Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato codice fiscale 80224030587, fax 06/96514000 e pec roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Nei confronti della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 13 marzo 2015, recante «Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipata di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volonta' di donazione degli organi e dei tessuti», pubblicata nel B.U.R. n. 8 del 18 marzo 2015, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 18 maggio 2015. Con la legge regionale n. 4 del 13 marzo 2015 indicata in epigrafe, che consta di nove articoli, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha emanato le disposizioni in tema di «Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipata di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volonta' di donazione degli organi e dei tessuti». La legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 citata presenta profili d'incostituzionalita' per violazione sia dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per contrasto con le regole in materia di ordinamento civile e penale, sia dell'art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute, nonche' per violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Al riguardo appare opportuno premettere i contenuti della legge regionale in esame. La legge regionale n. 4/2015 citata prevede l'istituzione di un registro regionale che raccolga le dichiarazioni anticipate di volonta' relative ai trattamenti sanitari, nonche' la possibilita' di rendere esplicita la volonta' in merito alla donazione post mortem dei propri organi e tessuti, contestualmente al deposito nel registro regionale delle predette dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (art. 1, commi 3 e 5). In particolare, l'art. 2 della legge regionale n. 4/2015 citata stabilisce che il cittadino residente o che ha eletto domicilio in Friuli-Venezia Giulia puo' richiedere l'annotazione della propria dichiarazione anticipata di trattamento sanitario all'interno del registro regionale (comma 1). Inoltre ai suddetti cittadini e' garantita la possibilita' di registrare la dichiarazione anticipata di trattamento sanitario sulla propria Carta regionale dei servizi, nonche' in forma codificata, sulla tessera sanitaria (comma 2). La dichiarazione anticipata di trattamento e' presentata dal cittadino all'Azienda per l'assistenza sanitaria territorialmente competente che la inserisce nella banca dati e a richiesta della persona la registra sulla Carta regionale dei servizi nonche' in forma codificata, sulla tessera sanitaria personale (commi 3 e 4). Quanto ai contenuti delle suddette dichiarazioni, l'art. 2, comma 5, prevede che esse hanno ad oggetto «la volonta' del singolo di essere o meno sottoposto a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale che cagioni una perdita di coscienza e volonta' definibile come permanente e irreversibile secondo i protocolli scientifici riconosciuti a livello internazionale». L'art. 2, al comma 6, inoltre, prevede che il soggetto dichiarante puo' rilasciare l'autorizzazione a comunicare a chiunque ne faccia richiesta o a determinati soggetti l'esistenza della dichiarazione anticipata di trattamento sanitario e il suo contenuto. L'art. 3 disciplina la possibilita' per il cittadino di nominare uno o piu' fiduciari o un amministratore di sostegno ai sensi dell'art. 408 del codice civile, con il compito di controllare il rispetto della volonta' dal medesimo espressa nella dichiarazione e di contribuire a realizzare la volonta'. Sono, altresi', disciplinati all'art. 4 la validita', la revoca e la modifica delle suddette dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, prevedendo che esse producono effetti dal momento in cui interviene lo stato di incapacita' decisionale del predisponente e perdono validita' solo su richiesta del dichiarante; possono, inoltre, essere revocate in qualunque momento dal dichiarante. All'art. 5 e' prevista l'esenzione da oneri finanziari inerente la procedura di registrazione della dichiarazione anticipata di trattamento. L'art. 6 prevede che la banca dati contenente le dichiarazioni anticipate di trattamento sia tenuta a cura dell'azienda per l'assistenza sanitaria e ne disciplina le modalita' di accesso. L'art. 7 disciplina le iniziative finalizzate a favorire la registrazione della volonta' in merito alla donazione post mortem degli organi o tessuti. Tanto premesso in ordine ai contenuti della legge, si ritiene che essa, avente contenuto omogeneo e recante disposizioni strettamente connesse tra loro, si configuri come costituzionalmente illegittima, in quanto esorbitante, a vario titolo, dalle competenze legislative regionali