TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO Sezione lavoro Il giudice dott. Tullio Perillo, letti gli atti e i documenti della causa iscritta al n. 698/2016 RGL pendente tra Franco Michele, Mazzarol Domenico Giorgio, Locatelli Giovanni, Villa Vladimiro Rodolfo, Colombini Maurizio Alfredo, Bertolini Armando e Lombardo Enrico, ricorrenti - Abogado Alessandro Milani - e INPS - Istituto nazionale della previdenza sociale, resistente - Avvocato Rocco M. Cama, sciogliendo la riserva assunta in data 27 aprile 2016 cosi' rileva. Con ricorso al Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, depositato in data 25 gennaio 2016, i ricorrenti in epigrafe indicate hanno convenuto in giudizio INPS chiedendone la condanna, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 decreto-legge n. 65 del 21 maggio 2015 convertito in legge 17 luglio 2015, n. 109 nonche' dell'art. 1, comma 483 della legge di stabilita' n. 147 del 2013, a corrispondere loro quanto maturato per mancata rivalutazione degli importi pensionistici per il 2012, il 2013 e il 2014. Si e' ritualmente costituito in giudizio INPS contestando in fatto e in diritto l'avversario ricorso. Tutti i ricorrenti sono titolari di pensione e nel presente giudizio si dolgono del fatto che, pur dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 70/15 di cui si parlera' ampiamente nel prosieguo, il legislatore, intervenuto a disciplinare la materia, non riconosceva loro, per gli anni 2012 e 2013, la rivalutazione sul trattamento pensionistico (salvo che per talune fasce e comunque in misura inferiore alla normativa che sarebbe stata applicabile per effetto della declaratoria di incostituzionalita'). La normativa sopravvenuta, ad avviso dei ricorrenti, e' del pari da considerare incostituzionale. Tanto premesso, si osserva quanto segue. Devono preliminarmente essere respinte le eccezioni di nullita' del ricorso per omessa esposizione e mancata specificazione dei fatti costitutivi del diritto, argomentata da INPS sul presupposto che i ricorrenti avrebbero omesso di indicare l'ammontare delle pensioni di cui sono titolari e di conseguenza la misura di incidenza su tali pensioni della normativa di cui invocano l'incostituzionalita'. Si osserva, difatti, che nel presente giudizio e' innanzitutto pacifico e documentale che i ricorrenti sono tutti titolari di pensione a carico di INPS; tantomeno e' contestato che ciascuno dei ricorrenti sia titolare di un trattamento pensionistico variamente inciso dalle conseguenze collegate al decreto-legge n. 65/2015. Pertanto, escluso che il ricorso possa essere dichiarato nullo in quanto contenente gli elementi essenziali dell'editio actionis, deve altresi' ravvisarsi la rilevanza della questione di costituzionalita' di cui al prosieguo nell'ambito del presente giudizio. Difatti, dalla semplice lettura dei documenti versati in atti dai ricorrenti (ed in particolare la comunicazione di accreditamento della pensione per i mesi di novembre e dicembre 2011, gennaio 2012, gennaio 2013, gennaio 2014, gennaio 2015 e agosto 2015 oltre che i CUD di ciascuno dei pensionati) emerge che ciascuno degli istanti, in forza delle previsioni del decreto-legge n. 65/2015, non ha ricevuto che una parte (se non addirittura nulla per i titolari di un trattamento pensionistico superiore a sei volte il minimo), della rivalutazione che, a seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 70/2015, avrebbe dovuto ricevere in applicazione della normativa conseguentemente applicabile (Legge n. 448/1998). Inoltre il procuratore dei ricorrenti, su ordinanza del giudicante, ha depositato nota difensiva (non contestata da INPS) ove e' stata dettagliata la posizione di ciascun ricorrente nei seguenti termini: Franco Michele, titolare di pensione n. 12515095, percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari ad € 2.383,59, pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a cinque volte ed inferiore a sei volte la pensione minima Inps; Mazzarol Domenico Giorgio, titolare di pensione n. 10361576, percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari ad € 1.823,22, pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a tre volte ed inferiore a quattro volte la pensione minima Inps; Locatelli Giovanni, titolare di pensione n. 11035633, percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari ad € 