Ricorso della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (cod.
fiscale 80003690221), in persona del  presidente  della  regione  pro
tempore dott. Arno Kompatscher,  autorizzato  con  deliberazione  del
Consiglio  regionale  del  13  ottobre  2016,   n.   28   (doc.   1),
rappresentata e difesa, come da mandato e procura speciale a  margine
del presente ricorso, dal prof. avv. Giandomenico Falcon del Foro  di
Padova (cod. fisc. FLCGDM45C06L736E), con studio in Padova,  via  San
Gregorio Barbarigo, 4, tel. 049 660231,  fax  per  comunicazioni  049
8776503, PEC giandomenico.falcon@ordineavvocatipadova.it, e dall'avv.
Luigi Manzi del Foro  di  Roma  (cod.  fisc.  MNZLGU34E15H501Y),  con
studio   in   Roma    via    F.    Confalonieri    5,    Roma,    PEC
luigimanzi@ordineavvocatiroma.org,  con   domicilio   eletto   presso
quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, 5, fax per  comunicazioni  06
3211370; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; 
    per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 1, comma 1, lettera b); 2, comma 1, lettera c); 3, comma  1,
lettera a); e 4, comma 1, lettere a) e  b),  della  legge  12  agosto
2016, n. 164, recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243,
in materia di equilibrio dei  bilanci  delle  regioni  e  degli  enti
locali», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2016; 
    Per violazione: 
    degli articoli 4; 5; 16; 44, n. 1; 79; 83; 84; 103; 104; 107  del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670; 
    del Titolo VI del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  31
agosto 1972, n. 670; degli articoli 117, commi terzo, quinto e sesto,
e 119 della Costituzione, anche in combinato disposto con  l'art.  10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; 
    degli articoli 3, 81,  97  della  Costituzione,  art.  120  della
Costituzione, anche in combinato disposto con l'art. 10  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; art. 136 della Costituzione; 
    dell'art. 5 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1; 
    delle  norme  di  attuazione  statutaria  di   cui   al   decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare degli articoli 2, 3
e 4; al decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987,  n.
526, art. 8. 
 
                                Fatto 
 
    Nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2016 e'  stata  pubblicata
la legge 12 agosto 2016, n. 164, recante  «Modifiche  alla  legge  24
dicembre 2012, n. 243, in materia di  equilibrio  dei  bilanci  delle
regioni e degli enti locali». 
    Tale legge, approvata nel testo finale  a  maggioranza  assoluta,
interviene  sulla  legge  24   dicembre   2012,   n.   243,   recante
«Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio
ai sensi dell'art. 81, sesto comma, della Costituzione», cioe'  sulla
legge rinforzata prevista dall'art. 81, sesto comma, Cost. La novella
incide  sugli  articoli  da  9  a  12  del  Capo  IV,  dedicato  allo
«Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e  concorso
dei medesimi enti alla sostenibilita' del debito pubblico» (solo  una
disposizione della legge n. 164 del 2016 - l'art. 5 -  interviene  su
norme che non coinvolgono regioni e province autonome ed enti locali,
andando a modificare l'art. 18 della legge n. 243 del 2012,  relativo
all'Ufficio parlamentare di bilancio). 
    Per quanto qui interessa, l'art. 1, comma 1, della legge  n.  164
del 2015 modifica l'art. 9 della legge n. 243 del 2012. 
    Dopo avere  alla  lettera  a)  ridefinito  il  concetto  base  di
«bilancio in equilibrio» - individuandolo come bilancio che  presenta
un «saldo non negativo, in termini  di  competenza,  tra  le  entrate
finali e le spese finali,  come  eventualmente  modificato  ai  sensi
dell'art. 10 della legge n. 243 del 2012» (e modificando cosi' l'art.
9, comma,1, della legge n. 243) -  l'articolo,  con  la  lettera  b),
introduce un nuovo comma 1-bis nel predetto art. 9. Tale disposizione
precisa che ai fini della applicazione della  precedente  definizione
le entrate finali sono quelle «ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4  e  5
dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo  23  giugno
2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli  1,
2 e 3 del medesimo schema di bilancio»; aggiunge  poi  che  «per  gli
anni 2017-2019, con la legge di  bilancio,  compatibilmente  con  gli
obiettivi di finanza  pubblica  e  su  base  triennale,  e'  prevista
l'introduzione del fondo  pluriennale  vincolato,  di  entrata  e  di
spesa» e che «a decorrere dall'esercizio 2020, tra le  entrate  e  le
spese finali e' incluso il fondo pluriennale vincolato di  entrata  e
di spesa, finanziato dalle entrate finali». L'art. 2 della  legge  n.
164 del 2016 modifica l'art. 10 della legge  n.  243  del  2012,  che
regola il ricorso all'indebitamento da parte degli enti  territoriali
e sostituisce i commi 3, 4, 5 di tale disposizioni. 
    In particolare, il nuovo comma 5, introdotto dall'art.  2,  comma
1, lettera c) della legge  n.  164  del  2016,  stabilisce  che  «con
decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  da  adottare
d'intesa con la Conferenza unificata,  sono  disciplinati  criteri  e
modalita'  di  attuazione  del  presente  articolo,  ivi  incluse  le
modalita' attuative del potere sostitutivo dello Stato,  in  caso  di
inerzia o ritardo da parte delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Bolzano. Lo schema del decreto e' trasmesso  alle  Camere
per  l'espressione  del   parere   delle   commissioni   parlamentari
competenti per i profili di  carattere  finanziario.  I  pareri  sono
espressi entro quindici giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il
decreto puo' essere comunque adottato». 
    L'art. 3 della legge impugnata novella l'art. 11, comma 1,  della
legge n. 243 del 2012, stabilendo che «fermo restando quanto previsto
dall'art. 9, comma 5, e dall'art. 12, comma 1, lo Stato,  in  ragione
dell'andamento  del  ciclo  economico  o  al  verificarsi  di  eventi
eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli  essenziali  delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e sociali, secondo modalita' definite  con  leggi  dello  Stato,  nel
rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge»,  ed  abroga  i
commi 2 e 3 dello  stesso  art.  11.  Infine  -  per  quanto  qui  di
interesse - l'art. 4, comma 1, lettere a) e b)  sostituisce  i  primi
due commi, ed abroga il terzo comma, dell'art. 12 della legge n.  243
del 2012. 
    L'art. 12, comma 1, come novellato dispone ora che «le regioni, i
comuni, le province, le citta' metropolitane e le  province  autonome
di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del
debito  del  complesso  delle  amministrazioni   pubbliche,   secondo
modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto  dei  principi
stabiliti dalla presente legge». 
    Il nuovo comma 2 stabilisce che «fermo restando  quanto  previsto
dall'art. 9, comma 5, gli enti  di  cui  al  comma  1,  tenuto  conto
dell'andamento del ciclo economico,  concorrono  alla  riduzione  del
debito  del  complesso  delle  amministrazioni  pubbliche  attraverso
versamenti al Fondo per l'ammortamento dei titoli  di  Stato  secondo
modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto  dei  principi
stabiliti dalla presente legge». 
    La  ricorrente  Regione  autonoma  Trentino-Alto   Adige/Südtirol
ritiene che le disposizioni sopra descritte, contenute negli articoli
1, 2, 3 e 4 della legge n.  164  del  2016  siano  costituzionalmente
illegittime e lesive dell'autonomia costituzionale dell'ente sotto  i
seguenti profili e per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I. Illegittimita' costituzionale del comma 1-bis  dell'art.  9  della
legge n. 243 del 2012, introdotto dall'art. 1, comma 1,  lettera  b),
della legge n. 164 del 2016. 
    La  Regione   autonoma   Trentino-Alto   Adige/Südtirol   impugna
anzitutto il comma 1-bis dell'art. 9 della legge  n.  243  del  2012,
introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera b), della legge n.  164  del
2016. 
    Esso dispone nei termini che seguono: 
        «Ai fini dell'applicazione del comma 1  [vale  a  dire  della
definizione del bilancio in equilibrio, che si considera tale quando,
sia nella fase di previsione che di rendiconto, conseguono  un  saldo
non negativo, in termini di competenza, tra le entrate  finali  e  le
spese finali, come eventualmente modificato ai sensi  dell'art.  10],
le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3,  4  e  5
dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo  23  giugno
2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli  1,
2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, con la
legge di bilancio,  compatibilmente  con  gli  obiettivi  di  finanza
pubblica e su base triennale, e' prevista  l'introduzione  del  fondo
pluriennale  vincolato,  di  entrata  e   di   spesa.   A   decorrere
dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali e'  incluso  il
fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa,  finanziato  dalle
entrate finali». 
