TRIBUNALE DI TORINO 
                          IV Sezione Penale 
 
    Il Tribunale di Torino in composizione collegiale  nelle  persone
dei magistrati: 
        Dott.ssa Arianna Maffiodo - Presidente; 
        Dott. Gianni Reynaud - Giudice estensore; 
        Dott.ssa Marta Sterpos - Giudice. 
    Alla pubblica udienza del 24 febbraio  2016  nel  procedimento  a
carico di: 
        Damiani  Giovanni,  nato   a   Torino   7   settembre   1978,
elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p.  presso  l'avv.  Tommaso
Servetto del foro di Torino, difeso di fiducia dagli avvocati Tommaso
Servetto e Giulia Mondino del Foro di Torino; 
        Pastorelli Maria Concetta, nata  a  Torino  19  giugno  1976,
residente e  dichiaratamente  domiciliata  ex.  art.  161  c.p.p.  in
Alpignano, via Val della Torre, 68,  difesa  di  fiducia  dagli  avv.
Tommaso Servetto e Giulia Mondino del Foro di Torino, 
imputati del delitto di cui agli articoli 110 c.p., 216 numeri 1 e 2,
219, 223 L. Fall., perche', Damiani quale Presidente del CDA  dal  15
gennaio 2007 al 10 marzo 2008, e da tale data quale amministratore di
fatto fino al fallimento - liquidatore dal 23 settembre 2008 fino  al
22  aprile  2009,  Pastorelli  in   concorso   con   Damiani,   quale
beneficiaria  delle  somme  distratte,  di  D.O.C.  Service  srl   in
liquidazione, dichiarata fallita -  con  sentenza  del  tribunale  di
Torino in data 12 luglio 2012: 
    Damiani distraeva quantomeno l'importo di €  150.049,02  pari  ai
prelievi effettuati dai  c.c.  della  societa'  fallita  e  privi  di
qualsiasi finalita' sociale. In particolare distraeva l'importo di  €
120.049,02 pari a pagamenti apparentemente  effettuati  a  fronte  di
fatture emesse dalla D.I. North West, di fatto relative ad operazioni
inesistenti, nonche', in concorso con la Pastorelli, l'importo  di  €
30.000, prelevato dal c.c. n. 2457 presso Banca Popolare di  Bergamo,
intestato alla fallita e destinato alla Pastorelli  a  fronte  di  un
inesistente «debito verso soci»; 
    Damiani falsificava, allo scopo di coprire le  illecite  condotte
distrattive di cui al  capoverso  precedente,  i  libri  e  le  altre
scritture  contabili,  annotando  nel  libro  giornale  fatture   per
operazioni inesistenti emesse dalla D.I. North  West,  cosi'  da  far
apparire giustificati gli  indebiti  prelievi,  nonche'  sottraeva  o
comunque occultava allo scopo  di  procurarsi  un  ingiusto  profitto
l'intera  contabilita'   omettendo   di   consegnarla   al   curatore
fallimentare  in  guisa  da  non  consentire  la  ricostruzione   del
patrimonio e del movimento degli affari, con  impossibilita'  per  la
curatela di esperire le azioni ricostitutive dell'asse fallimentare. 
    Con l'aggravante di aver commesso piu' fatti fra quelli  indicati
dall'art. 216 L. Fall., in Torino, il 12 luglio 2012, ha  pronunziato
e pubblicato mediante lettura del provvedimento la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Gli imputati sono stati originariamente tratti a giudizio  avanti
a questo Tribunale in composizione collegiale - unitamente  ad  Olaru
Adrian Nicolae, la cui posizione e' stata successivamente separata  -
per rispondere di  fatti  di  reato  di  bancarotta  fraudolenta  per
distrazione  (contestata  ad  entrambi)  e   bancarotta   fraudolenta
documentale (contestata al solo Damiani) in relazione  al  fallimento
della D.O.C. Service Srl. Nel corso dell'istruzione dibattimentale ed
in esito a prove emerse dalla stessa e ignote al momento di esercizio
dell'azione penale, all'udienza  del  12  ottobre  2015  il  pubblico
ministero ha modificato, ex art. 516 c.p.p., le  contestazioni  mosse
agli imputati Damiani e Pastorelli, descrivendo diversamente i  fatti
loro ascritti sia con riguardo alla bancarotta per  distrazione,  sia
con riferimento alla bancarotta documentale. Si tratta  -  e  non  e'
controverso, ne' controvertibile -  di  contestazioni  di  fatti  che
presentano connotati materiali  difformi  da  quelli  dell'originaria
accusa e che pertanto hanno reso necessaria la modifica dell'addebito
a tutela del diritto di difesa ed al fine di  evitare  la  violazione
del principio di necessaria correlazione tra imputazione e  sentenza.
