Ricorso nell'interesse della regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Nicola Vendola, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 221 del 20 febbraio 2015, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Marcello Cecchetti del Foro di Firenze (pec. marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it) e dall'avv. Vittorio Triggiani, Coordinatore dell'Avvocatura Regionale, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via Antonio Mordini n. 14, come da mandato a margine del presente atto, contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 1, commi 420, 421, 422, 423, 424 e 427 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)], pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300 (S.O. n. 99), per violazione degli articoli 3, primo comma, 81, ultimo comma, 97, secondo comma, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo, quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo, secondo, quarto e ultimo comma, della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lett. e) , e comma 2, lett. b), della legge cost. n. 1 del 2012, e degli articoli 9, comma 5, e 10, comma 1, della legge n. 243 del 2012. 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, della legge n. 190 del 2014. 1.1 - Premessa. Il comma 420 prevede una serie di divieti puntuali di spesa per le province delle regioni a statuto ordinario. In particolare, la disposizione che qui si contesta cosi' prevede: «A decorrere dal 1° gennaio 2015, alle province delle regioni a statuto ordinario e' fatto divieto: a) di ricorrere a mutui per spese non rientranti nelle funzioni concernenti la gestione dell'edilizia scolastica, la costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente, nonche' la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) di effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza; c) di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, anche nell'ambito di procedure di mobilita'; d) di acquisire personale attraverso l'istituto del comando. I comandi in essere cessano alla naturale scadenza ed e' fatto divieto di proroga degli stessi; e) di attivare rapporti di lavoro ai sensi degli articoli 90 e 110 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. I rapporti in essere ai sensi del predetto art. 110 cessano alla naturale scadenza ed e' fatto divieto di proroga degli stessi; f) di instaurare rapporti di lavoro flessibile di cui all'art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni; g) di attribuire incarichi di studio e consulenza». Tali previsioni sono costituzionalmente illegittime, per violazione di numerosi parametri costituzionali, secondo quanto si specifichera' di seguito. 1.2. - Violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119, secondo comma, Cost. In primo luogo, deve essere evidenziato che le prescrizioni sopra richiamate violano l'autonomia legislativa regionale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», che gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., affidano alla potesta' concorrente di Stato e regioni. Cio' in quanto esorbitano dal limite dei principi fondamentali che le citate disposizioni costituzionali pongono alla competenza della legge statale nella materia de qua. Non vi e' chi non veda, infatti, come le disposizioni in esame siano di estremo dettaglio. Esse, infatti, impongono vincoli puntuali a determinate voci di spesa, in contrasto con quanto la giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha da tempo escluso che la legge statale possa fare. Sul punto, ex plurimis, si veda la sent. n. 417 del 2005, secondo cui «la previsione da parte della legge statale di limiti all'entita' di una singola voce di spesa non puo' essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perche' pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si risolve percio' «in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area [...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (in senso analogo, si veda anche la sent. n. 390 del 2004). Si consideri peraltro che le disposizioni in questione non prevedono semplicemente «vincoli» a specifiche voci di spesa (ed es., imponendo di contenerle in una determinata misura, magari individuata in una percentuale di quella inserita in bilancio nell'esercizio precedente), ma veri e propri divieti: la specificita', la puntualita' e il grado dettaglio di tali prescrizioni sono dunque al massimo possibile. Al riguardo, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha gia' provveduto a dichiarare costituzionalmente illegittime norme statali in tema di coordinamento della finanza pubblica che ponevano precetti certamente non piu' dettagliati di quelli qui in discussione, in quanto esorbitanti dalla competenza statale in materia. A mero titolo di esempio puo' essere qui richiamata la gia' ricordata sent. n. 417 del 2005, che ha accolto le questioni proposte da parte regionale nei confronti di norme statali che introducevano «puntuali vincoli» concernenti «le spese per studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, nonche' le spese per l'acquisto di beni e servizi». Ebbene, tali vincoli sono stati ritenuti costituzionalmente illegittimi, ancorche' fossero imposti dalle norme allora in discussione in modo certamente piu' flessibile e meno dettagliato rispetto a cio' che avviene nel caso del comma 420 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014. Ad esempio, l'art. 1, comma 9, del d.l. n. 168 del 2004 prevedeva che la spesa «per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione» non potesse essere «superiore alla spesa annua mediamente sostenuta nel biennio 2001 e 2002, ridotta del 15 per cento», mentre i successivi commi 10 e 11 prevedevano analoghe limitazioni alle spese rispettivamente per missioni all'estero e rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, e per l'acquisto di beni e servizi. Come si vede, si trattava di prescrizioni certamente meno rigide e puntuali degli assoluti divieti su specifiche voci di spesa che in questa sede si contestano. Eppure quei vincoli sono stati dichiarati incostituzionali, nella parte in cui si rivolgevano alle regioni ed agli enti locali, in quanto non potevano considerarsi principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica» (sent n. 417 del 2005, par. 6.3 del Considerato in diritto). I vincoli posti dalle disposizioni impugnate sono dunque ben piu' puntuali e stringenti di quelli gia' dichiarati incostituzionali in precedenti sentenze. Essi pertanto devono considerarsi costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., in quanto pongono norme di estremo dettaglio nell'ambito della materia di competenza legislativa concorrente del «coordinamento della finanza pubblica». 