    La Regione censura esclusivamente  il  secondo  e  terzo  periodo
della disposizione, nella parte  in  cui  pongono  limiti  temporali,
procedurali e materiali  per  l'utilizzo  del  fondo  pluriennale  di
bilancio. Sono queste limitazioni ad essere specificamente oggetto di
contestazione. 
    Giova rammentare che il fondo pluriennale vincolato e' una  posta
di bilancio che  e'  stata  introdotta  in  esecuzione  dei  principi
statali di armonizzazione dei bilanci pubblici  dettati  dal  decreto
legislativo n. 118 del 2011. 
    Tale fondo  e'  costituito  da  risorse  gia'  accertate  e  gia'
impegnate in esercizi precedenti, ma destinate  al  finanziamento  di
obbligazioni passive dell'ente che diventeranno esigibili in esercizi
successivi  a  quello  in  cui  e'  accertata  l'entrata.  Il   fondo
pluriennale vincolato  rappresenta  dunque  un  saldo  finanziario  a
garanzia della copertura di spese imputate ad esercizi  successivi  a
quello in corso e configura lo strumento tecnico per  ricollocare  su
tali esercizi spese gia' impegnate, relativamente alle quali sussiste
un'obbligazione giuridicamente perfezionata (e quindi un  vincolo  ad
effettuare i relativi pagamenti) i  quali,  tuttavia,  giungeranno  a
scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate le  spese.  Tale
reimputazione risulta obbligatoria ai sensi del  decreto  legislativo
n. 118 del 2011. 
    Trattandosi di spese gia' impegnate su esercizi precedenti,  esse
risultano finanziariamente gia' coperte con entrate di tali esercizi.
Proprio per  questo,  le  regole  dell'armonizzazione  prevedono  che
l'operazione di reimputazione  delle  spese  sia  accompagnata  dalla
reimputazione delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari
attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni
in cui erano state impegnate le spese. 
    Con riferimento al  fondo  pluriennale  vincolato,  la  legge  28
dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016) ne aveva previsto la
considerazione limitatamente all'anno 2016 (secondo periodo  art.  1,
comma 711, secondo periodo), con conseguente esclusione per gli  anni
successivi. 
    La nuova norma consente ora anche per il  triennio  2017  -  2019
l'inclusione del fondo pluriennale vincolato ai fini  dell'equilibrio
di bilancio, subordinando  pero'  questa  eventualita'  a  successive
previsioni della  legge  di  bilancio,  e  dunque  ad  una  decisione
unilaterale dello Stato, e comunque alla sua compatibilita'  con  gli
obiettivi di finanza pubblica.  A  partire  dall'esercizio  2020,  la
norma impugnata consente l'inclusione di tale fondo tra le entrate  e
le spese finali a decorrere dall'esercizio 2020, ma solo nella  parte
in cui il fondo e' finanziato con le entrate finali. 
    Tali  limitazioni  si   traducono   nel   condizionamento   della
possibilita' di utilizzare i  fondi  gia'  destinati  negli  esercizi
precedenti al finanziamento delle  spese  gia'  programmate,  e  cio'
determina la necessita' che per la copertura di  tali  spese  debbano
essere utilizzate nuove entrate dell'anno sul quale vengono sostenute
le spese, nuove entrate  che  diversamente  avrebbero  potuto  essere
impiegate per nuovi interventi. 
    Le limitazioni di questo meccanismo a partire dal 2017 - che,  si
noti  bene,  e'  stato  introdotto  in   esecuzione   di   norme   di
armonizzazione  statali  (decreto  legislativo  n.  118   del   2011)
-determinano un congelamento delle risorse pur  disponibili,  la  cui
utilizzazione  era  gia'  stata  programmata,  al  di   fuori   delle
limitazioni imposte dalla  regola  del  saldo  non  negativo  di  cui
all'art. 9 della legge n. 243 del 2012. 
    Tale previsione comporta, in primo luogo, una  limitazione  della
autonomia finanziaria della Regione sul versante  della  spesa.  Tale
principio e' immanente nello statuto di autonomia, dal momento che le
risorse di cui agli articoli 69 ss. sono assegnate alla  regione  per
far  fronte  alle  funzioni  ad  essa  assegnata,  e  le  limitazioni
possibili sono esaustivamente disciplinate all'art. 79. In ogni caso,
l'autonomia sul  versante  della  spesa  e'  espressamente  enunciato
dall'art. 119, primo comma, Cost., disposizione che e'  qui  invocata
in combinazione con l'art. 10 della legge  costituzionale  n.  3  del
2001, se piu' favorevole. 
    La  norma   non   puo'   essere   giustificata   dalle   esigenze
dell'equilibrio di bilancio. Infatti, per  quanto  il  medesimo  art.
119, primo comma, Cost. faccia salvo «il rispetto dell'equilibrio dei
relativi bilanci» e impegni le regioni a  concorrere  «ad  assicurare
l'osservanza   dei   vincoli   economici   e   finanziari   derivanti
dall'ordinamento dell'Unione europea», trattasi  di  valori  che  non
sono messi a rischio dall'utilizzo delle proprie risorse  programmate
per spese pluriennali. 
    Anzi, e' proprio la previsione di  un  ostacolo  per  la  regione
nell'utilizzare un fondo appositamente  programmato  per  spese  gia'
impegnate e che diventeranno esigibili negli esercizi  successivi,  a
determinare un rischio per l'equilibrio del bilancio,  giacche'  tale
ostacolo comporta la necessita' di trovare aliunde una copertura  per
tali  spese,  che  corrispondono   ad   obbligazioni   giuridicamente
vincolanti gia' assunte. 
    Sotto tale profilo risulta  poi  violato  il  principio  di  buon
andamento dell'amministrazione di cui art. 97, comma secondo,  Cost.,
in quanto risulta cosi' preclusa la realizzazione  dei  programmi  di
investimento per la cui realizzazione i fondi  sono  accantonati  nel
fondo vincolato  di  entrata  -  nella  misura  in  cui  non  dovesse
risultare  agevole  rinvenire,  anno  per  anno,   l'idonea   (nuova)
copertura per  le  obbligazioni  gia'  assunte.  Unitamente,  risulta
violato anche il principio di ragionevolezza,  fondato  sull'art.  3,
comma primo, Cost.: non si intende, infatti, come la  Regione  -  che
pure  dispone  delle  risorse  necessarie  al  finanziamento  di   un
investimento pluriennale - possa avere la certezza di poterlo onorare
negli anni successivi, se non puo' contare sulle somme  appositamente
accantonate. Ne', in tal caso, come si possa sensatamente  immaginare
che la regione possa in definitiva essere indotta ex lege a  rendersi
inadempiente  a  fronte  di  obbligazioni  legittimamente  assunte  e
(originariamente) dotate di piena copertura finanziaria. Palese e' la
ridondanza  di   tale   violazione   sull'esercizio   di   competenze
costituzionalmente riservate alla regione. Si richiamano, a titolo di
esempio, le funzioni legislative ed  amministrative  che  normalmente
richiedono l'adozione di programmi di spesa, quali, tra le competenze
primarie  (art.  4,  nn.  1,  4,  6,  10,   e   per   le   competenze
amministrative, art. 16 dello statuto)  il  personale  regionale,  le
espropriazioni per pubblica utilita' non riguardanti opere  a  carico
prevalente e diretto dello Stato o materie di competenza provinciale,
i servizi antincendi, i contributi di miglioria in relazione ad opere
pubbliche eseguite dagli altri enti pubblici compresi nell'ambito del
territorio regionale, e tra le  competenze  integrative,  ex  art.  6
dello statuto, la previdenza e le assicurazioni sociali. 
    Ad avviso della regione tali limitazioni alla computabilita'  del
fondo  pluriennale  vincolato  rimarrebbero  incostituzionali   anche
nell'ipotesi che esse dovessero ritenersi  funzionali  e  strumentali
alla sostenibilita' del debito pubblico:  cio'  sia  sulla  base  dei
parametri costituzionali  generali,  sia  in  ragione  di  pertinenti
parametri statutari. 
    Con riferimento  al  parametro  costituzionale,  sarebbe  violato
anzitutto il principio di cui all'art. 5, comma 2, lettera c),  della
legge costituzionale n. 1 del 2012, che vuole appositamente  regolate
le  modalita'  con  cui  gli  enti   territoriali   concorrono   alla
sostenibilita'   del   debito   del   complesso    delle    pubbliche
amministrazioni. 
    Si osserva che l'effetto indiretto  di  una  regola  contabile  -
anche se e' voluto - non e' certo un modo in cui il predetto concorso
e' regolato. 