Il  verbale  contenente  la  nuova  imputazione  quale  in   epigrafe
trascritta  e'  stato  quindi  notificato  agli  imputati  Damiani  e
Pastorelli, assenti all'udienza, ed il processo,  a  norma  dell'art.
520 c.p.p., e' stato rinviato al 13  gennaio  2016,  con  contestuale
sospensione  del  dibattimento,  per  effettuare  la  notifica   agli
imputati del verbale contenente  la  nuova  contestazione.  Adempiuto
l'incombente, alla nuova udienza gli imputati Damiani e Pastorelli, a
mezzo del difensore costituito procuratore  speciale,  hanno  chiesto
che il processo a  loro  carico  -  relativo  alla  sola  imputazione
oggetto di modifica - fosse definito con  il  rito  dell'applicazione
della pena, formulando specifiche istanze nei termini che seguono: 
        determinarsi la pena base in anni tre di reclusione; 
        concedersi ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti
generiche, prevalenti sull'aggravante contestata a Damiani, e ridursi
la pena ad anni due di reclusione; 
        ridursi detta pena, per la diminuente  connessa  alla  scelta
del rito, ad anni uno e mesi sei di reclusione per Damiani Giovanni e
ad anni uno  e  mesi  quattro  di  reclusione  per  Pastorelli  Maria
Concetta; 
        richiesta  subordinata,  per  entrambi  gli  imputati,   alla
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    Il pubblico ministero ha prestato il  consenso  per  entrambe  le
istanze. 
    La difesa degli imputati ha inoltre richiesto, nel caso in cui il
Tribunale  non  ritenesse  ammissibile  l'istanza   di   applicazione
concordata della pena  per  tardivita'  della  stessa,  di  sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  516  c.p.p.,  per
dedotta violazione degli  articoli  24,  secondo  comma,  e  3  della
Costituzione,  «nella  parte  in  cui   non   prevede   la   facolta'
dell'imputato di presentare a dibattimento richiesta di  applicazione
di pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. relativamente al fatto  diverso
emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale,  che  forma  oggetto
della nuova contestazione». 
    Cio' premesso, reputa il Tribunale che l'istanza di  applicazione
della pena concordata  tra  le  parti  per  gli  imputati  Damiani  e
Pastorelli  -  istanza  che  sarebbe  altrimenti   accoglibile,   non
sussistendo elementi per pronunciare una sentenza di  proscioglimento
ex art. 129 c.p.p. ed essendo corretta  la  qualificazione  giuridica
dei fatti prospettata dalle parti, cosi' come le  circostanze  ed  il
loro bilanciamento, e congrue le pene indicate,  nonche'  concedibile
ad entrambi gli imputati il beneficio della sospensione  condizionale
- non sia ammissibile alla luce del diritto processuale  vigente.  Vi
osta, invero, la preclusione ricavabile dal combinato disposto  degli
articoli  446,  primo  comma,   c.p.p.   -   che,   per   consolidata
giurisprudenza, subordina l'esercizio di tale  facolta',  a  pena  di
decadenza, al rispetto  del  termine  della  discussione  all'udienza
preliminare - e 516  c.p.p.,  che  non  prevede  una  «rimessione  in
termini» per poter effettuare la richiesta del giudizio  speciale  in
parola nel caso in cui intervenga la modifica della contestazione per
fatti emersi per la prima volta nell'istruttoria dibattimentale, come
avvenuto nel caso di specie (si  versa,  invero,  nell'ipotesi  della
c.d.  «nuova  contestazione  fisiologica»,  diversa  da  quella  c.d.
«patologica», trovando  quest'ultima  fondamento  in  atti  acquisiti
nella fase  delle  indagini  preliminari  e  gia'  noti  al  pubblico
ministero al momento di esercizio dell'azione penale). 
