LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione Lavoro Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: dott. Gabriella Coletti De Cesare - Presidente dott. Pietro Venuti - Consigliere dott. Giuseppe Bronzini - Rel. Consigliere dott. Antonio Manna - Consigliere dott. Lucia Tria - Consigliere ha pronunciato la seguente Ordinanza Interlocutoria Sul ricorso 7115-2009 proposto da: Brazzale Nives BRZNVS41H44L746M, domiciliata in Roma, piazza Cavour presso la cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentata e difesa dall'avv.to Giuseppe Cimino, giusta delega in atti; ricorrente - Contro INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale codice fiscale n. 80078750587 in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria n. 29, presso L'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Riccio, Giuseppina Giannico, Nicola Valente, giusta delega in atti; controricorrente; Avverso la sentenza n. 1285/2008 della Corte d'Appello di Torino, depositata il 19 dicembre 2008, n.r.g. 182/07; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 dicembre 2014 dal Consigliere dott. Giuseppe Bronzini; Udito l'Avvocato Sergio Preden per delega verbale Nicola Valente; Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Paola Mastroberardino che ha concluso in via principale remissione alle Sezioni Unite Civili, in subordine sollevare questione ex art. 117 Corte Cost. in riferimento art. 1 Proc. Cedu. In ulteriore subordine rigetto. Udienza del 17 dicembre 2014, causa n. 8 R.G. n. 7115/09 SVOLGIMENTO DEL PROCESO 1. Con ricorso al Tribunale di Verbania Brazzale Nives evocava in giudizio l'INPS esponendo di essere titolare di pensione di anzianita' avendo perfezionato li trasferimento presso l'INPS della contribuzione versata in Svizzera; di avere chiesto all'Istituto il ricalcolo della pensione sulla base dell'effettiva retribuzione percepita In Svizzera, anziche' sulla base degli importi retributivi arbitrariamente ridotti dall'INPS in considerazione della diversa aliquota contributiva svizzera, inferiore a quella italiana; di avere vanamente esperito l'iter amministrativo. Chiedeva pertanto la condanna al pagamento della prestazione nella misura risultante dalla richiesta ricostituzione. Si costituiva in giudizio l'INPS contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva il rigetto. Il Tribunale di Verbania con sentenza del 5 luglio 2006 accoglieva il ricorso. Avverso la detta sentenza interponeva appello l'INPS chiedendo la riforma della decisione di primo grado. La Corte di appello di Torino con sentenza del 19 dicembre 2008 accoglieva l'appello dell'INPS e rigettava la domanda. La Corte territoriale nella sua sintetica decisione ha ricordato che il Tribunale aveva accolto l'orientamento della giurisprudenza di legittimita' richiamando la sentenza n. 4623/2004 della Corte di cassazione, ma che, successivamente alla decisione della Corte, era intervenuta la legge n. 296/2006 (Legge finanziaria 2007) il cui art. 1 comma 777 recita «5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488 e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, in caso di trasferimento presso l'assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzione ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei paesi esteri e' determinata moltiplicando l'importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l'aliquota contributiva per invalidita', vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge». La Corte territoriale osservava che i criteri fissati dalla norma interpretativa erano stati seguiti dall'INPS nella determinazione della pensione e che la questione di legittimita' costituzionale della detta norma, sollevata con ordinanza del 5 marzo 2007 dalla Corte di cassazione, in riferimento agli art. 3 primo comma, 35 quarto comma e 38 secondo comma Cost., era stata dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 172/2008. A prescindere dalla fondatezza della questione preliminare eccepita dall'INPS concernente l'intervenuta decadenza triennale dall'azione ex art. 47, decreto del Presidente della Repubblica n. 639/1970 come modificato dall'art. 4 D.L. n. 384/1992, l'appello appariva fondato nel merito con conseguente rigetto delle domande proposte con il ricorso introduttivo. 1.2. Per la cassazione di detta decisione propone ricorso la Brazzale Nives con un motivo con il quale si allega la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto; in particolare violazione dell'art. 5, decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968 n. 488 e successive modificazioni ed integrazioni. La ricorrente richiama l'ordinanza interlocutoria della Corte di cassazione n. 5048/2007 secondo la quale la disposizione di cui all'art. 1 comma 777 legge n. 296/06, pur dichiarandosi di interpretazione autentica, avrebbe carattere innovativo incidendo retroattivamente, e irragionevolmente, su diritti acquisiti afferenti lo status di pensionato in quanto riparametra la retribuzione pensionabile del lavoratore emigrato in termini ingiustificatamente riduttivi e penalizzanti, con sensibile decurtazione della pensione spettante. Allega la ricorrente che «in altri termini, ad un calcolo pensionistico effettuato, ovvero da effettuare con riparametrazione degli importi alla retribuzione effettivamente corrisposta nella misura del 32% .. viene ex abrupto sostituita la misura dell'8% ...commisurata alla percentuale che l'Assicurazione sociale svizzera aveva a suo tempo applicato sulle retribuzioni corrisposte». La ricorrente da' atto che la questione di legittimita' costituzione sollevata a suo tempo dalla Corte di cassazione e' stata ritenuta non fondata dalla Corte costituzionale con riferimento all'art. 3 primo comma, 35 quarto comma e 38 secondo comma della Costituzione, ma allega che per l'art. 101 della Costituzione i giudici sono soggetti alla legge e non e' dato sostituirsi ad essa in ragione di una interpretazione autentica che in realta' abbia l'effetto di una innovazione con efficacia retroattiva attraverso un intervento legislativo che finisce con il violare anche l'art. 104 della Costituzione ed il principio di separazione dei poteri. 