LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO 
                             Sezione 43 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
    Brecciaroli Paolo, Presidente; 
    Astegiano Giancarlo, relatore; 
    Barbata Agostino Maria Calog, giudice; 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza,  sul  ricorso  n.   10824/12
depositato il 4 dicembre 2012,  avverso  avviso  di  accertamento  n.
T9D013C03961/2012 IRPEF - Altro 2007; 
    Contro Ag. Entrate Direzione provinciale II di  Milano,  proposto
dal ricorrente: Ghenea Gabriel, via G. Buzzoni 2  -  20068  Peschiera
Borromeo MI, difeso da: Ghenea Avv. Ionela Eugenia, via B. Nigra, 2 -
20068 Peschiera Borromeo MI, sul ricorso n. 10825/12 depositato il  4
dicembre 2012, avverso avviso di  accertamento  n.  T9D013C03962/2012
Irpef - Altro 2008 contro: Ag. Entrate Direzione  provinciale  II  di
Milano, proposto dal ricorrente: Ghenea Gabriel via G.  Buzzoni  2  -
20068 Peschiera Borromeo MI, difeso da: Ghenea Avv.  Ionela  Eugenia,
via B. Nigra, 2 - 20068 Peschiera Borromeo MI. 
 
           LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO 
                             Sezione 43 
 
    Ha emesso la seguente ordinanza nel  procedimento  originato  dai
ricorsi riuniti n. 10824/12 e n.  10825/12,  entrambe  depositati  in
data 4 dicembre 2012, proposti da Ghenea  Gabriel,  difeso  dall'avv.
Ionela Eugenio Ghenea; 
    Contro Agenzia  delle  entrate  -  Direzione  provinciale  II  di
Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore,  difeso  in
proprio, avverso avviso di accertamento  n.  T9D013C03961/2012  e  n.
T9D013C03962/2012. 
    Visti i ricorsi proposti dal signor Gabriel  Ghenea  avverso  gli
avvisi di accertamento n. T9D013C03961/2012, e  n.  T9D013C03962/2012
emessi dall'Agenzia  delle  entrate  -  Direzione  provinciale  I  di
Milano, notificati in data 25 luglio 2012, con i quali si  chiede  al
ricorrente di versare, rispettivamente, le maggiori imposte accertate
in relazione all'esercizio 2007 ed  all'esercizio  2008,  oltre  alle
sanzioni; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  dell'Agenzia  delle  entrate   -
Direzione provinciale I di Milano che ha  pregiudizialmente  proposto
eccezione di inammissibilita' dei ricorsi introduttivi  del  giudizio
per violazione dell'art. 17-bis del decreto legislativo  31  dicembre
1992, n. 546, non risultando che il ricorrente avesse  presentato  il
reclamo  obbligatorio  preventivo,  considerato   che   entrambe   le
controversie erano riferite a contestazioni di importo  inferiore  ad
euro 20.000 notificate successivamente al 1° aprile 2012; 
    Vista l'eccezione di legittimita' costituzionale del citato  art.
17-bis del decreto legislativo  n.  546  del  1992,  prospettata  dal
ricorrente che ha richiamato la violazione degli articoli 3, 24 e 111
della Costituzione; 
    Considerato  che  la  prospettata   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17-bis del decreto legislativo  n.  546  del
1992 e' rilevante ai  fini  della  decisione  del  presente  giudizio
poiche' alla stessa occorre riferirsi per verificare l'ammissibilita'
dei ricorsi; 
    Ritenuto,  inoltre,  che  la  questione  sia  da   ritenere   non
manifestamente infondata per i motivi di seguito esposti; 
 
                               Osserva 
 
    1. Il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv.  dalla  legge  15
luglio  2011,  n.  111  ha  introdotto  il  reclamo  obbligatorio  in
relazione ad alcune controversie tributarie, disciplinando i  profili
sostanziali e procedurali, introducendo nel  decreto  legislativo  31
dicembre 1992, n. 546 l'art. 17-bis. 
    Il nuovo istituto prevede che «Per le controversie di valore  non
superiore a ventimila euro,  relative  ad  atti  emessi  dall'Agenzia
delle entrate, chi intende proporre ricorso e tenuto  preliminarmente
a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed  e'  esclusa
la conciliazione giudiziale di cui all'art. 49 (comma 1). 
    La norma stabilisce, inoltre, che «la presentazione  del  reclamo
e'   condizione   di    ammissibilita'    del    ricorso»    e    che
«l'inammissibilita' e' rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del
giudizio» (comma 2). 
