Ricorso nell'interesse  della  regione  Puglia,  in  persona  del
Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Nicola Vendola, a
cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 221  del
20 febbraio 2015, rappresentato e  difeso  dall'avv.  prof.  Marcello
Cecchetti       del        Foro        di        Firenze        (pec.
marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it) e dall'avv.  Vittorio
Triggiani, Coordinatore dell'Avvocatura Regionale,  ed  elettivamente
domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via  Antonio  Mordini
n. 14, come da mandato a margine del presente atto, contro lo  Stato,
in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 1, commi
420, 421, 422, 423, 424 e 427 della legge 23 dicembre  2014,  n.  190
[Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)],  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300 (S.O. n. 99), per violazione degli
articoli 3, primo comma, 81, ultimo comma, 97,  secondo  comma,  114,
secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo,  quarto  e  sesto
comma, 118, primo e secondo comma,  119,  primo,  secondo,  quarto  e
ultimo comma, della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5,
comma 1, lett. e) , e comma 2, lett. b), della legge cost. n.  1  del
2012, e degli articoli 9, comma 5, e 10, comma 1, della legge n.  243
del 2012. 
1. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  420,  della
legge n. 190 del 2014. 
1.1 - Premessa. 
    Il comma 420 prevede una serie di divieti puntuali di  spesa  per
le province delle regioni a statuto  ordinario.  In  particolare,  la
disposizione che qui si contesta cosi' prevede: «A decorrere  dal  1°
gennaio 2015, alle province delle  regioni  a  statuto  ordinario  e'
fatto divieto: a) di ricorrere a mutui per spese non rientranti nelle
funzioni  concernenti  la  gestione  dell'edilizia   scolastica,   la
costruzione e gestione delle strade provinciali e  regolazione  della
circolazione  stradale  ad  esse  inerente,  nonche'  la   tutela   e
valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di  competenza;  b)  di
effettuare  spese  per   relazioni   pubbliche,   convegni,   mostre,
pubblicita' e di rappresentanza; c)  di  procedere  ad  assunzioni  a
tempo indeterminato, anche nell'ambito di procedure di mobilita';  d)
di acquisire personale attraverso l'istituto del comando.  I  comandi
in essere cessano alla naturale  scadenza  ed  e'  fatto  divieto  di
proroga degli stessi; e) di attivare  rapporti  di  lavoro  ai  sensi
degli articoli 90 e 110 del testo unico delle leggi  sull'ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.
267, e successive modificazioni. I rapporti in essere  ai  sensi  del
predetto art. 110 cessano alla naturale scadenza ed e' fatto  divieto
di  proroga  degli  stessi;  f)  di  instaurare  rapporti  di  lavoro
flessibile di cui all'art. 9, comma 28, del decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, e successive modificazioni; g) di attribuire  incarichi
di studio e consulenza». 
    Tali  previsioni   sono   costituzionalmente   illegittime,   per
violazione di numerosi parametri costituzionali,  secondo  quanto  si
specifichera' di seguito. 
1.2. - Violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  e  dell'art.  119,
secondo comma, Cost. 
    In primo luogo, deve essere evidenziato che le prescrizioni sopra
richiamate violano l'autonomia legislativa regionale  in  materia  di
«coordinamento della finanza pubblica»,  che  gli  artt.  117,  terzo
comma,  e  119,  secondo  comma,  Cost.,   affidano   alla   potesta'
concorrente di Stato e regioni. Cio' in quanto esorbitano dal  limite
dei principi fondamentali che le citate  disposizioni  costituzionali
pongono alla competenza della legge statale nella materia de qua. 
    Non vi e' chi non veda, infatti, come le  disposizioni  in  esame
siano di estremo dettaglio. Esse, infatti, impongono vincoli puntuali
a  determinate  voci  di  spesa,   in   contrasto   con   quanto   la
giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha  da  tempo  escluso  che  la
legge statale possa fare. Sul punto, ex plurimis, si veda la sent. n.
417 del 2005, secondo cui «la previsione da parte della legge statale
di limiti all'entita' di una singola voce di spesa  non  puo'  essere
considerata un principio fondamentale in  materia  di  armonizzazione
dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica,  perche'
pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa  e  si
risolve percio' «in una indebita  invasione,  da  parte  della  legge
statale, dell'area [...] riservata alle autonomie regionali  e  degli
enti locali, alle quali la legge  statale  puo'  prescrivere  criteri
[...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma
non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti  da  utilizzare  per
raggiungere quegli obiettivi» (in senso analogo,  si  veda  anche  la
sent. n. 390 del 2004). 
    Si consideri  peraltro  che  le  disposizioni  in  questione  non
prevedono semplicemente «vincoli» a specifiche voci di spesa (ed es.,
imponendo di contenerle in una determinata misura, magari individuata
in una percentuale di  quella  inserita  in  bilancio  nell'esercizio
precedente),  ma  veri  e  propri  divieti:   la   specificita',   la
puntualita' e il grado dettaglio di tali prescrizioni sono dunque  al
massimo possibile. Al riguardo, si osserva che la  giurisprudenza  di
questa Corte  ha  gia'  provveduto  a  dichiarare  costituzionalmente
illegittime norme statali in  tema  di  coordinamento  della  finanza
pubblica che ponevano precetti certamente  non  piu'  dettagliati  di
quelli qui in discussione, in  quanto  esorbitanti  dalla  competenza
statale in  materia.  A  mero  titolo  di  esempio  puo'  essere  qui
richiamata la gia' ricordata sent. n. 417 del 2005, che ha accolto le
questioni proposte da parte regionale nei confronti di norme  statali
che introducevano «puntuali vincoli» concernenti «le spese per  studi
e   incarichi   di   consulenza   conferiti   a   soggetti   estranei
all'amministrazione, missioni all'estero,  rappresentanza,  relazioni
pubbliche e convegni, nonche' le  spese  per  l'acquisto  di  beni  e
servizi». Ebbene, tali vincoli sono stati ritenuti costituzionalmente
illegittimi,  ancorche'  fossero  imposti  dalle  norme   allora   in
discussione in modo certamente piu'  flessibile  e  meno  dettagliato
rispetto a cio' che avviene nel caso del comma 420 dell'art. 1  della
legge n. 190 del 2014. Ad esempio, l'art. 1, comma 9, del d.l. n. 168
del 2004 prevedeva che la spesa «per studi ed incarichi di consulenza
conferiti a soggetti estranei all'amministrazione» non potesse essere
«superiore alla spesa annua mediamente sostenuta nel biennio  2001  e
2002, ridotta del 15 per cento», mentre i successivi commi  10  e  11
prevedevano  analoghe  limitazioni  alle  spese  rispettivamente  per
missioni all'estero e rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni,
e per l'acquisto di beni e servizi. Come  si  vede,  si  trattava  di
prescrizioni certamente meno rigide e puntuali degli assoluti divieti
su specifiche voci di spesa che in questa sede si contestano.  Eppure
quei vincoli sono stati dichiarati incostituzionali, nella  parte  in
cui si rivolgevano alle regioni ed agli enti locali,  in  quanto  non
potevano  considerarsi  principi  fondamentali  nella   materia   del
«coordinamento della finanza pubblica» (sent n. 417  del  2005,  par.
