Ricorso ex art.  127  Cost.  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri in carica, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, C.F. 80224030587, n. fax 0696514000 ed indirizzo  P.E.C.
per il  ricevimento  degli  atti  ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it,
presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro  la  Regione  Campania  (Codice  fiscale  80011990639)  in
persona del Presidente della Giunta regionale in carica, con sede  in
via S. Lucia n. 81 - 80132 Napoli; 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 8, 17 commi 3, 4, 5 e 6, 19 comma 10, 21 comma 1 lettera d),
22 comma 4, lettera a) della  legge  della  Regione  Campania  del  5
aprile 2016, n. 6, intitolata «Prime misure per la  razionalizzazione
della spesa e il rilancio dell'economia  campana  -  Legge  collegata
alla legge regionale di stabilita' per l'anno 2016»,  pubblicata  nel
Bollettino ufficiale della regione del 5  aprile  2016,  n.  22,  per
contrasto con l'art. 3, l'art. 9, l'art. 81 terzo  comma,  l'art.  97
secondo comma, l'art. 117 primo comma, secondo comma lett. e) l) s) e
terzo comma, nonche' con l'art. 120 secondo comma della Costituzione. 
    In forza della delibera di impugnativa assunta dal Consiglio  dei
ministri nella seduta del 31 maggio 2016. 
    La Regione Campania ha emanato la  legge  regionale  in  epigrafe
indicata contenente alcune disposizioni  che  presentano  profili  di
illegittimita' costituzionale per i seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
1. - Illegittimita' dell'art. 8 legge della Regione  Campania  del  5
aprile 2016, n. 6  per  contrasto  con  l'art.  36  del  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  380/2001  e  conseguente  violazione
dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, nonche' per violazione
degli articoli 3 e 97 secondo comma della Costituzione. 
    L'art. 8 della legge regionale in epigrafe,  recante  «Misure  in
materia di piano casa», apporta modifiche  alla  legge  regionale  28
dicembre 2009, n. 19 («Misure urgenti per il rilancio economico,  per
la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione  del
rischio sismico e per la semplificazione amministrativa») la quale e'
gia' stata piu' volte modificata. 
    In primo luogo, con il predetto art. 8, comma 1, lettere b),  e),
f), g), si estende  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge
regionale n. 1/2016 (ossia al giorno  successivo  alla  pubblicazione
nel BUR della stessa legge regionale n. 1/2016 avvenuta il 18 gennaio
2016 - cfr. art. 16) l'applicabilita' delle  misure  incentivanti  di
cui alla citata legge regionale n. 19/2009 relative: 
        alla disciplina degli interventi straordinari di ampliamento,
in deroga agli strumenti urbanistici, di cui  all'art.  4,  comma  2,
lettera g) della legge regionale n. 19/2009 (lettera  aggiunta  dalla
legge regionale n. 1/2011); 
        alla disciplina degli interventi edilizi in zona agricola (da
potersi realizzare anche con ampliamenti di volumetria in deroga agli
strumenti urbanistici), di cui all'art. 6-bis, comma  4  della  legge
regionale n. 19/2009 (comma aggiunto dalla legge regionale n.  1/2011
e modificato dalla legge regionale n. 16/2014); 
        alla disciplina degli interventi di riqualificazione di  aree
urbane degradate, in deroga agli strumenti urbanistici e ai parametri
edilizi, con riguardo a immobili dismessi, di cui all'art.  7,  comma
5, della legge regionale n. 19/2009 (modificato dalle leggi regionali
n. 1/2011, n. 5/2013, n. 16/2014); 
        alla disciplina degli interventi  di  recupero  edilizio,  in
deroga agli  strumenti  urbanistici  vigenti,  di  edifici  diruti  e
ruderi, di cui all'art. 7,  comma  8-bis  della  legge  regionale  n.
19/2009 (aggiunto dalla legge regionale n. 1/2011). 
    In secondo luogo, con l'art. 8, comma 1, lettera h),  numeri  1),
2), 3) e 4) della legge  regionale  impugnata,  viene  modificata  la
disciplina di cui all'art. 7-bis («Recupero dei complessi  produttivi
dismessi») della legge regionale n.  19/2009  (aggiunto  dalla  legge
regionale n. 16/2014). Con tale intervento viene conferita ai  comuni
la facolta' di autorizzare interventi di  recupero  e  riutilizzo  di
complessi  industriali  e  produttivi   dismessi   (in   applicazione
dell'art. 5, comma 9, del decreto legge n. 70/2011, convertito  dalla
legge n. 106/2011) eliminando il previgente vincolo  di  destinazione
ad attivita' produttive. 
