TRIBUNALE DI ROMA VIII Sezione Penale Il Tribunale composto dai giudici del quarto collegio: Marcello Liotta, Presidente; Marco Marocchi, Giudice; Fabio Mostarda, Giudice, decidendo in ordine al procedimento penale sopra indicato iscritto nei confronti B. V., nato a ... (AV) il ... imputato «del delitto p. e p. dagli articoli 61, numeri 5, 9 e 11, 81 cpv codice penale, 609-bis, comma 1° e 609-ter, comma 1°, n. 1, codice penale, perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in molteplici circostanze, quale religioso appartenente alla Congregazione dei ..., con abuso di autorita' derivante dalla sua posizione di precettore e padre spirituale, avendo ricevuto dai genitori in affidamento il minore D'O. N. (nato il ... ) per ragioni di' educazione e di istruzione, ed anche con violenza spesso consistita nel prendere con forza la mano del predetto D'O. portandola sui suoi organi genitali, nell'afferrare il capo dello stesso cosi' da spingerlo a praticare rapporti orali e comunque nel sovrastarlo fisicamente e psicologicamente tanto da vincerne le resistenze, costringeva la citata persona offesa a compiere e subire atti sessuali reciproci di masturbazione, congiunzioni orali e penetrazioni anali. Con le aggravanti di aver commesso il fatto: nei confronti di minore degli anni 14; approfittando di circostanze di tempo di luogo e di persona tali da ostacolare la privata difesa (in ragione non solo della minore eta' della persona offesa, ma anche della sua condizione di soggetto comunque a lui affidato per la cura, la crescita e l'evoluzione esistenziale ed altresi' del fatto che le condotte venivano portate a compimento presso la sua dimora ovvero presso luoghi posti nella sua disponibilita' anche all'interno di strutture ecclesiastiche); con violazione dei doveri inerenti alla qualita' di ministro del culto cattolico; con abuso di relazioni di coabitazione e di ospitalita'. Commesso in Roma sino al 2002 e successivamente in Genova e all'estero fino al 17 ottobre 2004.» (imputazione cosi' modificata dal pubblico ministero all'udienza del 10 ottobre 2014). Rilevato che si e' proceduto con giudizio ordinario e che, dopo ampia istruttoria, alle udienze dell'8 e del 28 aprile 2016 il Tribunale - dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale - ha invitato le parti ad illustrare le rispettive conclusioni, rinviando su richiesta del pubblico ministero al 27 maggio 2016 per repliche scritte e controrepliche delle altre parti; che tutte le parti hanno depositato memorie scritte e che il collegio ha rinviato all'udienza del 21 giugno per la lettura della decisione. Rilevato che il pubblico ministero ha chiesto la condanna dell'imputato per il delitto ascrittogli; che il difensore della parte civile ha chiesto l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato e, per l'effetto, la condanna dello stesso alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati dai reati e alla refusione delle spese di costituzione e di giudizio; che il difensore del responsabile civile ha chiesto la pronuncia nei confronti dell'imputato di una sentenza di non doversi procedere per tutti i fatti di reato antecedenti alla data dell'8 ottobre 2003 in quanto estinti per prescrizione, l'assoluzione dell'imputato dai fatti di reato successivi a tale data con la formula perche' il fatto non sussiste e il conseguente rigetto della domanda risarcitoria avanzata dalla parte civile; che il difensore dell'imputato ha rassegnato conclusioni analoghe a quelle del difensore del responsabile civile. Rilevato che l'imputato e' chiamato a rispondere di una serie di condotte di violenza sessuale che si assumono consumate in danno del minore N. D'O. (nato il ... ) con abuso di autorita', della qualita' di ministro di culto e di relazioni di ospitalita' in un ampio arco temporale sotteso fra l'anno 1995 ed il 17 ottobre 2004. Ritenuto che tali condotte siano sussumibili quoad poenam nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 519, comma 2, n. 1 e 2 del codice penale fino alla data dell'entrata in vigore della legge 15 febbraio 1996, n. 66 e successivamente in quelle di cui agli articoli, 609-bis, comma 1 del codice penale e 609-ter, comma 1, n. 1 del codice penale sopra richiamate. Rilevato che dall'anno 1995 ad oggi la disciplina della prescrizione, con riferimento ai delitti di violenza sessuale, e' stata novellata dapprima dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (con la previsione di un termine corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge - da determinarsi tenendo conto delle sole circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale - e, in caso di interruzione, l'aumento dello stesso in misura non eccedente un quarto del termine ordinario, la meta' nei casi di cui all'art. 99, comma 2 del codice penale e due terzi nel caso di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale) e poi dall'art. 4, comma 1, lettera a) della legge 1° ottobre 2012, n, 172, di ratifica della Convenzione di Lanzarote cui l'Italia ha aderito come Stato membro del Consiglio d'Europa (con l'introduzione al comma 6 dell'art. 157 del codice penale della previsione del raddoppio dei termini di prescrizione di cui ai commi precedenti per un serie di gravi delitti fra cui quelli di cui agli articoli 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e octies del codice penale salvi i casi di minore gravita' integranti le circostanze attenuanti di cui al terzo comma di cui all'art. 609-bis del codice penale e al quarto comma dell'art. 609- quater del codice penale). Rilevato che sia la Corte costituzionale (si vedano tra le altre le sentenze n. 324 del 2008 e 236 del 2011) sia la Corte di Cassazione (si vedano ex multis Cassazione sezione III penale 16.1996 e Cassazione sezione I 8 maggio 1998) definiscono la prescrizione come istituto di diritto sostanziale e non processuale e ritengono, pertanto, applicabile in caso di successione di leggi penali nel tempo l'eventuale nuova normativa piu' favorevole all'imputato ai sensi dell'art. 2, comma 4° del codice penale. Ritenuto pertanto che, nel caso in esame, l'evidenziata successione di leggi penali in materia di prescrizione dei delitti di violenza sessuale prospetti l'astratta applicabilita' ai fatti di reato contestati all'imputato di tre diversi regimi di prescrizione, segnatamente: a) per quelli che si assumono commessi fino al 15 febbraio 1996 (punibili ai sensi del vecchio art. 519 del codice penale con la pena della reclusione da tre a dieci anni) il termine di anni 15 ai sensi del coevo art. 157, comma 1, n. 2 del codice penale (con aumento della meta' e cosi' ad anni 22 e mesi 6 ai sensi del coevo art. 160, ultimo comma del codice penale in presenza di atti interruttivi); il termine di anni 10 ai sensi dell'art. 157, comma 1 del codice penale cosi' come novellato dalla legge n. 251/2005 (con aumento di un quarto e cosi' ad anni 12 e mesi 6 ai sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in presenza di atti interruttivi) e il termine di anni 20 ai sensi dell'art. 157, comma 6 del codice penale come novellato dalla legge n. 172/2012 (con aumento di un quarto e cosi' ad anni 25 ai sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in presenza di atti interruttivi); b) per quelli che si assumono commessi dal 16 febbraio 1996 al 17 ottobre 2000 (punibili ai sensi del combinato disposto degli articoli 609-bis, comma 1 e 609-ter, comma 1, n. 1 del codice penale con la pena della reclusione da sei a dodici anni) il termine di anni 15 ai sensi del coevo art. 157, comma 1 n. 2 del codice penale (con aumento della meta' e cosi' ad anni 22 e mesi 6 ai sensi del coevo art. 160, ultimo comma del codice penale in presenza di atti interruttivi); il termine di anni 12 ai sensi dell'art. 157, comma 1 del codice penale cosi' come novellato dalla legge n. 251/2005 (con aumento di un quarto e cosi' ad anni 15 ai sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in presenza di atti interruttivi) e il termine di anni 24 ai sensi dell'art. 157, comma 6 del codice penale come novellato dalla legge n. 172/2012 (con aumento di un quarto e cosi' ad anni 30 ai sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in presenza di atti interruttivi); c) per quelli che si assumono commessi dal 18 ottobre 2000 al 17 ottobre 2004 (punibili ai sensi dell'art. 609-bis, comma 1 del codice penale con la pena della reclusione da cinque a dieci anni) il termine di anni 15 ai sensi del coevo art. 157, comma 1, n. 2 del codice penale (con aumento della meta' e casi ad anni 22 e mesi 6 ai sensi del coevo art. 160, ultimo comma del codice penale in presenza di atti interruttivi); il termine di anni 10 ai sensi dell'art. 157, comma 1 del codice penale cosi' come novellato dalla legge n. 251/2005 (con aumento di un quarto e cosi' ad anni 12 e mesi 6 ai sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in presenza di atti interruttivi) e il termine di anni 20 ai sensi dell'art. 157, comma 6 del codice penale come novellato dalla legge n. 172/2012 (con aumento di un quarto e cosi' ad anni 25 ai sensi dell'art. 161, comma 2 del codice penale in presenza di atti interruttivi). Rilevato che la disposizione dell'art 2, comma 4 