6.3 del Considerato in diritto). 
    I vincoli posti dalle disposizioni impugnate sono dunque ben piu'
puntuali e stringenti di quelli gia' dichiarati  incostituzionali  in
precedenti    sentenze.    Essi    pertanto    devono    considerarsi
costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 117, terzo
comma, e 119, secondo  comma,  Cost.,  in  quanto  pongono  norme  di
estremo dettaglio nell'ambito della materia di competenza legislativa
concorrente del «coordinamento della finanza pubblica». 
1.3. - Violazione dell'art. 119, primo comma, Cost. 
    Le  disposizioni  in  questione  violano   altresi'   l'autonomia
finanziaria, sotto il profilo della spesa, riconosciuta alle province
dall'art. 119, primo comma, Cost. 
    Non vi e' chi non veda, infatti,  come  l'imposizione  rigida  di
divieti  puntuali  di  specifiche  voci  di  spesa  sia   del   tutto
incompatibile con una qualsiasi (anche minima)  autonomia  di  spesa.
L'autonomia finanziaria, sul versante delle uscite, riconosciuta alle
province dalla norma costituzionale citata, comporta  infatti  che  a
tali enti  sia  garantita  una  sfera  di  autodeterminazione  minima
intangibile in relazione alla destinazione delle  proprie  spese.  Si
tratta     di     un      principio      basilare      dell'autonomia
politico-amministrativa di tutti gli enti territoriali che compongono
la  Repubblica,  tale   per   cui   la   definizione   dell'indirizzo
politico-amministrativo di  ciascun  ente  e'  affidato  ai  processi
democratici di deliberazione pubblica che si svolgono nel suo ambito,
ovviamente entro i limiti posti dagli altri enti - ed in  particolare
da quelli dotati di  competenza  legislativa  -  nel  rispetto  delle
prescrizioni costituzionali. 
    L'annullamento  della   possibilita'   di   autodeterminarsi   in
relazione alle  proprie  spese  non  rappresenta,  pero',  un  limite
all'esercizio di un'autonomia, ma la sua radicale negazione, sia pure
in un settore specifico anche se di importanza strategica come quello
del pubblico impiego. 
    La normativa impugnata viola  quindi  l'art.  119,  primo  comma,
Cost., in quanto da essa deriva la radicale negazione  dell'autonomia
finanziaria, sul versante della spesa, riconosciuta alle province  da
tale  disposizione  costituzionale  e  -  per   conseguenza   -   una
corrispondente compressione dell'autonomia politico-amministrativa di
tali enti. 
1.4. - Violazione degli articoli 3, primo comma, e 81, ultimo  comma,
Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1
del 2012 e dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012. 
    L'odierna ricorrente e' consapevole che la riforma costituzionale
del 2012 (legge cost. n. 1 del 2012),  e  la  relativa  normativa  di
attuazione (legge n. 243 del 2012),  hanno  riconosciuto  allo  Stato
ulteriori  possibilita'  di  disciplina  di  numerosi  aspetti  della
finanza pubblica delle autonomie territoriali. Anche ove si ritenesse
di dover leggere le prescrizioni di cui al comma 420 in  questa  sede
impugnato nel quadro dell'art. 9, comma 5, della  legge  n.  243  del
2012 - ossia la c.d. «legge organica»  di  attuazione  dell'art.  81,
ultimo comma, Cost., e dell'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012  -
il comma 420 sarebbe  da  considerare  incostituzionale  proprio  per
violazione delle citate norme di rango costituzionale e del parametro
interposto costituito dalla menzionata disposizione  della  legge  n.
243. 
    L'art. 81, ultimo comma, Cost., nel testo attualmente  vigente  e
introdotto ad opera della legge cost. n. 1 del 2012, prevede, come e'
noto,  che  «il  contenuto  della  legge  di   bilancio,   le   norme
fondamentali e i criteri volti  ad  assicurare  l'equilibrio  tra  le
entrate e le spese dei bilanci e la  sostenibilita'  del  debito  del
complesso delle pubbliche amministrazioni (siano) stabiliti con legge
approvata a maggiorana assoluta dei componenti  di  ciascuna  camera,
nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale». 
    L'art. 5 della medesima legge cost. n. 1 del 2012, a  sua  volta,
prevede che  «la  legge  di  cui  all'art.  81,  sesto  comma,  della
Costituzione,  come  sostituito  dall'art.  1  della  presente  legge
costituzionale,  disciplin(i),  per  il  complesso  delle   pubbliche
amministrazioni  (...)  l'introduzione  di  regole  sulla  spesa  che
consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la  riduzione
del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo  nel  lungo
periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica» (comma 1,
lett. e). 
    Viene dunque introdotta nel nostro ordinamento  una  nuova  fonte
del diritto - qualificata in dottrina legge «rinforzata» o «organica»
(cosi', ad es., N. Lupo, Il nuovo art. 81  della  Costituzione  e  la
legge «rinforzata» o «organica», in AA.VV., Dalla crisi economica  al
pareggio  di  bilancio:  prospettive,  percorsi  e   responsabilita',
Milano, Giuffre', 2013, 425 ss.) - alla cui competenza e' affidata la
definizione  di  una  normativa  generale  complessivamente  volta  a
disciplinare gli aspetti  fondamentali  della  finanza  pubblica  per
tutte le pubbliche amministrazioni. Tale legge statale «rinforzata» o
«organica», inoltre, da un lato beneficia di una competenza di cui la
legge statale «ordinaria» non dispone (dovendo quest'ultima - per  il
settore che qui  interessa,  rimanere  nell'ambito  dei  principi  di
coordinamento della finanza pubblica di cui  agli  artt.  117,  terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost.;  dall'altro  assume  un  indubbio
valore parametrico, quale norma interposta rispetto alle disposizioni
costituzionali piu' sopra citate nei confronti  delle  leggi  statali
ordinarie e regionali che interverranno sul tema. Come  e'  risaputo,
il legislatore statale ha attuato l'art. 81, ultimo comma,  Cost.,  e
l'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 tramite la legge  «organica»
o «rinforzata» n. 243 del 2012. 
    Come si mostrera' tra un attimo, le prescrizioni di tale legge  -
e, dunque, con esse l'art. 81, ultimo comma, e l'art. 5  della  legge
cost. n. 1 del 2012 - sono stati palesemente violati  dal  comma  420
dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014. Cio' per tre  differenti  ma
concorrenti ragioni. 
    I) La prima puo' essere apprezzata con specifico  riferimento  al
contenuto della citata legge «organica». L'art.  9,  comma  5,  della
legge n. 243 del 2012, infatti, prevede quanto segue:  «Nel  rispetto
dei principi stabiliti dalla presente legge, al fine di assicurare il
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione  europea,
la legge dello  Stato,  sulla  base  di  criteri  analoghi  a  quelli
previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di  parametri
di virtuosita', puo' prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti
di cui al comma 1 in  materia  di  concorso  al  conseguimento  degli
obiettivi di finanza pubblica  del  complesso  delle  amministrazioni
pubbliche». Come si vede, la legge «organica» o «rinforzata»  di  cui
all'art. 81 Cost. stabilisce che la legge statale possa prevedere,  a
carico degli enti autonomi territoriali, «ulteriori obblighi (...) in
materia di concorso  al  conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica» solo ove rispetti due differenti condizioni:  a)  che  tali
obblighi siano posti  «nulla  base  di  criteri  analoghi»  a  quelli
previsti per le amministrazioni statali; b) che i  medesimi  obblighi
tengano conto di «parametri di virtuosita'». 
