio  potere  di  formulazione  dei
principi fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica e del sistema tributario,  ha  tuttavia  richiesto  che  "il
citato contenimento sia comunque 'transitorio', in quanto  necessario
a fronteggiare una situazione contingente";  ha,  inoltre,  soggiunto
che una disposizione "non soddisfa  la  condizione  della  necessaria
'transitorieta' delle misure  restrittive  ...  nella  parte  in  cui
stabilisce che dette misure, che si impongono all'autonomia di  spesa
e organizzativa della Regione,  sono  adottate  non  per  un  periodo
limitato, per fronteggiare una situazione  contingente,  ma  a  tempo
indeterminato" (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014). 
    Cio' detto, e' evidente che, nel caso che qui viene  in  rilievo,
l'intervento di contenimento della spesa  che  trova  fondamento  nel
comma  contestato  della  Legge  di   Stabilita'   ha   una   portata
potenzialmente permanente (ben percepibile nell'utilizzo  dell'inciso
" a decorrere dal  2017..."):  donde  la  sicura  incostituzionalita'
della misura anche sotto tale profilo, a mente  dell'insegnamento  di
codesta Ecc.ma Corte poc'anzi menzionato. 
II) Sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 435 e  459,
1. 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 117,
118 e 119 Cost. 
    L'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014, dispone  che  "la  dotazione
del Fondo di Solidarieta' comunale di cui al comma 380 ter  dell'art.
1, l. 24 dicembre 2012, n. 228, e' ridotta di 1.200 milioni  di  euro
annui a decorrere dall'anno 2015". 
    A sua volta, il menzionato comma  380  ter  dell'art.  1,  1.  24
dicembre  2012,  n.  228,  individuava  la  dotazione  del  Fondo  di
Solidarieta' comunale per l'anno 2014 in 6.647.114.923,12 euro e  per
l'anno 2015 e successivi in 6.547.114.923,12 euro, di cui  una  parte
consistente (pari a 4.717,9 milioni di euro) era rappresentata da una
quota dell'imposta municipale unica (IMU), di spettanza dei Comuni. 
    Nell'ottica del legislatore  della  citata  1.  n.  228/2012,  ai
Comuni  veniva  riconosciuto  l'intero   gettito   fiscale   relativo
all'imposta municipale unica afferente  al  proprio  territorio,  con
l'eccezione   dell'imposta   sugli   immobili   ad   uso   produttivo
classificati nel gruppo catastale D (il cui  gettito  doveva  e  deve
essere riconosciuto direttamente allo Stato: art. 1, comma 380, lett.
f, 1. n. 228/2012) e della quota dell'imposta municipale unica di cui
si e' detto al paragrafo precedente,  finalizzata  ad  alimentare  il
neocostituito Fondo di Solidarieta' comunale. 
    Quest'ultimo Fondo, creato ai sensi dell'art. 1, comma 380, lett.
b, l. n. 228/2012, mira a garantire un'equa distribuzione di  risorse
tra  enti  comunali;  la  dotazione  del  medesimo,  in  difetto   di
alternative misure perequative disposte dall'Amministrazione centrale
e,  in  generale,  di  trasferimenti   da   parte   dell'Erario,   e'
fondamentale  per  assicurare  ai  Comuni  le   risorse   finanziarie
necessarie all'esercizio  delle  proprie  attivita'  istituzionali  e
all'erogazione dei servizi alla platea dei soggetti amministrati. 
    Come noto, i criteri di riparto del Fondo, a mente  dell'art.  1,
comma 380 ter, lett. b, l. n. 190/2014, sono  stati  fissati  per  il
2014 con d.P.C.M. 1 dicembre 2014 (pubblicato in Gazzetta  Ufficiale,
Serie Generale, n. 21 del 27  gennaio  2015),  con  la  precisazione,
recata dall'art. 1, comma  380  quater,  1.  n.  190/2014,  che,  con
riferimento ai Comuni appartenenti a Regioni a statuto ordinario, una
percentuale del medesimo Fondo deve  essere  accantonata  per  essere
redistribuita tra  i  Comuni  "sulla  base  delle  capacita'  fiscali
nonche' dei fabbisogni standard approvati dalla  Commissione  tecnica
paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di  cui  all'art.
4, l. 5 maggio 2009, n. 42, entro il 31 dicembre dell'anno precedente
a quello di riferimento". 
    Detta  percentuale  di  accantonamento  e  redistribuzione  della
dotazione del  Fondo  di  Solidarieta'  sulla  base  delle  capacita'
fiscali  e  dei  fabbisogni  standard  afferenti  ad  uno   specifico
territorio  e'  stata  modificata  dall'art.  1,  comma  459,  l.  n.
190/2014, che l'ha portata dal 10% al 20% del totale. 
