LA CORTE DEI CONTI Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana Il Giudice Unico delle Pensioni dott. Giuseppe Grasso ha pronunciato la seguente ordinanza n. 7/2015 sul ricorso in materia di pensioni civili, iscritto al n. 23726 ex 9899C, del registro di segreteria proposto da Bertolami Anna, elettivamente domiciliata in Palermo, in Via S. Lorenzo n. 7, presso lo studio dell'avvocato Giuseppe Russo, che la rappresenta e difende nei confronti del Ministero del Tesoro, direzione provinciale di Palermo, oggi INPS gestione INPDAP. Visto l'atto introduttivo del giudizio depositato presso la segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana il 14/10/1997. Uditi nella pubblica udienza del 10 novembre 2014 l'avv. Antonino Rizzo per l'INPS. Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale. Fatto e svolgimento del processo La signora Bertolami Anna ha presentato ricorso a questa sezione giurisdizionale con il quale ha contestato la legittimita' del provvedimento n. 209660 del 27/6/1997 della allora Direzione provinciale del Tesoro, oggi INPS gestione INPDAP, con il quale si disponeva il recupero per indebito di £ 9.979.582 «per applicazione mod. 755 del 20.2.1996 conferisce una PAL al 30.6.95 di £ 8.434.000=, al 1.12.95 di £ 8.660.400= contro una PAL al 30.6.95 di £ 13.533.700= pagata». A seguito di tale provvedimento con la citata motivazione, l'amministrazione provvedeva ad effettuare una trattenuta mensile di £ 143.063 sul trattamento pensionistico. La signora Bertolami proponeva ricorso a questa Corte, che con ordinanza cautelare del 14/11/1997 sospendeva l'efficacia del provvedimento di recupero. Il motivo principale ed essenziale del ricorso e' costituito dalla richiesta di annullamento del provvedimento impugnato, poiche' privo di motivazione in violazione dell'art. 3 della legge 241/1990, dalla lettura dello stesso non si puo' comprendere la ragione di fatto e di diritto per la quale il provvedimento di recupero della somma indebitamente erogata sia stato emanato. Con memoria depositata il 14/11/1997 si costituiva l'amministrazione del Tesoro, la quale non prendeva posizione sulla specifica censura proposta dalla ricorrente, argomentando questioni non pertinenti, ma evidenziando nel merito e tentando di integrare il contenuto motivazionale del provvedimento impugnato, che: «... trattasi di conguaglio tra due provvedimenti amministrativi entrambi di natura provvisoria» e che, trattandosi «di pensione indiretta sarebbe stata pari o addirittura superiore all'intero trattamento spettante al de cuius». Con memoria depositata il 31/10/2014 si e' costituito l'INPS, il quale, oltre a riportare il contenuto del provvedimento impugnato, ha ulteriormente tentato di integrarne la motivazione, precisando che trattasi di: «... errore nel quale e' incorsa la amministrazione datrice di lavoro, comune di Palermo - che nel primo mod. aveva inglobato erroneamente la IIS, laddove la voce andava scorporata, per essere il dante causa destinatario dell'art. 2 comma 20 L. 335/1995 - e' chiaro che ogni conseguenza, per il caso di ritenuta irripetibilita' del debito, deve ricadere sulla medesima amministrazione. Cio' ai sensi dell'art. 8 D.P.R. 538/1986». In sostanza l'amministrazione tenta di integrare la motivazione del provvedimento n. 209660 del 27/6/1997 in sede processuale, anche alla luce della disciplina sul provvedimento amministrativo contenuta nel comma 2, primo alinea, dell'art. 21-octies della L. 241/1990, introdotto con l'art. 14 della L. 15/2005, ritenuta norma processuale immediatamente applicabile. Tale norma prevede: «2. Non e' annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Diritto Questo giudice si trova di fronte in corso di giudizio, ad una questione sulla compatibilita' costituzionale dell'art. 21-octies comma 2 primo periodo, rispetto agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117 comma 1 della Costituzione, questione che ritiene rilevante e non manifestamente infondata atteso che, come accennato, l'amministrazione intende integrare la motivazione in corso di giudizio dopo un rilevante periodo di tempo. Quindi, la questione e' rilevante ai fini della decisione poiche' questo giudice deve valutare tale integrazione in sede processuale se accettarla o meno. Conseguentemente, la questione di costituzionalita' non e' manifestamente infondata per i seguenti motivi. Codesta Corte costituzionale con la sentenza n. 310/2010 ha affermato che: «Si deve premettere che l'art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (e successive modificazioni) stabilisce che "ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria". Il comma 2, poi, esclude la necessita' della motivazione per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. La norma sancisce ed estende il principio, di origine giurisprudenziale, che in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 aveva gia' affermato la necessita' della motivazione, con particolare riguardo al contenuto degli atti amministrativi discrezionali, nonche' al loro grado di lesivita' rispetto alle situazioni giuridiche dei privati, individuando nella insufficienza o mancanza della motivazione stessa una figura sintomatica di eccesso di potere. L'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi e' diretto a realizzare la conoscibilita', e quindi la trasparenza, dell'azione