IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione quarta) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 6296 del 2014, proposto da: Cento societa' cooperativa, in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Massimiliano Marcialis, Carla Valentino, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense n. 104, contro comune di Villasimius, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Costantino Murgia, con domicilio eletto presso Stefano Di Meo in Roma, via G. Pisanelli n. 2, nei confronti di Quinto Vacca, per la riforma della sentenza del T.A.R. Sardegna - Cagliari: Sezione II n. 00033/2014, resa tra le parti, concernente annullamento d'ufficio dell'autorizzazione SUAP, piano di lottizzazione denominato «I Borghi»; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Villasimius; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2015 il cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Marcialis e Murgia; Svolgimento del processo. La Cento societa' cooperativa stipulava con il comune di Villasimius, in data 10 aprile 1992, una convenzione di lottizzazione «Per la disciplina e l'adempimento delle obbligazioni e per la realizzazione delle opere di urbanizzazione di cui al piano di lottizzazione denominato I Borghi». In attuazione del predetto piano la Cento societa' cooperativa realizzava integralmente le residenze previste, effettuava le cessioni delle aree al comune di Villasimius, realizzava interamente le opere di urbanizzazione primaria e secondaria indicate in convenzione, ma non completava i servizi connessi alla residenza (comunque realizzati in misura superiore al 50%). In data 5 novembre 2011 la medesima presentava al comune di Villasimius istanza per attivare un procedimento SUAP, di cui alla legge regionale n. 3/2008, al fine di ottenere, ai sensi dell'art. 18, comma 32, della legge regionale n. 12 del 30 giugno 2011, l'autorizzazione unica per la realizzazione, nelle aree destinate a «servizi connessi», e non ancora utilizzate, di un complesso residenziale con tipologie di case indipendenti a schiera. Il 18 maggio 2012 l'ufficio SUAP del comune di Villasimius rilasciava l'autorizzazione richiesta, consentendo quindi il cambio di destinazione d'uso da volumi destinati a «servizi connessi con la residenza» a volumi destinati a residenza. La Cento societa' cooperativa iniziava i lavori, dandone rituale comunicazione all'amministrazione comunale. Sennonche', con nota n. 14796 del 28 settembre 2012, il SUAP del comune di Villasimius le comunicava l'avvio del procedimento volto all'emanazione di atti interdittivi del predetto intervento edilizio, invitandola a presentare osservazioni nel termine di venti giorni. La societa' presentava le sue controdeduzioni il successivo 17 ottobre 2012. Cio' nonostante, col provvedimento impugnato, fondato essenzialmente sul parere reso all'amministrazione dal legale di fiducia in data 6 novembre 2012, integralmente riportato nel provvedimento di annullamento d'ufficio quale motivazione dello stesso, il comune di Villasimius annullava l'autorizzazione n. 5 del 18 maggio 2012. Avverso tale provvedimento insorgeva la societa' Cento. Il TAR, definitivamente decidendo sul ricorso, chiariva in primis che le convenzioni di lottizzazione sono strumenti pattizi per la regolamentazione di un assetto complesso e comprensivo di una pluralita' di aspetti di gestione urbanistica del territorio, tutti concorrenti ad assicurare un equilibrato contemperamento tra le diverse posizioni delle parti, la cui eventuale modifica necessita della manifestazione di volonta' di tutti i soggetti che hanno concorso alla loro formazione. In particolare con la sottoscrizione della convenzione di lottizzazione il soggetto pubblico si obbliga a consentire, attraverso il successo rilascio dei titoli edilizi, la realizzazione dell'assetto urbanistico del territorio interessato dal piano attuativo come concordato col lottizzante, in quanto ritenuto - in tali termini - conforme al pubblico interesse ad un ordinato sviluppo urbanistico del territorio comunale. E ben possibile che le parti addivengano ad un accordo per la modifica della convenzione, ma - secondo il TAR - ogni modifica