    Cio' premesso, si rileva che l'art. 8, comma 1, lettera l)  della
legge regionale n. 6/2016, nel sostituire il comma 4-bis dell'art. 12
(Norma finale e transitoria) della legge regionale n. 19/2009,  cosi'
recita: «l) il comma 4-bis dell'art. 12 e' sostituito  dal  seguente:
«4-bis. Le disposizioni di cui all'art. 36 del decreto del Presidente
della Repubblica n.  380/2001  si  applicano  anche  agli  interventi
previsti dalla presente legge e realizzati dopo  la  sua  entrata  in
vigore, privi di titolo abilitativo o in difformita' da esso, ma  che
risultano  conformi  alla  stessa  legge   sia   al   momento   della
realizzazione  degli  stessi  interventi,  sia   al   momento   della
presentazione della domanda.». 
    Tali disposizioni sono in contrasto con l'art. 36 del decreto del
Presidente della  Repubblica  n.  380/2001  il  quale,  ai  fini  del
rilascio del titolo abilitativo  in  sanatoria,  richiede  la  doppia
conformita' alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, cioe' la
conformita' dell'intervento alla disciplina in vigore sia al  momento
della sua realizzazione sia  al  momento  della  presentazione  della
domanda. 
    Infatti,  a  seguito  della   suddetta   modifica,   la   portata
derogatoria della  legge  regionale  n.  19  del  2009  e  successive
modifiche, diviene applicabile anche ad interventi che, essendo stati
eseguiti nei periodi intercorrenti tra le varie  modifiche  ad  opera
delle leggi regionali succedutesi nel tempo ed ora fino alla data  di
entrata in vigore della legge regionale n. 1/2016,  avrebbero  dovuto
essere realizzati  in  conformita'  alla  disciplina  urbanistica  ed
edilizia medio-tempore in vigore. Invece, attraverso il  nuovo  comma
4-bis dell'art. 12 legge regionale n. 19/2009,  viene  consentito  il
rilascio del titolo abilitativo in sanatoria sul presupposto che  gli
interventi  siano  «conformi  alla  stessa  legge»  (ossia  la  legge
regionale n. 19 del 2009 nel testo risultante dalla modifica). 
    Com'e' noto, il rilascio del titolo in sanatoria di cui  all'art.
36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e'  diretto  a
sanare solo violazioni «formali» in quanto occorre  che  l'intervento
realizzato in assenza di titolo abilitativo abbia la suddetta  doppia
conformita' alla disciplina urbanistica ed edilizia  vigente,  mentre
attraverso l'impugnata norma regionale (che introduce la  conformita'
dell'opera alla legge regionale  n.  19/2009  cosi'  come  da  ultimo
modificata)  esso  viene  utilizzato  per  sanare  anche   violazioni
«sostanziali», ovvero interventi non conformi alla disciplina vigente
alla data della loro realizzazione. 
    La giurisprudenza amministrativa e' consolidata nel ritenere che,
ai sensi dell'art. 36 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001, le opere devono essere assentibili alla  stregua  non  solo
della disciplina urbanistica vigente  al  momento  della  domanda  di
sanatoria, ma anche di quella in vigore alla data di esecuzione degli
interventi, (Cons. Stato, IV, 21 dicembre 2012, n. 6657; sezione  IV,
2 novembre 2009, n. 6784; sezione V, 29 maggio 2006, n. 3267; sezione
IV, 26 aprile 2006, n. 2306; nonche' Cons.  Stato,  IV,  n.  32/2013,
dove  si  precisa  che  la  disciplina  urbanistica  non  ha  effetto
retroattivo; Cons. Stato, V, n. 3220/2013). 
    Inoltre, non v'e' dubbio che la c.d. «doppia conformita'» di  cui
all'art. 36 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001
costituisca principio fondamentale  vincolante  per  la  legislazione
regionale, siccome finalizzato a garantire l'assoluto rispetto  della
disciplina urbanistica ed edilizia  durante  tutto  l'arco  temporale
compreso  tra  la  realizzazione  dell'opera   e   la   presentazione
dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformita' (in  tal
senso Corte costituzionale n. 101/2013). Si tratta di un principio di
legislazione statale che ha una portata generale perche' riguarda sia
gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire,  o  in
difformita' da esso, ovvero  in  assenza  di  DIA  alternativa  o  in
difformita' da  essa  (art.  36  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001), sia gli interventi eseguiti in assenza della
(o in difformita' dalla) SCIA (art.  37,  comma  4  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001). 