costituzionalmente riconosciute. Le disposizioni di cui si compone, infatti, involgono diverse materie, a seconda dei casi riservate alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato o concorrente Stato-regioni, integrando, tuttavia, in quest'ultimo caso, principi fondamentali della materia, rimessi, dunque, alla legislazione statale. In linea generale, infatti, occorre evidenziare come la disciplina del c.d. «fine vita» non possa tollerare regolamentazioni differenziate sul territorio nazionale, attenendo ai diritti fondamentali dell'individuo, rispetto ai quali sono evidenti le esigenze di unitarieta' dell'ordinamento. Essa, dunque, e' da intendersi rimessa alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. Va, inoltre, sottolineato che il registro regionale istituito dalla legge in esame, avendo la finalita' di attribuire certezza giuridica a specifiche situazioni, con il conseguente condizionamento dei diritti soggettivi fondamentali, necessita di una disciplina statale che regolamenti le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, i loro contenuti, i loro limiti, le loro modalita' di manifestazione e i loro effetti, analogamente a quanto avviene per i registri istituti presso pubbliche amministrazioni che certificano i dati identificativi di una persona, o la provenienza e la data di deposito di un determinato documento (cfr. gli articoli da 449 a 445 del codice civile per quanto riguarda gli atti di stato civile). E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti; Motivi 1. L'art. 1, comma 3, della legge regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 viola gli articoli 3, 117, comma 2, lettera l) e l'art. 117, comma 3, della Costituzione. L'art. 1, comma 3, della legge in esame, che istituisce il registro delle DAT, e le disposizioni ad esso collegate, sono destinate a registrare una tipologia del tutto speciale di atti, cioe' le dichiarazioni di volonta' concernenti il consenso o dissenso dei cittadini rispetto a determinati trattamenti sanitari. Pertanto, detto registro coinvolge, in primo luogo, la materia dell'ordinamento civile, in quanto attinente a vere e proprie dichiarazioni di volonta' - quindi atti manifestazione di autonomia privata - e ai loro possibili limiti, alle loro modalita' di espressione, alla loro efficacia nel rapporto con i terzi. Si tratta, dunque, di materia rimessa, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. D'altra parte, la circostanza che nel settore delle dichiarazioni anticipate di trattamento vengano in rilievo istituti tipici dell'ordinamento civile, e' testimoniata anche dall'art. 3 della legge regionale in esame, la quale prevede che nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto interessato possa nominare uno o piu' fiduciari o un amministratore di sostegno. Basti pensare che, ai sensi dell'art. 408 del codice civile, l'amministratore di sostegno puo' essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacita', «mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata». Le dichiarazioni anticipate di trattamento previste dalla legge regionale in esame non configurano ne' un atto pubblico ne' una scrittura privata autenticata; il che e' sufficiente a rilevare, anche sotto questo profilo, la lesione della competenza statale in materia di ordinamento civile. La norma in esame e le disposizioni della legge regionale in esame ad esso collegate, inoltre, attenendo all'eventuale consenso a (o rifiuto di) determinati trattamenti sanitari, incide certamente anche sulla materia «tutela della salute». Come noto, la tutela della salute e' rimessa alla potesta' legislativa concorrente Stato-regioni, in virtu' dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. A tal riguardo, tuttavia, si deve considerare che l'eventuale previsione di atti attraverso i quali le persone possano disporre il proprio anticipato consenso o dissenso a determinati trattamenti sanitari, nonche' la previsione delle relative modalita' di manifestazione e degli effetti, costituiscono, per la loro rilevanza, aspetti che certamente integrano principi fondamentali della materia, non profili di dettaglio o meramente organizzativi. La legge regionale in esame, pertanto, regolamenta profili che, in base alla giurisprudenza costituzionale, sono da configurarsi come attinenti ai principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute. Cio' vale, in particolare, con riferimento alla necessita' di garantire che ogni determinazione in ordine al consenso o al dissenso rispetto a determinati trattamenti sanitari, avvenga sulla base di una scelta davvero libera, consapevole e informata. In altri termini, nella materia delle dichiarazioni anticipate di trattamento assume eminente importanza il principio del «consenso informato». Anche in tal caso, tuttavia, la delicatezza dei profili coinvolti fa si' che la relativa disciplina sia dettata in maniera uniforme sul territorio nazionale, senza differenziazioni che sarebbero certamente suscettibili di incidere sul principio di uguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione. Viene in rilievo, a tal riguardo, la sentenza della Corte costituzionale n. 438/2008, che ha precisato che «il consenso informato [...] si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che "la liberta' personale e' inviolabile", e che "nessuno puo' essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge"». La Corte ha, altresi', precisato che «il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione», sottolineandone la funzione di «sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se e' vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresi', il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui puo' essere sottoposto, nonche' delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le piu' esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole da parte del paziente e, quindi, la sua stessa liberta' personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione.». Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha tratto la conclusione che «il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione e' rimessa alla legislazione statale». In particolare, la Corte ha osservato come l'individuazione dei soggetti legittimati al rilascio del consenso informato, nonche' le modalita' con le quali esso deve essere prestato e acquisito, costituiscono aspetti di primario rilievo dell'istituto del consenso informato, non potendosi, dunque, configurare quali norme di dettaglio, attuative dei principi fondamentali della legislazione statale. Si tratta, dunque, di aspetti che non possono ammettere regolamentazioni differenziate sul territorio nazionale, come, appunto, sottolineato nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 438/2008. Sul punto, si evidenzia come l'art. 2, comma 3, della legge regionale in esame si limiti a prevedere che il cittadino possa presentare alle ASL una dichiarazione anticipata di trattamento, «acquisita una compiuta informazione», senza chiarire, nemmeno in generale, in cosa consista tale informazione. Cio' rende davvero poco plausibile che il consenso reso dal cittadino si qualifichi come «informato», fermo restando che, in ogni caso, tali aspetti attengono ai principi fondamentali della materia «tutela della salute» e, pertanto, non possono essere disciplinati dalla regione. Nell'ambito delle dichiarazioni anticipate di trattamento, dunque, va osservato come le materie «ordinamento civile» e «tutela della salute» si intersechino inscindibilmente, specialmente con riguardo alla definizione degli eventuali limiti al possibile contenuto delle dichiarazioni stesse. Tali limiti, infatti, circoscrivendo le dichiarazioni di volonta' - che costituiscono, come si e' detto, espressione di autonomia privata - rientrerebbero, per cio' stesso, nella materia «ordinamento civile», ma potrebbero essere stabiliti, in ipotesi, proprio per finalita' di tutela della salute. Si consideri, a titolo di esempio, che nella precedente legislatura e' stato presentato, in materia, il ddl 2350, il quale statuiva che «l'alimentazione e l'idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento». E' evidente come tali aspetti non possano essere rimessi all'autonoma iniziativa delle regioni o, tanto meno, degli enti locali, necessitando, invece, di una disciplina uniforme sul territorio nazionale. Il fatto che una determinata disciplina riguardi contestualmente due materie diverse non e', peraltro, una ipotesi nuova. Basti pensare che la norma che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo qualora determinino una menomazione permanente dell'integrita' fisica - divieto che certamente attiene anche a profili di tutela della salute - e' contenuta nel libro I del codice civile, cioe', la principale fonte di disciplina dell'ordinamento civile. Del resto, se considerate in astratto (e in assenza di un'apposita disciplina, come nella situazione attuale) le DAT riguardano situazioni in cui il dissenso a determinati trattamenti sanitari potrebbe risolversi in un vero e proprio atto di disposizione del proprio corpo, fino a determinare la morte. Vengono quindi coinvolti profili concernenti i diritti c.d. «personalissimi», rientranti nell'ambito dell'ordinamento civile. Le dichiarazioni anticipate di trattamento, inoltre, essendo rivolte al consenso o al rifiuto di determinati trattamenti sanitari, potrebbero incidere sul bene «vita» e potrebbero richiedere un comportamento «attivo» da parte dei medici chiamati a