dell'originaria composizione di interessi deve necessariamente «passare», al fine di verificarne la persistenza, attraverso una valutazione della sua coerenza con l'interesse pubblico sotteso dallo strumento attuativo. Tale interpretazione non si pone, secondo il TAR, in contrasto con la lettera dell'art. 18 della legge regionale n. 12/2011. La disposizione, infatti, si limita a stabilire, a certe condizioni, che nei piani attuativi assoggettati a convenzione e' possibile convertire le volumetrie destinate a servizi connessi alla residenza realizzate o da realizzare, di cui all'art. 4 del decreto assessoriale n. 2266/U del 20 dicembre 1983, in volumetrie residenziali, ma non esclude affatto, ne' potrebbe farlo, che tale conversione sia preceduta da una valutazione della sua corrispondenza all'interesse pubblico da parte del comune. La sentenza e' ora gravata dalla Societa' cooperativa Cento, che deduce: 1) carenza di motivazione. La sentenza avrebbe erroneamente ritenuto la sussistenza di un vizio di legittimita' tale da giustificare l'annullamento d'ufficio; ma, soprattutto, avrebbe profilato un interesse pubblico ulteriore rispetto a quello del mero ripristino della legalita', del tutto insussistente nella specie. In particolare, l'art. 18, comma 32 della legge regionale n. 12/2011 avrebbe modificato le esigenze urbanistiche regionali, superando le preoccupazioni legate all'originaria previsione dei «servizi connessi alla residenza» (evitare la creazione di quartieri dormitorio grazie alla previsione di uffici, negozi, ristoranti, ecc.), in favore della edificazione, nell'ambito delle lottizzazioni ancora non completate, di nuove residenze destinate a famiglie a basso reddito. Da cio' deriverebbe il venir meno, in radice, dell'obbligo di realizzazione dei servizi connessi, non solo in capo al lottizzante, ma finanche' il capo al comune. Chiarisce l'appellante, in proposito, che i servizi connessi alla residenza sono cosa diversa dai servizi pubblici, e non sono affatto indispensabili ne' previsti da alcuna norma di legge. Del resto essi sarebbero stati gia' realizzati dal lottizzante in misura comunque piu' che sufficiente (e' gia' presente un supermarket ed un bar rosticceria). Da cio' discenderebbe l'insussistenza del dichiarato interesse pubblico da parte del comune a non gravarsi dell'onere realizzativo in luogo del privato. Analoghe considerazioni dovrebbero farsi - ad avviso dell'appellante - in relazione ai servizi pubblici veri e propri, per i quali nessun onere di integrazione deriverebbe al comune dalle nuove residenze. Cio' per una serie di ragioni: a) la dotazione a standard sarebbe gia' sovrabbondante rispetto a quanto richiesto dalla legge, in ragione di una loro iniziale quantificazione in relazione a volumi che sono stati poi ridotti in occasione di successive modifiche e varianti della convenzione (in sintesi i volumi edilizia sarebbero stati nel tempo diminuiti, mentre i servizi pubblici sarebbero rimasti invariati); b) a ben vedere, la sostituzione dei «servizi connessi con la residenza», con volumi propriamente residenziali, determinerebbe un incremento insediativo cosi' contenuto da risultare del tutto trascurabile; 2) il provvedimento adottato in autotutela sarebbe - ad avviso dell'appellante - illegittimo, anche a volerlo qualificare come «revoca», atteso che l'amministrazione non sarebbe riuscita a dimostrare un interesse pubblico attuale a giustificazione del ripensamento. Il giudice di prime cure avrebbe errato nel non rilevarlo. Nel giudizio d'appello si e' costituito il comune di Villasimius. L'appello sarebbe inammissibile per incongruita' delle sue conclusioni (non sarebbe stato esplicitamente richiesto l'accoglimento del ricorso di primo grado), e per genericita' dei motivi, nonche' per contraddittorieta' tra l'elezione di domicilio fatta nella procura a margine e quella dichiarata nel preambolo dell'atto di appello. Nel merito, l'amministrazione ha in primis riproponee eccezioni rimaste assorbite, ed in particolare: a) la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli acquirenti degli immobili previsti dall'originaria lottizzazione, i quali confidano sulla realizzazione dei servizi connessi