    La norma regionale in questione  si  pone  in  contrasto  con  il
suddetto principio perche'  ha  l'effetto  di  legittimare  ex  post,
attraverso il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del  2001,  interventi
ai quali la legge regionale n. 19/2009, nella sua stesura  originaria
e nelle versioni antecedenti alle modifiche via via  introdotte,  non
era applicabile con la conseguenza  di  consentire  il  rilascio  del
permesso  in  sanatoria  ad  opere  che  non  erano   conformi   alla
legislazione urbanistica ed edilizia vigente  alla  data  della  loro
realizzazione (sulla illegittimita' di deroghe regionali si vedano le
sentenze nn. 64/2013, 254/2010 e 248/2009). 
    Un esempio evidente e' costituito dalle modifiche dell'art. 7-bis
(«Recupero dei complessi produttivi dismessi») della legge  regionale
n. 19/2009, introdotte dall'art. 8, comma 1, lettera h), n.  1),  2),
3) e 4) della legge regionale impugnata. La  previgente  disposizione
(aggiunta dalla legge regionale n. 16/2014)  consentiva  il  recupero
dei complessi produttivi dismessi,  purche'  si  mantenesse  la  loro
destinazione  ad  attivita'  produttive.  Tale  condizione  e'  stata
eliminata dalla legge regionale impugnata, pertanto gli interventi di
recupero di complessi produttivi diventano ora conformi alla legge n.
19/2009, ancorche' non sia stato rispettato il previgente vincolo  di
destinazione ad attivita' produttive, e quindi (per effetto del nuovo
comma 4-bis  dell'art.  12  legge  regionale  n.  19/2009  introdotto
dall'art. 8, comma 1 lettera l) legge regionale impugnata)  diventano
sanabili ai sensi dell'art.  36  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  380  del  2001  benche'  non  fossero  conformi  alla
disciplina urbanistica ed edilizia in  vigore  all'epoca  della  loro
realizzazione. 
    In proposito si rappresenta che: 
    l'intesa del 1° aprile 2009 tra Stato, regioni  ed  enti  locali,
sulle misure per il  rilancio  dell'economia  attraverso  l'attivita'
edilizia, chiarisce espressamente che gli interventi di  ampliamento,
demolizione e ricostruzione  degli  edifici  non  possono  riguardare
opere abusive o site nei centri storici o in aree ad inedificabilita'
assoluta; 
    l'art. 5, comma 10 del decreto legge n. 70/2011, convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 106/2011, recante (ai commi da 9 a  14)
la disciplina di principio per la  razionalizzazione  del  patrimonio
edilizio  esistente  e  per  la  promozione  e   agevolazione   della
riqualificazione  di  aree  urbane  degradate,   prevede   che   «Gli
interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi
o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilita' assoluta, con
esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato  il  titolo
abilitativo edilizio in sanatoria.» 
    Un ulteriore profilo di incostituzionalita' della norma in  esame
deriva dal fatto  che,  a  seguito  delle  varie  modifiche  via  via
apportate alla legge regionale n. 19  del  2016,  le  amministrazioni
comunali si troveranno, con tutta probabilita', nella  condizione  di
non essere in grado  di  verificare  caso  per  caso  la  conformita'
urbanistico-edilizia delle opere,  distinguendo  cio'  che  e'  stato
realizzato  (o  proseguito,  o  completato)   nei   diversi   periodi
intercorrenti tra  le  diverse  modifiche  legislative  che  si  sono
stratificate nel tempo. Pertanto, quand'anche si dovesse ritenere che
la norma in questione faccia salvo il principio statale della  doppia
conformita', essa lo renderebbe di  fatto  inapplicabile  e  comunque
sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di  ragionevolezza
e buon andamento con conseguente violazione degli articoli  3  e  97,
secondo comma Cost. 
2. - Illegittimita' dell'art. 17 commi  3,  4,  5  e  6  legge  della
Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per violazione dell'art. 9 e
dell'art. 117, primo comma e secondo comma lettere e), l) e s)  della
Costituzione. 