1.3. Si e' costituito l'INPS chiedendo il rigetto del ricorso; l'Istituto ha prodotto anche memoria difensiva ex art. 378 C.P.C. Con la detta memoria l'INPS ha osservato che la Corte dei diritti dell'uomo con la sentenza Stefanetti ed altri c. Italia del 15 aprile 2014 aveva ribadito quanto precedente statuito con la sentenza Maggio c. Italia circa la violazione in relazione all' art. 1, comma 777 legge n. 296/2006 del diritto ad un giusto processo di cui all'art. 6 Cedu, ma aveva - contrariamente al precedente della sentenza Maggio- stabilito che la detta norma aveva violato anche l'art. 1 del Protocollo n.1 alla Cedu per avere integrato un'indebita interferenza con i diritti dei pensionati comportando un onere eccessivo a loro carico. Per l'INPS, tuttavia, da un lato l'orientamento della Corte di Strasburgo non era, sul punto della lesione dell'art. 1 del Protocollo n. 1, univoco e dall'altro lato la Corte costituzionale con la sentenza n. 264/2012 aveva gia' accertato che la norma contestata era essenziale per la complessiva tenuta del sistema di sicurezza sociale, non in condizione di reggere gli oneri che deriverebbero da un sistema di calcolo pensionistico diverso da quello stabilito nel 2006. La prevalenza dell'esigenza di tutela della sostenibilita' del sistema di sicurezza sociale rispetto a quella di protezione di interessi del singolo, per il caso in esame, era gia' stata chiaramente affermata dalla Corte delle leggi. Premesse processuali 2.1 La ricorrente nel giudizio a quo ha svolto attivita' di lavoro dipendente in Svizzera, maturando un periodo di contribuzione previdenziale di cui ha chiesto il trasferimento dalla assicurazione sociale elvetica a quella italiana. Nella presente controversia questa Corte e' chiamata, in primo luogo, a pronunciarsi sull'applicazione alla fattispecie in esame della legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 777, gia' applicato dalla Corte di appello, e la cui legittimita' costituzionale viene revocata in dubbio da parte ricorrente. La citata norma prevede «il decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, art. 5, comma 2 e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, in caso di trasferimento presso l'assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri e' determinata moltiplicando l'importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l'aliquota contributiva per invalidita', vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici piu' favorevoli gia' liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge». Il suddetto art. 5, comma 2, a sua volta, stabilisce che «per retribuzione annua pensionabile si intende la terza parte della somma delle retribuzioni determinate ai sensi dell'art. 27 e seguenti del testo unico delle norme sugli assegni familiari, estese all'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti della legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 17, risultanti dalle ultime 156 settimane coperte da contribuzione effettiva in costanza di lavoro o figurativa antecedenti la data di decorrenza della pensione. A tal fine, con decreti del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per il tesoro, sentito il consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale entro il 31 dicembre 1968, sara' stabilito un nuovo sistema di versamento dei contributi dovuti all'assicurazione generale predetta, che consenta la rilevazione diretta della retribuzione assoggettata a contributo». Le modifiche sulle regole del computo della retribuzione pensionabile, introdotte da successive disposizioni di legge, non rilevano ai fini del presente esame. 2.2. La questione delle cosiddette «pensioni svizzere», presenta un articolato quadro normativo e giurisprudenziale, sviluppatosi nel tempo, nella pendenza del presente giudizio, in ordine al quale e' opportuno procedere ad un breve riepilogo. L'art. 1 dell'Accordo aggiuntivo alla Convenzione tra l'Italia e la Svizzera relativa alla sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, Accordo concluso a Berna il 4 luglio 1969, cui e' stata data esecuzione con la Legge di Ratifica 18 maggio 1973 n. 283, che trova applicazione nel caso di specie, recita al primo comma i cittadini italiani hanno la facolta', in deroga alle disposizioni dell'art. 7 della Convenzione, di chiedere, al verificarsi dell'evento assicurato in caso di vecchiaia secondo la legislazione italiana, il trasferimento alle assicurazioni sociali italiane dei contributi versati da loro stessi e dai loro datori di lavoro all'assicurazione sociale svizzera ove non abbiano ancora beneficiato di alcuna prestazione dell'assicurazione vecchiaia, superstiti e invalidita' svizzera, a condizione che essi abbiano lasciato la Svizzera per stabilirsi definitivamente in Italia (...). Il comma 2 regola la connessa perdita di ogni diritto nei confronti dell'assicurazione svizzera e il comma 3 disciplina l'utilizzazione in Italia dei contributi, prevedendo: le assicurazioni sociali italiane utilizzano a favore dell'assicurato o dei suoi superstiti i contributi trasferiti al fine far loro conseguire i vantaggi derivanti dalla legislazione italiana, citata dall'art. 1 della Convenzione, secondo le disposizioni particolari emanate dalle autorita' italiane. Se in base alle disposizioni della legislazione italiana non derivi all'assicurato o ai suoi superstiti, dal trasferimento dei contributi, alcun vantaggio nel regime delle pensioni, le assicurazioni sociali italiane rimborsano agli interessati i contributi trasferiti. Al momento della stipulazione del suddetto Accordo aggiuntivo del 1969 era gia' stata introdotta in Italia la cosiddetta