    Verificata pertanto la rilevanza della  disciplina  normativa  de
qua per la decisione del caso di specie, reputa il Tribunale  che  la
stessa, nella parte in  cui  preclude  all'imputato  la  facolta'  di
avanzare istanza di patteggiamento  in  relazione  al  fatto  diverso
frutto di contestazione «fisiologica» - disciplina  non  suscettibile
di contraria  interpretazione  secondo  un  consolidato  orientamento
giurisprudenziale   -   sollevi   fondati   dubbi   di   legittimita'
costituzionale per violazione del diritto di difesa (art. 24, secondo
comma, della Costituzione), nonche' del principio di eguaglianza  dei
cittadini davanti alla legge e del  principio  di  ragionevolezza  in
rapporto alla differente disciplina processuale riservata  ad  eguali
situazioni (art. 3 della Costituzione). 
    E' doveroso rammentare che la giurisprudenza elaborata in materia
dalla  Corte  costituzionale  ha  preso  le  mosse  dall'affermazione
secondo cui,  a  dibattimento  iniziato,  nel  caso  di  un'eventuale
modifica  dell'imputazione,  l'impossibilita'  di   beneficiare   dei
vantaggi connessi all'adozione  dei  riti  speciali  fa  parte  delle
«regole del gioco», note alle parti processuali, le  cui  conseguenze
sfavorevoli potevano e dovevano essere previste ex  ante  e  di  cui,
dunque, non ci si puo' ex post dolere, poiche'  l'imputato  il  quale
non abbia optato nei termini per i  riti  premiali  «non  ha  che  da
addebitare a se' medesimo le conseguenze della propria scelta» (Corte
costituzionale,   sentenza   n.   316/1992,   che    ha    dichiarato
l'infondatezza, in relazione all'art.  3  della  Costituzione,  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 519  c.p.p,  nella
parte in cui, in caso di contestazioni suppletive a  norma  dell'art.
517 c.p.p., non  consente  all'imputato  di  avvalersi  del  giudizio
abbreviato). La casistica via, via emersa ha pero' mostrato  come  la
rigida applicazione del principio  comportasse,  talora,  conseguenze
inaccettabili sul piano  della  ragionevolezza  e  della  tutela  del
diritto dell'imputato ad operare liberamente e senza  condizionamenti
od ostacoli le proprie scelte  di  strategia  difensiva.  Di  qui  le
correzioni all'impianto normativo originario apportate ad opera della
Corte  in  una  decisione  successiva,  relativa  all'erroneita'   od
incompletezza dell'imputazione formulata rispetto agli elementi  gia'
acquisiti in sede d'indagine preliminare, con  una  rivalutazione,  a
sorpresa, degli stessi elementi  nel  corso  del  dibattimento  e  la
conseguente  contestazione  di  un  fatto  diverso  o  di  un   reato
concorrente. 
    Nell'esaminare tale ipotesi la Corte costituzionale ha  insegnato
che non puo' «parlarsi, in simili vicende, di una  libera  assunzione
del  rischio  del  dibattimento  da   parte   dell'imputato»   (Corte
costituzionale, sentenza n.  265/1994).  E  poiche'  «le  valutazioni
dell'imputato circa  la  convenienza  del  rito  speciale  vengono  a
dipendere anzitutto dalla concreta impostazione data al processo  dal
pubblico  ministero  (...)  quando,  in  presenza  di  una  evenienza
patologica del procedimento, quale e'  quella  derivante  dall'errore
sulla individuazione del fatto e del  titolo  del  reato  in  cui  e'
incorso il pubblico ministero, l'imputazione subisce  una  variazione
sostanziale,  risulta  lesivo  del  diritto  di   difesa   precludere
all'imputato  l'accesso  ai  riti  speciali»  (Corte  costituzionale,
sentenza  n.  265/1994;  cfr.,  per  analoghe   affermazioni,   Corte
costituzionale, sentenze n. 76/1993 e n. 214/1993).  Con  riferimento
all'istituto  del  patteggiamento,  e'  stata  dunque  dichiarata  la
«illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517 c.p.p.  nella
parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di richiedere al
giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444
c.p.p.,  relativamente  al  fatto  diverso  o  al  reato  concorrente
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto  che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine   al   momento
dell'esercizio  dell'azione  penale  ovvero  quando   l'imputato   ha
tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta  di  applicazione
di pena in ordine alle originarie imputazioni» (Corte costituzionale,
sentenza n. 265/1994). In tempi piu'  recenti  -  con  una  pronuncia
«additiva» relativa all'art. 517 c.p.p. - e' stata inoltre rimossa la
preclusione a definire il processo con l'applicazione della  pena  su
richiesta «in seguito alla  contestazione  nel  dibattimento  di  una
circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di  indagine  al
momento dell'esercizio  dell'azione  penale»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 184/2014). 