rispettarle (si pensi, come nell'esempio gia' fatto, all'atto di interrompere l'idratazione e l'alimentazione). Una disciplina in materia di dichiarazioni anticipata di trattamento, dunque, richiederebbe un coordinamento con le norme del codice penale che prevedono determinati reati: omicidio, omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio. Viene, pertanto, in rilievo anche la materia dell'«ordinamento penale», anch'essa rimessa alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. Alla luce di quanto sopra, deve ritenersi, pertanto, che l'art. 1, comma 3, della legge regione Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 citata violi gli articoli 3, 117, comma 2, lettera l) e l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 2. L'art. 1, comma 5, e l'art. 7 della legge regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 violano l'art. 3, l'art. 117, comma 2, lettera l), e l'art. 117, comma 3, della Costituzione. L'art. 7 e l'art. 1, comma 5, nonche' le disposizioni ad essi collegate, disciplinano la registrazione della volonta' in merito alla donazione post mortem degli organi o tessuti, prevedendo che le aziende per l'assistenza sanitaria ricordino alla persona interessata, contestualmente alla registrazione delle dichiarazione anticipate di trattamento sanitario, la possibilita' di effettuare liberamente anche la dichiarazione di volonta' in merito alla donazione post mortem di organi del proprio corpo o tessuti conformemente alle procedure gia' in corso nei termini, forme e modalita' definite dalla legge 1° aprile 1999, n. 91 e dal decreto del Ministro della sanita' 8 aprile 2000. Al riguardo, occorre considerare che anche la donazione degli organi, oltre che attenere alla materia «tutela della salute» (essendo finalizzata a curare coloro i quali necessitano degli organi medesimi), costituisce certamente un atto di disposizione del proprio corpo, tanto che le diverse fonti che ne recano la disciplina si pongono in rapporto di specialita' rispetto al generale divieto di cui all'art. 5 del codice civile. Essa, pertanto, attiene, anche, alla materia dell'ordinamento civile, rimessa, come piu' volte ribadito, alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. E', peraltro, da ritenere che anche alla predetta materia siano connessi i profili concernenti le modalita' di espressione del consenso alla donazione di organi, quale atto di disposizione del proprio corpo. Anche in tal caso, dunque, assume primario rilievo la tematica del consenso informato, la cui disciplina, come evidenziato, integra i principi fondamentali in materia di tutela della salute, riservati alla potesta' legislativa statale. Sul punto, peraltro, si osserva che il citato art. 7 della legge regionale n. 4/2015 citata, pur disponendo l'acquisizione delle volonta' secondo le procedure statali gia' in corso, non prevede l'invio delle suddette dichiarazioni al Sistema informativo trapianti, come previsto dalla legge n. 91/1999 citata. Per questi profili, dunque, esso viola anche l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto contrastante con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute. Con riferimento alle disposizioni della legge regionale indicate non varrebbe obiettare che, non sussistendo una normativa statale in materia di DAT, non potrebbe ritenersi sussistente la violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto mancherebbe, nel caso di specie, «il paradigma alla luce del quale valutare cosa e' principio e cosa e' dettaglio». In disparte ogni considerazione circa la prevalenza della materia «ordinamento civile» rispetto a quella della tutela della salute - di cui si dira' piu' avanti - non puo', infatti, ritenersi che, ove manchi una disciplina statale regolante un determinato settore, le regioni potrebbero comunque legiferare, dettando esse stesse norme aventi requisiti di «principio». Invero tale ricostruzione, ove declinata in termini assoluti, vanificherebbe la ratio stessa della potesta' legislativa concorrente, di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Essa consiste nella necessita' di garantire che, nelle materie sottoposte a tale tipologia di potesta' legislativa, la differenziazione delle regolamentazioni tra le regioni, derivante dall'esercizio della relativa potesta', non possa coinvolgere anche gli aspetti fondamentali delle materie medesime, in quanto questi ultimi devono essere regolamentati in maniera uniforme sull'intero territorio nazionale, appunto, mediante l'emanazione, da parte del legislatore statale, in via esclusiva, dei principi fondamentali. La potesta' legislativa concorrente, dunque, e' a presidio dell'uniformita' di trattamento e di disciplina in ordine ai principi fondamentali, nel