TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO 
                           Sezione lavoro 
 
    Il giudice dott. Tullio Perillo, letti gli  atti  e  i  documenti
della causa iscritta al n. 698/2016 RGL pendente tra Franco  Michele,
Mazzarol  Domenico  Giorgio,  Locatelli  Giovanni,  Villa   Vladimiro
Rodolfo, Colombini Maurizio Alfredo,  Bertolini  Armando  e  Lombardo
Enrico, ricorrenti - Abogado Alessandro Milani - e  INPS  -  Istituto
nazionale della previdenza sociale, resistente -  Avvocato  Rocco  M.
Cama, sciogliendo la riserva assunta in data  27  aprile  2016  cosi'
rileva. 
    Con ricorso al Tribunale di Milano,  quale  giudice  del  lavoro,
depositato in data 25 gennaio 2016, i ricorrenti in epigrafe indicate
hanno convenuto in giudizio  INPS  chiedendone  la  condanna,  previa
rimessione alla Corte costituzionale della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1 decreto-legge n. 65  del  21  maggio  2015
convertito in legge 17 luglio 2015, n. 109 nonche' dell'art. 1, comma
483 della legge di stabilita' n. 147 del 2013, a  corrispondere  loro
quanto maturato per mancata rivalutazione degli importi pensionistici
per il 2012, il 2013 e il 2014. 
    Si e' ritualmente costituito  in  giudizio  INPS  contestando  in
fatto e in diritto l'avversario ricorso. 
    Tutti i ricorrenti sono  titolari  di  pensione  e  nel  presente
giudizio si dolgono del fatto che, pur dopo la sentenza  della  Corte
costituzionale n. 70/15 di cui si parlera' ampiamente nel  prosieguo,
il  legislatore,  intervenuto  a   disciplinare   la   materia,   non
riconosceva loro, per gli anni 2012  e  2013,  la  rivalutazione  sul
trattamento pensionistico (salvo che per talune fasce e  comunque  in
misura inferiore alla normativa che  sarebbe  stata  applicabile  per
effetto della declaratoria di incostituzionalita'). 
    La normativa sopravvenuta, ad avviso dei ricorrenti, e' del  pari
da considerare incostituzionale. 
    Tanto premesso, si osserva quanto segue. 
    Devono preliminarmente essere respinte le eccezioni  di  nullita'
del ricorso per omessa esposizione e mancata specificazione dei fatti
costitutivi del diritto, argomentata da INPS sul  presupposto  che  i
ricorrenti avrebbero omesso di indicare l'ammontare delle pensioni di
cui sono titolari e di conseguenza la misura  di  incidenza  su  tali
pensioni della normativa di cui invocano l'incostituzionalita'. 
    Si osserva, difatti, che nel presente  giudizio  e'  innanzitutto
pacifico e documentale  che  i  ricorrenti  sono  tutti  titolari  di
pensione a carico di INPS; tantomeno e' contestato che  ciascuno  dei
ricorrenti sia titolare di un  trattamento  pensionistico  variamente
inciso dalle conseguenze collegate al decreto-legge n. 65/2015. 
    Pertanto, escluso che il ricorso possa essere dichiarato nullo in
quanto contenente gli elementi essenziali dell'editio actionis,  deve
altresi' ravvisarsi la rilevanza della questione di costituzionalita'
di cui al prosieguo nell'ambito del presente giudizio. 
    Difatti, dalla semplice lettura dei documenti versati in atti dai
ricorrenti (ed in  particolare  la  comunicazione  di  accreditamento
della pensione per i mesi di novembre e dicembre 2011, gennaio  2012,
gennaio 2013, gennaio 2014, gennaio 2015 e agosto 2015  oltre  che  i
CUD di ciascuno dei pensionati) emerge che ciascuno degli istanti, in
forza delle previsioni del decreto-legge n. 65/2015, non ha  ricevuto
che una parte  (se  non  addirittura  nulla  per  i  titolari  di  un
trattamento pensionistico superiore a sei  volte  il  minimo),  della
rivalutazione che, a seguito alla sentenza della Corte costituzionale
n. 70/2015, avrebbe dovuto ricevere in applicazione  della  normativa
conseguentemente applicabile (Legge n. 448/1998). 