alla residenza; b) il piano di lottizzazione era scaduto al momento della richiesta di «conversione» dei volumi, e pertanto nessuna nuova costruzione avrebbe potuto essere assentita, neanche in applicazione dell'art. 18, comma 32 della legge regionale n. 12/2011, in ispecie in quanto trattasi di costruzioni non previste dalla convenzione; c) ulteriore fattore ostativo risiederebbe nel mancato collaudo delle opere di urbanizzazione; d) inoltre, l'istanza di «conversione» dei volumi non risulterebbe sottoscritta da tutti i proprietari degli immobili ricompresi nella lottizzazione; e) anche a voler ritenere la «conversione» un atto dovuto in base all' art. 18, comma 32 della legge regionale n. 12/2011, vi sarebbero i presupposti per sollevare questione di costituzionalita' in quanto norma assolutamente illogica ed irragionevole, lesiva dei diritti discendenti da una convenzione, e violativa dell'art. 118 Cost. Invoca infine la reiezione del gravame in quanto infondato, cosi' come correttamente accertato dal giudice di prime cure. La causa e' stata inizialmente delibata in sede cautelare. In quella sede il Collegio ha «ritenuto che, anche a prescindere dalle questione di legittimita' costituzionale della legge regionale di cui e' fatta applicazione, e fermo il necessario approfondimento dei delicati profili giuridici e fattuali sollevati da TAR a mezzo dell'interpretazione fornita, e' opportuno evitare, nelle more della decisione finale di merito, iniziative edificatorie di difficile successiva rimozione». La causa e' stata, da ultimo, discussa alla pubblica udienza del 10 marzo 2015. Motivi della decisione. Ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per rimettere alla Corte costituzionale la valutazione della legittimita' costituzionale dell' art. 18, comma 32 della legge regionale Sardegna n. 12/2011. 1. Essa, nella versione ratione temporis applicabile, prevedeva: «In deroga alla normativa regionale e comunale, nei piani di lottizzazione e nei piani di zona gia' convenzionati e' consentito in tutto o in parte convertire le volumetrie destinate a servizi connessi alla residenza realizzate o da realizzare, di cui all'art. 4 del decreto assessoriale n. 2266/U del 20 dicembre 1983, in volumetrie residenziali, a condizione che le unita' abitative cosi' realizzate siano cedute a soggetti in possesso dei requisiti previsti dalla legge regionale 30 dicembre 1985, n. 32 (Fondo per l'edilizia abitativa), o dalla legge regionale n. 3 del 2008 in materia di edilizia agevolata. Tale disposizione si applica a condizione che siano state effettuate le cessioni di legge ovvero che esse avvengano entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge. Lo strumento attuativo si considera automaticamente variato all'atto del rilascio del relativo permesso di costruire o di denuncia di inizia di attivita' da parte degli aventi diritto» (la norma e' stato oggetto di successive e marginali modifiche che non hanno inciso sulla sua rilevanza). 2. I volumi connessi alla residenza sono quelli previsti dal decreto assessoriale n. 2266/U del 20 dicembre 1983 emanato in applicazione dell'art. 4 della legge regionale 19 maggio 1981, n. 17 - nonche' dell'art. 3, lettera f) dello statuto speciale per la Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, che attribuisce alla regione potesta' legislativa esclusiva in materia edilizia ed urbanistica - a mente del quale «I limiti inderogabili di densita' edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggi, da osservarsi in tutti i comuni ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, sono definiti con decreto dell'assessore regionale competente in materia urbanistica, su conforme deliberazione della Giunta regionale, sentita la Commissione consiliare competente». 3. Il decreto citato, all'art. 4 detta i limiti di densita' edilizia per le diverse zone e, per quanto qui rileva, dispone che «il numero degli abitanti presumibilmente insediabili e' dedotto assumendo, salvo diversa dimostrazione in sede di strumento urbanistico comunale il parametro di 100 m³ ad abitante per zone A, B e C, dei quali: 70 m³ per la residenza; 20 m³ per servizi strettamente connessi con la residenza o per opere di urbanizzazione secondaria di iniziativa privata, quali: negozi di prima necessita', studi professionali, bar e tavole calde; 10 m³ per servizi pubblici;». 