    Inoltre  sarebbe  lesi  il  principio  di  ragionevolezza  ed  il
principio di eguaglianza, considerato che  tale  contributo  verrebbe
automaticamente generato dalla applicazione di una  regola  contabile
che e' dettata a tutt'altri fini  e  non  sulla  base  di  una  reale
«capacita' contributiva» dell'ente; la presenza e la  dimensione  del
fondo pluriennale vincolato  e'  il  risultato  della  programmazione
della spesa e non della presenza di avanzi strutturali di bilancio. 
    Poiche' l'introduzione del fondo pluriennale vincolato e' imposta
dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza  pubblica,
la  sua  strumentalizzazione  ad  altri  fini  e'  lesiva  anche  del
principio costituzionale di leale collaborazione. Infatti, la Regione
autonoma, con l'accordo dell'ottobre  2014  con  lo  Stato,  recepito
dall'art. 1, comma 407, della legge 23 dicembre 2014, n. 190,  si  e'
impegnata a recepire con rinvio  formale  recettizio,  la  disciplina
statale  in  materia  di  bilanci  (cosi'  recita  l'art.  79,  comma
4-octies: «la regione e le  province  si  obbligano  a  recepire  con
propria legge da emanare entro il 31 dicembre 2014,  mediante  rinvio
formale recettizio, le disposizioni in materia di armonizzazione  dei
sistemi contabili e degli schemi di  bilancio  delle  regioni,  degli
enti locali e dei loro organismi, previste dal decreto legislativo 23
giugno  2011,  n.  118,  nonche'  gli  eventuali  atti  successivi  e
presupposti, in modo da consentire  l'operativita'  e  l'applicazione
delle predette disposizioni nei termini indicati dal  citato  decreto
legislativo n. 118 del 2011  per  le  regioni  a  statuto  ordinario,
posticipati  di-  un  anno,  subordinatamente  all'emanazione  di  un
provvedimento  statale  volto  a  disciplinare  gli  accertamenti  di
entrata relativi a devoluzioni di tributi erariali e la  possibilita'
di dare copertura agli investimenti con l'utilizzo del saldo positivo
di competenza tra le entrate correnti e le spese  correnti»).  Ma  lo
Stato, con lo stesso  accordo  e  con  la  stessa  legge  che  lo  ha
recepito, ha regolato in modo esaustivo il  contributo  alla  finanza
pubblica a carico della  Regione  Trentino-Alto  Adige  e  delle  due
Province  autonome;  ne  deriva  che  la  pretesa  dello   Stato   di
utilizzare, ora, la regola contabile per ottenere  un  risultato  che
gli e' precluso dagli impegni  che  esso  stesso  ha  assunto  e'  in
violazione della lealta' anche negoziale. 
    Con cio' si viene al  parametro  statutario.  Va  fin  da  subito
osservato - rinviando  per  ulteriore  argomentazione  al  successivo
punto IV del presente ricorso - che il vigente art. 79 dello  statuto
speciale e' stato novellato dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge
costituzionale n. 1 del 2012 e dopo l'entrata in vigore  anche  della
legge n. 243 del 2012, che ne ha attuato i principi, visto  che  esso
e' stato introdotto dalla legge 23 dicembre  2014,  n.  190,  con  la
procedura prevista dall'art. 104 della statuto  speciale.  Ora,  tale
parametro tiene specificamente conto della disciplina sull'equilibrio
di bilancio ed  elenca  specificamente  i  modi  in  cui  il  sistema
territoriale regionale integrato, «costituito  dalla  regione,  dalle
province e dagli enti di cui  al  comma  3,  concorre,  nel  rispetto
dell'equilibrio dei relativi bilanci ai sensi della legge 24 dicembre
2012, n 243, al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, di
perequazione e di solidarieta' e  all'esercizio  dei  diritti  e  dei
doveri dagli stessi derivanti,  nonche'  all'osservanza  dei  vincoli
economici  e  finanziari   derivanti   dall'ordinamento   dell'Unione
europea» (comma 1),  dichiarando  che  tali  misure  «possono  essere
modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'art.  104  e
fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli
obiettivi di finanza  pubblica  di  cui  al  comma  1»  (comma  2)  e
specificando che «nei confronti della  regione  e  delle  province  e
degli enti appartenenti al sistema territoriale  regionale  integrato
non sono applicabili disposizioni  statali  che  prevedono  obblighi,
oneri,  accantonamenti,  riserve  all'erario  o   concorsi   comunque
denominati, ivi inclusi  quelli  afferenti  il  patto  di  stabilita'
interno, diversi da quelli previsti dal presente titolo». 
    E' palese il contrasto della disposizione  censurata  rispetto  a
tale parametro. 
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1,  lettera  c),
della legge n. 164 del 2016 (Modifiche all'art.  10  della  legge  24
dicembre 2012, n. 243), nella parte in cui esso, nel  nuovo  comma  5
dell'art. 10 della legge n. 243 del 2012, demanda ad un  decreto  del
Presidente del Consiglio il compito di dettare «criteri  e  modalita'
attuative» dello stesso articolo, nonche'  di  dettare  le  modalita'
attuative del potere sostitutivo dello Stato. 
    L'art. 2 della legge n. 164 del 2016 introduce, come  preannuncia
il suo titolo, modifiche all'art. 10 della legge 24 dicembre 2012, n.
243, che a sua volta disciplina il ricorso all'indebitamento da parte
delle regioni e degli enti locali. 
    In particolare costituisce qui oggetto specifico di  impugnazione
la lettera c) del comma 1, che cosi' dispone: 
      c) il comma 5 e' sostituito dal seguente: 
    «5. Con decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  da
adottare d'intesa con  la  Conferenza  unificata,  sono  disciplinati
criteri e modalita' di attuazione del presente articolo, ivi  incluse
le modalita' attuative del potere sostitutivo dello Stato, in caso di
inerzia o ritardo da parte delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Bolzano. Lo schema del decreto e' trasmesso  alle  Camere
per  l'espressione  del   parere   delle   commissioni   parlamentari
competenti per i profili di  carattere  finanziario.  I  pareri  sono
espressi entro quindici giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il
decreto puo' essere comunque adottato». 
    Il precedente comma 5, ora sostituito, era stato impugnato  dalla
Provincia autonoma di Trento ed era stato oggetto di una pronuncia di
illegittimita' costituzionale di tipo additivo, con  la  sentenza  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 88 del 2014. 
    Per  valutare  l'oggetto   e   la   fondatezza   della   presente
impugnazione, va  premesso  che  il  testo  originario  del  comma  5
prevedeva che «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
adottato d'intesa con la Conferenza permanente per  il  coordinamento
della finanza pubblica, sono  disciplinati  criteri  e  modalita'  di
attuazione del presente articolo». Di fronte all'impugnazione codesta
Corte  costituzionale,  nella  citata  sentenza,  ha  preliminarmente
verificato l'oggetto e il carattere del potere conferito al  decreto.
Dato  che  il  compito  attuativo  era  esteso   (come   anche   ora)
all'individuazione delle modalita' di attuazione dell'intero art. 10,
la Corte costituzionale ne ha preso in esame i singoli commi.  Alcuni
sono risultati autoapplicativi (e quindi non comportanti attuazione),
altri riferiti ad ambiti di competenza  statale,  e  dunque  tali  da
consentire il legittimo esercizio della potesta' regolamentare. 
    Tuttavia, con riferimento all'originario comma 4,  relativo  alla
ripartizione  del  saldo   negativo   tra   gli   enti   territoriali
inadempienti,   prevista   per   il   caso   di   mancato    rispetto
dell'equilibrio del bilancio regionale allargato, il potere conferito
avrebbe  potuto  intendersi   come   esteso   anche   a   specificare
discrezionalmente i criteri di riparto, e dunque ad  aspetti  tecnici
non solo tecnici. 
    In questo complessivo contesto la sentenza  n.  88  del  2014  ha
dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  del
comma 5 nella parte in cui non prevedeva la parola «tecnica», dopo le
parole «criteri e modalita' di attuazione» e prima delle parole  «del
presente  articolo».  Le  disposizioni  che  la  fonte  regolamentare
statale avrebbe  potuto  legittimamente  emanare  -  secondo  codesta
ecc.ma Corte - avrebbero dunque dovuto  essere  esclusivamente  norme
tecniche. 
    La nuova disciplina della legge n. 164 del 2016, che riscrive  il
comma 5, prevede anch'essa un decreto del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, sempre rivolto a disciplinare «criteri e  modalita'  di
attuazione  del  presente  articolo»,  senza  affatto  prevederne  il
carattere tecnico, imposto dalla sentenza  di  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale.  Essa  prevede   invece   il   coinvolgimento   della
Conferenza Unificata  per  l'espressione  dell'intesa,  in  luogo  di
quello della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica, e inoltre introduce un nuovo oggetto del decreto,  che  ora
e' rivolto anche a dettare la disciplina  delle  modalita'  attuative
del potere sostitutivo statale. 