presupposto che questi ultimi, appunto, in quanto «fondamentali», non possano essere regolati in materia differenziata dalle regioni. La circostanza che una determinata materia non sia regolamentata a livello statale, non giustifica, automaticamente, l'esercizio della potesta' legislativa regionale concorrente, perche', al di la' del contenuto specifico delle norme eventualmente emanate dalle regioni a tale titolo, cio' farebbe, comunque, venire meno quell'esigenza di uniformita' di disciplina, sul territorio nazionale, relativamente agli aspetti fondamentali della materia di volta in volta interessata. Del resto, anche l'inerzia del legislatore statale in ordine ad un determinato settore, puo' essere espressione di una precisa scelta, nel senso di non consentire determinati atti o rapporti. D'altra parte, se non si tenesse conto di tali esigenze di uniformita', la potesta' legislativa concorrente finirebbe col coincidere, in gran parte, con quella residuale/esclusiva. Ma se il legislatore costituente ha inteso inserire determinate materie nell'elenco di quelle rimesse alla potesta' concorrente, evidentemente, ha voluto assicurare, rispetto alle stesse, un certo livello di uniformita' di disciplina sull'intero territorio nazionale. Cio', peraltro, appare ancora piu' evidente quando l'oggetto della disciplina involge strettamente i diritti della persona costituzionalmente riconosciuti. Appare opportuno richiamare, nuovamente, la sentenza della Corte costituzionale n. 438/2008 citata, con la quale e' stata dichiarata l'incostituzionalita' di una norma della regione Piemonte, che prevedeva che il trattamento con determinate sostanze psicotrope su bambini e adolescenti potesse essere praticato solo a seguito dell'espressione del consenso informato da parte dei genitori o tutori. Consenso informato di cui la legge regionale disciplinava alcuni profili, rimettendo altri aspetti ad un provvedimento di giunta. Ebbene, in tale circostanza - analoga, quanto all'assenza di una disciplina generale statale in materia, a quella interessata dalla legge regionale in esame - la Corte costituzionale ha precisato che «il consenso informato», che ha una funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e delle regioni. Ma se il legislatore costituente ha inteso inserire quello alla salute, «deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute», la cui disciplina e' rimessa alla legislazione statale. La citata pronuncia della Corte costituzionale evidenzia come, laddove un determinato profilo, inerente ad una materia di potesta' legislativa concorrente, sia strettamente connesso alla conformazione di diritti fondamentali costituzionalmente fondati - e questo e' certamente anche il caso degli aspetti disciplinati dalla legge regionale in esame, che interviene in materia delicata come il «fine vita» - tale profilo assurge di per se' al rango di «principio fondamentale», «la cui conformazione e' rimessa alla legislazione statale». In tali casi, pertanto, come pure e' stato rilevato, una legge regionale che intervenisse su tali profili non sarebbe incostituzionale per il modo in cui li ha disciplinati, ma per il fatto stesso di averli disciplinati. La predetta sentenza, peraltro, appare particolarmente pregnante rispetto alla legge regionale in esame, in quanto anche quest'ultima coinvolge, a vario titolo, come gia' osservato supra, proprio il tema del consenso informato. Non si puo', comunque, negare che la legge regionale in esame incida pienamente anche sulla materia dell'ordinamento civile, in quanto essa prevede una particolare categoria di atti espressione di autonomia privata, quali, appunto, le dichiarazioni anticipate di trattamento, disciplinandone: i contenuti e l'oggetto (ovvero, all'art. 1, comma 5, citato, «la volonta' del singolo di essere o meno sottoposto a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale che cagioni una perdita di coscienza e volonta' definibile come permanente e irreversibile secondo i protocolli scientifici riconosciuti a livello internazionale»); le modalita' con cui possono essere portate a conoscenza di terzi (prevedendo, all'art. 2, comma 6, citato che «il soggetto dichiarante puo' rilasciare l'autorizzazione a comunicare a chiunque ne faccia richiesta o a determinati soggetti l'esistenza della dichiarazione anticipata di trattamento sanitario e il suo contenuto»); la validita', la revoca e la modifica (prevedendo, all'art. 4, commi 1 e 2, citato, che le dichiarazioni in questione producono effetti dal momento in cui interviene lo stato di incapacita' decisionale del predisponente e perdono validita' solo su richiesta del dichiarante e che possono essere revocate in qualunque momento dal dichiarante); la possibilita', all'art. 3 citato, per