    Quanto  al  rito  abbreviato,  a  seguito  di   alcune   pronunce
d'inammissibilita' di questioni  di  legittimita'  costituzionale  al
proposito sollevate - sul rilievo che fosse necessario un  intervento
legislativo volto ad adottare «un appropriato congegno normativo  che
componga  le  interferenze  tra  giudizio   abbreviato   e   giudizio
dibattimentale» (Corte costituzionale, sentenza n. 129/1993; v. anche
ordinanze n. 413/2005 e n. 67/2008) -  preso  atto  dell'inerzia  del
legislatore e  del  mutato  quadro  normativo,  che  ha  diversamente
delineato  l'istituto  del  giudizio  abbreviato  e  che,  in  talune
ipotesi, ha consentito la definizione con tale rito  di  procedimenti
giunti nella fase dibattimentale,  la  Corte  costituzionale  ha  poi
dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli 516  e  517
c.p.p. nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato  di
richiedere  al  giudice  del  dibattimento  il  giudizio   abbreviato
relativamente al fatto diverso o al reato concorrente  contestati  in
dibattimento, «quando la nuova contestazione concerne  un  fatto  che
gia' risultava  dagli  atti  di  indagine  al  momento  di  esercizio
dell'azione penale» (Corte  costituzionale,  sentenza  n.  333/2009).
Questa pronuncia e la successiva sentenza della Corte  costituzionale
n. 139/2015  -  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 517 c.p.p. nella parte in cui non prevede  la  facolta'  di
richiedere il giudizio abbreviato con riferimento  al  reato  per  il
quale vi  sia  stata  suppletiva  contestazione  di  una  circostanza
aggravante che gia' risultava dagli  atti  al  momento  di  esercizio
dell'azione penale  -  hanno  dunque  parificato  le  situazioni  del
patteggiamento e del  giudizio  abbreviato,  rimuovendo  l'originaria
preclusione alla facolta' di richiedere i suddetti riti  speciali  in
corso  di  dibattimento   con   esclusivo   riferimento   alle   c.d.
«contestazioni patologiche». 
    In  rapporto  alle  cc.dd.   «contestazioni   fisiologiche»,   la
disciplina processuale preclusiva della  possibilita'  di  fruire  di
riti premiali era stata censurata  dalla  Corte  costituzionale  gia'
nella  sentenza  n.  530/1995,   con   cui   era   stata   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517 c.p.p.,  per
violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella  parte  in
cui non prevedono la facolta' dell'imputato di  proporre  domanda  di
oblazione in relazione  al  fatto  diverso  o  al  reato  concorrente
contestati in dibattimento. In quell'occasione, di fatti, non si  era
fatta distinzione tra ipotesi in  cui  sia  ravvisabile  un  iniziale
errore del pubblico ministero nel contestare l'accusa  rispetto  agli
elementi acquisiti in fase d'indagine preliminare e ipotesi in cui la
necessita' della  modifica  dell'imputazione  emerga,  per  la  prima
volta, nell'istruzione dibattimentale. Al di la' del procedimento per
oblazione,  l'originaria  impostazione  con  cui  la   giurisprudenza
costituzionale  aveva  legittimato  l'impossibilita'  a  definire  il
processo  con  patteggiamento  o  giudizio  abbreviato  nel  caso  di
fisiologica  modifica  dell'imputazione,  avvenuta  sulla  scorta  di
elementi emersi per la  prima  volta  in  dibattimento,  e'  tuttavia
mutata soltanto  in  tempi  recenti.  Cio'  si  e'  pero'  verificato
soltanto con riferimento al giudizio abbreviato. 
    Ed invero, con la sentenza n. 237/2012, la Corte ha ritenuto  che
i  precedenti  approdi  nella  materia  de   qua   dovessero   essere
«necessariamente rivisti» alla luce di modifiche  normative  e  delle
proprie precedenti pronunce. Dopo aver  ribadito  quanto  in  passato
gia'   affermato   sulla   natura   non   dirimente    del    binomio
«premialita-deflazione»    individuato    come    necessario    nella
giurisprudenza costituzionale dei primi anni '90, osservando come  un
effetto di economia processuale pur sempre si ottiene allorquando  il
processo  viene  definito  con  un  rito   speciale   in   corso   di
dibattimento,  la  citata  pronuncia  svaluta  il   requisito   della
«prevedibilita'» da parte dell'imputato di contestazioni fisiologiche
di un reato  concorrente  e,  in  generale,  osserva  come  sia  piu'
difficilmente prevedibile  la  contestazione  fisiologica  di  quella
patologica. Del resto, la  riconosciuta  possibilita'  di  modificare
l'imputazione anche nel giudizio abbreviato (sia pur limitatamente ai
casi di  integrazione  probatoria  conseguente  al  c.d.  «abbreviato
condizionato»  od  all'assunzione  di  nuove  prove  ex  officio:  v.