    Ebbene, non occorrere spendere molte  parole  per  mostrare  come
nessuno di questi due requisiti sia soddisfatto dalle norme  che  qui
si contestano. Il comma 420 dell'art. 1 della legge n. 190 del  2014,
infatti, pone divieti di spesa che: a) non trovano corrispondenza  in
divieti introdotti per le amministrazioni statali, e quindi non  sono
posti «sulla base di criteri analoghi» a quelli previsti  per  queste
ultime; b) sono assolutamente rigidi e si applicano  uniformemente  a
tutti gli  enti  provinciali,  non  tenendo  quindi  in  conto  alcun
«parametr(o) di virtuosita'». 
    Il  contrasto  con  la  citata  disposizione  della  c.d.  «legge
organica» non  potrebbe  essere  piu'  evidente.  Cio'  determina  la
violazione delle norme di  rango  costituzionale  che  alla  medesima
fanno rinvio, ossia l'art 81, ultimo comma, Cost., e l'art.  5  della
legge cost. n. 1 del 2012. 
    II) La seconda ragione puo' essere agevolmente apprezzata tramite
una lettura sistematica delle norme rilevanti sul tema. Al  riguardo,
infatti,  e'  necessario  considerare  che  la  successione  di  atti
normativi volti ad assicurare il raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica prefigurata dall'art. 81, ultimo  comma,  Cost.,  e'
diretta a fissare, per il complesso delle pubbliche  amministrazioni,
«norme fondamentali» e «criteri»: ossia standard che non possono  non
mantenersi ad un  alto  tasso  di  generalita',  non  potendo  invece
contenere precetti specifici e  dettagliati.  L'art.  5  della  legge
cost. n. 1 del 2012 - che discorre di «regole sulla spesa» - e l'art.
9, comma 5,  della  legge  n.  243  del  2012,  il  quale  fa  invece
riferimento ad «ulteriori obblighi» - devono quindi essere letti alla
luce del richiamato disposto dell'art. 81, ultimo comma, Cost.:  tali
«regole» e tali «obblighi» non possono mai essere  caratterizzati  da
un livello di generalita' particolarmente basso, ne' da una natura di
dettaglio   particolarmente   accentuata,   dovendo   essere   sempre
qualificabili come «norme fondamentali» e «criteri». Cio' esclude che
alle disposizioni di rango costituzionale in  parola  e  all'art.  9,
comma 5, della legge  n.  243  del  2012  possano  essere  ricondotte
prescrizioni  cosi'  specifiche  e  analitiche   quali   quelle   qui
contestate. 
    III) Si consideri,  infine,  che  le  «regole  sulla  spesa»  che
possono essere introdotte in base all'art.  5,  comma  1,  lett.  e),
della legge cost. n. 1 del 2012, sono solo quelle volte all'obiettivo
di «salvaguardare gli  equilibri  di  bilancio  e  la  riduzione  del
rapporto tra debito pubblico  e  prodotto  interno  lordo  nel  lungo
periodo, in coerenza con  gli  obiettivi  di  finanza  pubblica».  La
disposizione di rango costituzionale appena citata, quindi, subordina
la possibilita' di imporre tali  «regole»  alla  loro  finalizzazione
alla salvaguardia degli equilibri di bilancio. Il comma 420,  invece,
da un lato non e' idoneo a garantire tale obiettivo, poiche' il fatto
che gli enti provinciali non sostengano le  spese  in  questione  non
comporta  affatto  che  tali  enti  non  affrontino  altre  spese  in
modalita'  e  quantita'   tali   da   frustrare   l'obiettivo   della
salvaguardia degli equilibri di bilancio e della riduzione tra debito
e PIL; dall'altro, in presenza di vincoli piu'  generali  alla  spesa
pubblica degli enti provinciali, nonche' delle norme  concernenti  il
loro concorso al contenimento della stessa, si rivelano del tutto non
necessari al conseguimento degli obiettivi sopra citati. 
    I divieti in questione, quindi,  sono  da  un  lato  inidonei,  e
dall'altro non necessari rispetto al conseguimento dell'obiettivo cui
dovrebbero essere volti. Cio' determina due conseguenze: 
        i) in primo luogo, contrastano con l'art. 5, comma  1,  lett.
e), della legge cost. n. 1 del 2012, che pone detto obiettivo; 
        ii) in secondo  luogo,  sono  palesemente  irragionevoli,  in
quanto  pongono  precetti   gravosi   per   l'autonomia   finanziaria
provinciale senza superare ben due delle tre tappe  del  giudizio  di
proporzionalita-ragionevolezza  (ossia  «idoneita'»,  «necessita'»  e
«proporzionalita'» in senso stretto),  cosi'  come  viene  teorizzato
dalla dottrina piu' autorevole (cfr., per tutti, R. Alexy, Collisione
e bilanciamento quale problema di base della  dogmatica  dei  diritti
fondamentali,  in  M.  La  Torre,  A  Spadaro   (a   cura   di),   La
ragionevolezza nel diritto, Torino, Giappichelli, 2002, 27 ss.).  Per
questa ragione devono essere ritenute in contrasto anche  con  l'art.
3, primo comma, Cost. 
1.5. - Violazione dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del  2012,
degli articoli 81, ultimo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost.,
dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge  cost.  n.  1  del  2012,
nonche' dell'art. 3, primo comma, Cost. 
    Nel precedente par. 1.4 si e'  mostrato  come  non  e'  possibile
ritenere che le disposizioni qui  contestate  siano  state  poste  in
attuazione dell'art. 81, ultimo comma, Cost., dell'art. 5 della legge
cost. n. 1 del 2012 e della legge c.d. «organica» n.  243  del  2012,
ponendosi anzi in insanabile contrasto con tali atti normativi. Nella
denegata ipotesi in cui questa ecc.ma Corte non  ritenesse  di  dover
ravvisare  tale  contrasto,   tuttavia,   esse   sarebbero   comunque
incostituzionali  per  violazione  dell'autonomia  finanziaria  delle
province, in quanto, ponendo rigidi divieti di estremo dettaglio, non
consentono a queste ultime alcun margine  di  manovra  sulle  proprie
spese in relazione alle voci ivi considerate. 
    La ragione che sta a fondamento di tale  censura  e'  agevolmente
comprensibile ove si consideri quanto segue. 