1.752,29, pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a tre volte inferiore a quattro volte la pensione minima Inps; Villa Vladimiro Rodolfo, titolare di pensione n. 11080802, percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari ad € 3.130,00, pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a sei volte ed inferiore a sette volte la pensione minima Inps; Colombini Maurizio Alfredo, titolare di pensione n. 10087268, percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari ad € 3.521,69, pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a sette volte ed inferiore a otto volte la pensione minima Inps; Bertolini Armando, titolare di pensione n. 11079642, percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari ad € 3.148,00, pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a sei volte inferiore a sette volte la pensione minima Inps; Lombardo Enrico, titolare di pensione n. 10268757, percepiva nel novembre 2011 una pensione lorda pari ad € 2.097,92, pertanto rientra nella fascia di reddito superiore a quattro volte ed inferiore a cinque volte la pensione minima Inps. Nel merito, si osserva quanto segue. La vicenda per cui e' causa puo' essere cosi' sintetizzata: l'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, aveva previsto che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici disciplinata dall'art. 34, comma 1, legge n. 448/1998, per gli anni 2012 e 2013, fosse riconosciuta, nella misura del 100%, per i soli trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS; con sentenza n. 70 del 30 aprile 2015 la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalita', per violazione degli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Costituzione, dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1,comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214), nella parte in cui prevede che, in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, ai sensi dell'art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, nella misura del 100 per cento, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS; in conseguenza di tale sentenza, veniva emanato il decreto-legge n. 65/2015, convertito in legge n. 109/2015, che ha modificato il comma 25 dell'art. 24 del citato decreto-legge n. 201/2011 nei seguenti termini: La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 , relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta: a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; e) non e' riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Ebbene, ad avviso del giudicante l'intervento normativo in commento (ferma la rilevanza della questione per quanto detto sul merito della vicenda) ed oggetto di specifica censura da parte dei ricorrenti, si presta ai seguenti (plurimi) profili di incostituzionalita', ad avviso del remittente non manifestamente infondati. 1) Sulla violazione dell'art. 136 Costituzione. Il primo profilo concerne, ad avviso del giudicante, la violazione che il legislatore ha posto in essere rispetto alle previsioni dell'art. 136 Costituzione (a mente del quale, come noto, allorquando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di una norma di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione) per come interpretata dalla giurisprudenza della stessa Consulta. E' difatti principio consolidato che: L'efficacia delle sentenze dichiarative della illegittimita' costituzionale di una norma incontra il limite dei rapporti esauriti in modo definitivo ed irrevocabile per avvenuta formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l'ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto, mentre si estende a tutti gli altri rapporti. Pertanto, la inoperativita' della norma processuale dichiarata incostituzionale, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della relativa sentenza della Corte costituzionale nella Gazzetta Ufficiale, va affermata con riguardo sia ad atti processuali successivi, sia ad atti processuali compiuti in precedenza, ma la cui validita' ed efficacia sia ancora oggetto di sindacato dopo la predetta sentenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, nella parte in cui, con riferimento alla notificazione dell'atto di appello, aveva ritenuto applicabili l'art. 149 codice di procedura civile e l'art. 4, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, nel testo risultante