il cittadino di nominare, con le dichiarazioni anticipate di trattamento, uno o piu' fiduciari o un amministratore di sostegno, con il compito di controllare il rispetto della volonta' dal medesimo espressa nella dichiarazione e di contribuire a realizzare la volonta'. Si tratta, dunque, di una disciplina che, attenendo ai contenuti, ai limiti e alle modalita' di esternazione di atti tipicamente di autonomia privata, in quanto concernenti la disposizione del proprio corpo mediante l'adesione o meno a determinati trattamenti sanitari, rientra, inequivocabilmente, nella materia dell'ordinamento civile, che e' riservata, in via esclusiva, alla potesta' legislativa statale. Anche sotto questo profilo assume rilievo la giurisprudenza costituzionale, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 253/2006, che ha dichiarato l'incostituzionalita', per interferenza nella materia dell'ordinamento civile, di una norma della regione Toscana, la quale prevedeva che «Ciascuno ha diritto di designare la persona a cui gli operatori sanitari devono riferirsi per riceverne il consenso a un determinato trattamento terapeutico, qualora l'interessato versi in condizione di incapacita' naturale e il pericolo di un grave pregiudizio alla sua salute o alla sua integrita' fisica giustifichi l'urgenza e indifferibilita' della decisione», nonche' disciplinano. La medesima legge regionale disciplinava il procedimento per rendere operative le relative dichiarazioni di volonta'. La Corte costituzionale, nello scrutinare la predetta legge regionale, ha statuito che «la regione ha cosi' disciplinato la possibilita' per il soggetto, in vista di un'eventuale e futura situazione di incapacita' naturale e al ricorrere delle condizioni indicate dall'art. 7, di delegare ad altra persona, liberamente scelta, il consenso ad un trattamento sanitario. Cosi' operando il legislatore regionale ha ecceduto dalle proprie competenze, regolando l'istituto della rappresentanza che rientra nella materia dell'ordinamento civile, riservata allo Stato, in via esclusiva, dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione». Si tratta, come si vede, di fattispecie del tutto analoga a quella disciplinata dalla legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 citata, rispetto alla quale, pertanto, sono fondati i rilievi di incostituzionalita' gia' formulati. Sembra opportuno, infine, svolgere qualche considerazione in ordine alle difficolta' attuative della legge regionale in esame. Essa, infatti, non garantisce che le DAT possano concretamente esplicare effetto - e prima ancora essere conosciute - al di fuori del territorio della regione. E' previsto, infatti, che possa avere accesso alla banca dati delle DAT solamente il personale autorizzato dell'azienda in cui le DAT sono depositate. Non e' garantito, dunque, che le predette dichiarazioni siano conosciute e possano esplicare effetti ove lo stato di incapacita' del dichiarante intervenga fuori dal territorio della regione, ad esempio a seguito di un incidente occorso altrove. Non e' disciplinato neanche a chi spetti verificare l'esistenza delle DAT, in quanto la legge regionale si limita a stabilire che il fiduciario ha il compito di controllare che le volonta' del dichiarante vengano eseguite, ma non sono in alcun modo disciplinati (ne', d'altra parte, la regione avrebbe potuto farlo), sia le procedure per comunicare a terzi (ad esempio all'ospedale, ove eventualmente sia ricoverato l'interessato, fuori dal territorio regionale), sia l'esistenza stessa della DAT, i soggetti legittimati e/o tenuti a dare tale comunicazione, e quelli legittimati a riceverla (un funzionario, un direttore generale, un primario, un infermiere). Tutte queste criticita' applicative dimostrano, ove mai ve ne fosse bisogno, le esigenze di unitarieta' che rendono illegittimo l'intervento regionale su tali temi ed evidenziano che un'eventuale disciplina in materia puo' essere dettata solo a livello statale. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve ritenersi che l'art. 1, comma 5, e l'art. 7 della legge regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 violino l'art. 3, l'art. 117, comma 2, lettera l), e l'art. 117, comma 3, della Costituzione. 