    Il reclamo deve essere «presentato alla Direzione  provinciale  o
alla Direzione regionale che ha emanato l'atto, le  quali  provvedono
attraverso apposite strutture  diverse  ed  autonome  da  quelle  che
curano l'istruttoria degli atti reclamabili (comma 5). 
    Qualora  l'organo  che  ha  ricevuto  il  reclamo   non   intenda
accoglierlo deve formulare  «d'ufficio  una  proposta  di  mediazione
avuto riguardo all'eventuale incertezza delle questioni  controverse,
al  grado  di  sostenibilita'  della  pretesa  e  al   principio   di
economicita' dell'azione amministrativa» (comma 8). 
    «Decorsi  novanta  giorni  senza   che   sia   stato   notificato
raccoglimento  del  reclamo  o  senza  che  sia  stato  conclusa   la
mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso» e  i  termini
di cui agli articoli 22 e 23 dello steso decreto legislativo  n.  546
del 1992 decorrono dalla predetta data, a meno  che  l'Agenzia  delle
entrate non respinga il reclamo in data antecedente, nel qual caso  i
predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego (comma 9). 
    In relazione alle spese del successivo giudizio, la  disposizione
in esame prevede che «nelle controversie di cui al comma 1  la  parte
soccombente e' condannata a rimborsare, in  aggiunta  alle  spese  di
giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese  di  giudizio  a
titolo di rimborso delle  spese  del  procedimento  disciplinato  dal
presente articolo» (comma 10). 
    2. Il reclamo che deve essere proposto nella materia  tributaria,
cosi'  come  disciplinato  dal  citato  art.   17-bis   del   decreto
legislativo n. 546 del 1992, ha natura amministrativa, come si evince
dalla sua collocazione all'interno, del Titolo I, Capo II del decreto
legislativo n. 546, dalla formulazione  letterale  del  comma  2  che
indica il reclamo quale condizione di  ammissibilita'  dell'azione  e
dal comma 9 che specifica che in  caso  di  mancata  conclusione  del
procedimento entro 90 giorni si trasforma in  atto  introduttivo  del
giudizio. 
    In particolare si tratta di  un  ricorso  amministrativo  diretto
alla stessa Autorita' che ha emanato l'atto che  deve  provvedere  in
proposito, sia pure avvalendosi dell'attivita' di un ufficio  diverso
(comma 5). 
    3.  La  disciplina  contenuta  nell'art.   17-bis   del   decreto
legislativo n. 546 del 1992, presenta alcuni profili in relazione  ai
quali  sussistono  fondati  dubbi  di  contrasto  con  le  previsioni
contenute negli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, in relazione
agli aspetti di seguito esposti. 
    3.1.  Con  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione  occorre
osservare che la disposizione in questione impedisce in  ragione  del
limite di cui all'importo stabilito di ventimila euro la proposizione
di azioni con riferimento ai soli tributi di competenza  dell'Agenzia
delle entrate. Al contrario, in relazione agli altri tributi  pretesi
da altre amministrazioni impositrici non esiste l'obbligo di attivare
la procedura di reclamo, creando, in questo modo  una  situazione  di
disparita' di trattamento fra  i  soggetti  che  devono  adempiere  a
prescrizioni tributarie differenti. 
    La decadenza prevista dal comma 2 impedisce di agire in  giudizio
solamente in  relazione  ad  alcuni  tributi,  mentre  non  opera  in
relazione a tutti gli altri e, quindi, in  relazione  ai  tributi  di
competenza dell'Agenzia delle entrate viene previsto un onere che non
trova alcuna giustificazione ne' in relazione alla natura del tributo
ne'  alla  qualificazione  soggettiva  dell'Agenzia  delle   entrate,
creando in questo modo una disparita' di trattamento  fra  situazioni
sostanzialmente analoghe. 
    Inoltre, la soglia dei ventimila euro discrimina, senza  che  sia
evidenziata alcuna  ragione  contraria  che  giustifichi  il  diverso
trattamento dei soggetti sottoposti  all'imposizione  tributaria,  la
situazione dei contribuenti a causa di un  mero  dato  quantificativo
che non trova riscontro in altri istituti del diritto tributario. 