dalla parziale dichiarazione di illegittimita' costituzionale di cui alla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, pur essendo la stessa intervenuta successivamente alla notifica) (ex plurimis Cassazione, n. 9329 del 20 aprile 2010). La stessa giurisprudenza costituzionale ha negativamente sindacato quegli interventi legislativi che, a seguito di declaratoria di incostituzionalita', abbiano sostanzialmente prolungato la vita della norma dichiarata incostituzionale cosi' ripristinando l'efficacia delle disposizioni oramai caducate e quindi gli effetti che erano stati rimossi per effetto della declaratoria di incostituzionalita' (cfr. sentenza n. 223/1983 e sentenza n. 72/2013). In particolare, e' stato evidenziato che sulla norma contenuta nell'art. 136 della Costituzione poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima senza possibilita' di compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione, senza che cio' comporti un esproprio della potesta' legislativa ma dovendosi evitare che la declaratoria possa risultare pronunciata inutilmente, come accadrebbe quando una accertata violazione della Costituzione potesse, in una qualsiasi forma, inopinatamente riproporsi (cosi' Corte costituzionale, n. 169 del 24 giugno 2015 in motivazione e giurisprudenza ivi richiamata, ove peraltro non si esclude in senso assoluto che il legislatore possa riproporre con un nuovo provvedimento anche la stessa volonta' normativa censurata, seppur si rimarchi la discutibilita' di una tale ipotesi). Ebbene, nel caso in esame, se puo' convenirsi che il legislatore non ha pedissequamente riprodotto la norma dichiarata incostituzionale con riferimento ai trattamenti pensionistici pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo (prevedendo un meccanismo di rivalutazione sul quale si ritornera' nel prosieguo) cio' senza dubbio si e' invece verificato con riferimento ai trattamenti superiori a sei volte il trattamento minimo (situazione che vede coinvolti tre degli odierni ricorrenti). Difatti, per tale categoria di pensionati, per i quali nessun meccanismo di rivalutazione operava prima della sentenza n. 70/2015 per gli anni 2012-2013, la situazione e' rimasta del tutto invariata anche dopo l'introduzione del decreto-legge n. 65/2015. Cio' e' particolarmente rilevante con riferimento a quanto gia' statuito nella citata sentenza n. 70/2015 ove la Consulta (senza limitare la valutazione alle sole pensioni di entita' modesta ma con riferimento anche ai trattamenti di valore piu' cospicuo) evidenziava che l'art. 24, comma 25 decreto-legge n. 201 citato fosse da considerarsi eccentrico rispetto ai precedenti interventi normativi sul medesimo tema, sia in quanto incideva sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato sia (e cio' a prescindere dall'ammontare della pensione) per la durata biennale della sospensione a fronte di quella annuale attuata in precedenza dal legislatore (spesso poi con meccanismi di recupero introdotti negli anni successivi). Difatti, anche per le pensioni di maggiore consistenza, la sospensione del meccanismo perequativo potrebbe comportare una privazione di quei necessari strumenti di difesa in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta (cfr. Corte costituzionale, n. 316/2010). Ne' d'altra parte e' dato rinvenire nel provvedimento in questa sede censurato alcuna indicazione delle ragioni che, in qualche modo, giustifichino, per gli importi superiori a sei volte il minimo, il permanere del divieto di rivalutazione per una durata cosi' significativa. Soprattutto in considerazione del fatto che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 70 citata, ha evidenziato come gli interventi piu' significativi posti in essere dal legislatore sulla tematica in commento erano coincisi con interventi rilevanti sul sistema pensionistico che, in qualche modo, giustificavano scelte radicali per garantire la sostenibilita' di quest'ultimo, imponendo un maggiore sacrificio ai pensionati titolari di trattamenti cospicui. Cio' in funzione del principio di solidarieta' interno al sistema pensionistico stesso, ove e' senza dubbio comprensibile e, entro certi limiti, condivisibile, che il legislatore, per garantire la stabilita' del sistema pensionistico, soprattutto in fasi particolarmente delicate quali quelle degli interventi normativi di riforma, richieda