del codice penale, nell'attuale formulazione e secondo la comune interpretazione giurisprudenziale costituente il c.d. diritto vivente, imporrebbe di applicare ai fatti di reato ascritti all'imputato la piu' favorevole disciplina della prescrizione introdotta dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 e, per l'effetto, di ritenere gia' coperti da prescrizione quelli che si assumono consumati fino al 21 dicembre 2003 (salvo un breve periodo di sospensione della prescrizione pari a 21 giorni). Rilevato, conseguentemente, che sarebbe cosi' preclusa al Tribunale, con riferimento ai predetti fatti, la possibilita' di una piena pronuncia nel merito (potendo prevalere sulla declaratoria di una causa di estinzione dei reati soltanto un eventuale esito assolutorio ai sensi del comma 1 o del comma 2 dell'art. 530 del codice di procedura penale). Considerato che, anteriormente alla citata legge n. 251/2005, il Consiglio dell'Unione europea in data 22 dicembre 2003 ha adottato la «Decisione quadro 2004/68/GAI relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile» (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. L 013 del 20 gennaio 2004), il cui art. 8, punto 6, recita: «Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinche' sia reso possibile il perseguimento, conformemente al diritto nazionale, almeno dei piu' gravi dei reati di cui all'art. 2 dopo che la vittima abbia raggiunto la maggiore eta'» mentre tra le condotte penalmente illecite l'art. 2 individua quella di colui che «lettera c) partecipa ad attivita' sessuali con un bambino, laddove: i) faccia uso di coercizione, forza o minaccia; ii) dia in pagamento denaro, o ricorra ad altre forme di remunerazione o compenso in cambio del coinvolgimento del bambino in attivita' sessuali; oppure iii) abusi di una posizione riconosciuta di fiducia, autorita' o influenza nel bambino». Ritenuto che la Corte di giustizia dell'Unione europea ha chiarito gli effetti della decisione quadro; in particolare la corte ha affermato, in primo luogo, l'obbligo di interpretazione conforme del diritto interno alla lettera ed allo scopo della decisione quadro, muovendo dal riconoscimento del carattere vincolante dell'atto quanto al risultato, analogo a quello della direttiva, cosi' realizzandone una parziale parificazione (sentenza 16 giugno 2005, C-105/03, Pupino). Rilevato altresi' che la Corte costituzionale con sentenza n. 227/2010 ha ritenuto fondata una eccezione di illegittimita' costituzionale di una norma interna per contrasto con una decisione quadro della UE. Rilevato inoltre, con riferimento alla normativa extranazionale emanata dopo l'entrata in vigore della legge n. 251/2005, che l'Italia ha stipulato la Convenzione del Consiglio di Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali del 25 ottobre 2007 (Trattato di Lanzarote) che all'art. 27, comma 1, prevede che «ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o di altra natura necessarie per garantire che i reati fissati conformemente alla presente Convenzione siano puniti con sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive che tengano conto della loro gravita'» ed ancor piu' all'art. 33 prevede che «ciascuna delle parti adotta le misure legislative necessarie affinche' il termine di prescrizione si protragga per un periodo di tempo sufficiente a consentire l'avvio effettivo delle azioni penali dopo che la vittima abbia raggiunto la maggiore eta' e che sia proporzionato alla gravita' del reato in questione». Rilevato che l'Italia ha dato attuazione alla detta convenzione del Consiglio di Europa con la legge di ratifica 1° ottobre 2012, n. 172, che, come sopra rilevato, ha previsto il raddoppio del termine di prescrizione per alcune fattispecie incriminatrici comprese quelle di cui all'art. 609-bis del codice penale. Rilevato che nel caso in esame l'attuale assetto interpretativo dell'istituto della prescrizione imporrebbe l'applicazione ai fatti di reato contestati all'imputato della disciplina della prescrizione a questi piu' favorevole introdotta dall'art. 6 della legge n. 251/2005, legge che tuttavia appare in contrasto per cio' che riguarda i reati sessuali commessi in danno di minori con la decisione quadro del 2004 (confermata e rafforzata dal trattato di Lanzarote e dalla direttiva UE n. 2011/92); ed infatti, la riduzione del termine di prescrizione massima a 12 anni e sei mesi (prevista dalla citata legge 251/2005) e la decorrenza del termine prescrizionale dalla data di consumazione del reato (giusto il disposto dell'art. 158 del codice penale rimasto invariato sul punto), fa si' che