    Inoltre  il  procuratore  dei  ricorrenti,   su   ordinanza   del
giudicante, ha depositato nota difensiva (non contestata da INPS) ove
e' stata dettagliata la posizione di ciascun ricorrente nei  seguenti
termini: 
        Franco Michele, titolare di pensione n.  12515095,  percepiva
nel novembre 2011 una pensione lorda pari  ad  €  2.383,59,  pertanto
rientra nella fascia di reddito superiore a cinque volte ed inferiore
a sei volte la pensione minima Inps; 
        Mazzarol Domenico Giorgio, titolare di pensione n.  10361576,
percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari  ad  €  1.823,22,
pertanto rientra nella fascia di reddito superiore  a  tre  volte  ed
inferiore a quattro volte la pensione minima Inps; 
        Locatelli  Giovanni,  titolare  di  pensione   n.   11035633,
percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari  ad  €  1.752,29,
pertanto rientra nella  fascia  di  reddito  superiore  a  tre  volte
inferiore a quattro volte la pensione minima Inps; 
        Villa Vladimiro Rodolfo, titolare di  pensione  n.  11080802,
percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari  ad  €  3.130,00,
pertanto rientra nella fascia di reddito superiore  a  sei  volte  ed
inferiore a sette volte la pensione minima Inps; 
        Colombini Maurizio Alfredo, titolare di pensione n. 10087268,
percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari  ad  €  3.521,69,
pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a sette  volte  ed
inferiore a otto volte la pensione minima Inps; 
        Bertolini  Armando,  titolare  di   pensione   n.   11079642,
percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari  ad  €  3.148,00,
pertanto rientra nella  fascia  di  reddito  superiore  a  sei  volte
inferiore a sette volte la pensione minima Inps; 
        Lombardo Enrico, titolare di pensione n. 10268757,  percepiva
nel novembre 2011 una pensione lorda pari  ad  €  2.097,92,  pertanto
rientra  nella  fascia  di  reddito  superiore  a  quattro  volte  ed
inferiore a cinque volte la pensione minima Inps. 
    Nel merito, si osserva quanto segue. 
    La vicenda per cui e' causa puo' essere cosi' sintetizzata: 
        l'art. 24, comma 25, decreto-legge  n.  201/2011,  convertito
con modificazioni  in  legge  n.  214/2011,  aveva  previsto  che  la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici  disciplinata
dall'art. 34, comma 1, legge n. 448/1998, per gli anni 2012  e  2013,
fosse riconosciuta, nella misura del 100%,  per  i  soli  trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS; 
        con sentenza n. 70 del 30 aprile 2015 la Corte costituzionale
ha dichiarato l'incostituzionalita', per violazione degli articoli 3,
36, primo comma, e 38, secondo  comma,  Costituzione,  dell'art.  24,
comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1,comma 1, della legge 22 dicembre 2011,  n.
214), nella  parte  in  cui  prevede  che,  in  considerazione  della
contingente situazione finanziaria, la rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici, ai sensi  dell'art.  34,  comma  1,  della
legge n. 448 del 1998, e' riconosciuta, per gli  anni  2012  e  2013,
nella  misura  del  100  per  cento,  esclusivamente  ai  trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS; 
        in  conseguenza  di  tale   sentenza,   veniva   emanato   il
decreto-legge n. 65/2015, convertito in legge  n.  109/2015,  che  ha
modificato il comma 25  dell'art.  24  del  citato  decreto-legge  n.