    Le norme della legge costituzionale n. 1 del 2012 cui sopra si e'
fatto riferimento, nella parte in cui  legittimano  leggi  statali  -
«rinforzate e organiche» o «ordinarie» - a introdurre norme  volte  a
disciplinare  (anche)  la  spesa  degli  enti  territoriali,   devono
comunque essere lette in combinato disposto  con  l'art.  119,  primo
comma, Cost., che continua  a  riconoscere,  pur  dopo  l'entrata  in
vigore della legge costituzionale sopra citata, autonomia finanziaria
alla provincia (per quel che qui interessa). Da cio' si desume che  i
precetti posti dalla legge statale nell'ambito delle nuove competenze
assegnate allo Stato dalla riforma costituzionale  del  2012,  devono
comunque salvaguardare un ambito di autodeterminazione, sul  versante
della spesa, agli enti di cui all'art. 119, primo comma,  Cost.  Cio'
che, come e' del tutto evidente, non avviene nel caso del  comma  420
che qui si contesta. 
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  420,  lettere
c), d), e) e f), della legge n. 190 del 2014. 
2.1. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),  e  quarto
comma, Cost. 
    Specifiche ragioni di incostituzionalita' riguardano  inoltre  il
comma 420 nella parte in cui - alle lettere c), e) e f)  -  vieta  in
modo assoluto alle province di acquisire personale in qualunque forma
e tipo di rapporto di lavoro, invadendo cosi' la potesta' legislativa
regionale in tema di organizzazione amministrativa delle province. 
    Come e' noto, a far data dall'entrata in vigore della legge cost.
n. 1 del 2001, lo Stato ha perso la competenza  legislativa  generale
in materia di enti locali, potendo, con  riguardo  a  questi  ultimi,
porre soltanto le norme che rientrino negli ambiti materiali  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. (funzioni  fondamentali,
organi di governo e legislazione elettorale  di  province,  comuni  e
citta' metropolitane). La materia dell'«organizzazione amministrativa
della provincia», dunque,  spetta  ora  alla  competenza  legislativa
regionale ex art. 117, quarto comma, Cost.  Le  disposizioni  statali
contenute nell'art. 1, comma  420,  della  legge  n.  190  del  2014,
intervenendo in modo  evidente  su  tale  ambito  materiale,  violano
percio' in maniera altrettanto evidente  i  parametri  costituzionali
appena evocati. 
2.2. - Violazione degli  articoli  114,  secondo  comma,  117,  sesto
comma, e 118, primo comma, Cost. 
    L'art. 1, comma 420, lettere c), d), e) e f), della legge n.  190
del  2014,  lede  altresi',  in  termini  addirittura   macroscopici,
l'autonomia organizzativa e funzionale delle province. 
    L'art. 114, secondo comma, come e'  noto,  riconosce  l'autonomia
degli enti provinciali, che e'  ribadita  -  con  specifico  riguardo
all'autonomia organizzativa - dall'art. 117, sesto comma, Cost. 
    Tale particolare autonomia  e'  implicita  anche  nell'art.  118,
primo  comma,  Cost.,   che   riconosce   alle   province   autonomia
amministrativa, la quale  non  avrebbe  modo  di  svolgersi  in  modo
adeguato   senza   implicare   necessariamente,   alla   base,    una
corrispondente autonomia organizzativa. 
    Ebbene, non vi e' chi non veda come una normativa,  quale  quella
qui contestata, che, come gia' evidenziato, vieta  in  modo  assoluto
alle province di acquisire personale in qualunque  forma  e  tipo  di
rapporto  di  lavoro,  nega   in   radice   un   aspetto   essenziale
dell'autonomia organizzativa  di  tali  enti,  vulnerando  percio'  i
citati parametri costituzionali. 
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, lett.  a),
della legge n. 190 del 2014. 
3.1. - Violazione dell'art. 10, comma 1, della legge n. 243 del 2012,
degli articoli 81, ultimo comma, 117,  terzo  comma,  e  119,  primo,
secondo e ultimo comma, Cost., nonche' dell'art. 5,  comma  2,  lett.
b), della legge cost. n. 1 del 2012. 
    Specifiche ragioni di  illegittimita'  costituzionale  concernono
anche la lett. a) del comma 420, ai sensi del quale alle province  e'
fatto divieto «di ricorrere a mutui per spese  non  rientranti  nelle
funzioni  concernenti  la  gestione  dell'edilizia   scolastica,   la
costruzione e gestione delle strade provinciali e  regolazione  della
circolazione  stradale  ad  esse  inerente,  nonche'  la   tutela   e
valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza».  Questa
disposizione contrasta palesemente con i  limiti  che  gravano  sulla
legge  statale  nel  momento  in  cui  essa  disciplina  il   ricorso
all'indebitamento degli enti territoriali, poiche' vieta tale ricorso
anche per spese di investimento, quando queste ultime non afferiscano
alle funzioni sopra menzionate. 
    Tale divieto contrasta, innanzi tutto, con l'art.  119,  primo  e
sesto comma, Cost., che da un lato prevedono l'autonomia di entrata e
di spesa delle province, e dall'altro  limitano  tale  autonomia,  in
relazione al ricorso all'indebitamento, solo nel  senso  che  a  tale
strumento di finanziamento si puo' fare  ricorso  esclusivamente  per
«finanziare spese di investimento», senza distinguere a seconda della
finalizzazione funzionale di queste ultime. 
    Il contrasto e' inoltre apprezzabile anche in relazione  all'art.
5, comma 2, lett. b), della legge cost. n. 1 del 2012, e all'art. 10,
comma 1, della legge n. 243 del 2012. La prima disposizione, infatti,
prevede che la c.d. «legge  organica»  disciplina  «la  facolta'  dei
comuni, delle province, delle citta' metropolitane, delle  regioni  e
delle  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  di   ricorrere
all'indebitamento, ai  sensi  dell'art.  119,  sesto  comma,  secondo
periodo,  della  Costituzione,  come  modificato  dall'art.  4  della
presente legge costituzionale». Il citato art.  10,  comma  1,  della
legge n. 243 del 2012, per parte sua, specifica  il  divieto  di  cui
all'art. 119, sesto  comma,  Cost.,  autorizzando  la  legge  statale
ordinaria  a  prevedere  «modalita'»  e  «limiti»  di  tale  divieto.
L'impugnato comma 420, lett. a), invece, pone  un  ulteriore  e  piu'
pervasivo   divieto   concernente   il   ricorso   all'indebitamento,
esorbitando dunque dai limiti che la legge statale incontra  in  base
alle disposizioni sopra menzionate, e violando cosi' anche l'art. 81,
ultimo comma, Cost., che  rappresenta  il  fondamento  costituzionale
della vincolativita', per la legge ordinaria  statale,  della  «legge
organica» n. 243 del 2012. 
    Risultano violati, inoltre, gli artt. 117, terzo  comma,  e  119,
secondo comma, Cost., perche' la legge statale pone  norme  volte  al
coordinamento  della  finanza  pubblica  aventi  caratteristiche   di
dettaglio e non limitate, dunque, ai soli «principi fondamentali». 
4. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  421,  della
legge n. 190 del 2014. 
4.1. - Premessa. 
    Il comma 421 dell'art. 1  della  legge  n.  190  del  2014  cosi'
dispone: «La dotazione organica delle citta'  metropolitane  e  delle
province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a  decorrere
dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura  pari
alla spesa del personale di ruolo alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge 7 aprile 2014, n.  56,  ridotta  rispettivamente,  tenuto
conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge
7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50  per  cento  e  in
misura  pari  al  30  per  cento  per  le  province,  con  territorio
interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, di cui all'art.