un sacrificio a talune fasce di pensionati in un'ottica generale solidaristica e di garanzia del sistema di cui questi ultimi sono comunque partecipi. Tuttavia si osserva fin d'ora (benche' la circostanza verra' ulteriormente valorizzata con riferimento agli ulteriori profili di ravvisata illegittimita' costituzionale) che, nella relazione illustrativa al disegno di legge n. 65/2015, il legislatore non ha certamente ponderato tali aspetti ma semplicemente evocato, da un lato, le necessita' di bilancio che giustificavano l'intervento del 2015 e cercato di valorizzare, dall'altro lato, le ragioni economico-finanziarie che avevano giustificato l'intervento gia' nel 2011. Nulla invece e' rinvenibile con specifico riferimento ai profili in commento. La difesa dell'ente previdenziale convenuto, al riguardo, ha osservato che il decreto-legge n. 65/2015 e le misure ivi adottate, si sarebbero rese necessarie, anche alla luce delle previsioni dell'art. 17, comma 13, legge n. 196/2009, al fine di assumere quelle iniziative che, tenuto conto dei rilevanti effetti negativi finanziari della sentenza di illegittimita' costituzionale in commento, si sarebbero riverberati sul bilancio e sui conti pubblici. A tale proposito, anche INPS ha richiamato il contenuto della relazione illustrativa al disegno di legge, ed in particolar modo valorizzato la necessita' che si contenessero gli effetti della declaratoria di incostituzionalita' a pena, diversamente, di porre l'Italia nella condizione di non rispettare i vincoli di deficit e di bilancio imposti dalle istituzioni europee nonche' di garantire gli interventi gia' previsti dal Governo per gli anni a venire. Ebbene, si osserva che nella stessa relazione si tenta (evidentemente ex post) di fornire quegli elementi di natura e puntualizzazione tecnica che nella sentenza n. 70/2015 era stato evidenziato difettassero nell'originario impianto normativo, ove venivano genericamente richiamate contingenti situazioni finanziarie non meglio specificate. Nondimeno, ammesso e non concesso che il legislatore del 2015 potesse ritenersi facoltizzato a sanare un vizio ravvisabile nelle scelte legislative del 2011, ritenute dalla Consulta prive di alcun effettivo fondamento tecnico a giustificazione, resta fermo, ad avviso del giudicante, che anche nella relazione del 2015 difetta alcuna valutazione delle ragioni dell'intervento che non sia giustificata unicamente dalla necessita' di correzione dei conti pubblici e non gia' con specifico riferimento alle necessita' del sistema pensionistico. Cio' e' tanto piu' rilevante, nell'ambito del presente giudizio, con riferimento alla posizione dei pensionati il cui trattamento sia superiore a sei volte il minimo, proprio per quanto gia' sopra evidenziato circa il difetto di alcuna ragione solidaristica alla base del provvedimento del 2015, essendo quest'ultimo esclusivamente finalizzato (sia pure nell'ambito della discrezionalita' senza dubbio in capo al legislatore) ad ottenere un risparmio e non certamente a garantire la sostenibilita' del sistema pensionistico stesso. Tale scelta appare ancor piu' incongruente se si considera che la relazione al DDL 65/15 da' espressamente atto della situazione dell'economia italiana nel periodo 2007-2014 e, nello specifico, della riduzione del potere d'acquisto di ampie fasce di lavoratori, contesto che avrebbe giustificato quindi l'intervento del 2011 al fine di riaggiustare i conti pubblici. Risulta, ad avviso del giudicante, ancor piu' palese, quindi, la violazione delle previsioni dell'art. 136 della Costituzione nel momento in cui il legislatore, giustamente preoccupandosi della posizione dei lavoratori, ha totalmente omesso di considerare la posizione dei pensionati rispetto ai quali analoghe problematiche di salvaguardia del potere d'acquisto avrebbero dovuto essere valutate e comunque valorizzate nell'ambito di un intervento normativo che, a costo di ripetersi, interveniva a seguito di una pronuncia di incostituzionalita'. Il vizio da ultimo ravvisato comporta, ad avviso del giudicante, che la violazione dell'art. 136 della Costituzione in commento riguardi anche la posizione dei pensionati il cui trattamento sia pari o inferiore a sei volte (ma superiore a tre volte, giacche' in tal caso la rivalutazione e' del 100%) il minimo del trattamento INPS. Difatti, benche' si sia gia' evidenziato