1.3. - Violazione dell'art. 119, primo comma, Cost. Le disposizioni in questione violano altresi' l'autonomia finanziaria, sotto il profilo della spesa, riconosciuta alle province dall'art. 119, primo comma, Cost. Non vi e' chi non veda, infatti, come l'imposizione rigida di divieti puntuali di specifiche voci di spesa sia del tutto incompatibile con una qualsiasi (anche minima) autonomia di spesa. L'autonomia finanziaria, sul versante delle uscite, riconosciuta alle province dalla norma costituzionale citata, comporta infatti che a tali enti sia garantita una sfera di autodeterminazione minima intangibile in relazione alla destinazione delle proprie spese. Si tratta di un principio basilare dell'autonomia politico-amministrativa di tutti gli enti territoriali che compongono la Repubblica, tale per cui la definizione dell'indirizzo politico-amministrativo di ciascun ente e' affidato ai processi democratici di deliberazione pubblica che si svolgono nel suo ambito, ovviamente entro i limiti posti dagli altri enti - ed in particolare da quelli dotati di competenza legislativa - nel rispetto delle prescrizioni costituzionali. L'annullamento della possibilita' di autodeterminarsi in relazione alle proprie spese non rappresenta, pero', un limite all'esercizio di un'autonomia, ma la sua radicale negazione, sia pure in un settore specifico anche se di importanza strategica come quello del pubblico impiego. La normativa impugnata viola quindi l'art. 119, primo comma, Cost., in quanto da essa deriva la radicale negazione dell'autonomia finanziaria, sul versante della spesa, riconosciuta alle province da tale disposizione costituzionale e - per conseguenza - una corrispondente compressione dell'autonomia politico-amministrativa di tali enti. 1.4. - Violazione degli articoli 3, primo comma, e 81, ultimo comma, Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012 e dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012. L'odierna ricorrente e' consapevole che la riforma costituzionale del 2012 (legge cost. n. 1 del 2012), e la relativa normativa di attuazione (legge n. 243 del 2012), hanno riconosciuto allo Stato ulteriori possibilita' di disciplina di numerosi aspetti della finanza pubblica delle autonomie territoriali. Anche ove si ritenesse di dover leggere le prescrizioni di cui al comma 420 in questa sede impugnato nel quadro dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012 - ossia la c.d. «legge organica» di attuazione dell'art. 81, ultimo comma, Cost., e dell'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 - il comma 420 sarebbe da considerare incostituzionale proprio per violazione delle citate norme di rango costituzionale e del parametro interposto costituito dalla menzionata disposizione della legge n. 243. L'art. 81, ultimo comma, Cost., nel testo attualmente vigente e introdotto ad opera della legge cost. n. 1 del 2012, prevede, come e' noto, che «il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilita' del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni (siano) stabiliti con legge approvata a maggiorana assoluta dei componenti di ciascuna camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale». L'art. 5 della medesima legge cost. n. 1 del 2012, a sua volta, prevede che «la legge di cui all'art. 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito dall'art. 1 della presente legge costituzionale, disciplin(i), per il complesso delle pubbliche amministrazioni (...) l'introduzione di regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica» (comma 1, lett. e). Viene dunque introdotta nel nostro ordinamento una nuova fonte del diritto - qualificata in dottrina legge «rinforzata» o «organica» (cosi', ad es., N. Lupo, Il nuovo art. 81 della Costituzione e la legge «rinforzata» o «organica», in AA.VV., Dalla crisi economica al pareggio di bilancio: prospettive, percorsi e responsabilita', Milano, Giuffre', 2013, 425 ss.) - alla cui competenza e' affidata la definizione di una normativa generale complessivamente volta a disciplinare gli aspetti fondamentali della finanza pubblica per tutte le pubbliche amministrazioni. Tale legge statale «rinforzata» o «organica», inoltre, da un lato beneficia di una competenza di cui la legge statale «ordinaria» non dispone (dovendo quest'ultima - per il settore che qui interessa, rimanere nell'ambito dei principi di coordinamento della finanza pubblica di cui agli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost.; dall'altro assume un indubbio valore parametrico, quale norma interposta rispetto alle disposizioni costituzionali piu' sopra citate nei confronti delle leggi statali ordinarie e regionali che interverranno sul tema. Come e' risaputo, il legislatore statale ha attuato l'art. 81, ultimo comma, Cost., e l'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 tramite la legge «organica» o «rinforzata» n. 243 del 2012. Come si mostrera' tra un attimo, le prescrizioni di tale legge - e, dunque, con esse l'art. 81, ultimo comma, e l'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 - sono stati palesemente violati dal comma 420 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014. Cio' per tre differenti ma concorrenti ragioni. I) La prima puo' essere apprezzata con specifico riferimento al contenuto della citata legge «organica». L'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012, infatti, prevede quanto segue: «Nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge, al fine di assicurare il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, la legge dello Stato, sulla base di criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di parametri di virtuosita', puo' prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti di cui al comma 1 in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni pubbliche». Come si vede, la legge «organica» o «rinforzata» di cui all'art. 81 Cost. stabilisce