201/2011 nei seguenti termini: 
        La rivalutazione automatica  dei  trattamenti  pensionistici,
secondo il meccanismo stabilito  dall'articolo  34,  comma  1,  della
legge 23 dicembre 1998, n. 448 , relativa agli anni 2012 e  2013,  e'
riconosciuta: 
          a)  nella  misura  del  100  per  cento  per i  trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo  superiore  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato  della
quota di rivalutazione automatica  spettante  sulla  base  di  quanto
previsto  dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
          b)  nella  misura  del  40  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a tre volte  il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento  minimo
INPS  con  riferimento  all'importo   complessivo   dei   trattamenti
medesimi. Per le pensioni di importo superiore  a  quattro  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
          c)  nella  misura  del  20  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente  superiori   a   quattro   volte   il
trattamento minimo  INPS  e  pari  o  inferiori  a  cinque  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore  a  cinque
volte il predetto  trattamento  minimo  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base  di  quanto  previsto  dalla  presente  lettera,  l'aumento   di
rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del  predetto
limite maggiorato; 
          d)  nella  misura  del  10  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo INPS con riferimento all'importo complessivo  dei  trattamenti
medesimi. Per le  pensioni  di  importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
          e) non e'  riconosciuta  per  i  trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. 
    Ebbene,  ad  avviso  del  giudicante  l'intervento  normativo  in
commento (ferma la rilevanza della questione  per  quanto  detto  sul
merito della vicenda) ed oggetto di specifica censura  da  parte  dei
ricorrenti,   si   presta   ai   seguenti   (plurimi)   profili    di
incostituzionalita', ad  avviso  del  remittente  non  manifestamente
infondati. 
1) Sulla violazione dell'art. 136 Costituzione. 
    Il  primo  profilo  concerne,  ad  avviso  del   giudicante,   la
violazione che il  legislatore  ha  posto  in  essere  rispetto  alle
previsioni dell'art. 136 Costituzione (a mente del quale, come  noto,
allorquando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di  una
norma di  legge,  la  norma  cessa  di  avere  efficacia  dal  giorno
successivo alla pubblicazione della decisione) per come  interpretata
dalla giurisprudenza della stessa Consulta. 
    E' difatti principio consolidato che: L'efficacia delle  sentenze
dichiarative  della  illegittimita'  costituzionale  di   una   norma
incontra il limite  dei  rapporti  esauriti  in  modo  definitivo  ed
irrevocabile per avvenuta formazione  del  giudicato  o  per  essersi
comunque verificato  altro  evento  cui  l'ordinamento  ricollega  il
consolidamento del rapporto, mentre si  estende  a  tutti  gli  altri
rapporti.  Pertanto,  la  inoperativita'  della   norma   processuale
dichiarata incostituzionale, a partire  dal  giorno  successivo  alla
pubblicazione della  relativa  sentenza  della  Corte  costituzionale
nella Gazzetta Ufficiale, va  affermata  con  riguardo  sia  ad  atti
processuali  successivi,  sia  ad  atti   processuali   compiuti   in
precedenza, ma la cui validita' ed efficacia sia  ancora  oggetto  di
sindacato  dopo  la  predetta  sentenza.  (In  applicazione  di  tale
principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito,  nella  parte
in cui, con riferimento  alla  notificazione  dell'atto  di  appello,
aveva ritenuto applicabili l'art. 149 codice di  procedura  civile  e
l'art. 4, terzo comma, della legge 20  novembre  1982,  n.  890,  nel
testo  risultante  dalla  parziale  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale di cui alla sentenza  n.  477  del  2002  della  Corte
costituzionale, pur essendo  la  stessa  intervenuta  successivamente
alla notifica) (ex plurimis Cassazione, n. 9329 del 20 aprile 2010). 
    La  stessa   giurisprudenza   costituzionale   ha   negativamente
sindacato  quegli  interventi   legislativi   che,   a   seguito   di
declaratoria   di   incostituzionalita',   abbiano    sostanzialmente
prolungato la vita  della  norma  dichiarata  incostituzionale  cosi'
ripristinando l'efficacia delle disposizioni oramai caducate e quindi
gli effetti che erano stati rimossi per effetto della declaratoria di
incostituzionalita'  (cfr.  sentenza  n.  223/1983  e   sentenza   n.