4. In punto di rilevanza della norma in esame, basti osservare che essa ha costituito la base per la pregressa autorizzazione alla «conversione» dei volumi da «servizi connessi alla residenza» in volumetrie residenziali, rilasciata dal SUAP il 18 maggio 2012, nonche' la base per il successivo annullamento d'ufficio, operato dal SUAP con provv. 18100 del 26 novembre 2012, il quale, in forza di un'interpretazione diversa da quella precedentemente adottata, e' giunto alla conclusione che la norma non e' tale da privare il comune di un apprezzamento discrezionale in relazione agli effetti, in concreto, della pretesa conversione. 4.1. Il TAR, recependo siffatta tesi, ha ritenuto la norma non preclusiva di eventuali valutazioni in sede locale. 4.2. L'appellante ritiene per converso che essa consenta direttamente la conversione, senza lasciare spazio alcuno all'ente locale. In proposito, e' opinione del Collegio che il tenore letterale della norma sia univoco nel consentire una deroga allo standard insediativo previsto dal decreto Floris; deroga peraltro operante quando, in particolare, lo standard abbia costituito la base per l'elaborazione ed approvazione di un piano attuativo convenzionato, senza che la parta pubblica possa opporre considerazioni generali di tipo urbanistico o finanziario, od ancora, legate alla natura consensuale delle previsioni originarie. 5. Il comune di Villasimius, pur insistendo sulla legittimita' del proprio operato, deduce, ove la norma dovesse essere intesa quale vincolo nel senso sopra indicato, una serie di profili di incostituzionalita', ed in particolare: 1) si sarebbe provocata la modifica di una convenzione di lottizzazione, equiparabile negli effetti ad un contratto, con esclusivo vantaggio della parte privata e grave pregiudizio per quella pubblica, la quale, in ragione dell'incremento dei servizi pubblici necessari al nuovo insediamento sarebbe onerata di spese che in via generale invece le convenzioni di lottizzazione pongono a carico del lottizzante; 2) irragionevolezza della norma nella parte in cui essa sostanzialmente affida al privato decisioni unilaterali in ordine all'assetto urbanistico; 3) violazione dell'art. 118 Cost., avendo la norma regionale di fatto espropriato i comuni della regolazione di interessi che rilevano in ambito esclusivamente locale; 4) violazione dell'art. 118, comma IV, avendo la legge regionale consentito ai privati l'esercizio di un'attivita' di rilievo urbanistico che, anziche' beneficiare la collettivita', la danneggia scaricando sul comune oneri dei privati lottizzanti. 6. Il Collegio ritiene manifestamente infondate le censure di cui ai punti 3 e 4. 6.1. Com'e' noto, l'art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto riconosce alla regione Sardegna una autonomia piu' ampia di quella risultante dalla norma costituzionale generale, attribuendole potesta' legislativa primaria, ossia piena, nella materia dell'«edilizia ed urbanistica», entro la quale si colloca la norma censurata. La Corte costituzionale ha gia' chiarito, in ordine al limite statutario alla competenza legislativa regionale costituito dai «principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica», che esso non puo' ritenersi cosi' assoluto e stringente da impedire alla legge regionale - che e' fonte normativa primaria, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali - di prevedere interventi a carattere pianificatorio in deroga, quantitativamente e qualitativamente, a quelli tipici della pianificazione locale (cfr. Corte costituzionale n. 46/2014). 