che la legge statale possa prevedere, a carico degli enti autonomi territoriali, «ulteriori obblighi (...) in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica» solo ove rispetti due differenti condizioni: a) che tali obblighi siano posti «nulla base di criteri analoghi» a quelli previsti per le amministrazioni statali; b) che i medesimi obblighi tengano conto di «parametri di virtuosita'». Ebbene, non occorrere spendere molte parole per mostrare come nessuno di questi due requisiti sia soddisfatto dalle norme che qui si contestano. Il comma 420 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, infatti, pone divieti di spesa che: a) non trovano corrispondenza in divieti introdotti per le amministrazioni statali, e quindi non sono posti «sulla base di criteri analoghi» a quelli previsti per queste ultime; b) sono assolutamente rigidi e si applicano uniformemente a tutti gli enti provinciali, non tenendo quindi in conto alcun «parametr(o) di virtuosita'». Il contrasto con la citata disposizione della c.d. «legge organica» non potrebbe essere piu' evidente. Cio' determina la violazione delle norme di rango costituzionale che alla medesima fanno rinvio, ossia l'art 81, ultimo comma, Cost., e l'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012. II) La seconda ragione puo' essere agevolmente apprezzata tramite una lettura sistematica delle norme rilevanti sul tema. Al riguardo, infatti, e' necessario considerare che la successione di atti normativi volti ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica prefigurata dall'art. 81, ultimo comma, Cost., e' diretta a fissare, per il complesso delle pubbliche amministrazioni, «norme fondamentali» e «criteri»: ossia standard che non possono non mantenersi ad un alto tasso di generalita', non potendo invece contenere precetti specifici e dettagliati. L'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 - che discorre di «regole sulla spesa» - e l'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012, il quale fa invece riferimento ad «ulteriori obblighi» - devono quindi essere letti alla luce del richiamato disposto dell'art. 81, ultimo comma, Cost.: tali «regole» e tali «obblighi» non possono mai essere caratterizzati da un livello di generalita' particolarmente basso, ne' da una natura di dettaglio particolarmente accentuata, dovendo essere sempre qualificabili come «norme fondamentali» e «criteri». Cio' esclude che alle disposizioni di rango costituzionale in parola e all'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012 possano essere ricondotte prescrizioni cosi' specifiche e analitiche quali quelle qui contestate. III) Si consideri, infine, che le «regole sulla spesa» che possono essere introdotte in base all'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012, sono solo quelle volte all'obiettivo di «salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica». La disposizione di rango costituzionale appena citata, quindi, subordina la possibilita' di imporre tali «regole» alla loro finalizzazione alla salvaguardia degli equilibri di bilancio. Il comma 420, invece, da un lato non e' idoneo a garantire tale obiettivo, poiche' il fatto che gli enti provinciali non sostengano le spese in questione non comporta affatto che tali enti non affrontino altre spese in modalita' e quantita' tali da frustrare l'obiettivo della salvaguardia degli equilibri di bilancio e della riduzione tra debito e PIL; dall'altro, in presenza di vincoli piu' generali alla spesa pubblica degli enti provinciali, nonche' delle norme concernenti il loro concorso al contenimento della stessa, si rivelano del tutto non necessari al conseguimento degli obiettivi sopra citati. I divieti in questione, quindi, sono da un lato inidonei, e dall'altro non necessari rispetto al conseguimento dell'obiettivo cui dovrebbero essere volti. Cio' determina due conseguenze: i) in primo luogo, contrastano con l'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012, che pone detto obiettivo; ii) in secondo luogo, sono palesemente irragionevoli, in quanto pongono precetti gravosi per l'autonomia finanziaria provinciale senza superare ben due delle tre tappe del giudizio di proporzionalita-ragionevolezza (ossia «idoneita'», «necessita'» e «proporzionalita'» in senso stretto), cosi' come viene teorizzato dalla dottrina piu' autorevole (cfr., per tutti, R. Alexy, Collisione e bilanciamento quale problema di base della dogmatica dei diritti fondamentali, in M. La Torre, A Spadaro (a cura di), La ragionevolezza nel diritto, Torino, Giappichelli, 2002, 27 ss.). Per questa ragione devono essere ritenute in contrasto anche con l'art. 3, primo comma, Cost. 1.5. - Violazione dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012, degli articoli 81, ultimo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012, nonche' dell'art. 3, primo comma, Cost. Nel precedente par. 1.4 si e' mostrato come non e' possibile ritenere che le disposizioni qui contestate siano state poste in attuazione dell'art. 81, ultimo comma, Cost., dell'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 e della legge c.d. «organica» n. 243 del 2012, ponendosi anzi in insanabile contrasto con tali atti normativi. Nella denegata ipotesi in cui questa ecc.ma Corte non ritenesse di dover ravvisare tale contrasto, tuttavia, esse sarebbero comunque incostituzionali per violazione dell'autonomia finanziaria delle province, in quanto, ponendo rigidi divieti di estremo dettaglio, non consentono a queste ultime alcun margine di manovra sulle proprie spese in relazione alle voci ivi considerate. La ragione che sta a fondamento di tale censura e' agevolmente comprensibile ove si consideri quanto segue. Le norme della legge costituzionale n. 1 del 2012 cui sopra si e' fatto riferimento, nella parte in cui legittimano leggi statali - «rinforzate e organiche» o «ordinarie» - a introdurre norme volte a disciplinare (anche) la spesa degli enti territoriali, devono comunque essere lette in combinato disposto con l'art. 119, primo comma, Cost., che continua a riconoscere, pur dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale sopra citata, autonomia finanziaria alla provincia (per quel che qui interessa). Da cio' si desume che i precetti posti dalla legge statale nell'ambito delle nuove competenze assegnate allo Stato dalla riforma costituzionale del 2012, devono comunque salvaguardare un ambito di autodeterminazione, sul versante della spesa, agli enti di cui all'art. 119, primo comma, Cost. Cio' che, come e' del tutto evidente, non avviene nel caso del comma 420 che qui si contesta. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, lettere c), d), e) e f), della legge n. 190 del 2014. 2.1. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. Specifiche ragioni di incostituzionalita' riguardano inoltre il comma 420 nella parte in cui - alle lettere c), e) e f) - vieta in modo assoluto alle province di acquisire personale in qualunque forma e tipo di rapporto di lavoro, invadendo cosi' la potesta' legislativa regionale in tema di organizzazione amministrativa delle province. Come e' noto, a far data dall'entrata in vigore della legge cost. n. 1 del 2001, lo Stato ha perso la competenza legislativa generale in materia di enti locali, potendo, con riguardo a questi ultimi, porre soltanto le norme che rientrino negli ambiti materiali di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. (funzioni fondamentali, organi di governo e legislazione elettorale di province, comuni e citta' metropolitane). La materia dell'«organizzazione amministrativa della provincia», dunque, spetta ora alla competenza legislativa regionale ex art. 117, quarto comma, Cost. Le disposizioni statali contenute nell'art. 1, comma 420, della legge n. 190 del 2014, intervenendo in modo evidente su tale ambito materiale, violano percio' in maniera altrettanto evidente i parametri costituzionali appena evocati. 2.2. - Violazione degli articoli 114, secondo comma, 117, sesto comma, e 118, primo comma, Cost. L'art. 1, comma 420, lettere c), d), e) e f), della legge n. 190 del 2014, lede altresi', in termini addirittura macroscopici, l'autonomia organizzativa e funzionale delle province. L'art. 114, secondo comma, come e' noto, riconosce l'autonomia degli enti provinciali, che e' ribadita - con specifico riguardo all'autonomia organizzativa - dall'art. 117, sesto comma, Cost. Tale particolare autonomia e' implicita anche nell'art. 118, primo comma, Cost., che riconosce alle province autonomia amministrativa, la quale non avrebbe modo di svolgersi in modo adeguato senza implicare necessariamente, alla base, una corrispondente autonomia organizzativa. Ebbene, non vi e' chi non veda come una normativa, quale quella qui contestata, che, come gia' evidenziato, vieta in modo assoluto alle province di acquisire personale in qualunque forma e tipo di rapporto di lavoro, nega in radice un aspetto essenziale dell'autonomia organizzativa di tali enti, vulnerando percio' i citati parametri costituzionali. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, lett. a), della legge n. 190 del 2014. 3.1. - Violazione dell'art. 10, comma 1, della legge n. 243 del 2012, degli articoli 81, ultimo comma, 117, terzo comma, e 119, primo, secondo e ultimo comma, Cost., nonche' dell'art. 5, comma 2, lett. b), della legge cost. n. 1 del 2012. Specifiche ragioni di illegittimita' costituzionale concernono anche la lett. a) del comma 420, ai sensi del quale alle province e' fatto divieto «di ricorrere a mutui per spese non rientranti nelle funzioni concernenti la gestione dell'edilizia scolastica, la costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente, nonche' la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza». Questa disposizione contrasta palesemente con i limiti che gravano sulla legge statale nel momento in cui essa disciplina il ricorso all'indebitamento degli enti territoriali, poiche' vieta tale ricorso anche per spese di investimento, quando queste ultime non afferiscano alle funzioni sopra menzionate. Tale divieto contrasta, innanzi tutto, con l'art. 119, primo e sesto comma, Cost., che da un lato prevedono l'autonomia di entrata e di spesa delle province, e dall'altro limitano tale autonomia, in relazione al ricorso all'indebitamento, solo nel senso che a tale strumento di finanziamento si puo' fare ricorso esclusivamente per «finanziare spese di investimento», senza distinguere a seconda della finalizzazione funzionale di queste ultime. Il contrasto e' inoltre apprezzabile anche in relazione all'art. 5, comma 2, lett. b), della legge cost. n. 1 del 2012, e all'art. 10, comma 1, della legge n. 243 del 2012. La prima disposizione, infatti, prevede che la c.d. «legge organica» disciplina «la facolta' dei comuni, delle province, delle citta' metropolitane, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all'indebitamento, ai sensi dell'art. 119, sesto comma, secondo periodo, della Costituzione, come modificato dall'art. 4 della presente legge costituzionale». Il citato art. 10, comma 1, della legge n. 243 del 2012, per parte sua, specifica il divieto di cui all'art. 119, sesto comma, Cost., autorizzando la legge statale ordinaria a prevedere «modalita'» e «limiti» di tale divieto. L'impugnato comma 420, lett. a), invece, pone un ulteriore e piu' pervasivo divieto concernente il ricorso all'indebitamento, esorbitando dunque dai limiti che la legge statale incontra in base alle disposizioni sopra menzionate, e violando cosi' anche l'art. 81, ultimo comma, Cost., che rappresenta il fondamento costituzionale della vincolativita', per la legge ordinaria statale, della «legge organica» n. 243 del 2012. Risultano violati, inoltre, gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., perche' la legge statale pone norme volte al coordinamento della finanza pubblica aventi caratteristiche di dettaglio e non limitate, dunque, ai soli «principi fondamentali». 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014. 4.1. - Premessa. Il comma 421 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 cosi' dispone: «La dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in misura pari al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, di cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i predetti enti possono deliberare una riduzione superiore. Restano fermi i divieti di cui al comma 420 del presente articolo. Per le unita' soprannumerarie si applica la disciplina dei commi da 422 a 428 del presente articolo». Come si vede, la disposizione in questione prevede una consistente riduzione della pianta organica delle citta' metropolitane e delle province, pari addirittura al 30% per le prime e al 50% per le seconde, rispetto all'ammontare della spesa per il personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge n. 56 del 2014. La riduzione e' inoltre prevista nel 30% per le province con territorio interamente montano e confinanti con paesi stranieri. Questa disposizione e' incostituzionale per le seguenti ragioni. 