pensione retributiva (citato decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, art. 5). In base all'art. 10 del secondo Accordo aggiuntive alla medesima convenzione del 1962, firmato a Berna il 2 aprile 1980 e ratificato con legge 7 ottobre 1981, n. 668 la normativa sul trasferimento dei contributi e' stata applicata ai fini del conseguimento della pensione di anzianita'. In presenza del richiamato quadro normativo, questa Corte, con la sentenza n. 4623 del 2004 (v. anche Cass., Sezione lavoro, sentenze n. 20731 del 2004 e n. 7455 del 2005), nel rigettare il ricorso dell'INPS, statuiva che la circostanza che siano stati applicate aliquote contributive diverse e piu' basse di quelle in vigore in Italia non puo' indurre a introdurre una corrispondente riduzione anche della retribuzione di riferimento, perche' un tale procedimento, non previsto dalla legge, comporterebbe un'arbitraria modificazione dei criteri di determinazione della pensione. Del resto l'entita' delle aliquote contributive non sono un elemento rilevante ai fini della determinazione della pensione in base alla retribuzione percepita nell'ultimo periodo lavorativo, potendo le aliquote variare per legge nel corso del tempo, oppure essere determinati in misura diversa a seconda delle varie categorie produttive o di lavoratori o in presenza di situazioni particolari. Successivamente, interveniva la legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 sopra citato, che prevedeva che la retribuzione percepita all'estero, da porre a base del calcolo della pensione, doveva essere riproporzionata al fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel nostro Paese nel medesimo periodo, cosi introducendo, nell'ordinamento, una interpretazione della disciplina applicabile, di senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati. La Corte di cassazione con ordinanza n. 5048 del 5 marzo 2007 sollevava questione di legittimita' costituzionale della legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 in riferimento all'art. 3 Cost., comma 1, all'art. 35 Cost., comma 4, e all'art. 38 Cost., comma 2. 2.3. La Corte costituzionale con la sentenza n. 172 del 2008 - nel dichiarare non fondata la relativa questione di costituzionalita' - ha affermato che tale disposizione ha reso esplicito un precetto gia' contenuto nelle disposizioni oggetto dell'interpretazione autentica. La norma censurata, ha affermato la Corte costituzionale, assegnando alla disposizione interpretata un significato rientrante nelle possibili letture del testo originario, non determina alcuna lesione dell'affidamento del cittadino nella certezza dell'ordinamento giuridico. In virtu' di tale decisione e' pacifica la natura retroattiva della disposizione prima ricordata che, per la Corte delle leggi, non viola gli artt. 3 Cost., comma 1, l'art. 35 Cost., comma 4 ed infine neppure l'art. 38 Cost., comma 2. Successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 2008, questa Corte modificava il proprio orientamento giurisprudenziale. Con la sentenza n. 23754 del 2008 - nel confermare la sentenza impugnata, che aveva respinto la domanda, proposta da una assicurata nei confronti dell'INPS, di riliquidazione della pensione di anzianita', in godimento dal gennaio 1996, sulla base della retribuzione percepita in Svizzera negli ultimi cinque anni di lavoro, invocando la Convenzione tra Italia e Svizzera sulla sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, e i successivi accordi aggiuntivi, ratificata con la legge n. 283 del 1973 - statuiva che in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 1968, art. 5, comma 2 come interpretato autenticamente dalla legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 - che ha superato il vaglio di legittimita' costituzionale a seguito della sentenza n.172 del 2008 della Corte costituzionale, in ipotesi di trasferimento presso l'assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri e' determinata moltiplicando l'importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l'aliquota contributiva per invalidita', vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Con la sentenza di questa Corte, Sezioni Unite, n. 17076 del 2011, in via incidentale, e' stato ribadito il carattere di disposizione di interpretazione autentica dell'art. 1, comma 777, in esame. 2.4. Con ordinanza interlocutoria n. 23834/2011 del 15 novembre 2011 questa Corte dichiarava rilevante e non manifestamente infondata - in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpreto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, e in particolare dalla sentenza del 31 maggio 2011, resa nel caso Maggio e altri c. Italia - la questione di legittimita' costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 777 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge Finanziaria 2007). Osservava, al riguardo, conclusivamente che «nella fattispecie in esame... in riferimento dell'art. 6, par. 1, della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, nelle sentenze richiamate e nella sentenza Maggio (in uno all'art. 117 Cost., comma 1), si prospetta il dubbio di legittimita' costituzionale della legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 rispetto al quale non sortisce esito favorevole il tentativo dell'odierno interprete di offrire una lettura conforme alla Convenzione, infatti la verifica di compatibilita' della norma censurata con la Convenzione in ragione degli elementi valorizzati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per ritenere ammissibili le disposizioni interpretative, ravvisando la sussistenza di motivi imperativi di interesse generale - e' gia' stata effettuata, con esito negativo, dalla sentenza Maggio». 