    La riduzione della dotazione del Fondo di  Solidarieta'  comunale
decisa dall'art. 1, comma 435, 1. n.  190/2014,  incidendo  in  senso
deteriore sul meccanismo perequativo istituito dalla 1.  n.  228/2012
al fine di assicurare ai Comuni le risorse minime per  l'espletamento
delle  proprie  funzioni  (cosi'  come  costituzionalmente  garantite
dall'art. 118 Cost. e  determinate  anche  in  base  alle  previsioni
dell'art. 19, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in  1.  7  agosto
2012, n. 135), finisce sostanzialmente per comprimere  le  competenze
degli enti locali citati, pregiudicando l'esercizio delle  rispettive
attivita' istituzionali attraverso una misura unilateralmente assunta
a livello centrale. 
    Cio' avviene, anzitutto, in totale spregio degli artt. 117 e  118
Cost. 
    Precisamente, ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,  Cost.,  lo
Stato  non  puo'  spingersi  oltre   la   fissazione   dei   principi
fondamentali in tema di coordinamento della finanza  pubblica  e  del
sistema tributario: viceversa, nel caso  di  specie,  il  legislatore
statale finisce per ridurre unilateralmente le risorse finanziarie  a
disposizione  degli  enti  locali  con  una  misura  specifica,   che
prescinde dal necessario coinvolgimento  delle  Regioni  in  sede  di
valutazione congiunta della situazione economico-finanziaria  in  cui
effettivamente versano i Comuni presenti sul proprio territorio. 
    Il   progressivo   svuotamento   delle   casse   comunali,   poi,
evidentemente priva di significato  le  garanzie  trasfuse  nell'art.
118, primo e secondo comma, Cost.,  con  riguardo  al  fatto  che  ai
Comuni  dovrebbe  essere  assicurata  l'effettiva   possibilita'   di
svolgere le funzioni amministrative proprie e delegate (anche a mente
dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza). 
    Viceversa, nel caso in esame, la riduzione  della  dotazione  del
Fondo di Solidarieta' di cui si e' detto priva i Comuni  di  adeguati
mezzi  per  finanziare  integralmente  le  funzioni  pubbliche   loro
demandate. 
    Fermo quanto detto in ordine al fatto che il  consistente  taglio
al Fondo di Solidarieta' comunale operato dal predetto art. 1,  comma
435, l. n. 190/2014 (misura deteriore che  rende  del  tutto  inutile
l'innalzamento al 20% della quota  di  redistribuzione  del  medesimo
Fondo di Solidarieta' comunale basata sulle capacita' fiscali  e  sui
fabbisogni standard del territorio, cosi' come stabilito sempre dalla
l.  n.  190/2014,  art.  1,  comma   459)   rischia   seriamente   di
compromettere lo  svolgimento  delle  funzioni  demandate  agli  enti
locali, non si puo' sottacere che la scelta di ridurre le  risorse  a
disposizione di questi ultimi lede le  garanzie  primarie  assicurate
dagli artt. 2, 3 e 5 Cost. 
    Anche in questo caso (come gia' accaduto con riguardo alla misura
recata dall'art. 1, comma 418,  1.  n.  190/2014  su  cui  ci  si  e'
soffermati in precedenza), vengono imposti a uno  specifico  comparto
dell'Amministrazione sacrifici non parametrati a quelli richiesti  ad
altri  settori,  in   violazione   del   canone   costituzionale   di
uguaglianza, del dovere inderogabile di solidarieta' e delle esigenze
basilari dell'autonomia e  del  decentramento  (cui  la  legislazione
della Repubblica dovrebbe adeguare i propri principi e metodi). 
    Il che e' tanto piu' irragionevole se si pensa che  dal  2009  al
2013 la spesa primaria dei Comuni si e' ridotta del 7,8% (cfr. doc. 2
cit., p. 16, tabella  3),  con  un  contenimento  degli  esborsi  che
rappresenta quasi il doppio  della  correlativa  riduzione  di  spesa
realizzata dalle Amministrazioni centrali dello Stato  (cfr.  doc.  2
cit., p. 16, tabella 3;  riduzione,  quella  da  ultimo  citata,  che
peraltro si azzera se si volesse tenere conto anche dei bilanci degli
enti previdenziali). 
    Considerando la peculiare situazione dei Comuni veneti,  le  piu'
recenti stime disponibili rivelano che gli stessi sono  al  penultimo
posto nella graduatoria nazionale per spesa media pro capite  (719,21
euro/abitante; dato ricavato  dalle  tabelle  elaborate  dalla  Banca
d'Italia, bollettino  n.  25/2014  "Finanza  pubblica,  fabbisogno  e
debito": cfr. doc. 3): sicche'  i  medesimi  manifestano  la  propria
virtuosita' nel fatto di contenere i propri esborsi ben al  di  sotto
di  quanto  necessario  ad  assicurare  alla  platea   dei   soggetti
amministrati i servizi al livello medio/standard individuato su  base
nazionale. 
    Di tale virtuosita', pero', il legislatore  statale  dimostra  di
non tenere il benche' minimo conto. 
    In piu', e'  dimostrabile  che  la  progressiva  riduzione  delle
risorse a disposizione degli enti locali (financo ad arrivare al loro
totale azzeramento) e la correlativa imposizione a questi  ultimi  di
crescenti versamenti in favore dello Stato non apportano  i  benefici
auspicati, in termini di riduzione del deficit pubblico. 