6.2. Puo' altresi' escludersi la violazione dell'art. 118 Cost. per avere la norma censurata asseritamente «esautorato» i comuni delle loro competenze in tema di pianificazione urbanistica ed in particolare di pianificazione attuativa a seguito di iniziativa privata: a prescindere da ogni altro rilievo - e, in particolare, dalla circostanza, trascurata dal rimettente, che lo statuto di autonomia riconosce alla regione Sardegna potesta' legislativa primaria, non solo in materia di «edilizia ed urbanistica», ma anche di «ordinamento degli enti locali» (art. 3, lettera b) e stabilisce, altresi', il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative (art. 6) - (cfr. Corte costituzionale n. 46/2014, cit.) - non si puo' comunque addebitare alla norma denunciata di aver «svuotato» le funzioni comunali in tema di pianificazione urbanistica, posto che essa si limita a consentire ampliamenti volumetrici a carattere residenziale e sociale, in luogo dei servizi connessi alla residenza, ossia, essenzialmente, come chiarito dal c.d. decreto Floris, negozi di prima necessita', studi professionali, bar e tavole calde. 6.3. Manifestamente infondata e' poi l'asserita violazione del principio di sussidiarieta' orizzontale: non viene qui in rilievo l'attribuzione a privati o associazioni di funzioni pubbliche. Piu' semplicemente, il legislatore si e' limitato, nell'esercizio della funzione pubblica, a consentire deroghe ad uno dei parametri urbanistici, rimettendone tuttavia la decisione circa la concreta iniziativa edificatoria astrattamente ammessa, all'iniziativa del privato. 7. Non appare invece manifestamente infondato il primo motivo di censura, basato sull'irragionevolezza della disciplina, avuto anche riguardo alla fonte convenzionale che contiene la disciplina urbanistica oggetto di modifica: esso puo' ulteriormente ampliarsi nei termini che seguono. 7.1. Il legislatore regionale e' intervenuto su piani attuativi in regime di convenzionamento, ossia strumenti urbanistici a base consensuale, redatti secondo lo schema di cui alla legge n. 1150/1942 e n. 765/1967 e tradizionalmente qualificati dalla giurisprudenza amministrativa quali accordo di diritto pubblico ex art. 11, legge n. 241/1990 (cfr. Cassazione, Sezioni unite, n. 9360 del 20 aprile 2007; Cassazione n. 732 del 17 gennaio 2005; Cons. Stato, sez. IV, n. 1098 del 12 marzo 2009; Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5512), a mezzo dei quali la parte pubblica e soprattutto quella privata assumono reciproche obbligazioni, strumentali ad assicurare la pianificazione attuativa di aree collocate in zone di espansione urbana (c.d. zone C). La disposizione censurata ha in particolare interessato l'obbligazione di realizzare «servizi connessi alla residenza» (punti di ristoro, studi professionali, ecc.) incombente sui lottizzanti, sostituendola con una obbligazione «facoltativa» di tutt'altro impatto urbanistico ed insediativo, senza al contempo imporre ai lottizzanti l'integrazione dei servizi pubblici che il maggior carico antropico sottende. Cosi' operando, ha stravolto il sinallagma convenzionale, modificando il delicato equilibrio individuato in via astratta dalla legge urbanistica e concretamente fissato attraverso l'accordo, cosi' ponendo i comuni interessati a mantenere gli originari standard urbanistici e la qualita' della pianificazione, nella condizione di doversi far carico della realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria «sostituite» dal legislatore e del potenziamento dei servizi pubblici primari. Non solo. Ha ab externo eliso l'affidamento riposto dagli aventi causa dal lottizzante, circa l'efficacia delle obbligazioni dal medesimo assunte, in primis quelle relative al carico insediativo ed alla presenza di strutture commerciali di servizio. Non si vuol qui negare la possibilita' dell'amministrazione, ed anche del legislatore ove le esigenze siano di carattere piu' generale, di ripianificare motivatamente il territorio, anche in contrasto con eventuali piani attuativi ancora efficaci (possibilita' riconosciuta dalla giurisprudenza, seppur con il presidio di un obbligo motivazionale specifico), ma stigmatizzare l'azione del legislatore regionale nella misura in cui ha scelto di lasciare in piedi il rapporto convenzionale modificandone d'imperio le reciproche obbligazioni e con esse l'equilibrio urbanistico e finanziario tracciato nell'originaria convenzione, tra l'altro in ossequio ad assetto di interessi in gran parte delineato dal legislatore. Com'e' noto, infatti, l'approvazione della lottizzazione e' subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda: «1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all'art. 