1, comma 3, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56.  Entro
trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i
predetti enti possono deliberare  una  riduzione  superiore.  Restano
fermi i divieti di cui al comma 420 del  presente  articolo.  Per  le
unita' soprannumerarie si applica la disciplina dei commi  da  422  a
428 del presente articolo». 
    Come  si  vede,  la  disposizione  in   questione   prevede   una
consistente   riduzione   della   pianta   organica   delle    citta'
metropolitane e delle province, pari addirittura al 30% per le  prime
e al 50% per le seconde, rispetto all'ammontare della  spesa  per  il
personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge  n.  56
del 2014. La riduzione e' inoltre prevista nel 30%  per  le  province
con territorio interamente montano e confinanti con paesi  stranieri.
Questa disposizione e' incostituzionale per le seguenti ragioni. 
4.2. - Violazione art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto  comma,
Cost. 
    Il primo contrasto con disposizioni costituzionali che  si  rende
palese in relazione  alla  norma  citata  e'  quello  concernente  la
lesione della competenza legislativa  della  regione  in  materia  di
«organizzazione amministrativa  degli  enti  locali».  Tale  materia,
infatti,  risulta  affidata  alla  competenza  legislativa  residuale
regionale ai sensi del quarto comma dell'art. 117  Cost.,  mentre  lo
Stato puo'  disciplinare  solo  i  profili  indicati  nell'art.  117,
secondo comma, lett. p), Cost., tra  i  quali  non  vi  e',  come  e'
evidente, quello concernente la  pianta  organica  delle  province  e
delle citta' metropolitane. 
    Dunque, la disposizione di cui all'art. 1, comma 421, della legge
n. 190 del 2014 deve  ritenersi  costituzionalmente  illegittima,  in
quanto dettata in totale carenza di titolo competenziale. 
4.3. -Violazione dell'art. 117, terzo comma, e  119,  secondo  comma,
Cost. (in via subordinata rispetto alla questione proposta  nel  par.
precedente). 
    Anche ove si volesse considerare il comma  421,  in  base  ad  un
giudizio di prevalenza, riconducibile in qualche modo  alla  potesta'
legislativa statale nella materia del  «coordinamento  della  finanza
pubblica», la norma sarebbe da  ritenere  parimenti  incostituzionale
per eccesso di competenza. 
    Essa, infatti, contiene precetti di dettaglio, che riguardano una
singola voce di spesa e non concedono alcun margine  di  operativita'
alla  legge  regionale  nella  sua  modulazione.  Alla   luce   della
giurisprudenza costituzionale  sul  punto,  non  puo'  dunque  essere
considerata un «principio fondamentale» della materia. 
4.4. - Violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo
comma, Cost. 
    L'autonomia legislativa regionale  e'  inoltre  violata  per  una
ulteriore ragione.  Come  e'  noto,  la  legge  regionale,  anche  in
attuazione di quanto previsto dall'art. 1, comma 89, della  legge  n.
56 del 2014, deve mettere in  atto  un  processo  di  riordino  delle
funzioni  di  area  vasta  rientranti  nelle   materie   di   propria
competenza, ai sensi degli artt. 117, terzo e quarto  comma,  e  118,
secondo comma, Cost. 
    La drastica,  rigida  e  assolutamente  standardizzata  riduzione
dell'organico degli enti di area vasta in questione coarta e lede  la
discrezionalita' legislativa regionale che e' chiamata ad esplicarsi,
alla  luce  delle  disposizioni  costituzionali  citate,  nel   detto
processo di riordino, poiche' il  (ri)dimensionamento  del  personale
degli enti territoriali  che  deriva  dal  comma  421  non  puo'  che
ridondare  pregiudizialmente  sulle  scelte   legislative   regionali
concernenti  l'allocazione  delle  funzioni.  In  altre  parole,   la
regione, nell'esercizio della funzione legislativa volta al  riordino
delle funzioni  amministrative  di  propria  competenza,  non  potra'
esercitare  la  propria  discrezionalita',  alla  luce  dei  principi
costituzionali coinvolti, perche' si trovera'  di  fronte  il  «dato»
costituito dalla vistosa riduzione del personale degli enti  di  area
vasta coinvolti. 
    La censura appena prospettata, peraltro, ha una  portata  che  va
ben al di la' di quanto appena evidenziato. Come e' noto, infatti, le
funzioni  amministrative  affidate  alle  province  e   alle   citta'
metropolitane non rappresentano uno stock  immutabile,  e  certamente
non lo saranno anche successivamente  all'attuazione  del  menzionato
comma 89 della legge n. 56 del 2014.  I  legislatori  competenti  per
materia, infatti, potranno modulare via via la quantita' e il tipo di
funzioni da allocare a  tali  livelli  territoriali  di  area  vasta,
nell'esercizio  della  propria  discrezionalita'  legislativa  e   in
attuazione  dell'art.  118,  primo  e   secondo   comma,   Cost.   Un
dimezzamento (o comunque una vistosa riduzione) del  personale  degli
enti di area vasta operato dall'alto e  solo  da  parte  di  uno  dei
legislatori  competenti  ad  allocare  e  disciplinare  le   funzioni
amministrative di tali enti, impedira' il congruo  dispiegarsi  della
citata discrezionalita' (in specie da parte  della  legge  regionale,
per quel che qui interessa), poiche'  le  scelte  allocative  saranno
irrimediabilmente  pregiudicate  dal  forte  ridimensionamento  degli
organici operato dalla norma impugnata in questa sede. 
4.5. - Violazione dell'art. 118, primo e secondo comma, e 119, quarto
comma, Cost. 
    Per ragioni analoghe risultano gravemente violati dal  comma  421
anche i  principi  di  sussidiarieta',  adeguate  e  dfferenziazione,
nonche' il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse di  cui
all'art. 119, quarto comma, Cost. 
    I precetti posti dall'art. 118,  infatti,  risultano  lesi  dalla
circostanza secondo la quale il riordino delle funzioni operato dalla
legge regionale si trovera' a non poter farsi guidare da tali  norme,
poiche' non sara' possibile attribuire agli enti di area vasta  tutte
le funzioni che ai medesimi dovrebbero spettare in base  ai  principi
menzionati, a causa della inadeguatezza della loro dotazione organica
rispetto allo svolgimento delle medesime. 
    Cio' rende palese  anche  la  violazione  dell'art.  119,  quarto
comma, Cost., e  del  principio  di  corrispondenza  tra  funzioni  e
risorse  che  quest'ultimo  pone.  In  base   a   tale   disposizione
costituzionale, infatti, le risorse derivanti dalle fonti di  cui  ai
primi  tre  commi  della  medesima  devono  essere   sufficienti   ad
assicurare lo svolgimento delle funzioni che agli  enti  territoriali
spettano in base ai principi di  sussidiarieta',  differenziazione  e
adeguatezza,  cosi'  come  attuati  dal  legislatore  competente  per
materia. Il che vuol dire che, in primo luogo, vanno  individuate  le
funzioni amministrative che  devono  essere  esercitate  dai  diversi
livelli di governo, e poi, solo in secondo luogo, vanno  individuate,
in ragione dello stock di funzioni di ciascuno di  essi,  le  risorse
che agli stessi vanno assegnate. Il comma  421,  invece,  procede  in
modo  esattamente  opposto,  poiche'  la  riduzione  della  dotazione
organica in  esso  prevista  avviene  a  monte  del  riassetto  delle
funzioni  amministrative  che  le  leggi  di  ciascuna  regione  sono
chiamate a fare dalla legge n. 56 del 2014. 