    E' dunque di tale nuova regolazione che occorre  in  primo  luogo
valutare se, a causa  della  soppressione  del  necessario  carattere
tecnico del  contenuto  del  decreto  permanga  il  vizio  precedente
rilevato (con in piu' la violazione del giudicato costituzionale). 
    In secondo luogo si valutera' se l'estensione  dell'oggetto  alla
disciplina del potere  sostitutivo  costituisca  un  nuovo  vizio  di
illegittimita' costituzionale. 
a) Illegittimita' costituzionale  dell'omissione  della  precisazione
del carattere meramente tecnico del potere attuativo conferito. 
    Quanto al primo punto (permanenza della necessita'  di  precisare
il carattere meramente tecnico del potere conferito al decreto),  nel
condurre l'esame, va considerato che l'art. 2 della legge n. 164  del
2016 non si e' limitata a riscrivere il  comma  5,  ma  ha  riscritto
anche  i  commi  3  e  4:  anch'essi  vanno  quindi  esaminati,   per
verificare, secondo il criterio gia' seguito dalla sentenza n. 88 del
2014, se essi istituiscano un potere di per  se'  discrezionale,  che
richiede  dunque  di  essere  delimitato  per  essere  legittimamente
esercitato da parte del potere esecutivo. 
    Il comma 3 stabilisce - in modo simile al precedente testo -  che
«le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le operazioni  di
investimento  realizzate  attraverso  l'utilizzo  dei  risultati   di
amministrazione degli esercizi precedenti sono effettuate sulla  base
di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per
l'anno di riferimento, il rispetto del saldo di cui all'art. 9, comma
1, del complesso degli enti territoriali della  regione  interessata,
compresa la medesima regione». In questi termini, la  norma  potrebbe
sembrare autoapplicativa e non richiedente attuazione.  Tuttavia,  va
considerato che e' stato  soppresso  il  secondo  periodo  che  prima
proseguiva nel seguente modo: «A tal fine, ogni  anno  i  comuni,  le
province  e  le  citta'  metropolitane  comunicano  alla  regione  di
appartenenza ovvero alla provincia autonoma di appartenenza,  secondo
modalita' stabilite con il decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri di cui al comma 5 del presente articolo, il saldo  di  cassa
di cui all'art. 9, comma 1, lettera a), che l'ente locale prevede  di
conseguire,  nonche'  gli   investimenti   che   intende   realizzare
attraverso  il  ricorso  all'indebitamento  o  con  i  risultati   di
amministrazione degli esercizi precedenti. Ciascun ente  territoriale
puo' in ogni caso ricorrere all'indebitamento nel limite delle  spese
per  rimborsi  di  prestiti  risultanti  dal  proprio   bilancio   di
previsione». 
    La sentenza n. 88 del 2014 aveva  ritenuto  legittimo  il  potere
attuativo collegato alla  disposizione  dell'originario  comma  3  in
quanto essa, descrivendo puntualmente la  fattispecie,  assegnava  al
decreto «solo il compito di stabilire le modalita'  di  comunicazione
del saldo di cassa e degli investimenti che  s'intendono  realizzare,
con la conseguenza che l'ambito in cui esso e' chiamato a muoversi e'
quello del  coordinamento  informativo  e  statistico  di  competenza
esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettera r, Cost.)». Ora  la
soppressione del precedente  secondo  periodo  del  comma  3  estende
l'oggetto del decreto, in relazione alle operazioni di  indebitamento
e di investimento, ad un compito  attuativo  ampio  e  indeterminato,
rendendo  necessaria,  dunque,  la  precisazione  del  suo  carattere
tecnico, che invece appare illegittimamente assente. 
    A sua volta, il nuovo comma  4  prevede  che  «le  operazioni  di
indebitamento di cui al comma  2  e  le  operazioni  di  investimento
realizzate attraverso l'utilizzo  dei  risultati  di  amministrazione
degli esercizi precedenti, non soddisfatte dalle  intese  di  cui  al
comma 3,  sono  effettuate  sulla  base  dei  patti  di  solidarieta'
nazionali. Resta fermo il rispetto del saldo di cui all'art. 9, comma
1, del complesso degli enti territoriali». Non e'  invece  riprodotto
quanto previsto nel previgente comma 4, in  relazione  al  quale  era
stata resa la pronuncia della Corte, a termini del quale «qualora, in
sede di rendiconto, non sia rispettato l'equilibrio di cui  al  comma
3, primo periodo, il  saldo  negativo  concorre  alla  determinazione
dell'equilibrio della gestione di cassa finale  dell'anno  successivo
del complesso degli  enti  della  regione  interessata,  compresa  la
medesima regione,  ed  e'  ripartito  tra  gli  enti  che  non  hanno
rispettato il saldo previsto». 
    Tuttavia,  l'ipotesi  considerata  dal  precedente  comma  4   in
astratto esiste ancora, e quindi potra' essere oggetto  del  generale
potere attuativo attribuito al  decreto.  Inoltre,  dal  testo  della
disposizione ora introdotta non risulta  chiaro,  in  relazione  alla
Regione autonoma Trentino-Alto  Adige  /  Südtirol,  tra  quali  enti
dovrebbero  essere  stipulati  i  patti  di  solidarieta'  nazionali,
destinati a soddisfare operazioni non definite dalle intese in ambito
regionale, e che cosa dovrebbero contenere. 
    Ne consegue che, sia in relazione al comma 3 che in relazione  al
comma 4, la norma attualmente vigente del comma 5 dell'art. 10  della
legge n. 243 del 2012, come sostituito dall'art. 2, comma 1,  lettera
c), della legge n. 164 del  2016,  appare  ancora  viziata,  in  modo
analogo alla precedente gia' dichiarata illegittima,  in  quanto  non
limita alla  mera  attuazione  tecnica  la  portata  dispositiva  del
decreto. 
    Del resto, il  carattere  discrezionale  e  politico  del  potere
conferito e' testimoniato ulteriormente  dalla  circostanza  che  ora
esso include addirittura la definizione  delle  «modalita'  attuative
del potere sostitutivo  dello  Stato»,  ad  avviso  della  ricorrente
Provincia con ulteriore illegittimita', come precisato di seguito. 
    Ora, rinviando ad un generale decreto attuativo la disciplina  di
aspetti non meramente tecnici,  ma  incidenti  nella  sostanza  della
disciplina della «facolta' dei comuni, delle province,  delle  citta'
metropolitane, delle regioni e delle Province autonome di Trento e di
Bolzano di ricorrere all'indebitamento, ai sensi dell'art. 119, sesto
comma, secondo periodo, della Costituzione», mediante l'esercizio  di
un potere «tanto  di  natura  meramente  tecnica,  quanto  di  natura
discrezionale» (secondo le parole della  sentenza  n.  88  del  2014,
punto 8.1 in diritto), la disposizione impugnata viola in primo luogo
art. 5, comma 2, lettera b), della  legge  costituzionale  n.  1  del
2012, che (anche a  tutela  delle  autonomie  regionali)  demanda  la
regolazione di tale materia ad  una  legge  approvata  a  maggioranza
assoluta  dei  componenti   di   ciascuna   Camera,   escludendo   la
possibilita' di un intervento normativo statale con fonte  secondaria
di natura regolamentare, se non per  meri  contenuti  tecnici,  cosi'
come affermato nella sentenza appena ricordata. 
    Inoltre, in quanto ripristina sostanzialmente una norma di  legge
gia' dichiarata illegittima dalla Corte  costituzionale,  essa  viola
anche il giudicato costituzionale, in contraddizione con  l'art.  136
della Costituzione. 
    Si noti che la lamentata violazione non viene meno per  il  fatto
che, a seguito della modifica introdotta,  il  decreto  in  questione
prevede ora l'intesa con la Conferenza Unificata, e non piu'  con  la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. 
    Tale modifica costituisce  ulteriore  conferma  della  natura  di
regolazione politica, e non tecnica, del potere  cosi'  conferito  al
decreto attuativo, ma non rimuove certo il  vizio  consistente  nella
sostituzione della fonte prevista dalla legge costituzionale n. 1 del
2012 con altra fonte, neppure di  rango  legislativo.  Cio'  varrebbe
anche  se  l'intesa  fosse  del   tutto   necessaria   -   cosa   che
apparentemente non e', valendo le consuete regole di  sostituibilita'
previste dall'art. 3 del decreto legislativo n.  281  del  1997  -  e
neppure ove  l'intesa  riguardasse  le  singole  Regioni  e  Province
autonome, non potendo il consenso delle parti interessate  sostituire
il rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale. 