articoli 438, comma 5, e 441-bis c.p.p.,  nel  testo  inserito  dalla
c.d. legge «Carotti», la n. 479/1999) impedisce di  riproporre  detto
argomento - cio' che era stato fatto  in  passato  -  per  addebitare
all'imputato le conseguenze di una sua omissione nel caso in cui  non
si sia optato in limine per un giudizio speciale.  Ma  proprio  dalla
facolta' in tali casi riconosciuta all'imputato di «chiedere  che  il
processo prosegua  nelle  forme  ordinarie»  a  seguito  della  nuova
contestazione mossa in abbreviato (art. 441-bis, primo comma, c.p.p.)
emerge, secondo la Corte, un «indice di sistema,  riguardo  al  fatto
che, quando muta in itinere il tema d'accusa, l'imputato  deve  poter
rivedere le proprie opzioni  riguardo  al  rito  da  seguire»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 237/2012). Di qui la ritenuta  violazione
del   diritto   di   difesa   e   del   principio   di    eguaglianza
nell'impossibilita'  di  definire  con  rito  abbreviato   il   reato
concorrente  contestato  per  la  prima  volta  in  dibattimento,  in
conseguenza di un fatto tutto  sommato  casuale  come  l'essere  cio'
avvenuto dopo l'esercizio dell'azione penale per il reato oggetto  di
contestazione originaria (e senza che, peraltro, la scelta  difensiva
fosse possibile, perche' la richiesta di  definire  il  processo  con
rito abbreviato postula ovviamente la formulazione dell'imputazione).
Del resto - si e' ancora osservato - appare irragionevole  che  detta
preclusione  sia  rimessa  a  circostanze  casuali,  come  la  scelta
discrezionale  (e  non  sindacabile)  del   pubblico   ministero   di
contestare  il  reato  concorrente  a  dibattimento  (piuttosto   che
iniziare ex novo l'azione penale), ovvero che gli atti relativi  alla
nuova imputazione  siano  restituiti  al  pubblico  ministero  se  la
contestazione suppletiva di un reato per cui  e'  prevista  l'udienza
preliminare si verifichi nell'ambito  di  un  processo  radicato  con
citazione diretta a giudizio (v. art. 521-bis, primo comma,  c.p.p.).
Si e' cosi' giunti alla declaratoria d'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 517 c.p.p. «nella parte in  cui  non  prevede  la  facolta'
dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento  il  giudizio
abbreviato  relativamente  al  reato  concorrente  emerso  nel  corso
dell'istruzione  dibattimentale,  che  forma  oggetto   della   nuova
contestazione»  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.  237/2012).  La
medesima  conclusione  -   concretizzatasi   in   analoga   pronuncia
«additiva»  emessa  con  riguardo  all'art.  516  c.p.p.  (v.   Corte
costituzionale, sentenza n. 273/2014) - e'  stata  poi  adottata  nel
caso di contestazione fisiologica del fatto  diverso,  non  essendosi
ritenuto sufficiente a  differenziare  il  trattamento  normativo  il
rilievo che  in  questo  caso  (e  a  differenza  dell'ipotesi  della
contestazione  di  reato  concorrente)   esisteva   sin   dall'inizio
l'imputazione che avrebbe  consentito  la  tempestiva  richiesta  del
giudizio speciale. 