    I tagli di risorse al comparto enti locali, attuati da ultimo con
le disposizioni della 1. n. 190/2014 in questa sede impugnate,  vanno
a incidere sui bilanci di enti territoriali che  contribuiscono  solo
per il 5,1% al complessivo debito pubblico statale; laddove,  invece,
non  viene  richiesto  un  corrispondente  sacrificio   ai   comparti
dell'Amministrazione  centrale,  responsabili   dell'inasprirsi   del
deficit complessivo per  il  94,9%  (dato  risalente  a  marzo  2014,
desumibile dal bollettino n. 25/2014 "Finanza pubblica, fabbisogno  e
debito" a cura della Banca d'Italia: cfr. doc. 3 cit., p. 12,  tavola
6). 
    Tale disparita' di trattamento non considera la  circostanza  che
nell'ultimo biennio il debito maturato dagli enti locali e' diminuito
dell'8,5% (con una punta del -12,2% registrata dalle  Amministrazioni
locali del  Nordest),  a  fronte  di  un  aumento  del  debito  delle
Amministrazioni centrali del 9,3% (cfr. doc. 3 cit., p. 12, tavola  6
e p. 18, tavola 11). 
    Tali dati dimostrano  non  solo  il  fallimento  del  sistema  di
spending review sinora applicato  dall'Amministrazione  centrale,  ma
anche l'incompatibilita'  con  l'assetto  costituzionale  a  garanzia
delle autonomie (che vengono trattate in senso peggiorativo  rispetto
ad altri comparti e private di qualsivoglia tutela). 
    Il consistente taglio delle risorse  finanziarie  a  disposizione
dei Comuni, operato da ultimo con  le  misure  versate  nell'art.  1,
commi 435  e  459,  1.  n.  190/2014,  integra  anche  la  violazione
dell'art.  119  Cost.,  nei  limiti  in  cui   vengono   pregiudicati
l'autonomia di spesa dell'ente locale e il  rispetto  dell'equilibrio
del relativo bilancio. 
    La norma costituzionale poc'anzi richiamata, come  ben  noto,  in
prima battuta assicura a Comuni,  Province,  Citta'  metropolitane  e
Regioni "autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (cfr. art. 119,
primo comma, Cost.): sennonche', nel caso di specie, i Comuni  veneti
vengono sostanzialmente privati  di  tale  autonomia,  giusto  quanto
detto in precedenza  in  ordine  all'insufficienza  delle  risorse  a
disposizione dei medesimi per l'esercizio delle proprie competenze. 
    Tale insufficienza, evidentemente, concretizza anche  la  lesione
del quarto comma dell'art. 119 Cost., nei  limiti  in  cui  gli  enti
locali non godono di risorse sufficienti a  finanziare  integralmente
le funzioni pubbliche loro conferite. 
    Peraltro, il citato quarto comma dell'art. 119  Cost.  istituisce
un chiaro parallelismo tra le entrate del singolo  ente  territoriale
(sotto forma di gettito tributario, di cui al secondo comma dell'art.
119  Cost.  o,  comunque,  di  trasferimenti  provenienti  dal  fondo
perequativo di cui al terzo  comma  della  medesima  disposizione)  e
l'esercizio, da parte di quest'ultimo, delle proprie funzioni: venute
meno le prime, non e' certo possibile assicurare il secondo. 
    Eppure,  di  fronte  al  pericolo  di  totale  inattivita'  delle
autonomie locali, lo Stato persevera nella propria logica  di  taglio
indiscriminato delle risorse: il che, a ben vedere, integra anche  la
violazione del quinto comma dell'art. 119 Cost., nei  limiti  in  cui
l'Amministrazione centrale rimane  inerte  rispetto  all'adozione  di
interventi speciali che - anche assicurando l'effettivo esercizio del
diritti della persona, in un'ottica di solidarieta'  sociale  imposta
anche dall'art.  2  cost.  -  vadano  a  sopperire  alle  difficolta'
economiche ed istituzionali attualmente patite dagli enti locali. 
    Infine, anche l'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014 -  analogamente
a quanto evidenziato in precedenza con  riguardo  al  comma  418  del
medesimo  articolo  -  manifesta   un   profilo   di   illegittimita'
costituzionale  nel  fatto  di  recare  una  misura   pregiudizievole
dell'autonomia finanziaria degli enti locali che non e' transitoria. 
    La riduzione della dotazione del Fondo di  Solidarieta'  comunale
imposta  dal  menzionato  comma  435,  infatti,  vale  "a   decorrere
dall'anno 2015":  sicche',  se  anche  il  legislatore  statale  puo'
imporre riduzioni alle risorse finanziarie degli  enti  pubblici,  e'
imprescindibile   che   "il   citato   contenimento   sia    comunque
'transitorio', in quanto necessario  a  fronteggiare  una  situazione
contingente" (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014). 
    In altri termini, le misure restrittive delle risorse finanziarie
a  disposizione  degli  enti  locali  devono  necessariamente  essere
temporalmente circoscritte e  tese  a  "fronteggiare  una  situazione
contingente":   non   certo   istituite   a   tempo    potenzialmente
indeterminato (sul punto, ancora, Corte Cost., sent., n. 79/2014).