    L'art. 17 legge regionale n.  6/2016,  contenente  norme  per  lo
sviluppo del turismo balneare, ai commi 3,  4,  5  e  6  prevede  una
procedura comparativa ad  evidenza  pubblica  per  il  rinnovo  delle
concessioni demaniali marittime che presenta profili di contrasto con
la  normativa  nazionale,  comunitaria  e  con  alcune   disposizioni
costituzionali. 
    Occorre innanzitutto ricordare che il legislatore nazionale  (con
l'art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194  del  2009  «Proroga  di
termini  previsti  da  disposizioni  legislative»   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25) ha modificato  le
modalita' di accesso alle concessioni demaniali marittime  a  seguito
alla procedura d'infrazione comunitaria (n. 2008/4908) nei  confronti
dello Stato italiano per violazione  dell'art.  12,  comma  2,  della
direttiva n. 2006/123/CE che vieta  qualsiasi  forma  di  automatismo
alla  scadenza  del  rapporto  concessorio,  tale  da   favorire   il
precedente concessionario. 
    In  particolare  la   Commissione   europea   (con   lettera   di
costituzione in mora notificata il 2 febbraio  2009)  aveva  ritenuto
che l'art. 37 del codice della navigazione  fosse  in  contrasto  con
l'art. 43 del Trattato UE (ora art. 49 del TFUE) perche',  prevedendo
un  diritto  di  preferenza  a  favore  del  concessionario   uscente
nell'ambito della procedura di  attribuzione  delle  concessioni  del
demanio pubblico marittimo (c.d. diritto di insistenza),  configurava
una restrizione alla liberta' di stabilimento e  una  discriminazione
dell'impresa in base al luogo di stabilimento  rendendo  estremamente
difficile,  se  non  impossibile,  l'accesso   di   qualsiasi   altro
concorrente  alle  concessioni  in  scadenza  e   realizzando   cosi'
un'ingiustificata barriera all'entrata nel mercato. 
    A seguito dei  suddetti  rilievi  della  Commissione  europea  il
Governo  italiano  e'  intervenuto  con  l'art.  1,  comma  18,   del
decreto-legge n. 194 del 2009, che ha abrogato il secondo periodo del
secondo comma dell'art. 37 cod. nav. nella parte in cui accordava  la
suddetta preferenza al concessionario in scadenza. Tuttavia, in  sede
di conversione del citato decreto-legge (con legge n. 25 del 2010) e'
stato  aggiunto  un  rinvio  indiretto  all'art.  1,  comma  2,   del
decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400   («Disposizioni   per   la
determinazione  dei   canoni   relativi   a   concessioni   demaniali
marittime»), convertito, con modificazioni, dalla  legge  4  dicembre
1993, n. 494,  che  produceva  l'effetto  di  consentire  il  rinnovo
automatico delle concessioni, di sei anni in sei anni. 
    La Commissione europea, con nuova lettera di messa in mora del  5
maggio 2010  (nell'ambito  della  medesima  procedura  di  infrazione
2008/4908) ha ritenuto che il suddetto rinvio introdotto in  sede  di
conversione del decreto-legge finisse per  privare  di  ogni  effetto
sostanziale  l'adeguamento  ai  principi  comunitari  effettuato  dal
Governo  in  quanto  contrario  sia  all'art.  12   della   direttiva
2006/123/CE, sia all'art. 49 del TFUE. 
    In seguito a tali ulteriori rilievi, il legislatore  statale  con
l'art. 11, comma 1, lettera a), della legge 15 dicembre 2011, n.  217
(«Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi    derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2010»), ha abrogato il citato comma  2  dell'art.  1  del
decreto-legge n. 400 del 1993 delegando il  Governo  ad  adottare  un
decreto legislativo avente ad oggetto  la  revisione  e  il  riordino
della legislazione sulle concessioni demaniali marittime. 
    A  seguito  di  tale  intervento  legislativo,  la  procedura  di
infrazione e' stata chiusa il 27 febbraio 2012. 