    In questo quadro - e tenendo conto del  principio  cardine  della
vigente disciplina in  materia,  quale  affermato  dalle  ultime  due
citate pronunce della Corte circa  il  fatto  che,  «quando  muta  in
itinere il tema d'accusa, l'imputato deve poter rivedere  le  proprie
opzioni  riguardo  al  rito  da  seguire»   -   appare   dunque   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 516 c.p.p. nella parte  in  cui  non  prevede  la  facolta'
dell'imputato di richiedere il patteggiamento relativamente al  fatto
diverso emerso nel corso dell'istruzione  dibattimentale,  che  forma
oggetto della nuova  contestazione.  Sulla  base  delle  osservazioni
sopra svolte, la  preclusione  a  fruire  dei  vantaggi  connessi  al
patteggiamento in siffatto caso sembra qui tradursi: 
        in una compressione dei diritti di difesa  dell'imputato,  al
quale, in simili ipotesi, non puo'  certo  essere  addebitata  alcuna
colpevole inerzia, ne' - secondo  il  piu'  recente  indirizzo  della
giurisprudenza  costituzionale  -  possono  essergli  attribuite   le
conseguenze negative di un «prevedibile» sviluppo  dibattimentale  il
cui rischio sia stato liberamente assunto; ed invero,  l'opzione  per
il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle
parti - secondo il consolidato orientamento del Giudice delle leggi -
costituisce  una  modalita',  tra  le  piu'  qualificanti  (v.  Corte
costituzionale, sentenza n. 148/2004), di esercizio  del  diritto  di
difesa (ex plurimis, Corte costituzionale, sentenze n.  219/2004,  n.
70/1996,  n.  497/1995,  n.  76/1993)  e  «condizione  primaria   per
l'esercizio del diritto di difesa e' che l'imputato abbia ben  chiari
i   termini   dell'accusa   mossa   nei   suoi   confronti»    (Corte
costituzionale,  sentenze  n.  237/2014  e  n.   273/2014),   sicche'
l'ingiustificata  esclusione  della   facolta'   di   richiedere   il
patteggiamento  una  volta   modificata   l'imputazione   costituisce
sospetta violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione; 
        nella disparita' di  trattamento,  con  conseguente  sospetta
violazione dell'art. 3 della Costituzione, sussistente tra l'imputato
al quale,  sin  dal  primigenio  esercizio  dell'azione  penale,  sia
correttamente contestato l'addebito con piena possibilita' di  optare
per il rito alternativo e l'imputato che - a causa dell'incompletezza
delle indagini o per altra casuale ragione - si veda  invece  muovere
un'imputazione incompleta e/o errata e, affrontando sulla base  della
stessa  il  giudizio,  subisca  poi  la   modifica   dell'imputazione
determinata dall'acquisizione dei relativi elementi di prova in corso
di dibattimento  senza  poter  piu'  fruire  dei  benefici  del  rito
premiale: «anche in rapporto alla contestazione fisiologica del fatto
diverso vale, quindi, il rilievo di fondo,  per  cui  l'imputato  che
subisce la nuova contestazione "viene a  trovarsi  in  una  posizione
diversa  e  deteriore  quanto  alla  facolta'  di  accesso  ai   riti
alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione  di  pena  -
rispetto a chi  della  stessa  imputazione  fosse  stato  chiamato  a
rispondere sin dall'inizio» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n.
273/2014,  nella  quale  si  richiamano  principi  espressi  con   la
precedente pronuncia n. 237/2014); 
        nell'irragionevolezza di una disciplina processuale che,  nel
caso di contestazione c.d. «fisiologica» del fatto diverso,  ex  art.
516 c.p.p., consente all'imputato di recuperare i  vantaggi  connessi
ad alcuni riti speciali (il giudizio abbreviato e l'oblazione,  sulla
base  della  normativa  quale  risultante   dalle   citate   sentenze
«additive» Corte costituzionale numeri 273/2014 e 530/1995, normativa
da  utilizzarsi  quale  tertium  comparationis),   impedendo   invece
l'accesso al rito dell'applicazione della  pena  su  richiesta  delle
parti,  con  ulteriore,  sospetta,  violazione  dell'art.   3   della
Costituzione. 
    Posto che - come si e' visto - il progressivo  ampliamento  delle
facolta'  di  accesso  ai  riti  speciali  nel   caso   di   modifica
dell'imputazione in corso di dibattimento e' sempre avvenuto in forza
di  pronunce  della  Corte   costituzionale   che   hanno   accertato
l'insussistenza di ragionevoli motivi per conservare  le  preclusioni
poste dalla legge processuale, reputa questo Tribunale  che  non  sia
possibile   procedere   ad   un'interpretazione    costituzionalmente
orientata della vigente disciplina,  dovendosi  invece  rimettere  al
Giudice delle leggi la valutazione circa la conformita'  di  essa  al
quadro costituzionale di riferimento piu' sopra delineato.