72/2013). 
    In particolare, e' stato evidenziato che  sulla  norma  contenuta
nell'art. 136 della Costituzione poggia il contenuto pratico di tutto
il sistema delle  garanzie  costituzionali,  in  quanto  essa  toglie
immediatamente  ogni   efficacia   alla   norma   illegittima   senza
possibilita'  di  compressioni  od  incrinature  nella   sua   rigida
applicazione, senza che cio' comporti  un  esproprio  della  potesta'
legislativa ma dovendosi evitare che la declaratoria possa  risultare
pronunciata  inutilmente,  come  accadrebbe  quando   una   accertata
violazione  della  Costituzione  potesse,  in  una  qualsiasi  forma,
inopinatamente riproporsi (cosi' Corte costituzionale, n. 169 del  24
giugno 2015 in  motivazione  e  giurisprudenza  ivi  richiamata,  ove
peraltro non si esclude in senso assoluto che  il  legislatore  possa
riproporre con  un  nuovo  provvedimento  anche  la  stessa  volonta'
normativa censurata, seppur si rimarchi la discutibilita' di una tale
ipotesi). 
    Ebbene, nel caso in esame, se puo' convenirsi che il  legislatore
non   ha   pedissequamente    riprodotto    la    norma    dichiarata
incostituzionale con riferimento ai trattamenti pensionistici pari  o
inferiori a sei volte il trattamento minimo (prevedendo un meccanismo
di rivalutazione sul quale si ritornera' nel  prosieguo)  cio'  senza
dubbio  si  e'  invece  verificato  con  riferimento  ai  trattamenti
superiori a sei volte il  trattamento  minimo  (situazione  che  vede
coinvolti tre degli odierni ricorrenti). 
    Difatti, per tale categoria di pensionati,  per  i  quali  nessun
meccanismo di rivalutazione operava prima della sentenza  n.  70/2015
per gli anni 2012-2013, la situazione e' rimasta del tutto  invariata
anche dopo l'introduzione del decreto-legge n. 65/2015. 
    Cio' e' particolarmente rilevante con riferimento a  quanto  gia'
statuito nella citata sentenza n.  70/2015  ove  la  Consulta  (senza
limitare la valutazione alle sole pensioni di entita' modesta ma  con
riferimento anche ai trattamenti di valore piu' cospicuo) evidenziava
che l'art.  24,  comma  25  decreto-legge  n.  201  citato  fosse  da
considerarsi eccentrico rispetto ai precedenti  interventi  normativi
sul  medesimo  tema,  sia  in   quanto   incideva   sui   trattamenti
pensionistici di importo meno  elevato  sia  (e  cio'  a  prescindere
dall'ammontare  della  pensione)  per  la   durata   biennale   della
sospensione a fronte di quella  annuale  attuata  in  precedenza  dal
legislatore (spesso poi con meccanismi di recupero  introdotti  negli
anni successivi). 
    Difatti, anche  per  le  pensioni  di  maggiore  consistenza,  la
sospensione  del  meccanismo  perequativo  potrebbe  comportare   una
privazione di quei necessari strumenti  di  difesa  in  relazione  ai
mutamenti  del  potere  di  acquisto   della   moneta   (cfr.   Corte
costituzionale, n. 316/2010). 
    Ne' d'altra parte e' dato rinvenire nel provvedimento  in  questa
sede censurato alcuna indicazione delle ragioni che, in qualche modo,
giustifichino, per gli importi superiori a sei volte  il  minimo,  il
permanere  del  divieto  di  rivalutazione  per  una   durata   cosi'
significativa. 
    Soprattutto in considerazione  del  fatto  che  la  stessa  Corte
costituzionale, nella sentenza n. 70 citata, ha evidenziato come  gli
interventi piu' significativi posti in essere dal  legislatore  sulla
tematica in commento erano  coincisi  con  interventi  rilevanti  sul
sistema pensionistico che, in  qualche  modo,  giustificavano  scelte
radicali per garantire la sostenibilita' di  quest'ultimo,  imponendo
un  maggiore  sacrificio  ai  pensionati  titolari   di   trattamenti
cospicui. 