2.5 La Corte costituzione con sentenza n. 264/2012 dichiarava non fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione. La Corte delle leggi osservava a sua volta che «il vincolo per la Corte, nel caso di specie, e' costituito dalla applicazione che la Corte EDU ha operato, nella sentenza Maggio, dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, stabilendo che «benche' non sia precluso al corpo legislativo di disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo contenuti nel richiamato art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale, l'interferenza del corpo legislativo nell'amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia». La Corte europea ha ritenuto di «non essere persuasa» del fatto che il motivo di interesse generale fosse sufficientemente impellente da superare i pericoli inerenti all'utilizzo della legislazione retroattiva, e percio' ha concluso che, nel caso ad essa sottoposto, lo Stato aveva violato i diritti dei ricorrenti ai sensi della citata disposizione convenzionale, intervenendo in modo decisivo per garantire che l'esito del procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole.... La richiamata disposizione convenzionale, come applicata dalla Corte europea, integra, quindi, pienamente il parametro dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, rispetto al quale il Collegio rimettente ripropone il dubbio di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006. - Tuttavia, nell'attivita' di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti cui, come dianzi chiarito, anche in questo caso e' chiamata questa Corte, rispetto alla tutela dell'interesse sotteso al parametro come sopra integrato prevale quella degli interessi antagonisti, di pari rango costituzionale, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata. In relazione alla quale sussistono, quindi quei preminenti interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione retroattiva. Ed infatti, gli effetti di detta disposizione ricadono nell'ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, anche in ossequio al vincolo imposto dall'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ed assicura la razionalita' complessiva del sistema stesso (sent. n. 172 del 2008), impedendo alterazioni della disponibilita' economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, e cosi garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarieta', che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali. E' ispirata, invero, ai principi di uguaglianza e di proporzionalita' una legge che tenga conto della circostanza che i contributi versati in Svizzera siano quattro volte inferiori a quelli versati in Italia e operi, quindi, una riparametrazione diretta a rendere i contributi proporzionati alle prestazioni, a livellare i trattamenti, per evitare sperequazioni e a rendere sostenibile l'equilibrio del sistema previdenziale a garanzia di coloro che usufruiscono delle sue prestazioni» ( cfr. punti 5.2, 5,3. 5.4 della motivazione). 2.6 Come gia' riferito, con sentenza del 15 aprile 2014 la Corte Edu nella causa Stefanetti ed altri c. Italia ha ribadito la condanna dell'Italia per violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 Cedu in relazione all'adozione dell'art. 1 comma 777 legge n. 296/2006 e, anche con implicito riferimento alla sentenza n. 264/2012 della nostra Corte delle leggi, ha osservaio, in particolare, che: «40. Nel caso di specie il Governo presentava ulteriori argomenti evidenziando in particolare il fatto che la promulgazione della legge n. 296/2006 mirava ad assicurare il rispetto della volonta' originaria del legislatore e a coordinare l'applicazione della Convenzione italo-svizzera e il nuovo metodo di calcolo, entrato in vigore nel 1982 e che aveva creato uno squilibrio nelle relative valutazioni. Faceva riferimento alla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri (sopra citata). 41. La Corte ritiene che il caso di specie sia diverso dalla causa National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society (sopra citato) in cui l'avvio di un procedimento da parte delle societa' ricorrenti e' stato considerato un tentativo di approfittare della vulnerabilita' delle autorita' derivante da difetti tecnici della legislazione e di frustrare l'intenzione del Parlamento (§§ 109 e 112). Il caso di specie e' diverso anche dalla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri citato dal Governo in cui i ricorrenti cercavano di nuovo di ottenere dei vantaggi da una lacuna della legislazione, cui l'ingerenza legislativa mirava a porre rimedio. In questi due casi i tribunali nazionali avevano riconosciuto le carenze della legislazione in questione e l'azione da parte dello Stato, per porre rimedio alla situazione, era stata prevedibile (rispettivamente §§ 112 e 72). 42. Nel caso di specie non vi erano difetti cospicui nel quadro giuridico del 1962 e, come riconosciuto dal Governo, la necessita' di un intervento legislativo e' sorta solo in conseguenza della decisione dello Stato, nel 1982, di riformare il sistema pensionistico. In quella fase fu lo Stato stesso a creare una disparita' che esso provo' a correggere solo ventiquattro anni dopo (e trentotto anni dopo la promulgazione delle disposizioni di legge originarie). In effetti, non risulta che vi siano stati tentativi tempestivi di correggere il sistema prima, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali. A tale proposito la Corte osserva che prima della promulgazione della legge n. 296/2006 i Tribunali nazionali si erano ripetutamente pronunciati a favore di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, e che l'interpretazione delle pertinenti disposizioni di legge (come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 6 marzo 2004) era diventata la giurisprudenza maggioritaria. Ne consegue che, dato anche il fatto che nei decenni in cui l'applicazione del calcolo in questione era stata contestata nei Tribunali nazionali vi era stata un'interpretazione maggioritaria a favore dei ricorrenti (con l'eccezione di alcune sentenze di primo grado), nel caso di specie, diversamente dalle cause summenzionate, l'ingerenza legislativa (che faceva pendere la bilancia a favore di una delle parti) non era prevedibile. 