    Quello appena accennato e', in sintesi, il punto  cruciale  delle
censure esposte nel presente e nel precedente paragrafo. 
    Come e'  noto,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  da  tempo
chiarito  che  tra  i  precetti  immediatamente  vincolanti  per   la
legislazione statale e' individuabile anche quello  di  non  alterare
«il rapporto tra complessivi bisogni  (...)  e  medi  finanziari  per
farvi fronte»: cosi' la sent. n. 381 del 2004, par. 6 del Considerato
in diritto, con specifico riferimento alla regione, ma in base ad  un
principio valido per ogni ente territoriale. La successiva  sent.  n.
431 del 2004 ha inoltre evidenziato che la violazione  del  principio
de quo  si  verifica  quando  la  legge  determina  «una  complessiva
insufficienza  dei  mezzi  finanziari   a   disposizione»   dell'ente
territoriale «per l'adempimento  dei  propri  compiti»  (par.  3  del
Considerato  in  diritto,  anche  in  questo   caso   con   specifico
riferimento alle funzioni regionali ma in base ad una  argomentazione
evidentemente    valida    per    qualunque     ente     territoriale
costituzionalmente previsto). 
    Ebbene,  l'odierna  ricorrente  non  intende  sostenere  che,  in
generale,  la  vistosa  riduzione   delle   risorse   finanziarie   a
disposizione degli enti di area vasta prevista dai commi  418  e  419
della legge  n.  190  del  2014  -  qui  non  impugnati  -  determini
senz'altro «una complessiva  insufficienza  dei  mezzi  finanziari  a
disposizione» degli enti territoriali «per l'adempimento  dei  propri
compiti». Si sostiene invece che tale riduzione riesce ad evitare  di
incorrere in  vizi  di  incostituzionalita',  sotto  il  profilo  qui
considerato, solo nella misura in cui essa consente alla  regione  di
esplicare la propria discrezionalita' legislativa  nella  modulazione
delle funzioni degli enti di area vasta, in modo tale  da  rendere  -
pur nel contesto dei limiti complessivi offerti dai citati commi  418
e 419  -  le  province  e  le  citta'  metropolitane  strutturalmente
adeguate allo svolgimento delle funzioni che, in attuazione dell'art.
118 Cost., essa decidera' di assegnare a queste ultime. 
    Cio' e' precisamente impedito dal comma 421 che qui si  contesta,
poiche' esso aggiunge alla gia'  vistosa  diminuzione  delle  risorse
complessive a disposizione degli enti di area vasta operata dai commi
418 e  419  un  elemento  di  fortissima  rigidita'  consistente  nel
ridimensionamento dei relativi organici operato prima e a prescindere
del processo di riallocazione delle funzioni, quando invece la logica
dei principi costituzionali -  cosi'  come  esplicitata  anche  dalle
pronunce di questa ecc.ma Corte sopra  richiamate  -  e'  esattamente
opposta: prima vanno stabilite le  funzioni  amministrative  che,  in
attuazione dell'art. 118, spettano a  ciascun  ente  territoriale,  e
solo dopo - sia pure nel contesto  delle  determinazioni  statali  in
materia di coordinamento della finanza pubblica, vanno individuate le
risorse da assegnare a tali enti. Nel nostro caso  le  determinazioni
statali di coordinamento della  finanza  pubblica  sono  offerte  dai
richiamati commi 418 e 419, mentre il successivo comma 421  determina
ex ante e  in  modo  rigido  lo  stock  di  risorse  di  personale  a
disposizione degli enti di area vasta,  prescindendo  del  tutto  dal
complesso delle funzioni che, anche in  base  alla  legge  regionale,
essi saranno chiamati a svolgere. 
4.6. - Violazione dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del  2012,
dell'art. 81, ultimo comma, Cost.,  nonche'  dell'art.  5,  comma  1,
lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012. 
    Come gia'  evidenziato  piu'  sopra,  la  regione  ricorrente  e'
consapevole che la legge cost. n. 1  del  2012,  e  la  normativa  di
attuazione della medesima, hanno offerto alle fonti statali ulteriori
vie per disciplinare importanti  aspetti  della  finanza  degli  enti
territoriali. 
    Anche ove si volesse considerare il  comma  421  attuativo  della
c.d. «legge organica» n. 243 del 2012,  adottata  in  base  al  sesto
comma dell'art. 81 Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1,  della  legge
cost.  n.  1  del  2012,  tuttavia,  l'incostituzionalita'  di   tale
disposizione risulterebbe comunque palese. Essa,  infatti,  contrasta
evidentemente con l'art. 9, comma 5, della citata  «legge  organica»,
poiche' - come si e' gia' rilevato al par. 1.4, sub I) -  in  base  a
tale  disposizione  la  legge  ordinaria  dello  Stato  puo'  imporre
«ulteriori obblighi» agli enti territoriali solo: a) «sulla  base  di
criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali»; e
b) «tenendo conto di parametri di virtuosita'». 
    Ebbene, non vi e'  chi  non  veda  come  nessuno  di  questi  due
requisiti risulti rispettato dal comma 421 dell'art. 1 della legge n.
190 del 2014, di talche' esso deve essere ritenuto in  contrasto  non
solo con la citata disposizione della «legge  organica»  n.  243  del
2012, ma anche con gli articoli 81, sesto comma, Cost., e 5, comma 1,
della legge cost. n. 1 del 2012, sui quali riposa la forza obbligante
per le leggi statali ordinarie della menzionata «legge organica». 
5. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  422,  della
legge n. 190 del 2014. 
5.1. - Premessa. 
    Il comma 422 prevede che venga individuato «entro novanta giorni»
dalla data di entrata in vigore della stessa legge di  stabilita',  e
«secondo modalita' e criteri definiti nell'ambito delle  procedure  e
degli osservatori di cui all'accordo previsto dall'art. 1, comma  91,
della legge 7 aprile 2014, n. 56», il personale destinato a  rimanere
assegnato alle province e alle citta' metropolitane,  nonche'  quello
destinato invece alle procedure di mobilita', in base  ai  commi  422
ss. Tale previsione deve  essere  ritenuta  incostituzionale  per  le
seguenti ragioni. 
5.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),  e  quarto
comma, Cost. 
    Come e' ormai risaputo,  lo  Stato  non  dispone  piu',  dopo  la
riforma costituzionale  del  2001,  di  una  competenza  generale  in
materia di ordinamento degli enti locali. Puo' solo adottare norme in
tema  di  organi  di  governo,  legislazione  elettorale  e  funzioni
fondamentali di province, comuni e citta'  metropolitane,  mentre  il
resto spetta senz'altro alla legge regionale in  base  all'art.  117,
quarto comma, Cost. 