amministrativa. Esso e' radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d'imparzialita' dell'amministrazione e, dall'altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale... Restano, dunque, elusi i principi di pubblicita' e di trasparenza dell'azione amministrativa, pure affermati dall'art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, ai quali va riconosciuto il valore di principi generali, diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stesse amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.; sul principio di pubblicita', sentenza n. 104 del 2006, punto 3.2 del Considerato in diritto). E resta altresi' vanificata l'esigenza di conoscibilita' dell'azione amministrativa, anch'essa intrinseca ai principi di buon andamento e d'imparzialita', esigenza che si realizza proprio attraverso la motivazione, in quanto strumento volto ad esternare le ragioni e il procedimento logico seguiti dall'autorita' amministrativa. Il tutto in presenza di provvedimenti non soltanto a carattere discrezionale, ma anche dotati di indubbia lesivita' per le situazioni giuridiche del soggetto che ne e' destinatario». Se cosi' e', come affermato da codesta Corte, l'integrazione della motivazione in corso di giudizio deve essere ritenuta non ammissibile, anche per un atto avente natura vincolata, poiche' l'obbligo motivazione, seppure minimale esiste anche per tale categoria di atti. Ad avviso di questo giudice non ha rilevanza la natura discrezionale o vincolata (interesse legittimo o diritto soggettivo secondo tradizione) dell'atto amministrativo per esistere o meno l'obbligo di motivazione. Tra l'altro, l'obbligo di motivazione e' previsto anche per gli atti di natura tributaria dall'art. 7 della legge 212/2000, ritenuti atti vincolati. Anche un atto totalmente vincolato non puo' sfuggire all'obbligo di motivazione nel suo contenuto minimo della evidenziazione della norma giuridica applicata al caso di specie e/o dell'indicazione del presupposto di fatto richiamato dalla stessa. In realta', tornando alle origini, sono proprio questi i termini della questione, che fu affrontata e risolta dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 2/1962 ove in materia di atti di recupero di indebiti si affermo': «In questioni di natura prettamente patrimoniale non trovano applicazione i principi dell'annullamento di ufficio: in qualsiasi tempo, entro i termini di prescrizione, l'amministrazione ha il potere di correggere gli errori che inficiano precedenti deliberazioni, le quali sono implicitamente ed automaticamente annullate dalla nuova. Il pubblico interesse che legittima la rettifica si identifica nell'esatta liquidazione del dovuto e la nuova deliberazione e' sufficientemente motivata con il semplice richiamo alle norme di legge in cui trovano base immediata i diritti patrimoniali regolati. In tali casi, infine, in mancanza di una qualsiasi valutazione discrezionale, non e' configurabile il vizio di disparita' di trattamento: se ad altri e' stato illegittimamente dato piu' del dovuto, e' obbligo dell'amministrazione ripetere l'indebito, non gia' estendere a terzi il trattamento illegittimamente accordato, commettendo un nuova illegittimita'». Quindi, non corrisponderebbe al vero che un atto vincolato di recupero di indebito possa essere totalmente privo di motivazione, ossia in bianco, e senza l'indicazione della norma giuridica di riferimento, salva la possibilita' di successiva integrazione in corso di giudizio. Vi e' pure da aggiungere che tali considerazioni trovano specifica conferma anche per gli atti vincolati inerenti la spesa pubblica, in specifici atti normativi come l'art. 1 del D.P.R. n. 367/1994, ove si prevede: «le procedure di spesa sono rette, oltre che dal principio di legalita', da principi di certezza, pubblicita', trasparenza, concentrazione e speditezza». Di conseguenza, e' facile sostenere che l'obbligo di motivazione e' espressione dei principi di legalita', trasparenza e pubblicita' richiamati nella citata sentenza di codesta Corte costituzionale, nonche' del principio di certezza del diritto, previsto dalla norma citata e implicitamente richiamato pure dall'art. 1 della legge 241/1990 ove si fa riferimento all'applicazione dei principi del diritto comunitario, che devono essere rispettati dall'amministrazione, norma richiamata sempre nella citata sentenza di codesta Corte costituzionale; e riguardo al tale principio si e' affermato: «Il principio di certezza del diritto costituisce un principio generale del diritto dell'Unione che esige, in particolare che ogni atto delle istituzioni dell'Unione, in particolare quando impone o permette di imporre sanzioni, sia chiaro e preciso, affinche' le persone interessate possano conoscere con certezza i loro diritti e gli obblighi che ne derivano e possano regolarsi di conseguenza... Tribunale Unione europea n. T40/06 del 13/9/2010». Pertanto, come affermato da codesta Corte costituzionale, se i principi di pubblicita' e trasparenza contenuti nell'art. 1 comma 1 della legge 241/1990 si configurano come norme di attuazione dell'art. 97 comma 1 della Costituzione, come dovrebbero esserle, anche quelli contenuti nell'art. 1 del D.P.R. 367/1994, lo sono anche i principi del diritto comunitario richiamati dalla stessa norma, in cui rientra anche l'obbligo di motivazione