    Cio' premesso, si osserva che l'art. 17, commi 3, 4, 5 e 6  della
legge regionale n. 6/2016 dispone quanto segue: 
    comma 3: «Nel  caso  di  rinnovo  della  concessione,  il  comune
acquisisce  dall'originario  concessionario  una  perizia  di   stima
asseverata da un professionista abilitato, da cui risulti l'ammontare
del valore aziendale dell'impresa insistente sull'area oggetto  della
concessione; il comune pubblica la perizia nei termini e  secondo  le
modalita' di cui al piano di utilizzazione  delle  aree  del  demanio
marittimo (PUAD).» 
    comma  4:  «Le  domande  di  nuove  concessioni   devono   essere
corredate, a pena di esclusione dalla procedura comparativa, da  atto
unilaterale d'obbligo in ordine alla corresponsione, entro 30  giorni
dalla  comunicazione  di   aggiudicazione   della   concessione,   di
indennizzo determinato ai sensi del comma  5.  Decorso  tale  termine
senza    la    corresponsione     dell'indennizzo,     si     procede
all'aggiudicazione  della  concessione,  condizionata  al   pagamento
dell'indennizzo, nei confronti del soggetto  utilmente  collocato  in
graduatoria e fino all'esaurimento della stessa.» 
    comma 5:  «Nell'ipotesi  di  concorso  di  domande,  l'originario
concessionario ha diritto ad un indennizzo pari al novanta per  cento
dell'ammontare del valore oggetto della perizia di cui al comma 3, da
parte dell'eventuale nuovo aggiudicatario,  nel  rispetto  di  quanto
previsto dalla normativa comunitaria e nazionale in materia.» 
    comma 6: «La medesima procedura comparativa ad evidenza  pubblica
di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo  si  applica  anche
per il rilascio delle concessioni per  lo  sfruttamento  delle  acque
minerali, naturali e termali e per le piccole  utilizzazioni  locali,
in conformita' alla normativa comunitaria, nazionale e  regionale  in
materia.» 
    Ai sensi  delle  suddette  disposizioni  regionali,  in  caso  di
rinnovo  della  concessione,  il  concessionario   subentrante   deve
corrispondere al concessionario uscente un indennizzo  basato  su  di
una stima del valore aziendale effettuata da quest'ultimo. 
    Tali norme violano l'art. 117, primo comma della Costituzione per
contrasto con i vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  in
materia di tutela  della  concorrenza  e  liberta'  di  stabilimento.
Infatti, introducono un trattamento di favore per  il  concessionario
uscente che ostacola  l'apertura  del  mercato  traducendosi  in  una
ingiustificata barriera all'ingresso.  Sul  punto  si  richiamano  le
sentenze Corte costituzionale n. 213 del 2011, nn. 180, 340 del  2010
in cui si sottolinea che la mancanza di una procedura di rinnovo  che
consenta di aprire il mercato, «e' del tutto contraddittoria rispetto
al fine di tutela della concorrenza  e  di  adeguamento  ai  principi
comunitari, violando il principio di parita' di trattamento,  che  si
ricava dagli articoli 49  e  ss.  del  Trattato  25  marzo  1957  sul
funzionamento  dell'Unione  europea,   in   tema   di   liberta'   di
stabilimento, e favorendo i vecchi concessionari a scapito dei  nuovi
aspiranti.» (sent. 340 del 2010). 
    In secondo luogo, le suddette norme regionali violano l'art. 9  e
l'art. 117 secondo comma, lettere e), l) e s) della Costituzione,  in
quanto sono in contrasto con la riserva  allo  Stato  in  materia  di
tutela della concorrenza, ordinamento civile e tutela dell'ambiente. 
    Il legislatore regionale e' intervenuto in un ambito che  attiene
a rapporti di natura privatistica di competenza esclusiva statale  in
quanto la disciplina degli aspetti dominicali del  demanio  marittimo
appartiene alla  materia  «ordinamento  civile»  (art.  117,  secondo
comma, lettera l) Cost.). Ed e' evidente che tale disciplina non puo'
essere  lasciata  alla  legislazione   regionale   in   quanto   v'e'
l'esigenza, sottesa al principio costituzionale  di  uguaglianza,  di
garantire   uniformita'   di   trattamento   sull'intero   territorio
nazionale. 
    La  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte   affermato   che   la
titolarita' di funzioni legislative e  amministrative  della  regione
riguardo all'utilizzo di determinati beni  non  puo'  incidere  sulle
facolta' che spettano allo Stato in  quanto  proprietario  e  che  la
disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella
materia dell'ordinamento civile di competenza esclusiva  dello  Stato
(sentt. n. 102 e n. 94 del 2008, n. 286 del 2004, n. 343 del 1995, n.
370 del 2008). Con specifico riferimento  al  demanio  marittimo,  la
Corte ha precisato che «la competenza della regione nella materia non
puo' incidere sulle  facolta'  che  spettano  allo  Stato  in  quanto
proprietario. Queste infatti precedono  logicamente  la  ripartizione
delle competenze ed ineriscono  alla  capacita'  giuridica  dell'ente
secondo i principi dell'ordinamento civile» (sent. n. 427 del 2004). 