43. La Corte ritiene inoltre, data la sequenza degli eventi, che non si possa affermare che l'intervento legislativo mirasse a ripristinare l'intenzione originaria del legislatore del 1962. Inoltre, anche assumendo che la legge mirasse davvero a reintrodurre la volonta' originaria del legislatore dopo le modifiche del 1982, la Corte ha gia' accettato che il fine di ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico, benche' di interesse generale, non era sufficientemente impellente da prevalere sui pericoli inerenti all'utilizzo di una normativa retroattiva che incideva su una controversia pendente. Invero, anche ammettendo che lo Stato stesse tentando di perequare una situazione che originariamente non aveva inteso creare, avrebbe potuto farlo tranquillamente senza ricorrere all'applicazione retroattiva della legge. Inoltre, anche il fatto che lo Stato abbia aspettato ventiquattro anni prima di effettuare una simile perequazione, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali, crea dei dubbi riguardo al fatto che quella fosse realmente l'intenzione del legislatore nel 1982». 2.7 La sentenza Edu del 15 aprile 2014 ha anche liquidato la somma di € 12.000, per ciascun ricorrente a titolo di danno morale per le violazioni degli artt. 6 Cedu e dell'art. 1 Protocollo n. 1 Cedu (mentre ancora sub iudice e' la richiesta dei ricorrenti di liquidazione del danno patrimoniale in applicazione dell'art. 41 Cedu). La Corte Edu ha sul punto osservato che «65. Inoltre nel caso di specie la Corte non puo' perdere di vista il fatto che i ricorrenti hanno deciso consapevolmente di tornare in Italia in un momento in cui avevano la legittima aspettativa di poter percepire delle pensioni piu' elevate, e pertanto un tenore di vita piu' agiato. Tuttavia in conseguenza del calcolo applicato dall'INPS e infine dell'azione legislativa contestata, essi si sono trovati non solo in una situazione economica piu' difficile ma hanno inoltre dovuto intraprendere delle azioni legali per recuperare cio' che ritenevano fosse dovuto - procedimenti che sono stati frustrati dalle azioni del Governo in violazione della Convenzione. Mediante queste azioni il corpo legislativo Italiano ha arbitrariamente privato i ricorrenti del loro diritto all'importo della pensione che potevano legittimamente aspettarsi che fosse determinata in conformita' alla giurisprudenza decisa dai piu' elevati organi giudiziari del paese (si veda il paragrafo 42 supra), elemento che non puo' essere ignorato al fine di determinare la proporzionalita' della misura contestata (si vedano Maurice c. France, Draon c. France; e Kuznetsova c. Russia, tutti sopra citati, §§ 90 -91, §§ 82-83 e § 51, rispettivamente). Malgrado la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, non esistevano impellenti motivi di interesse generale che giustificassero l'applicazione retroattiva della Legge n. 296/2006, che non era un'interpretazione autentica dell'originaria legge ed era pertanto imprevedibile (si comparino e si mettano a confronto i paragrafi 26 e 42). 66. In conclusione la Corte ritiene che, dopo aver versato contributi per tutta la vita, perdendo il 67% delle loro pensioni i ricorrenti non hanno subito delle riduzioni proporzionate ma sono stati di fatto costretti a sopportare un onere eccessivo. Percio', nonostante le ragioni che erano alla base delle misure contestate, nelle presenti cause la Corte non puo' concludere che sia stato trovato un giusto equilibrio. 67. Ne consegue che e' stato violato l'articolo 1 del Protocollo n. 1, considerato singolarmente». Diritto 3.1. Tutto cio' premesso questa Corte ritiene che, in ordine alla disposizione di cui all'art. 1 comma 777 legge n. 296/2006, emerga ulteriore e diversa questione di legittimita' costituzionale rispetto a quella cui si accenna nel ricorso, in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, in relazione non solo all'art. 6 Cedu ma all'art. 1 Protocollo n. 1 Cedu come interpretati alla luce della sentenza Stefanetti ed altri c. Italia del 15 aprile 2014, ormai divenuta definitiva (avendo la Corte Edu l'8 settembre 2014 rigettato la richiesta di rinvio alla Grande Camera presentata dallo Stato Italiano). Tale questione appare rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata. Non e' necessario in questa sede un esame della complessa giurisprudenza della Corte Edu in materia di interpretazione autentica e retroattivita' delle leggi in materia civile nella sue ricadute processuali sulle controversie ancora pendenti allorche' lo Stato sia parte in giudizio e in tema di riduzione «ragionevole e proporzionata» di diritti pensionistici consolidati che possano ritenersi «un bene ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1 Cedu» (come quelli in discorso alla stregua delle sentenze della Corte Edu) avendo gia' la Corte di Strasburgo - alla luce dei propri orientamenti giurisprudenziali - stabilito nella decisione Stefanetti che la norma in discorso viola sia l'art. 6 che l'art. 1 del Protocollo n. 1. Non si tratta nella presente controversia di mutuare principi giurisprudenziali affermati in una certa fattispecie e, poi applicarli in una diversa, essendo gia' stato accertato da parte della Corte Edu che la norma della cui costituzionalita' si dubita viola i due diritti umani prima ricordati. 