che per tale categoria il legislatore ha introdotto una rivalutazione (nella misura del 40% delle pensioni pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo, nella misura del 20% per quelle pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo e nella misura del 10% per quelle pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo) resta fermo l'inadempimento del legislatore alla sentenza n. 70/2015. Difetta, in particolare, anche per tali pensionati, alcuna forma di valutazione, nella normativa sopravvenuta ed in questa sede censurata, di un adeguato giudizio di ponderazione tra le ragioni di bilancio che senza dubbio hanno indotto l'intervento del legislatore e il sacrificio delle posizioni giuridiche soggettive (di rango costituzionale) lese dalla norma del 2011 poi dichiarata incostituzionale. Il giudicante osserva che, nel contesto normativo venutasi a creare a seguito della dichiarazione di incostituzionalita' del decreto-legge n. 201/2011 e in considerazione del fatto che, in forza di tale pronuncia, ai pensionati avrebbe dovuto essere riconosciuta la rivalutazione secondo le previsioni dell'art. 34, comma 1, legge n. 448/1998, anche ad ammettere che il legislatore potesse introdurre una norma volta a disciplinare la fattispecie con effetti retroattivi, sarebbe stato comunque doveroso dare approfonditamente conto delle ragioni per cui le esigenze di bilancio pubblico dovessero necessariamente ritenersi prevalenti rispetto al ripristino delle posizioni giuridiche soggettive pregiudicate dalla norma dichiarata incostituzionale. Di tutto cio', al contrario, tanto nella relazione illustrativa al disegno di legge n. 65/2015 quanto nel successivo decreto-legge non v'e' traccia alcuna. Ne' valga invocare la necessita' di rispettare le previsioni dell'art. 81 Costituzione in forza del quale lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio evocata da INPS nella propria memoria difensiva. Difatti, ad accedere alla tesi della necessaria prevalenza di tale disposizione, si arriverebbe ad una sostanziale vanificazione degli effetti dell'art. 136 Costituzione, dal momento che il legislatore si troverebbe sostanzialmente facoltizzato a porre in essere interventi normativi pregiudizievoli di posizioni soggettive di rango costituzionale ben sapendo che, anche ove detti interventi fossero dichiarati incostituzionali, non avrebbe giammai un obbligo di rispetto del giudicato costituzionale, potendo sempre invocare le proprie (a questo punto postulate) necessita' di rispetto degli equilibri economico-finanziarie introducendo cosi' normative retroattive cosi' come nel caso di specie e perpetrando di fatto le violazioni censurate in sede costituzionale. Si ritiene, pertanto, che in via principale risulti manifestamente violato il disposto dell'art. 136 Costituzione. 2) Sulla violazione degli articoli 3, 36 e 38 Costituzione. Per quanto concerne la violazione delle disposizioni costituzionali in oggetto, ritiene il giudicante che, nel caso di specie, valgano le medesime ragioni di censura gia' espresse nella sentenza n. 70/2015. Va premesso che e' oramai consolidato il principio secondo cui il meccanismo di rivalutazione delle pensioni, finalizzato a garantire il potere di acquisto delle somme percepite dai pensionati, impone, allorquando il legislatore intervenga sospendendo o riducendo la misura di detta rivalutazione, che il sacrificio richiesto sia comunque rispettoso dei canoni di ragionevolezza e proporzionalita' di cui all'art. 36 Costituzione, soprattutto avendo riguardo alle pensioni di modesta entita' (cosi' Corte costituzionale n. 70/2015 e giurisprudenza ivi richiamata). In tale quadro, gli interventi normativi succedutisi nel tempo sulla tematica in commento sono stati ritenuti dalla Corte costituzionale legittimi allorquando detto intervento avesse una durata ragionevole (sostanzialmente annuale) e fosse giustificato dalle ragioni gia' evidenziate ai paragrafi precedenti ovvero improntato al rispetto del principio solidaristico piuttosto che a garantire stabilita' e sostenibilita' dello stesso sistema pensionistico. Il decreto-legge n. 65/2015 non risulta rispettoso di tali canoni interpretativi. Da un lato, come gia' sopra evidenziato, benche' il legislatore abbia tentato di fornire una relazione tecnica a giustificare l'intervento, e' stato totalmente disatteso il principio