    In quanto non coperto ne' autorizzato da alcuna previsione  della
legge costituzionale n. 1 del 2012, il conferimento  di  un  generale
potere attuativo al decreto del Presidente del Consiglio viola  anche
le ordinarie regole statutarie e costituzionali sul rapporto  tra  le
fonti statali e la specifica autonomia  delle  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano e della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. 
    Sul piano generale, e' violato l'art.  117,  sesto  comma,  della
Costituzione  (operante  per  la  ricorrente  Provincia   in   forza,
dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3),  che
limita la potesta' regolamentare dello Stato  alla  disciplina  delle
materie di competenza esclusiva di cui all'art. 117, comma secondo. 
    Risulta poi evidentemente violata l'autonomia  finanziaria  della
ricorrente Regione, tutelata dal Titolo VI dello statuto speciale. La
violazione rileverebbe sia direttamente in relazione alla  disciplina
dell'indebitamento della stessa Regione, sia in  relazione  a  quello
dei comuni e degli enti locali provinciali. 
    Per quanto riguarda l'indebitamento della Regione,  gli  articoli
74 e 79 dello Statuto non prevedono altri limiti che quelli  da  essi
determinati,   anche   con   espresso   riferimento    a    «rispetto
dell'equilibrio dei relativi bilanci ai sensi della legge 24 dicembre
2012, n. 243» (art. 79, comma 1). Essi evidentemente  ostano  ad  una
disciplina regolamentare statale, che sarebbe in  contraddizione  con
le regole di base sui rapporti tra fonti statali e fonti regionali  e
provinciali, quali  stabiliti  dagli  articoli  2  e  4  del  decreto
legislativo 16  marzo  1992,  n.  266,  che  limitano  il  dovere  di
adeguamento  della  Regione  e  delle  Province  autonome  alla  sola
legislazione e non alle fonti secondarie, e che persino per gli  atti
di indirizzo e di coordinamento impongono un  coinvolgimento  diretto
della  Regione  e  delle  Province  autonome  (art.  3  del   decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266),  per  quanto  attiene  alla  loro
compatibilita' con  lo  Statuto  speciale  e  le  relative  norme  di
attuazione. 
    Per  quanto  attiene  all'indebitamento  degli  enti  locali  del
territorio regionale, la disciplina regolamentare statale contraddice
altresi',   in   particolare,   la   generale    titolarita'    della
responsabilita' finanziaria,  posta  in  capo  alla  Regione  e  alle
Province autonome dall'art. 79, comma 4. 
    Puo' dunque concludersi che anche la nuova versione del  comma  5
dell'art. 10 della legge n. 243 del 2012, introdotta dalla  legge  n.
164 del 2016, e' costituzionalmente illegittima nella  parte  in  cui
non limita a norme di carattere tecnico il potere attuativo conferito
al decreto del Presidente del Consiglio. 
b) Ulteriore profilo di illegittimita'  costituzionale  in  relazione
all'estensione del potere attuativo alla disciplina  delle  modalita'
del potere sostitutivo. 
    Va ora considerata la nuova disposizione del comma 5 dell'art. 10
con riferimento alle  «modalita'  attuative  del  potere  sostitutivo
dello Stato, in caso di inerzia o ritardo da parte  delle  regioni  e
delle province autonome di Trento e di Bolzano». 
    Ad  avviso  della  ricorrente  Provincia,  tale  disposizione  e'
anch'essa gravemente illegittima. 
    In primo luogo,  va  notato  che  mentre  in  essa  di  parla  di
«modalita' attuative» del potere sostitutivo, la  stessa  fattispecie
cui si collega il potere  sostitutivo  (le  cui  modalita'  attuative
dovrebbero essere appunto precisate dal decreto) non ha  nelle  fonti
di rango costituzionale o primario alcuna disciplina specifica. 
    In particolare, non vi e' alcuna allusione al potere  sostitutivo
statale nella legge costituzionale n.  1  del  2012  ne',  fino  alla
presente  disposizione  della  legge  n.  164  del  2016,  in  alcuna
disposizione della legge n. 243 del 2012. Ne' se ne parla  in  alcuna
altra parte della stessa legge n. 164 del 2016. 
    In  altre   parole,   per   quanto   riguarda   la   problematica
dell'indebitamento, non vi e' alcuna specifica fattispecie alla quale
agganciare  presunte  «modalita'  attuative»  del  potere.  Ne'  puo'
costituire fattispecie il cenno alla «inerzia  o  ritardo»  da  parte
delle Regioni, trattandosi di mere  indicazioni  del  presupposto  di
qualunque potere sostitutivo, in relazione a  qualunque  fattispecie.
In questi termini,  la  disposizione  impugnata  sembra  delegare  al
decreto attuativo la stessa costruzione della fattispecie, alla quale
il potere sostitutivo dovrebbe collegarsi. 
    In mancanza di qualunque copertura nella legge costituzionale  n.
1 del 2012 (e dunque in violazione anche di essa)  -  cosi'  come  in
qualsivoglia altra fonte di normazione primaria - risulta evidente la
violazione in primo luogo dell'art. 120, secondo comma, Cost., sia in
riferimento all'evidente assenza del riferimento ad  una  fattispecie
che ne possa  integrare  i  presupposti,  sia  con  riferimento  alla
sostituzione delle necessarie procedure legislative con il rinvio  ad
un mero decreto attuativo del Presidente del Consiglio. 
    Se pure si volesse fare riferimento all'art. 117,  quinto  comma,
della Costituzione, varrebbero le stesse censure  di  illegittimita',
per la medesima assenza dei presupposti e delle procedure legislative
da esso richieste. 
    Del resto, anche se pure  si  trattasse  «solo»  delle  modalita'
attuative, risulta evidente che e' del tutto illegittimo affidare  ad
un regolamento del potere esecutivo la  disciplina  di  delicatissimi
aspetti dello svolgimento dei rapporti  di  competenza  tra  Stato  e
Regioni, per le stesse ragioni gia' sopra esposte nel punto a. 
    Inoltre,  il  conferimento  ad  un  atto  normativo  del   potere
esecutivo della definizione di un  potere  sostitutivo  e  delle  sue
modalita' di esercizio viola le predette disposizioni  costituzionali
e gli stessi principi costituzionali generali in materia,  a  partire
dall'art. 117, comma  sesto,  per  continuare  con  il  principio  di
legalita' sostanziale, sino ad arrivare alla violazione dello  stesso
art. 3 della Costituzione, sotto il profilo  della  ragionevolezza  e
del divieto di arbitrarieta' e della certezza del diritto. 
    Sul piano statutario, risultano  ancora  violati  i  principi  di
autonomia legislativa, amministrativa  e  finanziaria,  in  relazione
alle disposizioni che  ne  costituiscono  il  rispettivo  fondamento:
articoli  4,  5  e  6  per  le  potesta'  legislative,  art.  16  con
riferimento all'autonomia amministrativa, Titolo VI in relazione alle
materie    dell'organizzazione,    del    bilancio,    dell'esercizio
dell'autonomia finanziaria e della finanza  locale.  Sembra  evidente
anche la violazione delle norme di attuazione, in  particolare  degli
articoli 2 e 4 del gia' ricordato  decreto  legislativo  n.  266  del
1992, che escludono la soggezione della Regione ad atti regolamentari
dello Stato nella disciplina delle proprie materie. 
    Inoltre,  anche  se  la  disposizione  fosse  considerata   quale
principio  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  risulterebbe
violato l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, che  impone  che
tali principi siano espressi con norme di legge, nonche' l'art.  117,
sesto comma, della Costituzione (in combinato disposto con l'art.  10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.  3),  che  limita  il
potere regolamentare alle materie di competenza statale  esclusiva  e
attribuisce corrispondentemente alle regioni il potere  regolamentare
nelle materie in cui esse hanno potesta' legislativa. 
    Si  aggiunga  soltanto  che,  non  essendo  immaginabile  che  la
regolazione del potere sostitutivo avvenga con «norme  tecniche»,  la
disposizione appare incostituzionale nella sua interezza, e in questo
senso deve dunque essere intesa, per questa parte, la  domanda  posta
con il presente ricorso. 
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera  a),
nella parte in cui, introducendo il nuovo comma 1 dell'art. 11  della
legge n. 243 del 2012,  demanda  alla  semplice  legge  ordinaria  la
disciplina delle modalita' del concorso dello Stato al  finanziamento
dei  livelli  essenziali   delle   prestazioni   e   delle   funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. 
    L'art. 3, comma 1, lettera a),  della  legge  n.  164  del  2012,
sostituisce l'art. 11, comma 1, della legge n. 243 del 2012. 