3.2. E' certamente vero che la sentenza Stefanetti ha accertato un sacrificio eccessivo ed ingiustificato per le sue dimensioni del diritto pensionistico del ricorrente e di ben altri otto pensionati con riferimento alla loro specifica situazione, ma tale esame e' stato compiuto in relazione ad effetti ordinari e, per cosi' dire, sistemici della norma interpretativa del 2006 esaminati in modo piu' analitico ed attento che nella precedente sentenza Maggio. Per ben nove ricorrenti il sacrifico accertato della pensione (spettante in base alla legge ed alla giurisprudenza consolidata, anche di legittimita') sulla base di dati che l'INPS non ha contestato e' stata di circa due terzi (67%), portando a trattamenti molto bassi, in relazione a ipotesi che non sembrano affatto eccezionali e particolari, ma risultato «naturale» del contestato provvedimento legislativo. In ogni caso un sacrificio sproporzionato ed ingiustificato, soprattutto per la sua dimensione quantitativa, e' stato dedotto, sia pure sinteticamente, nel ricorso in cassazione, nel quale non si contesta solo la natura retroattiva del provvedimento ma anche l'entita' dell'intervento di correzione della misura pensionistica spettante ex lege e si allega che «ad un calcolo pensionistico effettuato, ovvero da effettuare con riparametrazione degli importi alla retribuzione effettivamente corrisposta (o diversa ma vicina percentuale) viene ex abrupto sostituita la misura dell'8 % (o addirittura inferiore ) commisurata alla percentuale che l'Assicurazione sociale svizzera aveva a suo tempo applicato sulle retribuzioni corrisposte» (pag. 4 del ricorso), senza che l'INPS abbia contestato tale assunto nel controricorso o nella memoria ex art. 378 C.P.C. Si tratta di un dedotto vulnus pensionistico di entita' che appare simile a quella accertata dalla Corte Edu nella causa Stefanetti con riferimento alle pensioni concretamente erogate ai ricorrenti in quella controversia. Nella sentenza di primo grado del Tribunale di Verbania si osserva, peraltro, che la ricorrente ha trasferito in Italia ben 41 anni di contributi dal 1960 al 2001 (come emerge anche dalla documentazione allegata al ricorso di primo grado), situazione che certamente richiama da vicino, anzi superando per entita' di contributi trasferiti dalla Brazzale, quella vagliata nella Stefanetti in cui e' stato accertato che i ricorrenti avevano versato contributi «per tutta la vita» (v. parte in fatto e punto n. 25 della motivazione) ma comunque per periodi inferiori a quanto e' avvenuto nella presente controversia. Nel caso di quest'ultima gli effetti negativi sul trattamento pensionistico spettante ad opera della norma retroattiva dovrebbero, pertanto, essere non meno significativi, se non addirittura piu' rilevanti di quanto emerso nella prima citata decisione della Corte di Strasburgo. Peraltro questa Corte non puo' non sottolineare che, controvertendosi di lesioni di diritti umani fondamentali, la funzione nomofilattica ad essa affidata, che ovviamente mira fissare un principio di diritto applicabile a tutte le controversie che vertono sugli effetti di una medesima normativa, non consente piu' di tanto di soffermarsi sugli aspetti piu' concreti e particolari della vicenda, a meno di compromettere quel nesso tra il perseguimento della detta funzione e le esigenze costituzionali di eguaglianza e certezza del diritto ricordate di recente anche dalla Corte delle leggi nell'ordinanza n. 149/2013 che ha sottolineato «il rilievo che assume, nell'ambito del sistema processuale e secondo una direttrice che e' alimentata dal valore della certezza del diritto, la funzione nomofilattica assegnata dall'ordinamento alla Cassazione - di recente ulteriormente valorizzata dal legislatore a seguito delle riforme processuali del 2006 e del 2009 - della quale e' sicuramente partecipe il vincolo del «principio di diritto», le cui fondamenta poggiano anche sul principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), in forza del quale casi analoghi devono essere giudicati, per quanto possibile, in modo analogo». Nella presente controversia ed in moltissime altre ancora pendenti una questione di valutazione in concreto del danno pensionistico non si e' mai processualmente posta in quanto si tratta di domande introdotte per ottenere il trattamento che - all'epoca - era previsto per legge, anche alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimita'. 3.3. Posto il contrasto tra la norma della legge finanziaria del 2006 e i due diritti protetti dalla Cedu, questa Corte non puo' procedere alla disapplicazione della norma interna stante l'ormai consolidata giurisprudenza che inibisce al giudice questa operazione. Come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 264/2012, sempre nel caso delle pensioni svizzere: «4.... A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, questa Corte ha costantemente ritenuto che «le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) - integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (sentenze n. 236, n. 113, n. 80 - che conferma la validita' di tale ricostruzione dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 - e n. 1 del 2011; n. 196 del 2010; n. 311 del 2009). Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, quindi, «il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilita' di un'interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113 del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009). Se questa verifica da' esito negativo e il contrasto non puo' essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo una questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., ovvero all'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009)». 4.5. Questa Corte non puo' nemmeno interpretare diversamente i due diritti protetti dalla Cedu essendo la violazione di questi ad opera della normativa del 2006 gia' stata accertata, come ribadito dalla Corte delle leggi nella citata decisione del 2012: «4.2. - In definitiva, se, come piu' volte affermato da questa Corte (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n. 239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007), il giudice delle leggi non puo' sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella data in occasione della sua applicazione al caso di specie dalla Corte di Strasburgo, con cio' superando i confini delle proprie competenze in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l'apposizione di riserve, della Convenzione...». 