affermato nella sentenza n. 70/2015, ove la ragione di censura del previgente art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 riguardava l'assenza di alcun elemento utile a dare conto delle ragioni per cui si fosse ritenuto di dare prevalenza alle esigenze finanziare sui diritti oggetto di bilanciamento; si e' gia' visto che anche nella relazione illustrativa non solo difetta tale valutazione, ma risultano evidenti elementi di irragionevolezza nella misura in cui il sacrificio richiesto ai pensionati avviene in un contesto economico-finanziario di significativa perdita del potere di acquisto di ampie fasce di lavoratori. Dall'altro lato, la durata biennale dell'intervento, confermato per gli anni 2012-2013, del pari oggetto di censura nella sentenza n. 70/2015, non trova adeguata giustificazione e risulta ancor piu' gravosa per i trattamenti pensionistici nel quadro economico finanziario sopra descritto, benche' la citata sentenza avesse rimarcato l'ammissibilita' di interventi di riduzione della rivalutazione ove temporalmente contenuti, come avvenuto in precedenza, nel termine annuale. Pertanto, si ritengono in questa sede violati gli articoli 38 della Costituzione per violazione del principio di adeguatezza del trattamento pensionistico (lo si ripete, con esclusione dei trattamenti pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo che non risultano pregiudicati e comunque estranei al presente giudizio), dell'art. 36 Costituzione per violazione del principio di proporzionalita' e del combinato disposto di tali norme in uno con l'art. 3 della Costituzione per violazione del principio di ragionevolezza. Infine si osserva che, ove le disposizioni del decreto-legge n. 65/2015 venissero ritenute costituzionalmente legittime e, pertanto, ritenuta non fondata la qui prospettata questione di costituzionalita', si dovrebbe comunque valutare l'incostituzionalita' del combinato disposto del decreto-legge n. 65 citato e dell'art. 1, comma 483, legge 27 dicembre 2013, n. 147, che, come noto, ha previsto per il triennio 2014-2016 una rimodulazione nell'applicazione della percentuale di perequazione automatica rispetto alle previsioni della legge n. 448/1998, introducendo un meccanismo di rivalutazione inversamente proporzionale, salvo che per le pensioni superiori a sei volte il trattamento minimo, per le quali, per l'anno 2014, la rivalutazione e' riconosciuta nella misura del 40% ma con esclusione delle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo. In tal caso nella stessa sentenza n. 70/2015, seppure incidentalmente, si era osservato che il blocco (parziale) riguardava le pensioni piu' elevate ed era comunque limitato a un solo anno, si rispettava il discrimen fra fasce di importo nel rispetto del principio di progressivita' e quindi dei valori costituzionali della proporzionalita' e della adeguatezza. Gli odierni ricorrenti hanno chiesto che anche tale disposizione venga dichiarata incostituzionale. Il giudicante osserva che la norma, in se' considerata, possa resistere alle censure di incostituzionalita' proprio per i motivi richiamati nella citata sentenza n. 70/2015. Nondimeno, ove, come detto, le previsioni del decreto-legge n. 65/2015 fossero ritenute costituzionali, si verrebbe a creare un meccanismo che, ad avviso del giudicante, si dovrebbe necessariamente ritenere incostituzionale con riferimento ai trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo, per i quali il blocco della rivalutazione riguarderebbe addirittura un triennio (2012, 2013 e 2014). Ebbene, il legislatore del 2015, nel proprio intervento retroattivo a seguito della sentenza di incostituzionalita', non ha minimamente preso in considerazione la gravosita' del proprio intervento avendo anche riguardo a quanto gia' disposto con la legge di stabilita' per l'anno 2014, e cio' e' tanto piu' grave nel contesto economico finanziario piu' volte richiamato. Risulterebbe quindi ancor piu' palese, in tale quadro, la violazione degli articoli 3, 36 e 38 Costituzione non solo per la durata complessiva dell'intervento ma anche per la totale assenza di alcuna ponderazione da parte del legislatore del sacrificio richiesto ai pensionati con il trattamento piu' elevato rispetto alle proprie esigenze di bilancio come gia' sopra evidenziato. Per tutte le ragioni sovra esposte, visto l'art. 23 legge n. 87/1953.