IL TRIBUNALE
Letti gli atti del processo a carico di Papi Leonardo, nato a
Cesena il 23 ottobre 1948, difeso dall'avv. Roberto Brancaleoni del
Foro di Rimini, pronuncia la seguente ordinanza.
Papi Leonardo e' stato tratto a giudizio per il reato di cui
all'art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per avere, nella sua
qualita' di legale rappresentante della «Co.Ma.F. S.r.1.» omesso di
versare le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai
sostituti (ammontare di euro 96.593,00) per il periodo d'imposta
2008, entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di
sostituto d'imposta (ossia entro il 31 luglio 2009, nonche' del
medesimo reato in relazione al periodo d'imposta 2009, avendo omesso
di versare le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai
sostituti per un ammontare di euro 96.593,00 entro il termine per la
presentazione della dichiarazione annuale ed al periodo d'imposta
2007, per il quale avrebbe omesso di versare le medesime ritenute per
un ammontare pari ad euro 67.900,00.
Analoga imputazione e' stata formulata nei confronti di Papi
Leonardo per avere, in qualita' di legale rappresentante della «Sammo
Packing S.r.1.», omesso di versare le ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituti per un ammontare di euro
85.439,00 per il periodo d'imposta 2009 entro il termine previsto per
la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta.
L'istruttoria dibattimentale ha, dal punto di vista oggettivo,
dimostrato il superamento della soglia di penale rilevanza pari ad
euro 50.000 prevista dall'art. 10-bis del decreto legislativo 10
marzo 2000, n. 74, il quale per il delitto in esame, prevede pena da
sei mesi a due anni di reclusione.
Nel corso della discussione, la difesa dell'imputato ha eccepito
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n.
74/2000, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, sotto
il profilo della irragionevolezza della soglia di punibilita' di
50.000,00 euro, osservando come tale illegittimita' si manifesti
vieppiu' alla luce dalla sentenza n. 80/2014 resa dalla Corte
costituzionale all'esito di analoga questione sollevata con
riferimento al reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 in
relazione all'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto.
Ritiene questo Giudice che l'eccezione, oltre che rilevante -
atteso che il giudizio non puo' essere definito in assenza dalla
risoluzione della questione, dovendo derivare dalla eventuale
dichiarazione di illegittimita' della norma il proscioglimento
dell'imputato - non sia manifestamente infondata.
Con la sentenza n. 80/2014 la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000
nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17
settembre 2011, punisce l'omesso versamento dell'imposta sul valore
aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per
importi non superiori, per ciascun periodo d'imposta, ad euro
103.291,38 sulla base delle considerazioni che seguono.
Anteriormente alle modifiche introdotte in virtu' del
decreto-legge n. 138/2011, l'art. 5 del decreto legislativo n.
74/2000 richiedeva per la punibilita' dell'omessa dichiarazione
(consistente nel fatto di chi al fine di evadere le imposte sui
redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una
delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte), che l'imposta
evasa fosse superiore, con riferimento a taluna delle singole
imposte, ad euro 77.468, 53.
Cio' comportava una conseguenza palesemente illogica nel caso in
cui riva dovuta dal contribuente si situasse nell'intervallo tra le
due soglie (eccedesse cioe' i 50.000,00 curo, ma non i 77.468,53
euro). In tale evenienza, infatti, veniva trattato in modo deteriore
chi avesse presentato regolarmente dichiarazione IVA, senza versare
l'imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse
presentato la dichiarazione, evadendo del pari l'imposta. Nel primo
caso il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di omesso
versamento iva, stante il superamento della relativa soglia di
punibilita'; nel secondo sarebbe rimasto invece esente da pena, non
risultando attinto il limite di rilevanza penale dell'omessa
dichiarazione.
Analoga discrasia era ravvisabile con riferimento alla
dichiarazione infedele, la cui punibilita' presupponeva che l'imposta
evasa risultasse superiore ad euro 103.291,38.
La lesione del principio di eguaglianza insita in tale assetto
era resa manifesta dal fatto che l'omessa dichiarazione e la
dichiarazione infedele costituiscono illeciti incontestabilmente piu'
gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli interessi del fisco,
rispetto all'omesso versamento IVA.
Infatti, il contribuente che, al fine di evadere l'IVA, presenta
una dichiarazione infedele, tesa ad occultare la materia imponibile,
o non presenta affatto la dichiarazione, tiene una condotta
certamente piu' «insidiosa» per l'amministrazione finanziaria,
rispetto a quella del contribuente che, dopo avere presentato la
dichiarazione, omette di versare l'imposta da lui stesso
autoliquidata (omissione che puo' essere dovuta alle piu' varie
ragioni, anche indipendenti da uno specifico intento evasivo, essendo
il delitto di cui all'art. 10-ter a dolo generico).
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento
all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74/2000 con il quale il legislatore ha
inteso punire il contribuente che, dopo avere effettuato la ritenuta
risultante dalla certificazione rilasciata ai sostituti, ometta poi
di versare la predetta ritenuta, pur avendo presentato la
dichiarazione di cui al modello 770.
La struttura dei due illeciti e' infatti la medesima,
risolvendosi entrambe le fattispecie di reato in una indebita
appropriazione commessa nei confronti di soggetti terzi (Cass. Pen.
sez. 3, 1° dicembre 2010, n. 10120) e considerato che con tale
previsione il legislatore ha inteso sanzionare una condotta complessa
costituita dal rilascio della certificazione ai sostituiti delle
ritenute effettuate e dall'omesso versamento di queste da parte del
sostituto entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale.
In particolare, il legislatore, nella formulazione della
disposizione incriminatrice, ha tenuto in debita considerazione la
potenzialita' ingannatoria della certificazione rilasciata ai
sostituiti, i quali, sulla base di questa, hanno motivo di' ritenere
che il sostituto abbia correttamente adempiuto agli obblighi di
versamento.
Il reato, peraltro, si consuma nel momento in cui scade il
termine per la presentazione della dichiarazione annuale dei
sostituti di imposta senza che il sostituto abbia provveduto al
versamento delle ritenute effettuate e certificate.
Si tratta in sostanza di condotta analoga a quella di colui che,
essendo tenuto, ometta il versamento delle somme gia' riscosse a
titolo di IVA.
Invero, condotte di uguale gravita' debbono essere punite in modo
eguale, non essendo ragionevole che in relazione al reato di cui
all'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000 la soglia di punibilita' resti
fissata in euro 50.000,00 e dovendosi osservare come l'intervento
della Corte costituzionale sulla disposizione di cui all'art. 10-ter
del d.lgs. n. 74/2000 non abbia chiarito se - trattandosi di
disposizioni che rinviano l'una all'altra integrandosi cosi' il
precetto penale - anche la fattispecie di cui all'art. 10-bis d.lgs.
debba intendersi modificata nel senso di ritenere che la soglia di
rilevanza sia fissata oggi, anche per tale reato, nella somma di euro
103.291,38.
Appare, in definitiva, necessario il vaglio di costituzionalita'
della norma oggi in contestazione nell'ipotesi in cui, come nel caso
di specie, le ritenute certificate non versate siano inferiori al
limite di rilevanza penale di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000
nella formulazione derivante dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 80/2014.