    Tale assetto competenziale e' palesemente violato dal  comma  422
perche': i) lo Stato difetta radicalmente di un titolo di  competenza
concernente le procedure di mobilita' concernenti il personale  degli
enti locali; ii) la legge statale non puo' vincolare le  leggi  delle
regioni ad adeguarsi, in tali ambiti materiali, a un accordo adottato
da un organo collegiale al quale queste  ultime  prendono  parte  con
altri soggetti, anche in considerazione del  fatto  che  la  potesta'
legislativa  e'  assegnata  dalla  Costituzione  a  ciascuna  singola
regione, e non al loro insieme; iii) la legge  statale,  infine,  non
puo' imporre agli enti di area vasta il  rispetto  di  uno  specifico
termine per lo  svolgimento  di  atti  concernenti  le  procedure  di
mobilita', poiche' la disciplina di queste ultime spetta, come si  e'
detto, alla legge regionale, che  potrebbe  voler  regolare  in  modo
differente tali procedure. 
6. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  423,  della
legge n. 190 del 2014. 
6.1. - Premessa. 
    Il comma 423 prevede che «nel contesto delle  procedure  e  degli
osservatori di cui all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91,  della
legge 7 aprile 2014, n. 56, sono determinati, con il  supporto  delle
societa' in house delle amministrazioni centrali competenti, piani di
riassetto organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale  degli
enti di cui al comma 421», disponendo inoltre che, in tale  contesto,
sono «definite le procedure di mobilita' del personale interessato, i
cui criteri sono fissati con il decreto di cui al comma  2  dell'art.
30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, da  adottare  entro
sessanta giorni dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente
legge».  Tale   disposizione   presenta   i   seguenti   profili   di
incostituzionalita'. 
6.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),  e  quarto
comma, Cost. 
    Come si  e'  detto,  lo  Stato  non  dispone  di  una  competenza
legislativa generale in materia di  ordinamento  degli  enti  locali,
potendo soltanto dettare norme concernenti i profili di cui  all'art.
117, secondo comma, lett. p) , Cost. Per  questa  ragione,  la  legge
statale e' del tutto priva di  titolo  competenziale  a  porre  norme
quali quelle contenute nel comma  423,  sopra  illustrate.  Risultano
inoltre gravate di ulteriori profili di  incostituzionalita',  sempre
per violazione dei citati  parametri  costituzionali,  le  previsioni
sopra richiamate che mirano a vincolare le successive leggi regionali
che ritenessero di  intervenire  nel  settore  de  quo  ad  atti  non
legislativi quali l'accordo di cui al  comma  91  dell'art.  1  della
legge n. 56 del 2014 e il decreto di cui al comma 2 dell'art. 30  del
d.lgs. n. 165 del 2001. 
6.3.  -  Violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  (in   via
subordinata rispetto alla censura proposta al paragrafo precedente). 
    Anche nella denegata ipotesi in cui questa ecc.ma Corte ritenesse
di ascrivere l'art. 1, comma 423, della legge n. 190  del  2014  alla
materia del «coordinamento della finanza pubblica», tale disposizione
sarebbe comunque da considerare  gravemente  incostituzionale,  nella
parte in cui rinvia, per la sua attuazione, ad atti sub-legislativi. 
    In particolare, ci si riferisce all'accordo previsto dall'art. 1,
comma 91, della legge 7 aprile  2014,  n.  56  (accordo  in  sede  di
Conferenza unificata) e il decreto di cui al comma 2 dell'art. 30 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (decreto del  Ministro  per
la semplificazione e la pubblica amministrazione). Come e'  noto,  lo
Stato  puo'  dettare  principi   fondamentali   nella   materia   del
«coordinamento della finanza pubblica» solo tramite  norme  di  rango
legislativo. Da qui l'incostituzionalita' di tali previsioni. 
7. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  424,  della
legge n. 190 del 2014. 
7.1. - Premessa. 
    Il primo periodo del comma 424 prevede che «le regioni e gli enti
locali, per gli anni  2015  e  2016,  destinano  le  risorse  per  le
assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali  stabilite  dalla
normativa vigente, all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso
pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla
data di entrata in vigore della presente legge e alla  ricollocazione
nei  propri  ruoli  delle  unita'  soprannumerarie  destinatarie  dei
processi di mobilita'».  Il  secondo  periodo,  invece,  impone  alle
regioni ed agli enti  locali  di  destinare  «esclusivamente  per  le
finalita' di ricollocazione  del  personale  in  mobilita'  (...)  la
restante percentuale della  spesa  relativa  al  personale  di  ruolo
cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione  del
personale soprannumerario». A cio' si  aggiunge  che,  nonostante  il
citato obbligo, restano «fermi» i «vincoli del  patto  di  stabilita'
interno e la sostenibilita' finanziaria  e  di  bilancio  dell'ente».
Infine,  in  base  al  comma  424,  «le  assunzioni   effettuate   in
violazione»  del  medesimo  «sono  nulle».   Tali   previsioni   sono
incostituzionali per le seguenti ragioni. 
7.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),  e  quarto
comma, Cost. 
    Come e' noto, a seguito della riforma costituzionale del 2001, lo
Stato ha perso la  competenza  legislativa  generale  in  materia  di
«ordinamento degli enti locali», disponendo ora soltanto  del  titolo
rappresentato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.. La legge
statale,  dunque,  difetta  di  qualunque  titolo  competenziale  per
disciplinare il personale degli enti locali e delle regioni e le  sue
procedure di mobilita', «fatta eccezione per quello costituito  dalla
materia dell'ordinamento civile»,  che  evidentemente  non  viene  in
rilievo in  questa  sede,  dal  momento  che  le  norme  che  qui  si
contestano afferiscono tutte alla fase precedente  alla  costituzione
del  rapporto  di  lavoro  subordinato  presso   le   amministrazioni
interessate. Esse infatti riguardano essenzialmente  la  destinazione
da imprimere alle risorse per il personale da  parte  di  regioni  ed
enti locali, ossia scelte evidentemente prodromiche  alla  successiva
(ed eventuale) costituzione di rapporti di lavoro subordinato. 
    Il primo profilo di incostituzionalita' e'  dunque  quello  della
carenza assoluta di competenza della legge statale a disciplinare  le
procedure di mobilita' del personale soprannumerario delle province e
delle citta' metropolitane, nonche'  la  destinazione  delle  risorse
delle regioni e degli enti locali a tali processi di mobilita'. 
7.3. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),  e  quarto
comma, Cost. (da un ulteriore punto di vista) e dell'art. 119,  primo
comma, Cost. 