4.2. - Violazione art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. Il primo contrasto con disposizioni costituzionali che si rende palese in relazione alla norma citata e' quello concernente la lesione della competenza legislativa della regione in materia di «organizzazione amministrativa degli enti locali». Tale materia, infatti, risulta affidata alla competenza legislativa residuale regionale ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., mentre lo Stato puo' disciplinare solo i profili indicati nell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., tra i quali non vi e', come e' evidente, quello concernente la pianta organica delle province e delle citta' metropolitane. Dunque, la disposizione di cui all'art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014 deve ritenersi costituzionalmente illegittima, in quanto dettata in totale carenza di titolo competenziale. 4.3. -Violazione dell'art. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost. (in via subordinata rispetto alla questione proposta nel par. precedente). Anche ove si volesse considerare il comma 421, in base ad un giudizio di prevalenza, riconducibile in qualche modo alla potesta' legislativa statale nella materia del «coordinamento della finanza pubblica», la norma sarebbe da ritenere parimenti incostituzionale per eccesso di competenza. Essa, infatti, contiene precetti di dettaglio, che riguardano una singola voce di spesa e non concedono alcun margine di operativita' alla legge regionale nella sua modulazione. Alla luce della giurisprudenza costituzionale sul punto, non puo' dunque essere considerata un «principio fondamentale» della materia. 4.4. - Violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost. L'autonomia legislativa regionale e' inoltre violata per una ulteriore ragione. Come e' noto, la legge regionale, anche in attuazione di quanto previsto dall'art. 1, comma 89, della legge n. 56 del 2014, deve mettere in atto un processo di riordino delle funzioni di area vasta rientranti nelle materie di propria competenza, ai sensi degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost. La drastica, rigida e assolutamente standardizzata riduzione dell'organico degli enti di area vasta in questione coarta e lede la discrezionalita' legislativa regionale che e' chiamata ad esplicarsi, alla luce delle disposizioni costituzionali citate, nel detto processo di riordino, poiche' il (ri)dimensionamento del personale degli enti territoriali che deriva dal comma 421 non puo' che ridondare pregiudizialmente sulle scelte legislative regionali concernenti l'allocazione delle funzioni. In altre parole, la regione, nell'esercizio della funzione legislativa volta al riordino delle funzioni amministrative di propria competenza, non potra' esercitare la propria discrezionalita', alla luce dei principi costituzionali coinvolti, perche' si trovera' di fronte il «dato» costituito dalla vistosa riduzione del personale degli enti di area vasta coinvolti. La censura appena prospettata, peraltro, ha una portata che va ben al di la' di quanto appena evidenziato. Come e' noto, infatti, le funzioni amministrative affidate alle province e alle citta' metropolitane non rappresentano uno stock immutabile, e certamente non lo saranno anche successivamente all'attuazione del menzionato comma 89 della legge n. 56 del 2014. I legislatori competenti per materia, infatti, potranno modulare via via la quantita' e il tipo di funzioni da allocare a tali livelli territoriali di area vasta, nell'esercizio della propria discrezionalita' legislativa e in attuazione dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost. Un dimezzamento (o comunque una vistosa riduzione) del personale degli enti di area vasta operato dall'alto e solo da parte di uno dei legislatori competenti ad allocare e disciplinare le funzioni amministrative di tali enti, impedira' il congruo dispiegarsi della citata discrezionalita' (in specie da parte della legge regionale, per quel che qui interessa), poiche' le scelte allocative saranno irrimediabilmente pregiudicate dal forte ridimensionamento degli organici operato dalla norma impugnata in questa sede. 4.5. - Violazione dell'art. 118, primo e secondo comma, e 119, quarto comma, Cost. Per ragioni analoghe risultano gravemente violati dal comma 421 anche i principi di sussidiarieta', adeguate e dfferenziazione, nonche' il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse di cui all'art. 119, quarto comma, Cost. I precetti posti dall'art. 118, infatti, risultano lesi dalla circostanza secondo la quale il riordino delle funzioni operato dalla legge regionale si trovera' a non poter farsi guidare da tali norme, poiche' non sara' possibile attribuire agli enti di area vasta tutte le funzioni che ai medesimi dovrebbero spettare in base ai principi menzionati, a causa della inadeguatezza della loro dotazione organica rispetto allo svolgimento delle medesime. Cio' rende palese anche la violazione dell'art. 119, quarto comma, Cost., e del principio di corrispondenza tra funzioni e risorse che quest'ultimo pone. In base a tale disposizione costituzionale, infatti, le risorse derivanti dalle fonti di cui ai primi tre commi della medesima devono essere sufficienti ad assicurare lo svolgimento delle funzioni che agli enti territoriali spettano in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, cosi' come attuati dal legislatore competente per materia. Il che vuol dire che, in primo luogo, vanno individuate le funzioni amministrative che devono essere esercitate dai diversi livelli di governo, e poi, solo in secondo luogo, vanno individuate, in ragione dello stock di funzioni di ciascuno di essi, le risorse che agli stessi vanno assegnate. Il comma 421, invece, procede in modo esattamente opposto, poiche' la riduzione della dotazione organica in esso prevista avviene a monte del riassetto delle funzioni amministrative che le leggi di ciascuna regione sono