    La disposizione sancisce che: 
        «All'art. 11 della legge  24  dicembre  2012,  n.  243,  sono
apportate le seguenti modificazioni: 
          a) il comma 1 e' sostituito dal seguente: 
          "1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 9, comma 5,  e
dall'art. 12, comma 1, lo Stato, in ragione dell'andamento del  ciclo
economico  o  al  verificarsi  di  eventi  eccezionali,  concorre  al
finanziamento  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  e  delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e  sociali,  secondo
modalita' definite con leggi dello Stato, nel rispetto  dei  principi
stabiliti dalla presente legge"». 
    La lettera b) del medesimo art. 3, comma 1, abroga i commi 2 e  3
dell'art. 11  della  legge  n.  243  del  2012,  che  precedentemente
disciplinavano la materia. 
    La contestazione riguarda il rinvio  di  ogni  vera  regola  alle
«modalita'  definite  con  leggi  dello  Stato»,  violando  cosi'  la
competenza della legge rinforzata. 
    Occorre ricordare che l'art. 5, comma 1, lettera g)  della  legge
costituzionale n. 1  del  2012,  stabilisce  che  «la  legge  di  cui
all'art.  81,  sesto  comma,  della  Costituzione,  come   sostituito
dall'art. 1 della presente legge costituzionale, disciplina,  per  il
complesso delle pubbliche amministrazioni, in particolare:  ...g)  le
modalita' attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del  ciclo
economico o al verificarsi  degli  eventi  eccezionali  di  cui  alla
lettera d) del presente comma, anche in  deroga  all'art.  119  della
Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli
altri livelli di Governo, dei livelli essenziali delle prestazioni  e
delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali». 
    La disposizione impugnata si pone in diretto conflitto con quanto
previsto dalla  legge  costituzionale,  perche'  sposta  dalla  legge
rinforzata alla legge  ordinaria  la  competenza  a  disciplinare  il
concorso dello Stato al finanziamento dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e  sociale  in  ragione  dell'andamento  del  ciclo  economico  o  al
verificarsi di eventi eccezionali. 
    Tale modifica e' ancor piu' illegittima se si considera  poi  che
il rinvio alla legge ordinaria e' un rinvio in bianco,  visto  che  i
commi 1, 2 e 3 dell'art. 11, nei quali era originariamente  contenuta
una compiuta disciplina che  regolava  sia  sostanzialmente  sia  nel
procedimento il concorso dello Stato  al  finanziamento  dei  livelli
essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo
o in presenza di eventi eccezionali,  sono  contestualmente  abrogati
dallo stesso art. 3, comma 1, lettere a) e  b)  [l'impugnata  lettera
a), come si e' detto, sostituisce il comma 1, mentre  la  lettera  b)
abroga seccamente i commi 2 e  3].  La  menzione  del  «rispetto  dei
principi stabiliti dalla presente legge»  diventa  dunque  una  vuota
formula verbale, visto  che  la  legge  rinforzata  non  detta  alcun
principio in ordine al concorso statale al finanziamento dei  livelli
essenziali nelle fasi avverse o  in  presenza  di  eventi  eccezioni,
essendo stati abrogate tutte le norme sul punto in essa contenute. 
    E' evidente che  la  violazione  ha  carattere  sostanziale,  dal
momento che la legge costituzionale ha voluto affidare la  disciplina
di questo delicatissimo aspetto  ad  una  fonte  che,  attraverso  il
rinforzo delle regole di  approvazione,  esprimesse  una  piu'  ampia
condivisione della scelta e una maggiore stabilita' delle regole. 
    Inoltre,  la  violazione  denunciata  ridonda   sulla   autonomia
costituzionalmente  garantita  alla  Regione  ricorrente  sotto  piu'
profili. 
    Anzitutto, la piu' ampia condivisione della scelta e la  maggiore
stabilita' delle regole, frutto dell'aggravamento, sono  poste  anche
nell'interesse degli enti destinatari delle  regole  in  questione  e
dunque anche della Regione autonoma. Sicura e' poi l'interferenza con
le competenze costituzionalmente attribuite alla ricorrente e  quindi
la ridondanza del vizio sulla autonomia finanziaria,  legislativa  ed
amministrativa della Regione. 
    Si consideri che la disposizione riguarda  il  finanziamento  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali e le funzioni fondamentali degli enti territoriali relative a
tali  diritti,  e  dunque  incide  su  molteplici  competenze   della
ricorrente Regione. A titolo di esempio si  ricordano  le  competenze
concorrenti in materia  di  istituzioni  pubbliche  di  assistenza  e
beneficenza (art. 5, n. 2 dello  statuto)  e  quelle  integrative  in
materia di previdenza  e  le  assicurazioni  sociali  (art.  6  dello
statuto) e le corrispondenti funzioni amministrative  intestate  alla
Regione dall'art. 16 dello statuto.  Con  riferimento  alle  funzioni
fondamentali degli enti territoriali va rammentato che  l'ordinamento
dei comuni e' di competenza legislativa primaria, ai sensi  dell'art.
4, n. 2) dello statuto. 
    La norma impugnata - che autorizza la legge ordinaria a prevedere
una sorta di  finanziamento  vincolato  -  interferisce  poi  con  la
regolazione dei rapporti finanziari tra  la  Regione  autonoma  e  lo
Stato, ed e' censurata anche per violazione dell'art.  79,  comma  1,
lettera a), nonche' dell'art. 104, primo comma,  dello  statuito  che
prevede una procedura negoziata  per  la  modifica  delle  norme  del
Titolo VI dello statuto e in generale per la  lesione  del  principio
dell'accordo in materia di  rapporti  finanziaria,  ricavabile  dalla
norma da ultimo citata, dall'art. 107 dello statuto (sulle  norme  di
attuazione negoziate) e dell'art. 27 della legge n. 42 del 2009. 
IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1,  lettera  a),
della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, sostituendo il comma
e 1 dell'art. 12 della legge n. 243 del 2012, demanda  alla  semplice
legge ordinaria la disciplina delle modalita' con cui le  regioni,  i
comuni, le province, le citta' metropolitane e le  Province  autonome
di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del
debito del complesso delle amministrazioni pubbliche. 
    L'art. 4, comma 1, lettera  a),  della  legge  n.  164  del  2016
stabilisce quanto segue: 
        «All'art. 12  della  legge  4  dicembre  2012,  n.  243  sono
apportate le seguenti modificazioni: 
          a) il comma 1 e' sostituito dal seguente: 
          "1.  Le  regioni,  i  comuni,  le   province,   le   citta'
metropolitane  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di   Bolzano
concorrono ad assicurare la sostenibilita' del debito  del  complesso
delle amministrazioni pubbliche, secondo modalita' definite con legge
dello Stato, nel  rispetto  dei  principi  stabiliti  dalla  presente
legge"». 
    La norma riportata riguarda anche Regione autonoma  Trentino-Alto
Adige / Südtirol,  visto  che  essa  menziona  le  Province  autonome
insieme con le regioni.  Come  e'  evidente,  la  disposizione  cosi'
introdotta rinvia dunque ad una normale legge ordinaria, sia pure  da
emanare «nel rispetto dei principi» stabiliti dalla legge n. 243  del
2012  (principi  che   pero',   anche   in   questo   caso,   mancano
completamente), la disciplina delle modalita' con cui le  regioni,  i
comuni, le province, le citta' metropolitane e le  Province  autonome
di Trento e di Bolzano concorrono ad assicurare la sostenibilita' del
debito complessivo delle amministrazioni  pubbliche  e  dunque  viola
l'art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale  n.  1  del
2012, che riserva tale oggetto alla  legge  rinforzata  ex  art.  81,
ultimo comma, Cost. 
    Oltre che per tale  vizio,  la  norma  appare  costituzionalmente
illegittima per violazione dell'art. 79 e dell'art. 104 dello statuto
speciale,  visto  che  affida  ad  una  comune  legge  ordinaria   la
regolazione di un oggetto - il concorso della Regione  autonoma  alla
sostenibilita'   del   debito   pubblico   -   gia'    specificamente
regolamentato (e in modo esaustivo), dal citato art. 79. 
    Quanto  all'art.  5,   comma   2,   lettera   c),   della   legge
costituzionale  n.  1  del   2012,   tale   disposizione   di   rango
costituzionale riserva la disciplina delle «modalita'  attraverso  le
quali i comuni, le province, le citta' metropolitane, le regioni e le
Province  autonome  di  Trento   e   di   Bolzano   concorrono   alla
sostenibilita'   del   debito   del   complesso    delle    pubbliche
amministrazioni» alla legge rinforzata approvata ai  sensi  dell'art.