    Sempre  in  relazione  all'art.  3  della  Costituzione,  occorre
sottolineare  che  la  sanzione   dell'inammissibilita'   dell'azione
giudiziaria  conseguente   al   mancato   esperimento   del   reclamo
disciplinato   dall'art.   17-bis    provoca    una    ingiustificato
discriminazione tra il diritto del contribuente  a  corrispondere  il
giusto tributo e la potesta' impositiva dell'Agenzia delle entrate  -
essendo il ricorso a detto istituto previsto solo per  i  tributi  di
competenza di quest'ultima, si  ripete  -  non  risultando  possibile
individuare le esigenze di ordine generale e superiori  finalita'  di
giustizia che giustifichino la necessita' della  proposizione  di  un
reclamo preventivo in presenza  di  altri  strumenti  deflattivi  del
contenzioso   (quali   l'autotutela,   l'obbligo    del    preventivo
contraddittorio, l'accertamento con adesione), cosicche'  il  reclamo
oggetto di esame in questa sede appare quale  atto  di  aggravio  del
procedimento, idoneo, in caso di mancata proposizione, a pregiudicare
il contribuente  che  e'  privato  della  possibilita'  di  agire  in
giudizio. 
    Da ultimo, la violazione dell'art. 3 risulta anche  in  relazione
alla circostanza che solo a seguito della  proposizione  del  ricorso
giurisdizionale il  contribuente  puo'  adire  la  tutela  cautelare,
creandosi un'evidente situazione di disparita' di trattamento  fra  i
contribuenti che possono  agire  in  giudizio  (debito  superiore  ai
20.000 euro in relazione ai tributi di competenza dell'Agenzia  delle
entrate e debito di qualsivoglia  ammontare  riferito  a  tributi  di
competenza di altri Enti impositori) e quelli  che  devono  ricorrere
alla mediazione che devono attendere  la  conclusione  della  stessa,
anche in presenza di atti esecutivi. 
    Infatti, come noto l'art. 47 del decreto legislativo n.  546  del
1992 condiziona la possibilita' di adire la tutela cautelare  ad  una
valida  instaurazione  del  contraddittorio  giudiziale  relativo  al
processo sul merito dell'atto del  quale  si  invoca  la  sospensione
dell'efficacia, poiche' il comma  1  della  norma  appena  richiamata
richiede che siano osservate  le  disposizioni  di  cui  all'art.  22
relative alla costituzione in giudizio del ricorrente e  il  comma  6
stabilisce che nei casi nei quali l'atto venga sospeso la trattazione
del merito  deve  essere  fissata  non  oltre  novanta  giorni  dalla
pronuncia. 
    L'esclusione dalla possibilita' di adire  con  immediatezza  alla
tutela cautelare in  relazione  ad  una  sola  tipologia  contenzioso
(riferito a tributi  di  competenza  dell'Agenzia  dell'entrate,  con
debito  inferiore  ai  20.000  euro)  e'  lesiva  dei   diritti   del
contribuente  interessato  alla  limitazione   poiche'   irrazionale,
contraria al principio di uguaglianza e  ingiustificato,  trattandosi
della tutela giurisdizionale di posizioni giuridiche  soggettive  che
devono essere garantite nei casi nei quali l'atto sia  immediatamente
esecutivo (avvisi di accertamento disciplinati a seguito dell'art. 29
del decreto-legge n. 78 del 2010; cartelle esattoriali  (art.  36-bis
del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e  54-bis
del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972). 
    3.2. Con riferimento all'art. 24 della Costituzione,  la  Sezione
evidenzia che la norma richiamata sopra  limita  la  possibilita'  di
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi  sino
ad escluderla del tutto qualora non  venga  esperita  una  preventiva
fase amministrativa che risulta imposta  a  pena  d'inammissibilita',
violando, in questo modo, il diritto di azione in giudizio  garantito
dal richiamato art. 24 della Costituzione. 
    In sostanza, la  disciplina  dell'istituto  risultante  dall'art.
17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546  comprime  un
diritto garantito a livello costituzionale ad ogni  soggetto  poiche'
subordina, in concreto, la possibilita' di agire  all'esperimento  di
un procedimento amministrativo. 
    In   proposito,   occorre   sottolineare    che    la    sanzione
dell'inammissibilita' del ricorso causata dalla omessa  presentazione
di un reclamo o ricorso amministrativo e'  stata  censurata  in  piu'
occasioni dal Giudice delle leggi per violazione dell'art.  24  della
Costituzione. In particolare, e' stato rilevato che se anche in linea
di  principio  l'accesso  alla  tutela  giurisdizionale  puo'  essere
subordinato a rimedi di tipo amministrativo, contrastano  con  l'art.
24 della Costituzione  previsioni  legislative  che  «comportino  una
compressione  penetrante  del  diritto  di  azione,  ostacolandone  o
rendendone difficoltoso l'esercizio,  in  particolare  comminando  la
sanzione della decadenza», con conseguente perdita del  diritto  (per
tutte: Corte costituzionale 11 dicembre 1989, n. 530; id, 18  gennaio
1991, n. 15: Inoltre: id, 24 febbraio 1995, n. 56). 