molti delitti in danno di minori (ad es. quelli in danno di persone offese di eta' inferiore ai 5 anni e 6 mesi) si prescrivano prima del raggiungimento della maggiore eta' delle vittime, mentre per molti altri delitti (ad es. quelli in danno di persone offese di eta' inferiore ai 14 anni) il tempo necessario alla celebrazione del processo penale disponibile dopo il raggiungimento della maggiore eta' risulta oggettivamente esiguo e via via decrescente sino ad annullarsi del tutto; di fatto, dunque la normativa introdotta dalla legge n. 251/2005 si porrebbe in contrasto con le disposizioni della citata decisione quadro in quanto non consente di raggiungere l'obiettivo indicato dalla norma comunitaria (vale a dire rendere possibile il perseguimento dei reati sessuali in danno di minori dopo che la vittima abbia raggiunto la maggiore eta'); obiettivo che invece - stanti i piu' ampi termini di prescrizione previsti superiori ai 20 anni - e' conseguibile sia applicando la disciplina della prescrizione antecedente alla legge n. 251/2005 sia quella introdotta dalla legge n. 172/2012; Ritenuto che la disciplina in materia di prescrizione introdotta dalla legge n. 251/2005 in tema di reati sessuali in danno di minori si risolve in una violazione dei vincoli alla potesta' legislativa derivanti dall'obbligo internazionale assunto dall'Italia con la decisione quadro 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003. Considerato pertanto che l'art. 6, commi 1-4-5 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 172/2012 (la quale ha inserito il comma 6 dell'art. 157 del codice penale raddoppiando i termini di prescrizione), appare in contrasto con l'art. 11 e con l'art. 117, comma 1 della Costituzione nella parte in cui non esclude dalla sua disciplina i reati sessuali nei confronti di minori. Ritenuto che, secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 227/2010 del 24 giugno 2010, il contrasto tra normativa interna e decisioni quadro UE pur se non possa comportare la diretta disapplicazione in quanto le decisioni quadro non sono direttamente applicabili, da' tuttavia luogo, ricorrendone i presupposti, a dichiarazione di incostituzionalita' a norma dell'art. 117 Cost. Ritenuto che non sia possibile fare diretta applicazione della decisione quadro 2004/68 (disapplicando la norma censurata) in quanto tale decisione non ha carattere «autoapplicativo» non derivando dalla stessa un diritto riconosciuto al cittadino azionabile nei confronti dello Stato inadempiente. Considerato che, secondo quanto stabilito nella sentenza Corte costituzionale n. 28/2010, l'impossibilita' di disapplicare la legge interna in contrasto con una direttiva comunitaria non munita di efficacia diretta non significa tuttavia che la prima sia immune dal controllo di conformita' al diritto comunitario, che spetta alla Corte costituzionale davanti alla quale il giudice puo' sollevare questione di legittimita' costituzionale, per asserita violazione dell'art. 11 ed oggi anche dell'art. 117, primo comma Cost. (ex plurimis, sentenze n. 170 del 1984, n. 317 del 1996, n. 284 del 2007). Ritenuto che sia da escludere altresi' il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, poiche' detto rinvio non e' necessario quando il significato della norma comunitaria sia evidente, come nel caso di specie, e si impone soltanto quando occorra risolvere un dubbio interpretativo (ex plurimis, Corte di giustizia, sentenza 27 marzo 1963, in causa C-28-30/62, Da Costa; Corte costituzionale, ordinanza n. 103 del 2008). Ritenuto che non sia possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 6 della legge n. 251/2005 e della normativa interna. Ritenuta la rilevanza della dedotta questione di legittimita' costituzionale ai fini della decisione da assumere in ordine ai fatti di reato contestati all'imputato in quanto l'eventuale accoglimento della questione comporterebbe il venir meno, nella fattispecie in esame, della disciplina della legge n. 251/2005 e la conseguente applicazione della disciplina previgente e coeva ai fatti per cui si procede (con conseguente esclusione del rischio di applicazione retroattiva di norme sfavorevoli al reo) che consentirebbe di non ritenere prescritto alcuno dei fatti reato contestati e di emettere una piena pronuncia di merito (anche in relazione alle domande avanzate dalla parte civile), non ristretta negli angusti spazi indicati dall'art. 129, comma 2 del codice di procedura penale. Ritenuto infine che il procedimento penale deve essere sospeso ad ogni effetto di legge e che gli atti vadano trasmessi alla Corte costituzionale.