chiamate a fare dalla legge n. 56 del 2014. Quello appena accennato e', in sintesi, il punto cruciale delle censure esposte nel presente e nel precedente paragrafo. Come e' noto, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito che tra i precetti immediatamente vincolanti per la legislazione statale e' individuabile anche quello di non alterare «il rapporto tra complessivi bisogni (...) e medi finanziari per farvi fronte»: cosi' la sent. n. 381 del 2004, par. 6 del Considerato in diritto, con specifico riferimento alla regione, ma in base ad un principio valido per ogni ente territoriale. La successiva sent. n. 431 del 2004 ha inoltre evidenziato che la violazione del principio de quo si verifica quando la legge determina «una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione» dell'ente territoriale «per l'adempimento dei propri compiti» (par. 3 del Considerato in diritto, anche in questo caso con specifico riferimento alle funzioni regionali ma in base ad una argomentazione evidentemente valida per qualunque ente territoriale costituzionalmente previsto). Ebbene, l'odierna ricorrente non intende sostenere che, in generale, la vistosa riduzione delle risorse finanziarie a disposizione degli enti di area vasta prevista dai commi 418 e 419 della legge n. 190 del 2014 - qui non impugnati - determini senz'altro «una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione» degli enti territoriali «per l'adempimento dei propri compiti». Si sostiene invece che tale riduzione riesce ad evitare di incorrere in vizi di incostituzionalita', sotto il profilo qui considerato, solo nella misura in cui essa consente alla regione di esplicare la propria discrezionalita' legislativa nella modulazione delle funzioni degli enti di area vasta, in modo tale da rendere - pur nel contesto dei limiti complessivi offerti dai citati commi 418 e 419 - le province e le citta' metropolitane strutturalmente adeguate allo svolgimento delle funzioni che, in attuazione dell'art. 118 Cost., essa decidera' di assegnare a queste ultime. Cio' e' precisamente impedito dal comma 421 che qui si contesta, poiche' esso aggiunge alla gia' vistosa diminuzione delle risorse complessive a disposizione degli enti di area vasta operata dai commi 418 e 419 un elemento di fortissima rigidita' consistente nel ridimensionamento dei relativi organici operato prima e a prescindere del processo di riallocazione delle funzioni, quando invece la logica dei principi costituzionali - cosi' come esplicitata anche dalle pronunce di questa ecc.ma Corte sopra richiamate - e' esattamente opposta: prima vanno stabilite le funzioni amministrative che, in attuazione dell'art. 118, spettano a ciascun ente territoriale, e solo dopo - sia pure nel contesto delle determinazioni statali in materia di coordinamento della finanza pubblica, vanno individuate le risorse da assegnare a tali enti. Nel nostro caso le determinazioni statali di coordinamento della finanza pubblica sono offerte dai richiamati commi 418 e 419, mentre il successivo comma 421 determina ex ante e in modo rigido lo stock di risorse di personale a disposizione degli enti di area vasta, prescindendo del tutto dal complesso delle funzioni che, anche in base alla legge regionale, essi saranno chiamati a svolgere. 4.6. - Violazione dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012, dell'art. 81, ultimo comma, Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012. Come gia' evidenziato piu' sopra, la regione ricorrente e' consapevole che la legge cost. n. 1 del 2012, e la normativa di attuazione della medesima, hanno offerto alle fonti statali ulteriori vie per disciplinare importanti aspetti della finanza degli enti territoriali. Anche ove si volesse considerare il comma 421 attuativo della c.d. «legge organica» n. 243 del 2012, adottata in base al sesto comma dell'art. 81 Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1, della legge cost. n. 1 del 2012, tuttavia, l'incostituzionalita' di tale disposizione risulterebbe comunque palese. Essa, infatti, contrasta evidentemente con l'art. 9, comma 5, della citata «legge organica», poiche' - come si e' gia' rilevato al par. 1.4, sub I) - in base a tale disposizione la legge ordinaria dello Stato puo' imporre «ulteriori obblighi» agli enti territoriali solo: a) «sulla base di criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali»; e b) «tenendo conto di parametri di virtuosita'». Ebbene, non vi e' chi non veda come nessuno di questi due requisiti risulti rispettato dal comma 421 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, di talche' esso deve essere ritenuto in contrasto non solo con la citata disposizione della «legge organica» n. 243 del 2012, ma anche con gli articoli 81, sesto comma, Cost., e 5, comma 1, della legge cost. n. 1 del 2012, sui quali riposa la forza obbligante per le leggi statali ordinarie della menzionata «legge organica». 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 422, della legge n. 190 del 2014. 5.1. - Premessa. Il comma 422 prevede che venga individuato «entro novanta giorni» dalla data di entrata in vigore della stessa legge di stabilita', e «secondo modalita' e criteri definiti nell'ambito delle procedure e degli osservatori di cui all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014, n. 56», il personale destinato a rimanere assegnato alle province e alle citta' metropolitane, nonche' quello destinato invece alle procedure di mobilita', in base ai commi 422 ss. Tale previsione deve essere ritenuta incostituzionale per le seguenti ragioni. 5.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. Come e' ormai risaputo, lo Stato non dispone piu', dopo la riforma costituzionale del 2001, di una competenza generale in materia di ordinamento degli enti locali. Puo' solo adottare norme in tema di organi di governo, legislazione elettorale e funzioni fondamentali di province, comuni e citta' metropolitane, mentre il resto spetta senz'altro alla legge regionale in base all'art. 117, quarto comma, Cost. Tale assetto competenziale e' palesemente violato dal comma 422 perche': i) lo Stato difetta radicalmente di un titolo di competenza concernente le procedure di mobilita' concernenti il personale degli enti locali; ii) la legge statale non puo' vincolare le leggi delle regioni ad adeguarsi, in tali ambiti materiali, a un accordo adottato da un organo collegiale al quale queste ultime prendono parte con altri soggetti, anche in considerazione del fatto che la potesta' legislativa e' assegnata dalla Costituzione a ciascuna singola regione, e non al loro insieme; iii) la legge statale, infine, non puo' imporre agli enti di area vasta il rispetto di uno specifico termine per lo svolgimento di atti concernenti le procedure di mobilita', poiche' la disciplina di queste ultime spetta, come si e' detto, alla legge regionale, che potrebbe voler regolare in modo differente tali procedure. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 423, della legge n. 190 del 2014. 6.1. - Premessa. Il comma 423 prevede che «nel contesto delle procedure e degli osservatori di cui all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014, n. 56, sono determinati, con il supporto delle societa' in house delle amministrazioni centrali competenti, piani di riassetto organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale degli enti di cui al comma 421», disponendo inoltre che, in tale contesto, sono «definite le procedure di mobilita' del personale interessato, i cui criteri sono fissati con il decreto di cui al comma 2 dell'art. 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». Tale disposizione presenta i seguenti profili di incostituzionalita'. 6.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. Come si e' detto, lo Stato non dispone di una competenza legislativa generale in materia di ordinamento degli enti locali, potendo soltanto dettare norme concernenti i profili di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p) , Cost. Per questa ragione, la legge statale e' del tutto priva di titolo competenziale a porre norme quali quelle contenute nel comma 423, sopra illustrate. Risultano inoltre gravate di ulteriori profili di incostituzionalita', sempre per violazione dei citati parametri costituzionali, le previsioni sopra richiamate che mirano a vincolare le successive leggi regionali che ritenessero di intervenire nel settore de quo ad atti non legislativi quali l'accordo di cui al comma 91 dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014 e il decreto di cui al comma 2 dell'art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001. 6.3. - Violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. (in via subordinata rispetto alla censura proposta al paragrafo precedente). Anche nella denegata ipotesi in cui questa ecc.ma Corte ritenesse di ascrivere l'art. 1, comma 423, della legge n. 190 del 2014 alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», tale disposizione sarebbe comunque da considerare gravemente incostituzionale, nella parte in cui rinvia, per la sua attuazione, ad atti sub-legislativi. In particolare, ci si riferisce all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (accordo in sede di Conferenza unificata) e il decreto di cui al comma 2 dell'art. 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione). Come e' noto, lo Stato puo' dettare principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica» solo tramite norme di rango legislativo. Da qui l'incostituzionalita' di tali previsioni. 7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014. 7.1. - Premessa. Il primo periodo del comma 424 prevede che «le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione nei propri ruoli delle unita' soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilita'». Il secondo periodo, invece, impone alle regioni ed agli enti locali di destinare «esclusivamente per le finalita' di ricollocazione del personale in mobilita' (...) la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione del personale soprannumerario». A cio' si aggiunge che, nonostante il citato obbligo, restano «fermi» i «vincoli del patto di stabilita' interno e la sostenibilita' finanziaria e di bilancio dell'ente». Infine, in base al comma 424, «le assunzioni effettuate in violazione» del medesimo «sono nulle». Tali previsioni sono incostituzionali per le seguenti ragioni. 7.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. Come e' noto, a seguito della riforma costituzionale del 2001, lo Stato ha perso la competenza legislativa generale in materia di «ordinamento degli enti locali», disponendo ora soltanto del titolo rappresentato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.. La legge statale, dunque, difetta di qualunque titolo competenziale per disciplinare il personale degli enti locali e delle regioni e le sue procedure di mobilita', «fatta eccezione per quello costituito dalla materia dell'ordinamento civile», che evidentemente non viene in rilievo in questa sede, dal momento che le norme che qui si contestano afferiscono tutte alla fase precedente alla costituzione del rapporto di lavoro subordinato presso le amministrazioni interessate. Esse infatti riguardano essenzialmente la destinazione da imprimere alle risorse per il personale da parte di regioni ed enti locali, ossia scelte evidentemente prodromiche alla successiva (ed eventuale) costituzione di rapporti di lavoro subordinato. Il primo profilo di incostituzionalita' e' dunque quello della carenza assoluta di competenza della legge statale a disciplinare le procedure di mobilita' del personale soprannumerario delle province e delle citta' metropolitane, nonche' la destinazione delle risorse delle regioni e degli enti locali a tali processi di mobilita'. 7.3. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. (da un ulteriore punto di vista) e dell'art. 119, primo comma, Cost. In secondo luogo, le disposizioni di cui al comma 424 impongono l'obbligo, a carico delle regioni e degli enti locali, di destinare risorse all'assunzione a tempo indeterminato di determinati lavoratori. In tal modo determinano un penetrante vincolo a una specifica voce di spesa, a gravare sul bilancio degli enti territoriali in questione. Cio' basterebbe a sancire la palese incostituzionalita' di questa norma, in base alla giurisprudenza di questa ecc.ma Corte, la quale, come e' noto, esclude che la legge statale possa imporre vincoli ad una specifica voce di spesa. Per di piu' tale vincolo e' di tipo «positivo», per cosi' dire, a differenza di quelli «negativi» posti dal precedente comma 420, poiche' impone una destinazione vincolata a determinate risorse presenti nei bilanci delle regioni e degli enti locali. I vincoli di destinazione, nelle materie diverse da quelle di competenza statale, sono da ritenere radicalmente incostituzionali, come da tempo ha chiarito questa Corte (cfr., ex plurimis, la sent. n. 423 del 2004). E, come gia' evidenziato, la materia che in questa sede viene in rilievo e' quella dell'organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti locali, affidata alla legge regionale dall'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto esorbitante dai titoli di legittimazione dell'intervento legislativo statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. Ad aggravare l'incostituzionalita' di tale previsione, inoltre, sta la circostanza secondo la quale il comma 424 non stanzia una somma a beneficio dei bilanci di regioni ed enti locali imprimendovi un (incostituzionale) vincolo di destinazione, ma imprime tale vincolo su risorse gia' presenti in questi bilanci, per di piu' senza scomputarla dai calcoli concernenti il patto di stabilita' interno e la sostenibilita' finanziaria dell'ente. Tutto cio', evidentemente, viola non solo la competenza legislativa regionale ex art. 117, quarto comma, Cost., ma anche l'autonomia finanziaria di spesa garantita agli enti territoriali dall'art. 119, primo comma, Cost. 7.4. - Violazione dell'art. 119, quarto comma, Cost., nonche' degli artt. 3, primo comma, e 97, secondo comma, Cost. Un ulteriore effetto del comma 424, fortemente afflittivo per l'autonomia costituzionalmente garantita agli enti territoriali, e' quello del vincolo, a carico di questi ultimi, di realizzare assunzioni a tempo indeterminato solamente attingendo alle graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della stessa legge di stabilita', ovvero al personale delle citta' metropolitane e delle province messo in mobilita'. In tal modo, peraltro, risultera' del tutto impossibile ai citati enti territoriali bandire concorsi pubblici per la copertura di specifiche professionalita' che si rendessero necessarie in relazione all'esercizio delle funzioni loro attribuite. Cio' determina, innanzi tutto, una grave violazione del principio di corrispondenza tra risorse e funzioni amministrative di pertinenza di ciascun ente territoriale, dal punto di vista qualitativo, poiche' dinanzi al bisogno di specifiche professionalita' per lo svolgimento delle funzioni assegnate, questi ultimi non potranno ricercare le professionalita' adeguate, ma dovranno necessariamente gravare i propri ruoli con personale che potrebbe essere per nulla adatto, per competenze e professionalita', alle necessita' dell'ente. Cio', evidentemente, determina anche una grave violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., e del principio di ragionevolezza in esso contenuto, nonche' del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97, secondo comma, Cost.. Non vi e' chi non veda, infatti, come «costringere» gli enti territoriali in questione all'assunzione di personale prescindendo completamente dai bisogni e dalle esigenze funzionali, in termini di professionalita', che tali enti abbiano, sia del tutto irragionevole, potendo addirittura determinare uno spreco di risorse pubbliche, ove i nuovi assunti (come e' plausibile che accada, in virtu' del maccanismo rigido e generalizzato predisposto dalla normativa che qui si impugna) non siano in grado di svolgere le mansioni la cui copertura sarebbe invece necessaria; e sia in grado di ledere il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, ove - per necessita' - gli enti territoriali in questione si trovino a dover assegnare alle unita' di personale acquisite in virtu' dell'impugnato comma 424 mansioni che queste ultime non sono professionalmente adeguate a svolgere. 7.5. - Violazione degli artt. 114, secondo comma, 117, sesto comma, e 118, primo comma, Cost. Infine, la disposizione citata e' incostituzionale, per violazione dei parametri indicati in epigrafe, nella misura in cui incide gravemente sulla potesta' di autorganizzazione degli enti territoriali coinvolti, determinando quindi la possibilita' di un grave pregiudizio sul corretto dispiegarsi dell'autonomia amministrativa che la Costituzione riconosce loro. Quanto evidenziato nel precedente par. 7.4, infatti, rende palese che le regioni e gli enti locali non potranno piu' - per un cospicuo numero di anni a partire dal 1° gennaio 2015 - adottare autonome scelte organizzative in ragione delle funzioni amministrative che saranno chiamati a svolgere. A tacer d'altro - ad esempio - sara' impossibile ricercare professionalita' adeguate allo svolgimento di queste funzioni tramite appositi bandi di pubblici concorsi, e la stessa organizzazione interna degli uffici non potra' non essere calibrata anche sulle caratteristiche delle unita' di personale e delle loro specifiche professionalita' che, per effetto del contestato comma 424, gli enti saranno obbligati ad assorbire. 8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 427, della legge n. 190 del 2014. 8.1. - Premessa. Il comma 427 prevede quanto segue: «Nelle more della conclusione delle procedure di mobilita' di cui ai commi da 421 a 428, il relativo personale rimane in servizio presso le citta' metropolitane e le province con possibilita' di avvalimento da parte delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore. (...) A conclusione del processo di ricollocazione di cui ai commi da 421 a 425, le regioni e i comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni agli enti di cui al comma 421 o ad altri enti locali, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell'ente delegante o affidante, previa convenzione con gli enti destinatari». Tale disposizione e' incostituzionale per le seguenti ragioni. 8.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. Anche il comma 427 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 e' una disposizione che regola particolari aspetti del processo di mobilita' del personale soprannumerario di province e citta' metropolitane. Per le ragioni gia' ricordate piu' sopra, si deve ritenere che lo Stato non disponga di alcun titolo competenziale per intervenire al riguardo. Di qui l'incostituzionalita' del comma 427 in questione per il difetto assoluto di competenza che scaturisce dalla violazione dei parametri indicati.