    Risultano legittime norme  che  differiscano  temporaneamente  il
ricorso  all'Autorita'  giudiziario   in   presenza   di   necessita'
particolari,  ma  contrastano  con  l'art.  24   della   Costituzione
disposizioni che rendano impossibile l'azione in ragione di attivita'
di tipo amministrativo che il  soggetto  interessato  sia  tenuto  ad
esperire prima di adire il giudice. 
    Nel caso di specie, la complessiva disposizione del  citato  art.
17-bis pone un serio ostacolo ad una categoria  di  contribuenti  che
possono adire la  via  giudiziario  solo  dopo  l'esperimento  di  un
ricorso amministrativo e decadono  da  quest'ultima  possibilita'  se
omettono la fase amministrativa. 
    3.3. Con riferimento all'art.  111  della  Costituzione,  occorre
sottolineare  che   il   procedimento   amministrativo   disciplinato
dall'art. 17-bis  comporta  un'eccessiva  dilatazione  dei  tempi  di
introduzione del  giudizio  tributario,  con  conseguente  violazione
dell'art. 111 in relazione alla prospettiva della ragionevole  durata
del giudizio, al fine di soddisfare la pretesa che la  parte  intende
azionare. 
    In disparte altre considerazioni e sotto un profilo  parzialmente
diverso, occorre rilevare che il tempo necessario  per  l'esperimento
del  procedimento  amministrativo  che  deve  precedere  il  giudizio
potrebbe recare nocumento alla parte istante, in considerazione della
circostanza che, decorsi sessanta giorni dalla notifica,  gli  avvisi
di accertamento e le cartelle di pagamento  diventano  immediatamente
esecutive ed il contribuente non puo' proporre istanza di sospensione
poiche' il giudizio non e' ancora instaurato  (art.  47  del  decreto
legislativo n. 546 del 1992). 
    Sempre  in  relazione  all'art.  111  della  Costituzione  ed  ai
principi che devono informare il processo, occorre evidenziare che il
procedimento in questione non e' stato delineato come quello previsto
in relazione al giudizio civile nel quale e' garantita  la  terzieta'
del soggetto al quale e' affidata l'attivita' di mediazione. Nel caso
di specie, l'organo investito del reclamo, a pena  di  decadenza,  e'
rappresentato  dalla  stessa  Amministrazione  che  ha   emanato   il
provvedimento e, conseguentemente, puo' ritenersi che  la  norma  non
abbia previsto un autonomo procedimento deflattivo ma, semplicemente,
subordinato il diritto di agire in giudizio al previo esperimento  di
un ricorso amministrativo alla stessa Autorita'  che  ha  emanato  il
provvedimento. 
    In proposito, e' appena il caso  di  osservare  che  l'organo  al
quale deve essere affidata  un'attivita'  di  mediazione  deve  avere
natura terza  e  non  puo'  essere  individuato  in  un'articolazione
amministrativa di una delle parti, vale a dire, nel caso  di  specie,
in  un  ufficio,  sia  pure  diverso,  della  stessa  Amministrazione
tributaria che ha emanato l'atto oggetto di contestazione.  Trattando
della mediazione finalizzata alla  conciliazione  delle  controversie
civili, il giudice delle leggi, con la pronuncia n. 272 del 2012,  ha
osservato che l'istituto della mediazione come  strumento  deflattivo
del contenzioso trova il suo fondamento anche nel diritto comunitario
(le conclusioni adottate dal Consiglio nel maggio del 2000; il  libro
verde,  presentato  dalla  Commissione  nell'aprile  del   2002;   la
direttiva numero 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in
data 21 maggio 2008; la risoluzione del Parlamento europeo in data 13
settembre 2011; la risoluzione del  Parlamento  europeo  in  data  25
ottobre 2011, con particolare  riferimento  al  paragrafo  31,  sesto
capoverso). La Corte costituzionale ha precisato,  inoltre,  che  dal
diritto  comunitario  si  evince,  da  un  lato,  che  la   finalita'
deflattiva dell'istituto della mediazione deve  essere  raggiunta  in
forza dell'autorevolezza e dell'utilita' concreta della mediazione  e
non  con  strumenti  di  obbligatorieta'  del  ricorso  ad  essa   e,
dall'altro, che la  mediazione  deve  svolgersi  in  modo  imparziale
rispetto  alle  parti  coinvolte  (art.  4  della  direttiva   numero
2008/52/CE).