    In secondo luogo, le disposizioni di cui al comma  424  impongono
l'obbligo, a carico delle regioni e degli enti locali,  di  destinare
risorse  all'assunzione  a   tempo   indeterminato   di   determinati
lavoratori. In tal modo  determinano  un  penetrante  vincolo  a  una
specifica  voce  di  spesa,  a  gravare  sul  bilancio   degli   enti
territoriali in  questione.  Cio'  basterebbe  a  sancire  la  palese
incostituzionalita' di questa norma, in base alla  giurisprudenza  di
questa ecc.ma Corte, la quale, come e' noto,  esclude  che  la  legge
statale possa imporre vincoli ad una specifica voce di spesa. Per  di
piu' tale vincolo e' di tipo «positivo», per cosi' dire, a differenza
di quelli «negativi» posti dal precedente comma 420,  poiche'  impone
una destinazione vincolata a determinate risorse presenti nei bilanci
delle regioni e degli enti locali. I vincoli di  destinazione,  nelle
materie diverse da quelle di competenza  statale,  sono  da  ritenere
radicalmente incostituzionali, come da tempo ha chiarito questa Corte
(cfr., ex  plurimis,  la  sent.  n.  423  del  2004).  E,  come  gia'
evidenziato, la materia che in questa sede viene in rilievo e' quella
dell'organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti locali,
affidata alla legge regionale dall'art. 117, quarto comma, Cost.,  in
quanto  esorbitante  dai  titoli  di  legittimazione  dell'intervento
legislativo statale di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lett.  p),
Cost. 
    Ad aggravare l'incostituzionalita' di tale  previsione,  inoltre,
sta la circostanza secondo la quale il  comma  424  non  stanzia  una
somma a beneficio dei bilanci di regioni ed enti locali  imprimendovi
un  (incostituzionale)  vincolo  di  destinazione,  ma  imprime  tale
vincolo su risorse gia' presenti in questi bilanci, per di piu' senza
scomputarla dai calcoli concernenti il patto di stabilita' interno  e
la sostenibilita' finanziaria dell'ente. 
    Tutto  cio',  evidentemente,  viola  non   solo   la   competenza
legislativa regionale ex art. 117,  quarto  comma,  Cost.,  ma  anche
l'autonomia finanziaria di spesa  garantita  agli  enti  territoriali
dall'art. 119, primo comma, Cost. 
7.4. - Violazione dell'art. 119, quarto comma, Cost.,  nonche'  degli
artt. 3, primo comma, e 97, secondo comma, Cost. 
    Un ulteriore effetto del comma  424,  fortemente  afflittivo  per
l'autonomia costituzionalmente garantita agli enti  territoriali,  e'
quello  del  vincolo,  a  carico  di  questi  ultimi,  di  realizzare
assunzioni  a   tempo   indeterminato   solamente   attingendo   alle
graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore  della
stessa  legge  di  stabilita',  ovvero  al  personale  delle   citta'
metropolitane e delle province  messo  in  mobilita'.  In  tal  modo,
peraltro,  risultera'  del   tutto   impossibile   ai   citati   enti
territoriali bandire concorsi pubblici per la copertura di specifiche
professionalita'  che   si   rendessero   necessarie   in   relazione
all'esercizio delle funzioni loro attribuite. 
    Cio' determina, innanzi tutto, una grave violazione del principio
di corrispondenza tra risorse e funzioni amministrative di pertinenza
di ciascun ente territoriale, dal punto di vista qualitativo, poiche'
dinanzi al bisogno di specifiche professionalita' per lo  svolgimento
delle funzioni assegnate, questi ultimi  non  potranno  ricercare  le
professionalita' adeguate,  ma  dovranno  necessariamente  gravare  i
propri ruoli con personale che potrebbe essere per nulla adatto,  per
competenze e professionalita', alle necessita' dell'ente. 
    Cio',  evidentemente,  determina  anche  una   grave   violazione
dell'art. 3, primo comma, Cost., e del principio di ragionevolezza in
esso  contenuto,  nonche'  del  principio  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione di cui all'art. 97,  secondo  comma,  Cost..
Non vi  e'  chi  non  veda,  infatti,  come  «costringere»  gli  enti
territoriali in questione all'assunzione  di  personale  prescindendo
completamente dai bisogni e dalle esigenze funzionali, in termini  di
professionalita', che tali enti abbiano, sia del tutto irragionevole,
potendo addirittura determinare uno spreco di risorse pubbliche,  ove
i nuovi assunti  (come  e'  plausibile  che  accada,  in  virtu'  del
maccanismo rigido e generalizzato predisposto dalla normativa che qui
si impugna) non siano  in  grado  di  svolgere  le  mansioni  la  cui
copertura sarebbe invece necessaria; e sia  in  grado  di  ledere  il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione, ove - per
necessita' - gli enti territoriali in questione si  trovino  a  dover
assegnare alle unita' di personale acquisite in virtu' dell'impugnato
comma 424 mansioni  che  queste  ultime  non  sono  professionalmente
adeguate a svolgere. 
7.5. - Violazione degli artt. 114, secondo comma, 117, sesto comma, e
118, primo comma, Cost. 
    Infine,  la  disposizione   citata   e'   incostituzionale,   per
violazione dei parametri indicati in epigrafe, nella  misura  in  cui
incide gravemente sulla  potesta'  di  autorganizzazione  degli  enti
territoriali coinvolti, determinando quindi  la  possibilita'  di  un
grave   pregiudizio   sul   corretto    dispiegarsi    dell'autonomia
amministrativa che la Costituzione riconosce loro. 
    Quanto evidenziato nel precedente par. 7.4, infatti, rende palese
che le regioni e gli enti locali non potranno piu' - per un  cospicuo
numero di anni a partire dal 1°  gennaio  2015  -  adottare  autonome
scelte organizzative in ragione  delle  funzioni  amministrative  che
saranno chiamati a svolgere. A tacer d'altro -  ad  esempio  -  sara'
impossibile ricercare professionalita' adeguate allo  svolgimento  di
queste funzioni tramite appositi bandi di  pubblici  concorsi,  e  la
stessa organizzazione interna degli  uffici  non  potra'  non  essere
calibrata anche sulle caratteristiche delle  unita'  di  personale  e
delle  loro  specifiche  professionalita'  che,   per   effetto   del
contestato comma 424, gli enti saranno obbligati ad assorbire. 
8. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  427,  della
legge n. 190 del 2014. 
8.1. - Premessa. 
    Il comma 427 prevede quanto segue: «Nelle more della  conclusione
delle procedure di mobilita' di  cui  ai  commi  da  421  a  428,  il
relativo personale rimane in servizio presso le citta'  metropolitane
e le province con possibilita' di avvalimento da parte delle  regioni
e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto
del  riordino  delle  funzioni  e  con  oneri  a   carico   dell'ente
utilizzatore. (...) A conclusione del processo di  ricollocazione  di
cui ai commi da 421 a 425, le regioni e i comuni, in caso di delega o
di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni  agli
enti di  cui  al  comma  421  o  ad  altri  enti  locali,  dispongono
contestualmente l'assegnazione del relativo  personale  con  oneri  a
carico dell'ente delegante o affidante, previa  convenzione  con  gli
enti destinatari».  Tale  disposizione  e'  incostituzionale  per  le
seguenti ragioni. 
8.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  p),  e  quarto
comma, Cost. 
    Anche il comma 427 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 e' una
disposizione che regola particolari aspetti del processo di mobilita'
del personale soprannumerario di province e citta' metropolitane. Per
le ragioni gia' ricordate piu' sopra, si deve ritenere che  lo  Stato
non  disponga  di  alcun  titolo  competenziale  per  intervenire  al
riguardo. Di qui l'incostituzionalita' del comma 427 in questione per
il difetto assoluto di competenza che scaturisce dalla violazione dei
parametri indicati.