    Cio' in funzione del principio di solidarieta' interno al sistema
pensionistico stesso, ove e'  senza  dubbio  comprensibile  e,  entro
certi limiti, condivisibile, che il  legislatore,  per  garantire  la
stabilita'   del   sistema   pensionistico,   soprattutto   in   fasi
particolarmente delicate quali quelle degli interventi  normativi  di
riforma, richieda un sacrificio  a  talune  fasce  di  pensionati  in
un'ottica generale solidaristica e di garanzia  del  sistema  di  cui
questi ultimi sono comunque partecipi. 
    Tuttavia si osserva fin  d'ora  (benche'  la  circostanza  verra'
ulteriormente valorizzata con riferimento agli ulteriori  profili  di
ravvisata  illegittimita'  costituzionale)   che,   nella   relazione
illustrativa al disegno di legge n. 65/2015, il  legislatore  non  ha
certamente ponderato tali aspetti ma  semplicemente  evocato,  da  un
lato, le necessita' di bilancio che giustificavano  l'intervento  del
2015  e  cercato  di  valorizzare,  dall'altro   lato,   le   ragioni
economico-finanziarie che avevano giustificato l'intervento gia'  nel
2011. 
    Nulla invece e' rinvenibile con specifico riferimento ai  profili
in commento. 
    La difesa dell'ente  previdenziale  convenuto,  al  riguardo,  ha
osservato che il decreto-legge n. 65/2015 e le misure  ivi  adottate,
si sarebbero  rese  necessarie,  anche  alla  luce  delle  previsioni
dell'art. 17, comma 13, legge n. 196/2009, al fine di assumere quelle
iniziative  che,  tenuto  conto  dei   rilevanti   effetti   negativi
finanziari  della  sentenza  di  illegittimita'   costituzionale   in
commento, si sarebbero riverberati sul bilancio e sui conti pubblici. 
    A tale proposito, anche INPS ha  richiamato  il  contenuto  della
relazione illustrativa al disegno di legge,  ed  in  particolar  modo
valorizzato la necessita'  che  si  contenessero  gli  effetti  della
declaratoria di incostituzionalita' a pena,  diversamente,  di  porre
l'Italia nella condizione di non rispettare i vincoli di deficit e di
bilancio imposti dalle istituzioni europee nonche' di  garantire  gli
interventi gia' previsti dal Governo per gli anni a venire. 
    Ebbene,  si  osserva  che  nella  stessa   relazione   si   tenta
(evidentemente ex post)  di  fornire  quegli  elementi  di  natura  e
puntualizzazione tecnica che nella  sentenza  n.  70/2015  era  stato
evidenziato  difettassero  nell'originario  impianto  normativo,  ove
venivano genericamente richiamate contingenti situazioni  finanziarie
non meglio specificate. 
    Nondimeno, ammesso e non concesso che  il  legislatore  del  2015
potesse ritenersi facoltizzato a sanare un  vizio  ravvisabile  nelle
scelte legislative del 2011, ritenute dalla Consulta prive  di  alcun
effettivo fondamento  tecnico  a  giustificazione,  resta  fermo,  ad
avviso del giudicante, che anche nella  relazione  del  2015  difetta
alcuna  valutazione  delle  ragioni  dell'intervento  che   non   sia
giustificata unicamente dalla  necessita'  di  correzione  dei  conti
pubblici e non gia' con specifico  riferimento  alle  necessita'  del
sistema pensionistico. 
    Cio' e' tanto piu' rilevante, nell'ambito del presente  giudizio,
con riferimento alla posizione dei pensionati il cui trattamento  sia
superiore a sei volte  il  minimo,  proprio  per  quanto  gia'  sopra
evidenziato circa il difetto di  alcuna  ragione  solidaristica  alla
base del provvedimento del 2015, essendo quest'ultimo  esclusivamente
finalizzato (sia pure nell'ambito della discrezionalita' senza dubbio
in capo al legislatore) ad ottenere un risparmio e non  certamente  a
garantire la sostenibilita' del sistema pensionistico stesso. 