    Per quanto riguarda le procedure  concorsuali  per  l'affidamento
delle concessioni, viene in rilievo la competenza statale in  materia
di tutela della concorrenza (art.  117,  secondo  comma,  lettera  e)
Cost.), come affermato dalla  Corte  costituzionale  nella  sent.  n.
401/2007:  «La  nozione  comunitaria  di  concorrenza  (...)  che  si
riflette su quella di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  e),
Cost., va definita [anche] come concorrenza «per» il mercato e impone
che il contraente venga scelto mediante  procedure  di  garanzia  che
assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali,  quali
in particolare, il rispetto dei principi di parita'  di  trattamento,
di non discriminazione, di proporzionalita' e di  trasparenza.  (...)
Trattandosi di una materia avente natura trasversale, nello specifico
settore degli appalti, la interferenza con  competenze  regionali  si
atteggia,  in  modo  peculiare,  non  realizzandosi  normalmente   un
intreccio  in  senso  stretto  con  ambiti  materiali  di  pertinenza
regionale, bensi' la prevalenza  della  disciplina  statale  su  ogni
altra fonte normativa.» 
    In materia di  demanio  marittimo  il  vigente  quadro  normativo
prevede la competenza in capo alle regioni e  ai  comuni  della  sola
gestione  delle  concessioni  (tra  cui  il  rilascio),   mentre   la
disciplina relativa all'accesso ai beni demaniali non viene  lasciata
alla legislazione regionale essendo riconducibile alla  tutela  della
concorrenza «per il mercato», di esclusiva competenza dello Stato. 
    Infine  la  norma  regionale  in  esame   presenta   aspetti   di
incostituzionalita' anche sotto il profilo della tutela del paesaggio
(di cui all'art. 9 Cost.)  e  dell'ambiente  (di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s) Cost.)  nella  parte  in  cui  consente  il
permanere  delle  opere  realizzate  dal  concessionario  sul   suolo
demaniale in contrasto con la legislazione nazionale  in  materia  di
concessioni demaniali marittime, nella quale vige il principio  della
riduzione «in pristino» (sancito dall'art. 49 cod. nav.). 
    Al riguardo si evidenzia  che  il  comma  6  dell'art.  17  legge
regionale impugnata estende la  procedura  comparativa  in  questione
anche alle concessioni per  lo  sfruttamento  delle  acque  minerali,
naturali e termali. 
3. - Illegittimita' dell'art.  19,  comma  10,  legge  della  Regione
Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per violazione dell'art.  81,  terzo
comma della Costituzione. 
    L'art. 19, comma 10, legge  regionale  impugnata  autorizza,  nei
limiti delle disponibilita' di bilancio, il finanziamento  aggiuntivo
pari ad euro 300.000,00  in  favore  della  Citta'  metropolitana  di
Napoli per l'intervento  «Apertura  svincoli  SP  I  circonvallazione
esterna di Napoli e SP  500»  di  cui  al  IV  protocollo  aggiuntivo
stipulato  in  data  23  marzo  2007  tra  Ministero  dello  sviluppo
economico, Ministero delle infrastrutture e  dei  trasporti,  Regione
Campania ed ANAS. 
    Tale norma non individua  puntualmente  la  necessaria  fonte  di
copertura finanziaria  del  predetto  onere  aggiuntivo,  inoltre  la
relativa autorizzazione di finanziamento  risulta  in  contraddizione
con la clausola di invarianza finanziaria prevista dall'art. 29 della
medesima legge regionale. 
    Pertanto,  la  mancata  previsione  della  copertura  finanziaria
contrasta con l'art. 81, terzo comma, della Costituzione. 
4. - Illegittimita' dell'art. 21, comma 1,  lettera  d)  legge  della
Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6  per  contrasto  con  l'art.
44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre  2000,
n. 445 e conseguente violazione  dell'art.  117,  terzo  comma  della
Costituzione. 