3. L'art. 2, commi 3 e 4, e gli articoli 6 e 9 della legge regione Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 violano l'articolo l'art. 117, comma 2, lettera l) e l'art. 117, comma 3, della Costituzione. Come gia' osservato supra, le criticita' applicative dimostrano l'esistenza delle esigenze di unitarieta' che rendono illegittimo l'intervento regionale su tali temi ed evidenziano che un'eventuale disciplina in materia puo' essere dettata solo a livello statale. La disciplina recata dalla legge regionale n. 4/2015 citata e, in particolare, l'art. 2, commi 3 e 4, e gli articoli 6 e 9 citati, che prevedono che l'azienda per l'assistenza sanitaria inserisca le DAT della banca dati e ne curi la tenuta, coinvolgono anche direttamente la materia della protezione dei dati personali ed hanno importanti implicazioni sulla e sulla tutela della riservatezza, che - come noto - rientrano nell'ambito dell'ordinamento civile, che e' riservato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l), Cost. (cfr., per tutte, la sentenza della Corte costituzionale n. 271/2005). Come noto, la predetta competenza e' stata esercitata dal legislatore statale segnatamente attraverso il decreto legislativo n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei personali, in prosieguo: il «Codice»). In proposito, va sottolineato, da un lato, che la tipologia di informazioni contenute nella DAT e' per la maggior parte esplicitamente collegata a dati sanitari e a informazioni relative alla salute; dall'altro, che la DAT trascende inevitabilmente l'ambito prettamente sanitario e finisce per coinvolgere delicati aspetti della vita umana di carattere etico, religioso, filosofico e di altro genere. Sotto entrambi i menzionati profili, pertanto, la DAT implica anche il trattamento di dati sensibili, tra i quali sono ricompresi i dati idonei a rivelare «le convinzioni religiose, filosofiche e di altro genere» dell'individuo, «nonche' i dati personali idonei a rivelare lo stato salute» (cfr. l'art. 4, comma 1, lettera d), del Codice). Per operare il trattamento di dati personali, comuni e sensibili, implicato dalla DAT occorre che il trattamento inerisca allo svolgimento delle funzioni istituzionali delle aziende per l'assistenza sanitaria (art. 18, comma 2, del Codice) e che una norma di rango statale individui le finalita' di rilevante interesse pubblico alla base dello stesso, secondo quanto previsto dall'art. 20, comma 1, del Codice. Ne' appare possibile effettuare l'individuazione della rilevante finalita' di intesse pubblico con un regolamento regionale (a cui rinvia l'art. 9 della legge regionale in oggetto), occorrendo a tal uopo una fonte di rango statale; la normativa secondaria regionale puo' svolgere un ruolo di tipo integrativo, disciplinando differenti profili del trattamento, come l'individuazione dei tipi di dati e di operazioni eseguibili, nel caso in cui il trattamento da parte del soggetto pubblico (qui, le aziende per l'assistenza sanitaria) riguardi dati sensibili (cfr. art. 20, comma 2, Codice). Secondo quanto stabilito dalla Corte con la richiamata sentenza n. 271/2005, infatti, il predetto art. 20, comma 2, del Codice, ammette «solo l'integrazione delle prescrizioni legislative statali che siano incomplete in relazione al trattamento di dati sensibili da parte di pubbliche amministrazioni (poiche' non determinano tipi di dati sensibili e di operazioni eseguibili) operata tramite appositi regolamenti a cura dei soggetti che ne effettuano il trattamento, seppure in conformita' al parere espresso dal Garante ai sensi dell'art. 154, comma 1, lettera g), anche su schemi tipo. In questi ambiti possono quindi essere adottati anche leggi e regolamenti regionali, ma solo in quanto e nella misura in cui cio' sia appunto previsto legislazione statale». Ne' valgono a fugare i dubbi di un possibile contrasto con il dettato costituzionale le affermazioni presenti nella legge regionale circa il «rispetto delle vigenti disposizioni a tutela della riservatezza dei dati sanitari e dei provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali (cfr. art. 9), quando invece la legge regionale in concreto contraddice sotto molteplici profili la legislazione statale vigente in materia di protezione dei dati personali (nonche' le stesse direttive europee che ne sono all'origine) (cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 271/2005 citata). Allo stato, la materia della DAT non trova disciplina nella legislazione statale; risultano solo presentati in Parlamento alcuni disegni di legge il cui esame, peraltro, non e' stato ancora avviato (AS 433 e AC 1432, entrambi recanti «Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario»). Pertanto, in assenza di disposizioni statali che includano tra i compiti istituzionali delle aziende sanitarie tale specifica funzione e che affermino la rilevante finalita' di interesse pubblico perseguita, la legge regionale in esame contrasta con la disciplina ed i principi della legislazione statale in materia di protezione dei dati personali, con specifico riferimento, quali «norme interposte», alle disposizioni del Codice indicate in motivazione e viola, pertanto, l'art. 3, l'art. 117, comma 2, lettera l), e l'art. 117, comma 3, della Costituzione.