    Tale scelta appare ancor piu' incongruente se si considera che la
relazione al  DDL  65/15  da'  espressamente  atto  della  situazione
dell'economia italiana nel  periodo  2007-2014  e,  nello  specifico,
della riduzione del potere d'acquisto di ampie fasce  di  lavoratori,
contesto che avrebbe giustificato quindi  l'intervento  del  2011  al
fine di riaggiustare i conti pubblici. 
    Risulta, ad avviso del giudicante, ancor piu' palese, quindi,  la
violazione delle previsioni  dell'art.  136  della  Costituzione  nel
momento in  cui  il  legislatore,  giustamente  preoccupandosi  della
posizione dei lavoratori, ha  totalmente  omesso  di  considerare  la
posizione dei pensionati rispetto ai quali analoghe problematiche  di
salvaguardia del potere d'acquisto avrebbero dovuto essere valutate e
comunque valorizzate nell'ambito di un intervento  normativo  che,  a
costo di  ripetersi,  interveniva  a  seguito  di  una  pronuncia  di
incostituzionalita'. 
    Il vizio da ultimo ravvisato comporta, ad avviso del  giudicante,
che la  violazione  dell'art.  136  della  Costituzione  in  commento
riguardi anche la posizione dei pensionati  il  cui  trattamento  sia
pari o inferiore a sei volte (ma superiore a tre volte,  giacche'  in
tal caso la rivalutazione e' del  100%)  il  minimo  del  trattamento
INPS. 
    Difatti, benche' si sia gia' evidenziato che per  tale  categoria
il legislatore ha introdotto una rivalutazione (nella misura del  40%
delle pensioni pari  o  inferiori  a  quattro  volte  il  trattamento
minimo, nella misura del 20% per quelle pari  o  inferiori  a  cinque
volte il trattamento minimo e nella misura del 10% per quelle pari  o
inferiori  a  sei  volte   il   trattamento   minimo)   resta   fermo
l'inadempimento del legislatore alla sentenza n. 70/2015. 
    Difetta, in particolare, anche per tali pensionati, alcuna  forma
di valutazione,  nella  normativa  sopravvenuta  ed  in  questa  sede
censurata, di un adeguato giudizio di ponderazione tra le ragioni  di
bilancio che senza dubbio hanno indotto l'intervento del  legislatore
e il sacrificio  delle  posizioni  giuridiche  soggettive  (di  rango
costituzionale)  lese   dalla   norma   del   2011   poi   dichiarata
incostituzionale. 
    Il giudicante osserva che,  nel  contesto  normativo  venutasi  a
creare a  seguito  della  dichiarazione  di  incostituzionalita'  del
decreto-legge n. 201/2011 e in considerazione del fatto che, in forza
di tale pronuncia, ai pensionati avrebbe dovuto  essere  riconosciuta
la rivalutazione secondo le previsioni dell'art. 34, comma  1,  legge
n. 448/1998, anche ad ammettere che il legislatore potesse introdurre
una  norma  volta  a  disciplinare   la   fattispecie   con   effetti
retroattivi, sarebbe stato comunque doveroso  dare  approfonditamente
conto  delle  ragioni  per  cui  le  esigenze  di  bilancio  pubblico
dovessero necessariamente ritenersi prevalenti rispetto al ripristino
delle  posizioni  giuridiche  soggettive  pregiudicate  dalla   norma
dichiarata incostituzionale. 
    Di tutto cio', al contrario, tanto nella  relazione  illustrativa
al disegno di legge n. 65/2015 quanto  nel  successivo  decreto-legge
non v'e' traccia alcuna. 
    Ne' valga invocare la  necessita'  di  rispettare  le  previsioni
dell'art. 81 Costituzione  in  forza  del  quale  lo  Stato  assicura
l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio  bilancio  evocata
da INPS nella propria memoria difensiva. 