    L'art. 21, comma 1, lettera d) legge  regionale  cit.  (rubricato
«Contrasto al lavoro irregolare nel settore edile»)  stabilisce  che,
per attivare azioni di contrasto al lavoro nero  nel  comparto  delle
costruzioni e al fine di promuovere la sicurezza nei cantieri, per  i
lavori edili privati oggetto di permesso di  costruire,  segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA), denuncia di inizio  attivita'
(DIA), comunicazione  inizio  lavori  (CIL)  o  comunicazione  inizio
lavori  asseverata  (CILA),  il  direttore  dei  lavori  provvede  «a
trasmettere allo Sportello unico dell'edilizia  (SUE),  all'inizio  e
alla fine dei lavori, il DURC dell'azienda esecutrice, attestante  la
sua regolarita' contributiva e le avvenute comunicazioni di inizio  e
di fine lavori effettuate agli  enti  previdenziali,  assicurativi  e
infortunistici e alla Cassa edile competenti per territorio.» 
    Tale disposizione  regionale  contrasta  con  l'art.  44-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,  il
quale  prevede  che  «le  informazioni  relative   alla   regolarita'
contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero  controllate  ai  sensi
dell'art.  71,  dalle  pubbliche  amministrazioni   procedenti,   nel
rispetto della specifica normativa di settore.» 
    Si  tratta  quindi  di  un'incombenza   che,   ai   sensi   della
legislazione statale, grava sulla pubblica amministrazione procedente
e che pertanto non puo' essere attribuita al  direttore  dei  lavori,
essendo soggetta ad una norma di principio che prevede un  potere  di
intervento e di verifica d'ufficio. 
    Peraltro,  occorre  considerare  che  il  DURC  on  line  ha  una
validita' di 120 giorni dalla sua emissione e quindi  potrebbe  anche
coprire l'intero periodo fra la data di inizio  e  la  data  di  fine
lavori, senza necessita' di dover ripetere la richiesta «all'inizio e
alla fine dei  lavori»  come  prescritto  nella  citata  disposizione
regionale. 
    Pertanto, la norma in esame viola l'art. 117, terzo  comma  della
Costituzione, in materia di tutela e sicurezza del lavoro. 
5. -  Illegittimita'  dell'art.  22,  comma  4  legge  della  Regione
Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per contrasto  con  l'art.  8-quater
del decreto legislativo n. 502/1992 e con l'art. 2, commi  80  e  95,
della legge n. 191/2009 e conseguente violazione dell'art. 117, terzo
comma della  Costituzione,  nonche'  per  violazione  dell'art.  120,
secondo comma della Costituzione. 
    La regione Campania e' sottoposta ad un  piano  di  rientro,  dal
disavanzo  sanitario   e   al   conseguente   commissariamento   (con
deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre  2015  sono
stati nominati il commissario ad acta e il sub  commissario  ad  acta
per l'attuazione del vigente piano di rientro). 
    L'art. 22, comma 4, lettera,  a)  legge  regionale  in  questione
modifica l'art. 1  della  legge  regionale  7  agosto  2014,  n.  16,
inserendo il comma 151-bis il quale prevede che «La Regione Campania,
ferme restando le prerogative spettanti all'organo commissariale  per
il piano di rientro della spesa sanitaria, assume le opportune azioni
per l'incremento delle strutture accreditate  con  i  sistemi  PET/TC
anche per superare gli attuali squilibri territoriali di offerta  per
l'utenza.». 
    Tale disposizione, autorizzando la regione ad adottare azioni per
incrementare le strutture accreditate con  i  sistemi  PET/TC  -  pur
facendo salve le prerogative dell'organo commissariale - si  pone  in
contrasto sia con i principi fondamentali della legislazione  statale
in materia di autorizzazione e accreditamento, sia con  il  piano  di
rientro della Regione Campania e  con  le  relative  prerogative  del
commissario ad acta. 
    In primo luogo, la norma regionale  in  questione,  nel  disporre
«l'incremento delle strutture  accreditate  con  i  sistemi  PET/TC»,
prescinde dalla rilevazione del fabbisogno delle predette  strutture.
Il che e' in contrasto con l'art. 8-quater del decreto legislativo n.
502/1992,  secondo  il  quale  l'accreditamento  istituzionale  delle
strutture  autorizzate  e'  subordinato  alla  loro  rispondenza   ai
requisiti  ulteriori  di  qualificazione,  alla  loro   funzionalita'
rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e  alla  verifica
dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti. 