81,  sesto  comma,  Cost.,  come  modificato   dalla   stessa   legge
costituzionale n. 1 del  2012,  e  dunque  alla  legge  «approvata  a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera». 
    La norma impugnata, invece, stabilendo che  la  disciplina  delle
modalita' con cui i comuni, le province, le citta' metropolitane,  le
regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano «concorrono  ad
assicurare  la  sostenibilita'  del  debito   del   complesso   delle
amministrazioni pubbliche» sia posta «con legge dello Stato»,  sposta
invece  nella  competenza  del  legislatore   ordinario   esattamente
quell'oggetto - descritto con le medesime parole utilizzate dall'art.
5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1  del  2012  -
che la norma di rango costituzionale ha voluto coprire da una riserva
di legge rinforzata. Ne' tale violazione e' evitata dalla previsione,
di mero stile, che la legge ordinaria debba conformarsi ai  «principi
stabiliti  dalla  presente  legge»  e  cioe'  dettati   dalla   legge
rinforzata, dal momento che  la  legge  n.  243  del  2012,  dopo  le
modifiche introdotte dalla legge n. 164 del 2016 (e segnatamente dopo
le abrogazioni operate dallo stesso art. 4, alle lettere b e c),  non
contiene  alcun  principio  in  ordine   al   concorso   degli   enti
territoriali alla sostenibilita' del debito pubblico. 
    Oltre   alle   ragioni   gia'   sopra   esposte   in    relazione
all'impugnazione dell'art. 3, comma 1, lettera a), nel senso  che  la
disposizione  di  rango  costituzionale  violata,  prescrivendo   una
maggioranza qualificata per l'approvazione  della  legge  chiamata  a
regolare  questo  oggetto,  garantisce  anche  e  in  particolare  le
autonomie territoriali,  si  osserva  che  la  violazione  denunciata
ridonda sulla autonomia  costituzionalmente  garantita  alla  Regione
ricorrente sotto altri profili. 
    In particolare, vi e' interferenza con i poteri di  coordinamento
finanziario attribuiti alla regione insieme con le Province  autonome
dall'art. 79 comma 4 dello statuto, anche in  vista  della  riduzione
del debito pubblico («La regione e le province provvedono, per se'  e
per  gli  enti  del  sistema  territoriale  regionale  integrato   di
rispettiva competenza, alle finalita' di coordinamento della  finanza
pubblica  contenute  in  specifiche  disposizioni  legislative  dello
Stato, adeguando, ai sensi dell'art. 2  del  decreto  legislativo  16
marzo 1992, n. 266, la propria legislazione ai  principi  costituenti
limiti ai sensi degli articoli 4 o 5, nelle materie individuate dallo
Statuto,   adottando,   conseguentemente,    autonome    misure    di
razionalizzazione e contenimento della spesa,  anche  orientate  alla
riduzione del debito pubblico, idonee ad assicurare il rispetto delle
dinamiche della spesa aggregata delle amministrazioni  pubbliche  del
territorio  nazionale,  in  coerenza  con  l'ordinamento  dell'Unione
europea»). 
    Vi e' poi interferenza - anzi violazione,  come  si  e'  detto  -
dell'art. 79 dello statuto speciale. 
    Si rammenta che la Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige  e  le
Province autonome, per assicurare il concorso alla sostenibilita' del
debito pubblico, hanno  provveduto  a  concordare  con  lo  Stato  un
contributo finanziario  di  carattere  esaustivo,  anche  per  quanto
riguarda gli oneri del debito pubblico (art. 1, commi da 406  a  413,
della legge n. 190 del 2014, approvata sulla base di intesa raggiunta
ai sensi dell'art. 104 dello  Statuto  speciale,  e  specialmente  il
comma 410). 
    Come si e' gia' ricordato sopra, la legge 23  dicembre  2014,  n.
190, con la procedura prevista dall'art. 104 dello statuto  speciale,
ha novellato anche l'art. 79 dello statuto,  e  cio'  successivamente
alla entrata in vigore sia della legge costituzionale n. 1 del  2012,
sia della legge n. 243 del 2012. 
    Tale   parametro   tiene   dunque    conto    della    disciplina
sull'equilibrio di bilancio ed elenca espressamente e  specificamente
i  modi  in  cui  il  sistema   territoriale   regionale   integrato,
«costituito dalla regione, dalle province e  dagli  enti  di  cui  al
comma 3, concorre, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi  bilanci
ai sensi della legge 24 dicembre 2012, n 243, al conseguimento  degli
obiettivi di finanza pubblica, di perequazione e  di  solidarieta'  e
all'esercizio dei  diritti  e  dei  doveri  dagli  stessi  derivanti,
nonche' all'osservanza dei vincoli economici e  finanziari  derivanti
dall'ordinamento  dell'Unione   europea»   (comma   1),   La   stessa
disposizione dichiara poi che tali misure «possono essere  modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104  e  fino  alla
loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi
di finanza pubblica di cui al comma 1» (comma  2)  e  garantisce  che
«nei  confronti  della  regione  e  delle  province  e   degli   enti
appartenenti al sistema territoriale  regionale  integrato  non  sono
applicabili  disposizioni  statali  che  prevedono  obblighi,  oneri,
accantonamenti, riserve all'erario o  concorsi  comunque  denominati,
ivi inclusi quelli afferenti il patto di stabilita' interno,  diversi
da quelli previsti dal presente titolo». 
    Pertanto, la Regione  ricorrente  ritiene  che  l'art.  79  dello
statuto possa  essere  utilmente  invocato  a  difesa  delle  proprie
attribuzioni, tanto piu' a fronte di una norma che  non  regola  essa
stessa le modalita' di contribuzioni, bensi' delega  tale  disciplina
ad una fonte (la comune legge ordinaria) che e' incompetente  sia  in
riferimento a quanto dispone l'art. 5, comma  1,  lettera  c),  della
legge costituzionale n. 1 del  2012,  sia  in  relazione  appunto,  a
quanto prevede l'art. 104, comma primo, dello statuto speciale,  sia,
infine,  in  relazione   al   principio   dell'accordo   in   materia
finanziaria, valevole per gli enti ad autonomia differenziata. 
    E' evidente, ad  avviso  della  ricorrente,  che  il  compito  di
armonizzare i normali principi costituzionali che regolano i rapporti
finanziari tra lo Stato e la Regione  autonoma  (e  dunque  in  primo
luogo il principio pattizio, implicito negli articoli 103 e 107 dello
statuto speciale e confermato - per la generalita'  delle  regioni  a
statuto speciali - dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009: principio
che  codesta  Corte  costituzionale  ha   piu'   volte   ribadito   e
valorizzato: v., tra le molte, le sentenze nn. 19 del 2015,  155  del
2015 e 188 del 2016) con la peculiare competenza prevista dalla legge
costituzionale n. 1 del 2012 non  puo'  essere  assegnato  in  alcuna
parte alla semplice legge ordinaria, pena la  vanificazione  di  ogni
specifica garanzia. 
    In altri termini, qualora la legge rinforzata ex art.  81,  sesto
comma, Cost., cui fa rinvio la legge costituzionale n.  1  del  2012,
avesse una qualche capacita'  derogatoria  rispetto  alla  disciplina
statutaria  sulla  finanza  regionale,  essa  non  potrebbe  comunque
trasferire tale capacita' ad una comune legge ordinaria,  tanto  piu'
quando le norme statutarie gia' danno attuazione ai principi  dettati
dalla legge costituzionale n. 1 del 2012. 
    Diversamente, risultano violati in primo luogo lo stesso  art.  5
della legge costituzionale n. 1 del 2012, nonche', per le ragioni ora
esposte, gli  articoli  79,  103  e  104  dello  statuto  nonche'  il
principio  costituzionale  dell'accordo   e   le   richiamate   norme
costituzionali ed ordinarie in cui tale principio e' sancito. 
    Proprio la connessione tra i due sistemi  di  garanzia  -  quella
rinforzata  e  quella  negoziata  -  dimostra  comunque  il  pieno  e
specifico interesse della Regione ricorrente a far valere il vizio di
violazione dell'art. 5 legge costituzionale n. 1 del 2012  denunciato
nel presente motivo di ricorso. 
    Per prevenire possibili - ma infondate -  eccezioni,  si  osserva
che la lesione recata dalla norma impugnata e' gia' attuale,  perche'
la garanzia costituzionale in parola (e cioe'  la  riserva  di  legge
rinforzata) e' gia' adesso violata. 