    Difatti, ad accedere alla tesi  della  necessaria  prevalenza  di
tale disposizione, si arriverebbe ad  una  sostanziale  vanificazione
degli  effetti  dell'art.  136  Costituzione,  dal  momento  che   il
legislatore si troverebbe sostanzialmente  facoltizzato  a  porre  in
essere interventi normativi pregiudizievoli di  posizioni  soggettive
di rango costituzionale ben sapendo che, anche ove  detti  interventi
fossero dichiarati incostituzionali, non avrebbe giammai  un  obbligo
di rispetto del giudicato costituzionale, potendo sempre invocare  le
proprie (a questo  punto  postulate)  necessita'  di  rispetto  degli
equilibri   economico-finanziarie   introducendo   cosi'    normative
retroattive cosi' come nel caso di specie e perpetrando di  fatto  le
violazioni censurate in sede costituzionale. 
    Si   ritiene,   pertanto,   che   in   via   principale   risulti
manifestamente violato il disposto dell'art. 136 Costituzione. 
2) Sulla violazione degli articoli 3, 36 e 38 Costituzione. 
    Per   quanto   concerne   la   violazione   delle    disposizioni
costituzionali in oggetto, ritiene il giudicante  che,  nel  caso  di
specie, valgano le medesime ragioni di censura  gia'  espresse  nella
sentenza n. 70/2015. 
    Va premesso che e' oramai consolidato il principio secondo cui il
meccanismo di rivalutazione delle pensioni, finalizzato  a  garantire
il potere di acquisto delle somme percepite dai  pensionati,  impone,
allorquando il legislatore  intervenga  sospendendo  o  riducendo  la
misura di  detta  rivalutazione,  che  il  sacrificio  richiesto  sia
comunque rispettoso dei canoni di ragionevolezza  e  proporzionalita'
di cui all'art. 36 Costituzione,  soprattutto  avendo  riguardo  alle
pensioni di modesta entita' (cosi' Corte costituzionale n. 70/2015  e
giurisprudenza ivi richiamata). 
    In tale quadro, gli interventi normativi  succedutisi  nel  tempo
sulla  tematica  in  commento  sono  stati   ritenuti   dalla   Corte
costituzionale legittimi  allorquando  detto  intervento  avesse  una
durata ragionevole (sostanzialmente  annuale)  e  fosse  giustificato
dalle  ragioni  gia'  evidenziate  ai  paragrafi  precedenti   ovvero
improntato al rispetto del principio solidaristico  piuttosto  che  a
garantire  stabilita'   e   sostenibilita'   dello   stesso   sistema
pensionistico. 
    Il decreto-legge n. 65/2015 non risulta rispettoso di tali canoni
interpretativi. 
    Da un lato, come gia' sopra evidenziato, benche'  il  legislatore
abbia  tentato  di  fornire  una  relazione  tecnica  a  giustificare
l'intervento, e' stato totalmente disatteso  il  principio  affermato
nella sentenza n. 70/2015, ove la ragione di censura  del  previgente
art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 riguardava l'assenza  di
alcun elemento utile a dare conto delle  ragioni  per  cui  si  fosse
ritenuto di dare prevalenza  alle  esigenze  finanziare  sui  diritti
oggetto di bilanciamento; si e' gia' visto che anche nella  relazione
illustrativa non solo difetta tale valutazione, ma risultano evidenti
elementi di  irragionevolezza  nella  misura  in  cui  il  sacrificio
richiesto ai pensionati avviene in un contesto  economico-finanziario
di significativa perdita del potere di acquisto  di  ampie  fasce  di
lavoratori. 
    Dall'altro lato, la durata biennale  dell'intervento,  confermato
per gli anni 2012-2013, del pari oggetto di censura nella sentenza n.
70/2015, non trova adeguata  giustificazione  e  risulta  ancor  piu'
gravosa  per  i  trattamenti  pensionistici  nel   quadro   economico
finanziario  sopra  descritto,  benche'  la  citata  sentenza  avesse
rimarcato  l'ammissibilita'  di   interventi   di   riduzione   della
rivalutazione  ove  temporalmente   contenuti,   come   avvenuto   in
precedenza, nel termine annuale. 