4.6. La Corte non puo' pero' nemmeno non tenere nella debita considerazione il «fatto nuovo» della condanna dell'Italia con la sentenza Stefanetti, cui non puo' darsi risposta sulla base degli argomenti utilizzati dalla Corte delle leggi nella gia' ricordata decisione n. 264/2012, non solo perche' tale decisione ovviamente non tiene conto della «replica» della Corte Edu con la successiva condanna anche sul punto della violazione del diritto ad un giusto processo (punto 43 della motivazione delta Stefanetti gia' riportata), ma - soprattutto - perche' gli argomenti che supportano la decisione della Corte delle leggi del 2012 non considerano il «fatto nuovo» della condanna anche per la violazione «sostanziale» del diritto pensionistico dei lavoratori italiani; anzi tali argomenti valorizzano proprio la mancata condanna dell'Italia per violazione dell'art. 1 Protocollo n. 1 alla Cedu nel caso Maggio. Nella decisione n. 264/2012 si e' operato un bilanciamento (v. il punto n. 3 della motivazione in diritto della sentenza: «tuttavia, nell'attivita' di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti cui, come dianzi chiarito, anche in questo caso e' chiamata questa Corte, rispetto alla tutela dell'interesse sotteso al parametro come sopra integrato prevale quella degli interessi antagonisti, di pari rango costituzionale, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata») tra il solo diritto umano ad un giusto processo ed altri interessi costituzionalmente rilevanti, mentre ora viene in gioco l'ulteriore violazione anche di un diritto sostanziale protetto dalla Cedu che, quindi, configura un piu' grave e significativo allontanamento dalla «legalita' convenzionale». La sentenza Stefanetti ha gia' messo rilievo come sia stato compromesso un diritto di lavoratori migranti, costretti a lavorare all'estero, che si sono visti ridurre in modo sproporzionato ed eccessivo la misura della pensione dovuta ex lege da parte di un provvedimento retroattivo quando non erano piu' in grado di mutare le proprie scelte di vita, essendo gia' in quiescenza ed avendo trasferito in Italia i propri contributi previdenziali maturati in Svizzera sulla base dell'affidamento su una normativa vigente e convalidata dalla giurisprudenza di legittimita' italiana (cfr. punti 23, 24 e 25 della motivazione della Stefanetti). Si tratta, quindi di una ulteriore violazione dell'ordinamento convenzionale che espone l'Italia al rischio di future e piu' severe condanne rispetto a quanto avvenuto con la decisione Maggio. Inoltre appare opportuno rimarcare che la violazione riguarda le legittime aspettative pensionistiche di soggetti che, con ogni probabilita', hanno dovuto trasferirsi in un paese, neppure adente all'Unione europea e quindi con le garanzie spettanti al «lavoratore comunitario», in relazione al mancato compiuto adempimento della Repubblica alla garanzia del «diritto al lavoro» di cui all'art. 4 della Costituzione (riconosciuto anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo - art. 23, dalla Carta sociale europea - art. 1, e con la formula «diritto di lavorare - dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea). L'espressione «pensioni svizzere» con cui la dottrina e gli stessi media usano sintetizzare la vicenda non restituisce la peculiare situazione di persone in ricerca dl un lavoro e disposte (o costrette) a recarsi all'estero per ottenerlo. 4.7. Ora una comparazione tra questa ulteriore e specifica violazione di una norma Cedu (art. 1 del Protocollo n. 1) ed altri interessi costituzionalmente rilevanti non e' offerta dalla decisione n. 264/2012 che anzi, insiste, come argomento rilevante, sulla mancata condanna dell'Italia, sul punto, nella sentenza Maggio. La Corte delle leggi ha infatti espressamente affermato che «5.4.- Ne' e' priva di rilievo la circostanza che la sentenza della Corte EDU, che e' tenuta a tutelare in modo parcellizzato, con riferimento a singoli diritti, i diversi valori in giuoco, da un lato, ritenga sussistente, nella specie, la violazione del diritto dei ricorrenti ad un equo processo, solo per questo riconoscendo loro un indennizzo, e, dall'altro, escluda la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, pur denunciata dai ricorrenti sotto il profilo dell'ingerenza nel pacifico godimento dei loro beni attraverso la riduzione della pensione. La esclusione della violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 e' motivata dai giudici europei alla stregua della considerazione che la legge n. 296 del 2006 persegue un interesse pubblico, quello di fornire un metodo di calcolo della pensione armonizzato, al fine di garantire un sistema previdenziale sostenibile e bilanciato, evitando che i ricorrenti possano beneficiare di vantaggi ingiustificati, e che il sacrificio subito da costoro non e' tale da pregiudicarne i diritti pensionistici nella loro essenza, avendo essi perso solo un ammontare parziale della pensione. Pertanto, la sentenza, non senza considerare «l'ampio margine di apprezzamento dello Stato nel disciplinare il suo sistema pensionistico», rigetta la domanda di riliquidazione della pensione. A differenza della Corte EDU, questa Corte, come dianzi precisato, opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed e', quindi, tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante, che, nella specie, da' appunto luogo alla soluzione indicata. E cio' anche considerando, a contrario, che una declaratoria che non fosse di infondatezza della questione, e che espungesse, quindi, la norma censurata dall'ordinamento, inciderebbe necessariamente sul regime pensionistico in esame, cosi contraddicendo non solo il sistema nazionale di valori nella loro interazione, ma anche la sostanza della decisione della Corte EDU di cui si tratta, che ha negato accoglimento alla domanda dei ricorrenti di riconoscimento del criterio di calcolo della contribuzione ad essi piu' favorevole». Si tratta oggi di argomenti oggi non piu' attuali e che mostrano senza dubbio che il bilanciamento effettuato nel 2012 non e' piu' pertinente ed esaustivo a fronte del «fatto nuovo» della sentenza Stefanetti e che quindi la Corte delle leggi dovra' effettuare una nuova liquidazione della legittimita' costituzionale della norma di interpretazione autentica approvata nel 2006 alla luce della condanna dell'Italia per una duplice violazione delle norme convenzionali. 