    Analogamente, del resto, norme legislative che autorizzano poteri
regolamentari statali  nelle  materie  regionali  sono  sempre  state
ritenute  pacificamente   impugnabili   innanzi   a   codesta   Corte
costituzionale  anche  prima  della  emanazione  dei  regolamenti   e
indipendentemente  dall'avvenuto  esercizio   di   quei   poteri   di
normazione secondaria. La  lesione,  infatti,  si  consuma  gia'  nel
momento in cui la legge statale pretende di  condizionare  l'autonoma
regionale a vincoli diversi, anche sul piano delle fonti,  da  quelli
costituzionalmente previsti. 
    Qui la norma impugnata assoggetta la autonomia finanziaria  della
Regione ad un limite diverso  -  e  meno  garantistico  -  di  quello
specificamente previsto dalle norme di rango costituzionale e  dunque
la lesione e' fin da subito pienamente attuale. 
    Diversamente opinando, le norme lesive della  autonoma  regionale
ma non autoapplicative non sarebbero mai impugnabili in via  d'azione
e questo contrasterebbe con la natura  stessa  del  giudizio  in  via
principale,  che   e'   diretto   a   salvaguardare   le   competenze
costituzionale delle  Regioni  (e,  per  quanto  riguarda  i  ricorsi
statali, il principio di  costituzionalita'  della  legislazione),  a
prescindere dalla gia' avvenuta applicazione delle norme. 
V. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma  1,  lettera  b),
della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui  rinvia  alla  comune
legge ordinaria la disciplina delle modalita' di concorso degli  enti
territoriali di  cui  al  comma  1  alla  riduzione  del  debito  del
complesso delle amministrazioni pubbliche  attraverso  versamenti  al
Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. 
    La Regione impugna anche l'art. 4,  comma  1,  lettera  b)  della
legge n. 164 del 2016, che novella l'art. 12, comma 2, della legge n.
243 del 2012. 
    La disposizione censurata e' cosi formulata: 
        «All'art. 12 della 24 dicembre 2012, n. 243 sono apportate le
seguenti modificazioni: 
          b) il comma 2 e' sostituito dal seguente: 
          "2. Fermo restando quanto previsto dall'art.  9,  comma  5,
gli enti di cui al comma 1, tenuto  conto  dell'andamento  del  ciclo
economico, concorrono alla riduzione del debito del  complesso  delle
amministrazioni  pubbliche  attraverso  versamenti   al   Fondo   per
l'ammortamento dei titoli di Stato  secondo  modalita'  definite  con
legge dello Stato, nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente
legge"». 
    L'impugnata lettera b), dunque, rinvia alla  legge  ordinaria  la
regolazione delle modalita' di concorso alla riduzione del debito del
complesso delle amministrazioni pubbliche che  si  attua  mediante  i
versamenti, effettuati dai medesimi enti territoriali, al  Fondo  per
l'ammortamento dei titoli di Stato. 
    Tale disposizione e' applicabile  anche  alla  Regione  autonoma,
visto che essa richiama «gli enti di cui al comma  1»  dell'art.  12,
dove sono menzionate, accanto alle regioni,  anche  le  due  Province
autonome. 
    Questa previsione e' contestata sia per violazione della  riserva
di legge rinforzata dettata dall'art. 5, comma 2, lettera  c),  della
legge costituzionale n. 1 del 2012, sia per violazione  dell'art.  79
dello statuto speciale, nonche' del principio dell'accordo (art.  104
e 107 dello statuto speciale; art. 27  legge  n.  42  del  200),  dal
momento che, al pari della lettera a) dello stesso art. 4,  comma  1,
impone alla regione di contribuire  alla  riduzione  del  debito  del
complesso delle pubbliche amministrazioni con modalita' diverse  -  e
comunque non consensuali - da quelle previste in  modo  specifico  ed
esaustivo dell'art. 79 dello statuto, novellato nel 2014 (per  questa
parte della censura si rinvia integralmente a quanto esposto al punto
precedente). 
    Con riferimento alla censura  che  lamenta  la  violazione  della
riserva  di  legge   rinforzata,   giova   invece   rammentare   che,
precedentemente alle modifiche operate dalla legge n. 164  del  2016,
l'art. 12, commi 2  e  3,  della  legge  n.  243  del  2012  regolava
compiutamente - nel rispetto di quanto sancito dall'art. 5, comma  2,
lettera c) della legge costituzionale n. 1 del 2012 - le modalita' di
tale concorso,  stabilendo  che  «nelle  fasi  favorevoli  del  ciclo
economico, i documenti di programmazione finanziaria e  di  bilancio,
tenendo conto della quota di entrate proprie degli  enti  di  cui  al
comma 1 influenzata dall'andamento del ciclo  economico,  determinano
la misura del contributo del complesso dei medesimi enti al Fondo per
l'ammortamento  dei  titoli  di  Stato»  ed  aggiungendo  che   «tale
contributo e' incluso tra le  spese  di  cui  all'art.  9,  comma  1,
lettera a». Il successivo comma 3 dell'art. 12 prevedeva inoltre  che
tale contributo fosse ripartito tra gli enti di cui al  comma  1  con
decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  sentita  la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. 
    Come e'  noto,  la  Corte  costituzionale  aveva  poi  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di tale comma,  nella  parte  in  cui
stabiliva che il riparto del contributo  avvenisse  con  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  sentita   la   Conferenza
permanente per il coordinamento  della  finanza  pubblica,  anziche',
d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art.  8  del  decreto
legislativo 28  agosto  1997,  n.  281,  e  successive  modificazioni
(sentenza n. 88 del 2014). 
    Ora i commi 2  e  3  dell'art.  12,  che  contenevano  l'organica
disciplina di carattere sostanziale  e  procedimentale  gia'  oggetto
dell'intervento correttivo di codesta ecc.ma Corte, sono  abrogati  e
sostituiti dalla disposizione qui censurata con  un  mero  rinvio  in
bianco alla legge ordinaria, in diretta violazione della  riserva  di
legge rinforzata di cui all'art. 5, comma 2, lettera c),  che  invece
commette alla  legge  approvata  a  maggioranza  assoluta,  ai  sensi
dell'art. 81, sesto comma,  Cost.,  la  disciplina  delle  «modalita'
attraverso le quali i comuni, le province, le  citta'  metropolitane,
le regioni e le Province autonome di Trento e di  Bolzano  concorrono
alla  sostenibilita'  del  debito  del  complesso   delle   pubbliche
amministrazioni». 
    Anche in relazione alla lettera b) e' palese la ridondanza  della
violazione  denunciata  sulla  autonomia  finanziaria  della  Regione
ricorrente,  per  i  motivi  gia'  analiticamente  esposti  al  punto
precedente, ai quali qui si fa rinvio. 
    Si  aggiunge  inoltre  che,  con  riferimento   alla   disciplina
previgente del contributo delle regioni  e  delle  province  autonome
alla riduzione del  debito  pubblico,  codesta  Corte  costituzionale
aveva  osservato  che  «se  e'  innegabile  che  il   concorso   alla
sostenibilita' del debito nazionale e' un aspetto fondamentale  della
riforma,  e'  anche  vero  che  esso  ha  una   rilevante   incidenza
sull'autonomia  finanziaria  delle  ricorrenti»,  ed  aveva  ritenuto
mandatoria «l'esigenza di  "contemperare  le  ragioni  dell'esercizio
unitario  di  date  competenze   e   la   garanzia   delle   funzioni
costituzionalmente attribuite" alle autonomie (sentenze  n.  139  del
2012 e n. 165 del 2011;  nello  stesso  senso,  sentenza  n.  27  del
2010)», giudicando quindi «indispensabile  garantire  il  loro  pieno
coinvolgimento» (sentenza n. 88 del 2014, punto  10.3).  La  sentenza
citata  aveva  previsa   che   era   «anche   necessario   che   tale
collaborazione assuma la forma dell'intesa, considerate l'entita' del
sacrificio imposto e la delicatezza del compito cui la Conferenza  e'
chiamata». 
    Nella parte in cui sostituisce  una  disciplina  contenuta  nella
legge rinforzata e dunque nella  fonte  competente  (e  materialmente
conforme a Costituzione) con un rinvio alla legge ordinaria (e dunque
a fonte priva di competenza sull'oggetto), la  norma  impugnata  lede
anche il principio di leale collaborazione, visto che questo  non  e'
opponibile alla  funzione  legislativa,  secondo  quanto  piu'  volte
affermato da codesta Corte costituzionale. In altri  termini,  mentre
prima il contributo al Fondo per l'ammortamento dei titoli  di  Stato
era  ripartito,  nel  rispetto  dalla   legge,   mediante   un   atto
amministrativo  adottato  d'intesa  con  la   Conferenza   unificata,
l'attribuzione di questa funzione alla legge ordinaria priva gli enti
territoriali di ogni possibilita' di  coinvolgimento  nella  relativa
decisione.