dell'atto amministrativo, testualmente previsto dall'art. 296 comma 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ove si prevede che: «gli atti giuridici sono motivati» e dall'art. 41 comma 2 lett. c), in cui e' previsto «l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni». Con il trattato di Lisbona alla Carta e' stato riconosciuto rango pari a quello dei trattati istitutivi (art. 6, par. 1 TUE). E la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea ha sempre affermato l'impossibilita' di integrazione nel corso del processo del provvedimento amministrativo: «La motivazione prescritta dall'art. 190 del Trattato (ora 296), deve essere adeguata alla natura dell'atto. Essa deve far apparire in forma chiara e non equivoca l'iter logico seguito dall'autorita' comunitaria da cui promana l'atto, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato ed a permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessita' della motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell'atto, della natura dei motivi esposti e dell'interesse che i destinatari dell'atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente, possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l'accertamento del se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all'art. 190 del Trattato va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia... un difetto o un'insufficienza di motivazione, rientra nella violazione delle forme sostanziali, e costituisce un motivo di ordine pubblico che deve essere sollevato d'ufficio dal giudice comunitario, C265/97 del 30/3/2000 VBA, Florimex/Commissione. L'obbligo di motivare una decisione che reca pregiudizio ha lo scopo di consentire alla Corte di esercitare il suo controllo sulla legittimita' della decisione e' di fornire all'interessato indicazioni sufficienti per stabilire se la decisione sia fondata o sia inficiata da un vizio che permette di contestarne la legittimita', ne deriva che la motivazione deve, in via di principio, essere comunicata all'interessato contemporaneamente alla decisione che gli reca pregiudizio e che la mancanza di motivazione non puo' essere sanata dal fatto che l'interessato venga a conoscenza dei motivi della decisione nel corso del procedimento dinanzi alla Corte. C195/80 del 26/11/1981 Michel». Tale orientamento ha trovato ulteriore conferma: «l'obbligo di motivare una decisione individuale ha lo scopo di consentire alla Corte di esercitare il suo controllo sulla legittimita' della decisione e di fornire all'interessato indicazioni sufficienti per stabilire se la decisione sia fondata oppure sia eventualmente inficiata da un vizio che consenta di contestarne la validita'. La motivazione in linea di principio, deve quindi essere comunicata all'interessato contemporaneamente alla decisione che gli reca pregiudizio... La mancanza di motivazione non puo' essere sanata dal fatto che l'interessato venga a conoscenza del ragionamento alla base della decisione nel corso del procedimento dinanzi alla Corte. Cause riunite C189/02, 202/02, 205/02, 206/02, 207/02, 208/02, 213/02 del 28/6/2005 Dansk Rorindustri ed altri». Quindi vi sarebbe la violazione degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione. Alla luce di quanto esposto vi sarebbe una palese contraddizione tra l'art. 21-octies legge 241/1990 che consentirebbe l'integrazione della motivazione in sede processuale e l'art. 1 della stessa legge, ove si richiama l'applicazione da parte dell'amministrazione dei principi dell'ordinamento comunitario cosi' come interpretati dalla Corte di giustizia, in cui rientra quello dell'obbligo di motivazione dell'atto amministrativo e del divieto di integrazione della stessa in sede processuale. Con la conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione nonche' dell'art. 117 comma 1 della Costituzione per disparita' di trattamento in termini di tutela giurisdizionale tra atti derivati dalla normativa comunitaria ed atti esclusivamente interni. Infine, la possibilita' da parte di un giudice di accettare la motivazione dell'atto amministrativo in sede processuale cozzerebbe con il principio della separazione dei poteri, tale principio e' espressione della tradizionale separazione tra il potere giudiziario e il potere amministrativo, ed ha trovato recente e definitiva consacrazione normativa, - naturalmente avente valenza di principio generale - nell'ambito delle situazioni oppositive, con l'art. 34 comma 2 c.p.a., ove si prevede: «In nessun caso il giudice puo' pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati». In quanto il giudice si sostituirebbe all'amministrazione integrando la motivazione dell'atto. Infine si precisa, che la natura provvedimentale, ancorche' vincolata dei provvedimenti di indebito in materia pensionistica, scaturisce dalla volonta' testuale del Legislatore contenuta nel titolo IV della parte III del D.P.R. 1092/1973, intitolato: «Revoca e modifica del provvedimento», dal contenuto dell'art. 203 ove si usa il termine «provvedimento», e dai successivi artt. 204, 205, 206, 207, ove si parla dei revoca o modifica del provvedimento. Che trattasi di un atto esecutorio non puo' esservi dubbio vista la previsione contenuta nell'art. 21-ter comma 2 della stessa legge 241/1990, ove si prevede: ai fini dell'esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.