4.8. Ne', infine, potrebbe ritenersi che una valutazione in ordine all'entita' della compressione del diritto pensionistico dei lavoratori ex migranti in Svizzera (che trova diretta protezione costituzionale all'art. 38 della Costituzione) sia gia' avvenuto con la sentenza n. 172/2008 della Corte costituzionale. La Corte, proprio nella decisione n. 264/2012 ha infatti limpidamente ricordato, che «4.1. - Nella giurisprudenza costituzionale si e', inoltre, reiteratamente affermato che, con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo' mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle gia' predisposte dall'ordinamento interno, ma puo' e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. Del resto, l'art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che l'interpretazione delle disposizioni CEDU non puo' implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali. Di conseguenza, il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, concetto nel quale deve essere compreso, come gia' chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioe' con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall'espansione di una singola tutela». Nel caso in esame, gia' alla luce della decisione della Corte nel 2008 rilevano vincoli alla piena discrezionalita' del legislatore nel correggere con efficacia retroattiva le prestazioni pensionistiche spettanti ex lege, che derivano non da fonti costituzionali interne, ma dalla matrice convenzionale della protezione, non per questo meno esigenti in virtu' dell'art. 117 della Costituzione, La Corte delle leggi ha gia' precisato nel passaggio prima riportato della sentenza n. 264 che comunque e' necessario un bilanciamento tra la tutela convenzionale e quella offerta ad altri interessi costituzionalmente protetti, ma tale bilanciamento specifico, e quindi con riguardo alla protezione del diritto di natura pensionistica, non e' mai stato effettuato nella giurisprudenza costituzionale. 4.8. La Corte costituzionale, anche nella recente sentenza n. 10/2015 dell'11 febbraio 2015, ha ribadito con nettezza i principi affermati nella decisione n. 264/2012 ricordando che «il compito istituzionale affidato a questa Corte richiede che la Costituzione sia garantita come un tutto unitario, in modo da assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» (sentenza n. 264 del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. «Se cosi non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe "tiranno" nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette»; per questo la sentenza ricorda che la Corte opera normalmente un ragionevole bilanciamento dei valori coinvolti nella normativa sottoposta al suo esame, dal momento che «[l]a Costituzione Italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi» (sentenza n. 85 del 2013)" ( punto 7 della motivazione), ed in quest'ottica sottolinea la necessita' di comparare e bilanciare " tutti i principi e i diritti in gioco, in modo da impedire «alterazioni della disponibilita' economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri [...] garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarieta', che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali» (sentenza n. 264 del 2012). Essa consente, inoltre, al legislatore di provvedere tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale dell'equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del 2014, n. 266 del 2013, n. 250 del 2013, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966) e gli obblighi, comunitari e internazionali connessi" (punto 7 della motivazione). 4.9 Orbene tale «complessiva» valutazione, come gia' ricordato, va oggi compiuta in riferimento anche all'accertata violazione dei diritti sostanziali di natura pensionistica dei lavoratori migranti in Svizzera, delle loro legittime aspettative in base a precise regole normative e principi giurisprudenziali, cui si aggiunge il piu' grave profilo dell' inadempimento alla legalita' convenzionale che la vicenda esprime, in rottura con l'impegno assunto a rispettare l'ordinamento della Cedu come interpretato dalla Corte di Strasburgo. Tale complessa valutazione, per le ragioni prima evidenziate, va rimessa all'autorita' della Corte delle leggi, in ossequio allo spirito ed alla lettera dell'orientamento di questa sin dalle due decisioni del 2007 (nn. 348 e 349) sui poteri del Giudice ordinario in ordine ad un accertato contrasto tra ordinamento interno e ordinamento convenzionale. Pertanto la Corte, visti l'art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 dichiara rilevante e non manifestamente infondata- in riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, in relazione all'art. 6, paragrafo 1 e all'art. 1 Protocollo n.1 allegato alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, e In particolare dalla sentenza Stefanetti ed altri c. Italia del 15 aprile 2014- la questione di legittimita' costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 777 primo periodo (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007). Dispone la sospensione del procedimento n. 7115/09. Ordina la immediata trasmissione degli atti alta Corte costituzionale e gli adempimenti a cura della Cancelleria di cui al dispositivo.