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, nonche' la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2; 2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessario per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota e' determinata in proporzione all'entita' e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni; ...» (art. 28, legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modoficazioni). Nella fattispecie in esame, non solo la «quota» stabilita dalla convenzione e' stata rideterminata da legislatore regionale a prescindere dall'entita' e alle caratteristiche degli insediamenti ma, paradossalmente, e' stata diminuita al crescere dell'entita' degli insediamenti. 7.2. Pur volendo ammettere che il legislatore regionale possa, in luogo di una previsione generale ed astratta, dettare puntuali norme aventi ad oggetto singole obbligazioni assunte dalle parti nell'ambito di un accordo urbanistico, e' in ogni caso irragionevole il nuovo assetto obbligatorio che ne deriva: in virtu' di tali norme il privato puo' optare per un incremento volumetrico a fini residenziali, abdicando alla realizzazione di quelle opere di urbanizzazione secondaria inizialmente posto a suo carico, senza che lo stesso debba neanche gravarsi, a compensazione, della monetizzazione degli oneri ribaltati sull'amministrazione. 8. Invero si potrebbe sostenere - e la difesa della societa' appellante lo ha fatto - che il legislatore abbia voluto semplicemente modificare i parametri urbanistici relativi al carico insediativo stabilendo una nuova regola che di fatto incide anche sul fabbisogno procapite di servizi pubblici, portandolo ad una soglia piu' bassa: in tale chiave, diminuendo lo standard, la maggiore volumetria residenziale non genererebbe piu' la necessita', in capo alla parte pubblica, di integrare i servizi pubblici, con conseguenza insussistenza di oneri o aggravi (neanche per la parte pubblica) rispetto all'originario equilibrio convenzionale. Ma se fosse questa la corretta esegesi della norma, essa comunque si porrebbe in conflitto con il principio di ragionevolezza sotteso all'art. 3 Cost. in quanto: a) lo standard derogatorio non interesserebbe l'intera zona C, ma solo le aree gia' oggetto di lottizzazione, con inversione dell'ordinaria logica urbanistica che invece impone la previa definizione regolamentare degli standard ed il loro successivo recepimento della pianificazione consensuale; b) avrebbe l'effetto di aumentare il carico insediativo e diminuire gli standards, lontano dalle citta', proprio laddove invece lo spazio a disposizione e' maggiore, lasciandoli invece inalterati nelle zone B (ove anche devono essere previsti i servizi connessi alla residenza) ove i fenomeni di inurbazione e le concentrazioni insediative divorano spazio; c) il nuovo standard rimarrebbe comunque nella disponibilita' dei lottizzanti, a seconda che essi chiedano o non chiedano la «conversione», con conseguenti ripercussioni sull'ordinata e corretta pianificazione locale, nonche' sull'affidamento dei residenti circa l'originario dimensionamento degli standard; d) ma soprattutto - ed e' probabilmente questo il punto maggiormente dolente - la modifica dello standard risulterebbe operante anche per le per le convenzioni gia' in corso di esecuzione e finanche gia' eseguite, come chiaramente di evince dal riferimento, contenuto nella norma censurata, anche alla «conversione» dei servizi connessi alla residenza gia' «realizzate». In definitiva, comunque la si guardi: sia che la si consideri come eccezionale e sperequata modifica degli assetti urbanistici convenzionali, sia che la si qualifichi come generale ed eccezionale modificazione degli standard in alcune limitate aeree del territorio regionale, la norma non sfugge alle critiche di irragionevolezza. 8. Conclusivamente, vanno dichiarate rilevanti, e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale riguardanti dell'art. 18, comma 32 della legge regionale Sardegna n. 12/2011, per contrasto, sotto diversi e concorrenti profili, con il precetto di eguaglianza nonche' di ragionevolezza intrinseca di cui all'art. 3 Cost., secondo quanto in premessa specificato.