    Tale disposizione statale specifica che «al fine di individuare i
criteri  per  la   verifica   della   funzionalita'   rispetto   alla
programmazione  nazionale  e  regionale,  la  regione  definisce   il
fabbisogno di assistenza secondo le  funzioni  sanitarie  individuate
dal Piano sanitario regionale per garantire i  livelli  essenziali  e
uniformi di assistenza, nonche'  gli  eventuali  livelli  integrativi
locali e le  esigenze  connesse  all'assistenza  integrativa  di  cui
all'art. 9.» 
    Nella fattispecie, il Commissario ad acta della Regione  Campania
(con decreto del 12 maggio 2016, n. 32) ha  stabilito,  in  relazione
alle apparecchiature PET/TC, che «il fabbisogno e  la  conseguenziale
localizzazione  sono  soddisfatti  per  intero  dalla  dotazione   di
apparecchiature pubbliche e private gia'  autorizzate»  e  che  «allo
stato,  non  e'  possibile  procedere  a   nuove   installazioni   di
apparecchiature PET/TC». Infine, nel medesimo decreto si da' atto che
«e' in fase di completamento il processo di accreditamento regionale,
in esito al quale verra' effettuata una valutazione conclusiva  dello
status  di  accreditato,  presupposto   per   l'installazione   delle
apparecchiature». 
    L'art. 22, comma 4, lettera a) della  legge  regionale  in  esame
interferisce quindi con le valutazioni e i poteri del Commissario  ad
acta violando cosi' l'art. 120, secondo comma della Costituzione. 
    In  secondo  luogo,  la  disposizione  regionale   in   questione
interferisce con il piano di rientro della Regione Campania e  quindi
con l'art. 2, commi 80 e 95, della legge  n.  191/2009,  secondo  cui
«gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione,
che e' obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e  a
non adottarne di nuovi che siano di ostacolo  alla  piena  attuazione
del piano di rientro». Ne consegue la violazione dell'art. 117, comma
3, della Costituzione, per  contrasto  con  i  principi  fondamentali
della legislazione statale in materia di tutela  della  salute  e  di
coordinamento della finanza pubblica,  rappresentati  dai  richiamati
commi 80 e 95 dell'art. 2 della legge n. 191/2009. 
    Sul punto si richiama la costante  giurisprudenza  costituzionale
(tra le piu' recenti, sent. n. 28/2013) secondo la  quale  «l'operato
del commissario ad acta,  incaricato  dell'attuazione  del  Piano  di
rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e
la regione interessata, sopraggiunge  all'esito  di  una  persistente
inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti  ad
un'attivita'  che  pure  e'  imposta  dalle  esigenze  della  finanza
pubblica. E, dunque, proprio tale dato - in uno con la  constatazione
che l'esercizio del potere  sostitutivo  e',  nella  specie,  imposto
dalla necessita' di assicurare la tutela dell'unita' economica  della
Repubblica,  oltre  che  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual  e'  quello
alla salute - a legittimare la conclusione secondo  cui  le  funzioni
amministrative del Commissario, ovviamente fino  all'esaurimento  dei
suoi compiti di attuazione del Piano di rientro, devono essere  poste
al riparo da ogni interferenza  degli  organi  regionali,  senza  che
possa essere evocato il rischio di fare di esso l'unico soggetto  cui
spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza
sanitaria in ambito regionale» (Sent. n. 78 del 2011). 
    Pertanto, «la semplice  interferenza  da  parte  del  legislatore
regionale con le funzioni del Commissario ad acta, come definite  nel
mandato commissariale, determina di per se' la  violazione  dell'art.
120, secondo comma, Cost., laddove, come nella specie, il Commissario
sia  l'organo  esclusivo  incaricato  dell'attuazione  del  Piano  di
rientro» (tra le tante, sent. n. 2 del 2010).». 
    Nella fattispecie, e' evidente che la  clausola  di  salvaguardia
contenuta nella disposizione regionale in  esame  (che  fa  salve  le
«prerogative spettanti  all'organo  commissariale  per  il  piano  di
rientro della spesa sanitaria») non basta per scongiurare le suddette
censure di incostituzionalita', essendo essa contraddetta dalla norma
precettiva immediatamente successiva  secondo  la  quale  la  Regione
«assume  le  opportune  azioni  per  l'incremento   delle   strutture
accreditate, con i sistemi PET/TC». 
    Sul punto si richiama la sent. n. 28/2013 in cui  codesta  ecc.ma
Corte ha ritenuto «priva di reale significato normativo una  generica
clausola di salvaguardia delle competenze commissariali [...] che  e'
contraddetta proprio dalle specifiche e precise disposizioni  che  la
seguono».