    Pertanto, si ritengono in questa sede  violati  gli  articoli  38
della Costituzione per violazione del principio  di  adeguatezza  del
trattamento  pensionistico  (lo  si  ripete,   con   esclusione   dei
trattamenti pari o inferiori a tre volte il  trattamento  minimo  che
non risultano pregiudicati e comunque estranei al presente giudizio),
dell'art.  36  Costituzione   per   violazione   del   principio   di
proporzionalita' e del combinato disposto di tali norme  in  uno  con
l'art.  3  della  Costituzione  per  violazione  del   principio   di
ragionevolezza. 
    Infine si osserva che, ove le disposizioni del  decreto-legge  n.
65/2015 venissero ritenute costituzionalmente legittime e,  pertanto,
ritenuta   non   fondata   la   qui    prospettata    questione    di
costituzionalita',      si      dovrebbe      comunque       valutare
l'incostituzionalita' del combinato disposto del decreto-legge n.  65
citato e dell'art. 1, comma 483, legge 27 dicembre 2013, n. 147, che,
come noto, ha previsto per il triennio  2014-2016  una  rimodulazione
nell'applicazione  della  percentuale  di   perequazione   automatica
rispetto alle previsioni della legge  n.  448/1998,  introducendo  un
meccanismo di rivalutazione inversamente proporzionale, salvo che per
le pensioni superiori a sei  volte  il  trattamento  minimo,  per  le
quali, per l'anno 2014, la rivalutazione e' riconosciuta nella misura
del 40% ma con esclusione delle fasce  di  importo  superiori  a  sei
volte il trattamento minimo. 
    In  tal  caso   nella   stessa   sentenza n.   70/2015,   seppure
incidentalmente, si era osservato che il blocco (parziale) riguardava
le pensioni piu' elevate ed era comunque limitato a un solo anno,  si
rispettava il  discrimen  fra  fasce  di  importo  nel  rispetto  del
principio di progressivita' e quindi dei valori costituzionali  della
proporzionalita' e della adeguatezza. 
    Gli odierni ricorrenti hanno chiesto che anche tale  disposizione
venga dichiarata incostituzionale. 
    Il giudicante osserva che la norma,  in  se'  considerata,  possa
resistere alle censure di incostituzionalita' proprio  per  i  motivi
richiamati nella citata sentenza n. 70/2015. 
    Nondimeno, ove, come detto, le previsioni  del  decreto-legge  n.
65/2015 fossero ritenute costituzionali,  si  verrebbe  a  creare  un
meccanismo che, ad avviso del giudicante, si dovrebbe necessariamente
ritenere   incostituzionale   con    riferimento    ai    trattamenti
pensionistici superiori a sei volte  il  trattamento  minimo,  per  i
quali il blocco  della  rivalutazione  riguarderebbe  addirittura  un
triennio (2012, 2013 e 2014). 
    Ebbene,  il  legislatore  del  2015,   nel   proprio   intervento
retroattivo a seguito della sentenza di incostituzionalita',  non  ha
minimamente  preso  in  considerazione  la  gravosita'  del   proprio
intervento avendo anche riguardo a quanto gia' disposto con la  legge
di stabilita' per l'anno  2014,  e  cio'  e'  tanto  piu'  grave  nel
contesto economico finanziario piu' volte richiamato. 
    Risulterebbe  quindi  ancor  piu'  palese,  in  tale  quadro,  la
violazione degli articoli 3, 36 e 38 Costituzione  non  solo  per  la
durata complessiva dell'intervento ma anche per la totale assenza  di
alcuna ponderazione da parte del legislatore del sacrificio richiesto
ai pensionati con il trattamento piu' elevato rispetto  alle  proprie
esigenze di bilancio come gia' sopra evidenziato. 
    Per tutte le ragioni sovra esposte,  visto  l'art.  23  legge  n.
87/1953.